procedimento per le altre», ciò, in quanto «…non influiscono
sulla natura definitiva della sentenza la mancata pronuncia di
un formale provvedimento di separazione delle cause, il rinvio
al prosieguo della regolamentazione delle spese di lite o la
qualificazione attribuita alla sentenza dal giudice che l’ha resa
(
153) ».
1985, p. 3132 il quale, infatti, nel commentare la sentenza Cass. Sez. I del 21 dicembre 1984 n. 6659, scrive : «…Di questa sentenza – che riesamina
ampiamente la questione sul carattere definitivo o no delle sentenze decisive di una o più ma non di tutte le domande cumulate e la risolve, … , nel senso della definitività in ogni caso – sono da condividere la concreta statuizione e l’approfondita motivazione atta a dimostrare che, dopo la “novella” del 1950, dal discoro dei c.p.c., e in specie dalla identità tra la separazione di domande cumulate ex art. 104 e la separazione di cause connesse ex art. 103 è nata la regola della identità tra decisione separata su domanda e decisione separata su causa e della definitività di tali sentenze, sia o no la separazione esplicitamente enunciata dal giudice o richiesta da una parte». Prosegue,
quindi, l’illustre autore, sempre con riferimento alla medesima sentenza, segnalando che, tuttavia, «…nella motivazione in esame non convincono gli
argomenti diretti ad escludere ogni eccezione a quella regola. […] ».
Sul medesimo argomento, si veda, poi, sempre dello stesso autore,
Ancora su cumulo di domande e sentenze non definitive, in Giust. Civ., 1986,
I, 2367 ss.
(153) Tale orientamento giurisprudenziale, nel senso della natura definitiva della sentenza in questione, è condiviso, come si è già
L
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dettagliatamente evidenziato, da PROTO PISANI, Litisconsorzio facoltativo e
separazione di cause, cit. , p. 136 ss.
Si veda, anche, ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, cit. 246-247. L’insigne autore, con riferimento al 2° comma dell’art. 277 c.p.c. ed al suo coordinamento con l’art. 279, co. 2°, n. 5 c.p.c. , scrive : « …propendo
a ritenere che il secondo comma dell’art. in esame sia tuttora in vigore. Sennonché un volta superato lo scoglio dell’abrogazione tacita […] s’incappa nel pantano del difetto del coordinamento[…] : poiché l’art. 279 n. 5 si riferisce alle sole ipotesi contemplate negli artt. 103 e 104, accade che mentre sev’è il consenso di tutte le parti o il pericolo del ritardo ovvero il dispendio della trattazione unitaria, il collegio deve prima disporre la separazione delle domande e poi procedere alla definizione di quelle mature, l’art. 277 non prevede la preventiva separazione delle cause. […]
A chi ben guardi, neppure il codice risolveva il dubbio sul se nella ipotesi dell’art. 277, 2° comma, dovesse provvedersi alla separazione delle cause, ma il silenzio era da interpretarsi come divieto in un sistema improntato alla concentrazione delle impugnazioni ; nel clima della riforma del 1950, in cui si è inserita la possibilità della impugnazione immediata, non osa troppo l’interprete il quale estende il regime dell’art. 279 n. 5 al caso descritto nell’art. 277, 2° comma » ; SATTA, Commentario al codice di procedura civile, cit., p. 320 ; GIONFRIDA, Riflessioni sulla estinzione
parziale del processo per inattività delle parti e sulla riassunzione parziale del processo per interrotto in caso di litisconsorzio facoltativo, in Riv. dir. proc. , 1964, 548 ss. (in part. vedi n. 60) ; DENTI, Ancora sull’efficacia della
decisione di questioni preliminari di merito, in Riv. dir. proc., 1970, p. 560
ss.
In tal senso, si veda poi FERRI, in COMOGLIO -FERRI –TARUFFO, Lezioni
sul processo civile, Bologna, 1995, p. 649 -650 ove si legge : «Una certa difficoltà di interpretazione della norma dell’art. 277, comma 2, coordinata con quella dell’art. 279, comma 2, nn. 3 e 4, conduce ad una serie di incertezze circa l’individuazione della sentenza definitiva o non, nell’ipotesi
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in cui rispetto a più domande cumulate tra gli stessi soggetti, l’organo giudicante decida soltanto su alcune di esse con prosecuzione del procedimento.[…]
La questione è ancora controversa, ma sembra effettivamente da ritenere che la qualificazione di sentenza definitiva o meno dipenda dalle statuizioni adottate in relazione alle domande ed eccezioni sollevate nel giudizio : deve considerarsi non definitiva la sentenza che, pur pronunciando su talune domande, non su tutte, non esaurisca la trattazione e la decisione dell’oggetto sostanziale della controversia ma ne risolva soltanto alcuni, a nulla poi rilevando che sia o meno emesso un provvedimento di separazione delle cause. È certo che il problema assume un rilevante aspetto pratico poiché la distinzione tra sentenza definitiva e non definitiva è determinante agli effetti dell’impugnabilità immediata».
Si veda, poi, MONTELEONE, Diritto processuale civile, II, Padova, 1995, p. 232 : «…il punto di contrasto sta nello stabilire se la se la sentenza che
decide alcune domande, debba considerarsi definitiva o non, mentre è pacifica la non definitività della sentenza che decide solo delle questioni, siano esse processuali o di merito».
Con esplicito adesione alla posizione della giurisprudenza (minoritaria)
che prescinde dall’elemento formale della separazione e della condanna alle spese riferendosi al contenuto della sentenza scrive : «Noi condividiamo
quest’ultima soluzione, poiché l’espressione “questioni” adoperata nell’art. 279, cpv. , n. 4, vale a dire in quel contesto normativo ove viene pure usata la espressione “domande”, deve necessariamente avere un significato proprio e diverso, quindi non confondibile con la seconda. In altri termini, se il legislatore avesse voluto indicare la stessa entità processuale nel medesimo ambito normativo, non avrebbe impiegato due locuzioni tecniche diverse. Se ciò ha fatto, la ragione è che voleva indicare due cose distinte».
Prosegue ed aggiunge : « In considerazione delle oscillazioni giurisprudenziali riteniamo, però, che sia prudente decisione nei casi dubbi