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4.CRITERI E METODOLOGIE DANALISI

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1.LE VOCAZIONI DEL DIGITAL HERITAGE: PRESERVAZIONE, PROMOZIONE E ACCESSIBILITÀ

Il digital heritage, come dimostrato nel capitolo669 dedicato alla sua definizione, rappresenta una risorsa unica che «embraces cultural, educational, scientific and administrative resources, as well as technical, legal, medical and other kinds of information created digitally, or converted into digital form from existing analogue resources [...] that [n.c.] have lasting value and significance»670. Dopo aver definito il digital heritage è importante stabilire quali siano le sue vocazioni e i suoi obiettivi, poiché questi influenzano in maniera diretta la natura delle sue pratiche e delle sue applicazioni. Il panorama relativo alle tecnologie e alle applicazioni per il cultural heritage, infatti, è molto vasto e complesso, esistono una varietà di strumenti pensati per finalità ed utenti diversi, che sono stati utilizzati per preservare, conservare e promuovere il patrimonio culturale.

Esistono sostanzialmente due obiettivi, due vocazioni primarie e complementari che caratterizzano il

digital heritage, la prima definita come preservation, risponde alla necessità di preservare e

proteggere nel miglior modo possibile il patrimonio culturale gestito da istituzioni pubbliche e private, in modo tale da garantirne l’accesso alle generazioni future671. Il digital heritage principalmente votato alla preservation cerca le soluzioni più efficaci per la conservazione e il mantenimento del cultural heritage, termine che raccoglie diverse tipologie di heritage come il

tangible cultural heritage, il movable cultural heritage (dipinti, sculture, manoscritti, ecc.),

l’immovable cultural heritage (monumenti, siti archeologi, ecc.), l’underwater cultural heritage (città e rovine sommerse, ecc.), l’intangible cultural heritage (tradizione orale, arti performative, ecc.) e il

natural heritage (siti naturali che presentano valore culturale).672

Il digital heritage è ovviamente solo una delle possibilità a disposizione delle istituzioni culturali per preservare il patrimonio culturale, basti considerare, ad esempio le risorse economiche che le istituzioni museali investono nella creazione di aree climatiche controllate per il mantenimento di materiali che necessitano di particolari condizioni ambientali per essere conservati al meglio.

669 Cfr. Capitolo I.2 Virtual e Digital Heritage: definizioni e tassonomia.

670 “Charter on the Preservation of the Digital Heritage”, UNESCO,

http://www.unesco.org/fileadmin/MULTIMEDIA/HQ/CI/CI/pdf/mow/charter_preservation_digital_heritage_en.pdf, (ultima consultazione: 25 settembre 2016).

671 Ibidem.

672 Cfr. la definizione di natural heritage dell’UNESCO in:

“Convention Concerning the Protection of the World Cultural and Natural Heritage”, UNESCO, http://whc.unesco.org/en/conventiontext/, (ultima consultazione: 25 settembre 2016).

Per un’evoluzione storica del termine Cfr.:

Jukka Jokilehto, “DEFINITION OF CULTURAL HERITAGE. References to documents in history”, http://cif.icomos.org/pdf_docs/Documents%20on%20line/Heritage%20definitions.pdf, (ultima consultazione: 25 settembre 2016).

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Nonostante questo, gli strumenti digitali applicati alla conservazione del cultural heritage rappresentano una parte sempre maggiore delle politiche messe in atto dalle istituzioni culturali. La forma più semplice e immediata di digital heritage, ma non per questo meno problematica, applicata alla protezione e salvaguardia del patrimonio culturale passa attraverso la digitalizzazione, la creazione di copie digitali che vengono rese accessibili al pubblico, mentre i materiali originali vengono custoditi in luoghi sicuri e controllati. Anche le copie digitali, come quelle materiali, al di là delle criticità teorico metodologiche con cui costringono a confrontarsi, presentano nuove sfide per musei e istituzioni pubbliche che si trovano nella necessità non soltanto di conservarle ma anche di mantenerle aggiornate per garantirne l’accessibilità. Per questo motivo, una parte considerevole della pianificazione di progetti per la preservazione attraverso il digital heritage viene dedicata alla scelta di strategie efficaci a lungo termine per combattere l’obsolescenza dei materiali digitali, dovuta alla continua e rapida evoluzione delle tecnologie.

Nonostante la digitalizzazione porti inevitabilmente ad uno spostamento dell’attenzione dalla natura fisica di un’oggetto a quella concettuale intrinseca al processo di preservazione digitale, è importante sottolineare che tutti gli oggetti digitali, a prescindere dai loro formati, sono anche oggetti fisici, caratterizzati da supporti che hanno la necessità di essere conservati. È vero che la dimensione logica degli oggetti digitali, considerati nella loro forma codificata, ha una longevità maggiore rispetto a quella fisica, tuttavia man mano che gli strumenti tecnologici utilizzati per l’accesso, sia hardware (computer, processori, periferiche, ecc.) che software (sistemi operativi, applicazioni specifiche, ecc.) diventano obsoleti, è necessario modificare anche il codice che rappresenta l’oggetto digitale, in modo tale da consentire l’accessibilità attraverso le tecnologie più recenti e garantire la preservazione della dimensione concettuale dell’oggetto digitale, che ne rappresenta la dimensione più significativa, poiché è la “versione” che comunica all’utente il significato dell’oggetto.

Durante il processo di digitalizzazione, e quindi di creazione della copia digitale di un determinato oggetto, è necessario confrontarsi con il concetto di autenticità, la cui comprensione «plays a fundamental role in all scientific studies of the cultural heritage, in conservation and restoration planning, [...] conservation of cultural heritage in all its forms and historical periods»673.

673 The Nara Document on Authenticity, 1994, whc.unesco.org/document/116018, (ultima consultazione: 25 settembre 2016).

Il Nara Document on Authenticity, venne redatto dai quarantacinque partecipanti alla Nara Conference on Autenticity in

Relation to the World Heritage Convention, che si svolse a Nara, Giappone, dal 1 – 6 novembre del 1994, su invito

dell’Agency for Cultural Affairs (Government of Japan) e la prefettura di Nara. La conferenza venne organizzata in collaborazione con l’UNESCO, l’ICCROM e l’ICOMOS. La versione del testo citata è stata modificata da Raymond Lemaire e Herb Stovel.

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Gli oggetti e i siti culturali sono valutati, almeno parzialmente, sulla base della loro autenticità, e le copie, o ricostruzioni, digitali che non sono in grado di preservarne l’autenticità sono considerate spesso inutili e senza valore.

L’autenticità di un oggetto digitale appartenente al cultural heritage è definita dall’UNESCO come «the ‘quality’ of genuiness and trustworthiness of some digital materials, as being what they purport to be, either as an original object or as a reliable copy derived by fully documented process from an original»674.

L’autenticità si realizza, sempre secondo l’UNESCO675, quando è stabilita l’identità dell’oggetto, quando cioè quest’ultimo è ciò che sembra essere e non un altro oggetto, e non è stato modificato così tanto da aver perso il suo significato originale (è integro), e le sue proprietà significative: gli elementi, le caratteristiche e gli attributi che devono essere mantenuti in una riproduzione per poter ricreare con successo gli scopi e i significati originali dell’oggetto. Conservare sia l’integrità che l’identità significa sostenere e documentare i legami che esistono tra l’oggetto com’era stato creato in origine e com’è presentato ora, e fornire prove e documenti che ne attestino la sua continua autenticità. Esistono in generale due ordini di problemi nella conservazione dell’autenticità di un oggetto attraverso processi di digitalizzazione. Il primo ha a che fare con le minacce all’identità dell’oggetto, la perdita di certezza nella definizione di quale effettivamente sia la versione originale e l’incapacità di documentare e distinguere non solo versioni diverse dello stesso oggetto, ma anche copie diverse. Il secondo invece raccoglie le criticità e le problematiche che minacciano l’integrità di un oggetto, i cambiamenti che l’oggetto subisce durante la sua storia e che possono mettere a rischio sia la sua identità che la sua integrità.

La lista dei processi e delle occorrenze connesse alla preservazione digitale che possono essere considerate potenzialmente dannose per l’autenticità di un oggetto sono molte, e non ricadano necessariamente in una sola delle categorie appena presentate. Trasferire dati da un sistema ad un altro, aggiornare i metadati di un archivio, errori che occorrono naturalmente durante la digitalizzazione, attacchi da parte di virus e malware, la natura precaria dei supporti, hardware e

software, utilizzati per la conservazione e l‘accesso alle risorse digitali, la modifica e l’aggiornamento

della veste grafica e dell’infrastruttura informatica di un’applicazione676, sono solo alcune delle minacce legate a operazioni necessarie per la preservazione, ma anche per la promozione, digitale.

674 the UNESCO/PERSIST Content Task Force, The UNESCO/PERSIST Guidelines for the selection of digital heritage

for longterm preservation UNESCO,

https://www.unesco.nl/sites/default/files/uploads/Comm_Info/persistcontentguidelinesfinal1march2016.pdf, (ultima consultazione: 25 settembre 2016), p. 157.

675 Ivi, 157 – 158.

676 Considerazione vera anche per i prodotti del digital heritage pensati per la promozione e disseminazione del patrimonio

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Esiste poi nella riflessione sull’autenticità il problema del legame tra l’oggetto storico reale e l’oggetto digitale. Il ruolo delle opere digitali, all’interno del panorama più ampio del digital heritage, va compreso per delineare meglio il rapporto che esiste tra originale e copia, non solo nella fase di conservazione e preservazione, ma anche in quella di divulgazione. La visione della copia digitale come oggetto destabilizzante che minaccia l’originale, e che per questo motivo è naturalmente inferiore rispetto all’artefatto fisico è ancora radicata nell’atteggiamento con cui alcuni teorici hanno accolto l’introduzione dei nuovi media all’interno dello spazio museale. Il rifiuto e la diffidenza verso le riproduzioni, sono chiare in For a Critique of the Political Economy of the Sign677, in cui Braudrillard, parlando del mondo della pittura contemporanea, dimostra una genuina preoccupazione verso le copie: «until the nineteenth century, the copy of an original work had its own value [...]. In our own time the copy is illegitimate, inauthentic: it is no longer “art”»678. In questo caso la copia rappresenta una vera e propria minaccia allo statuto di autenticità dell’oggetto originale. Anche Benjamin, nel celebre saggio The Work of Art in the Age of Mechanical Reproduction679, sottolinea come l’autenticità che «is the essence of all that is transmissible from its beginning, ranging from its substantive duration to its testimony to the history which it has experienced»680, è messa a rischio dalle riproduzioni meccaniche.

La visione negativa nei confronti delle riproduzioni deriva anche dalla preoccupazione, ancora maggiore se parliamo di tecnologie digitali in grado di riprodurre copie virtuali fotorealistiche, che queste ultime possano sostituire l’oggetto originale nell’immaginario dell’individuo, che non sarà più in grado di distinguere tra la copia virtuale e l’oggetto autentico. In questo scenario, in cui si dissolve il limite che separa la materialità autentica dalla riproduzione digitale, viene a cadere il ruolo dei musei come spazi culturali istituiti con lo scopo di raccogliere, custodire e proteggere gli artefatti del passato. In questo caso è importante ricordare che anche le riproduzioni fotografiche, come le tecnologie digitali, hanno storicamente faticato ad essere ammesse all’interno dei musei d’arte. Douglas Crimp681, analizzando il concetto di Museum Without Walls di Malraux682, e la sua nozione di stile come «the ultimate homogenizing principle, indeed the essence of art, hypostatized, interestingly enough, through the medium of photography»683, sottolinea il fatto che fino a quando la fotografia «was merely a vehicle by which art objects entered the museum, a certain coherence obtained. But once photography itself enters, an art object among others, heterogeneity is

677 Cfr. Jean Baudrillard, For a Critique of the Political Economy of the Sign, Telos Press Publishing, Candor, 1981. 678 Ivi, p. 103.

679 Cfr. Walter Benjamin, “The Work of Art in the Age of Mechanical Reproduction”, in Hannah Arendt (a cura di), Illuminations, Schocken Books, USA, 2007, pp. 217 – 252.

680 Ivi, p. 221.

681 Cfr. Douglas Crimp, On the Museum’s Ruins, The MIT Press, Cambridge, 1993.

682 Cfr. Andre Malraux, Museum Without Walls, Doubleday & Company, Inc., Garden City, 1961.

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reestablished at the heart of the museum; its pretentions to knowledge are doomed. Even photography cannot hypostatize style from a photograph»684. In questa prospettiva, il museo diventa uno spazio in cui devono trovare posto solamente gli originali, e da cui ogni forma di riproduzione deve essere bandita; da qui il rifiuto della fotografia, che rischierebbe di minare il concetto di originale, autentico e di creatività artistica685, poiché la riproduzione fotografica è separata dal suo referente, dal cosiddetto oggetto reale.

La riflessione sul concetto di originale e riproduzione, come dimostrato nell’ultimo esempio, è legata in maniera intrinseca alla cultura e alle pratiche museali, e vede, all’estremo opposto rispetto alle riflessioni dei teorici presentati in precedenza, MacDonald686 e la sua proposta di un’«antimaterialist museological epistemology»687 che cerca di ridefinire il museo come fonte di informazione più che spazio che ruota attorno all’esposizione di oggetti originali. È perfettamente naturale, secondo Cameron688, una certa resistenza da parte del mondo teorico nell’accettare la legittimità della riproduzione digitale, considerando che, storicamente, una delle funzioni principali delle rappresentazioni visive è quella di ingannare. Originali e riproduzioni sono oggetti discorsivi poiché sono la manifestazione di regole culturali implicite che determinano l’autorità e il valore dell’oggetto autentico sulla base della relazione tra la società e la copia689. La predilezione verso l’oggetto autentico e reale, e quindi di conseguenza la svalutazione dell’oggetto digitale, inteso come immateriale690 temporaneo e surrogato, trova la sua origine in una visione evoluzionista, in voga alla fine del diciannovesimo secolo. In questo periodo gli artefatti storici venivano selezionati e rimossi dai loro contesti storici e culturali e valutati sulla base della loro materialità691 e delle modalità con cui erano stati creati, e la loro riproduzione non aveva nessun valore, poiché era sussidiaria rispetto all’originale reale. Questo culto per la materialità dell’originale, in cui l’aspetto visivo di un oggetto rappresenta il suo contesto e la sua fisicità determina in maniera definitiva il suo valore culturale, si è protratta fino alla fine del ventesimo secolo, come è testimoniato dall’approccio di Schlereth692 allo

684 Ivi, p. 51.

685 Anche se il rapporto tra creatività artistica, originale e riproduzione non è mai stato chiarito in maniera definitiva. Già nel diciannovesimo secolo pittori e incisori discussero per stabilire il vero significato della riproduzione.

Cfr. Gordon Fyfe, “Reproductions, cultural capital and museums: aspects of the culture of copies”, Museum and Society, vol. 2, n. 1 (2004), pp. 47 – 67.

686 George MacDonald, curatore del Canadian Museum of Civilization.

687 Fiona Cameron, “Beyond the Cult of the Replicant: Museum and Historical Digital Objects-Traditional Concerns, New Discourses”, in Fiona Cameron, Sarah Kenderdine (a cura di), Theorizing Digital Cultural Heritage: A Critical

Discourse (Media in Transition), cit. p. 7, pp. 49 – 76, p. 51. 688 Ibidem.

689 Cfr. Gordon Fyfe, “Reproductions, cultural capital and museums: aspects of the culture of copies”, cit. p. 161.

690 Che verrà dimostrata come una falsa concezione.

691 Cfr. Fiona Cameron, “Beyond the Cult of the Replicant: Museum and Historical Digital Objects-Traditional Concerns, New Discourses”, cit. p. 161.

692 Cfr. Thomas J. Schlereth (a cura di), Material Culture Studies in America, Rowman & Littlefield Publishers, USA, 1999.

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studio della material culture: «material Culture properly connotes the physical manifestations of culture and therefore embraces those segments of human learning and behavior which provide a person with plans, methods, and reasons for producing and using things that can be seen and touched [...]. Material culture study is therfore, the study through artefacts [...] of a particular community or society, usually across time»693. La material culture si basa sulla premessa che l’esistenza di un determinato artefatto è la prova concreta della presenza di una mente al lavoro, al momento della creazione dell’oggetto; considerazione che Alun Muslow definisce come epistemic relativism694. Eilean Hooper-Greenhill695 propone invece una visione diversa degli oggetti che non sono più autorevoli di per sé, proprio a causa della loro materialità, ma assumono invece significati molteplici a seconda dell’interpretazione di chi li osserva. La teorica sottolinea il pericolo che può nascere dalla pratica dei musei contemporanei di idealizzare il concetto di artefatto reale, e non invece considerare gli oggetti presenti nelle collezioni come costruzioni e rielaborazioni dell’originale. In parte la molteplicità dell’interpretazione, secondo Eilean Hooper-Greenhill, consiste nella possibilità di muoversi tra una conoscenza presente e una passata, un circolo ermeneutico che è utile a comprendere meglio l’esperienza della visita, poiché il visitatore organizza il significato degli oggetti che osserva sulla base delle proprie esperienze e del contesto sociale a cui appartiene: le interpretive

communities696 che raccolgono individui che interpretano i contenuti in maniera simile proprio perché

condividono «common repertoires and strategies used in interpretation»697.

L’approccio di Eilean Hooper-Greenhill è solo uno degli esempi rappresentativi di una nuova, o sarebbe meglio dire diversa, visione dei concetti di reale, autentico e originale che vengono considerati soltanto come etichette, il prodotto di regole e convenzioni stabilite dalla società e da una certa scuola di pensiero, e non più come categorie assolutizzanti che sono in gradi di garantire automaticamente un valore assoluto all’oggetto fisico custodito nel museo. L’autorità del reale, infatti, è spesso determinata dal museo, ed è contingente alla valutazione del curatore, che ne attesta le qualità materiali e la sua storia, che vanno a costituire l’aura dell’artefatto, le cui «message-bearing abilities and the persuasiveness of its origin through associated stories are important ingredients in invoking its awe, and beacause of that [n. c.] if an object is dislocated from its systems of meaning its aura is diminished»698.

693 Ivi, p. 2.

694 Cfr. Alun Munslow, The Future of History, Palgrave Macmillan, 2010, New York, p. 65.

695 Eileen Hooper-Greenhill, Museums and the interpretation of visual culture, Routledge, USA, 2000.

696 Cfr. Le esibizioni dovrebbero, secondo il modello proposto dalla Hooper-Greenhill, comunicare non solo con le

interpretive community dei curatori e degli storici dell’arte, ma anche a quelle di tutti gli altri visitatori. 697 Eileen Hooper-Greenhill, Museums and the interpretation of visual culture, cit. p. 162, p. 73.

698 Fiona Cameron, “Beyond the Cult of the Replicant: Museum and Historical Digital Objects-Traditional Concerns, New Discourses”, cit. p. 161, p. 57.

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Svincolarsi dai limiti imposti dalla cultura della materialità permette di assegnare un valore culturale sia all’oggetto reale che a quello digitale. In questo contesto gli oggetti digitali vengono legittimati e assumono un nuovo significato, proprio perché garantiscono a chi osserva nuove possibilità di interpretazione che vanno al di là della semplice dimensione visiva. Quando viene compresa la materialità dell’oggetto digitale, «new roles and a set of defining characteristics emerge beyond their role as servant to the ‘‘real’’ as representation, presence, affect, experience, and value in a museum context. Both modalities, the analog and the digital, are material objects by definition, each acting as testimony to its own history and origin, and hence authenticity and aura»699.

La definizione dell’originalità e del valore culturale di un oggetto, e la preservazione dell’autenticità non sono gli unici problemi legati all’utilizzo delle tecnologie digitali in ambito culturale; un’altra minaccia alla continuità digitale del cultural heritage è oggi più che mai rappresentata dalla perdita di accessibilità. Garantire accessibilità universale ai contenuti culturali è uno degli obiettivi principali della comunità europea, come testimoniato dai principi di Lund, città svedese in cui il quattro aprile 2001 la Commissione europea si riunì decretando di fatto la nascita del Gruppo dei rappresentanti Nazionali (NRG)700. L’incontro tra i rappresentanti degli Stati membri, che si proponeva di stabilire un forum per coordinare gli sforzi per la conservazione dei contenuti culturali europei attraverso le tecnologie digitali, supportare lo sviluppo di politiche e programmi comuni per la digitalizzazione e la definizione di pratiche virtuose e meccanismi per lo sviluppo di competenze nell’ambito della cultura digitale, si concretizzò nei principi di Lund in cui venne sottolineata la necessità per «an accessible and sustainable heritage»701 .

L’accessibilità ha lo scopo di garantire al pubblico la possibilità di esaminare gli essential elements di un oggetto digitale, cioè il suo messaggio originale, le sue funzionalità e i suoi scopi autentici. L’insieme delle strategie volte alla preservazione dei materiali del cultural heritage non è, infatti, circoscritto solo alla riproduzione degli oggetti materiali in forma digitale, ma passa anche attraverso lo sviluppo di sistemi e protocolli in grado di produrre automaticamente copie stabili che possono essere consultabili dal pubblico. Le strategie per la preservazione nascono dal confronto tra le istituzioni e i professionisti del settore della conservazione e del restauro che stabiliscono standard in grado di prolungare la vita e l’accessibilità potenziali di un oggetto culturale, attraverso la selezione

699 Ivi, p. 70.

700 L’NRG, composto da esperti del settore culturale eletti da ciascuno degli Stati Membri, venne creato con lo scopo di ampliare le reti globali, garantire la collaborazione tra istituzioni e organizzazioni nazionali europee, coordinare politiche

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