volta, ribadirsi che, agli effetti della riserva di impugnazione
differita, si considera pertanto definitiva, la sentenza mediante la
quale, in caso di cumulo di domade fra gli stessi soggetti, il
giudice provvede a definire una o più delle diverse domande
avanzate, con prosecuzione del procedimento per le restanti,
senza disporre la separazione ex art. 279 comma 2 n. 5 c.p.c. e
senza provvedere sulle spese in relazione alla domanda o alle
domande decise, ma rinviando la liquidazione all’ulteriore corso
del giudizio (
165) (
166).
come definitiva o non, si finisce non per dettare un principio generale ma per compiere delle indagini volta per volta, in relazione al contenuto della decione, con il risultato di rendere incerte le conclusioni, facendo così venir meno le esigenze di tutela della parte soccombente che viene esposta al rischio di perdere il diritto all’impugnazione, avendo proposto inefficacemente la riserva nei confronti di una sentenza ritenuta non definitiva e, invece, ritenuta definitiva dal giudice d’appello ». Aggiunge,
infine, sempre in termini critici verso l’orientamento sostanziale, che : «…In
tal modo, pertanto, la parte soccombente è costretta a impugnare sempre in via immediata la sentenza senza porsi il dubbio della sua definitività o meno, e ciò limita la sua possibilità di scelta che, invece, il legislatore le ha attribuito».
(165) Così recita Cassazione sez. un., 08-10-1999, n. 711 in Giust. civ., 2000, I, 63, n. CALIFANO
(166) In senso critico, si veda, tuttavia, quanto asserito da MONTANARI,
Cumulo di domande e sentenza non definitiva, in Corriere Giur. , cit. , p. 647
ss., il quale, riferendosi a Cass., sez. un., 08-10-1999, n. 711 e 712 e a differenza dell’accoglienza riservata alla stessa da alcuni autori (tra cuiM.
L
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PISELLI, L’indirizzo formale scelto dalla Cassazione evita il rischio di
interpretazioni incerte, cit. , p. 67 ss.), scrive : « …non crediamo proprio di trovarci al cospetto di una sentenza meritevole di essere ricordata alla stregua di un autentico grand arrêt ».
L’autore, nel presentare la sua posizione interpretativa, ricostruisce la singolare situazione creatasi a seguito di Cass. Sez. Un. 1577/90, come noto, aderente all’orientamento formalista. In particolare, ritiene che con Cass. 7225/1992 e Cass. 7225/1992 la posizione sostanzialista « …appare aver
abbandonato i suoi tradizionali morfemi, per venirsi ad attestare su nuovi equilibri ». Nello specifico « …si è rinunciato, da parte di entrambe quelle pronunce, a quella che ha sempre rappresentato l’idea – cardine dell’impostazione in discorso, ovvero che la sentenza sarebbe da reputare definitiva per il solo e semplice fatto di aver esaurito il dibattito intorno a una data domanda». Si è ammesso anzi che «…il giudice, nell’esercizio del potere di decisione frazionata sul simultaneus processus quale accordatogli dall’art. 277 cpv. verrebbe sempre e necessariamente a dar corpo ad una sentenza non definitiva … destinata…a confluire entro le previsioni dell’art. 279, comma 2, n. 4, anziché rimanere assorbita in quelle del distinto e successivo n. 5 ». Peraltro, sempre con riferimento alle due citate pronunce «…l’orbita applicativa dell’art. 277 cpv. non abbraccerebbe tutte le ipotesi di processo cumulativo previste dal nostro ordinamento, ma soltanto taluna di esse, e precisamente : secondo Cass. 7225/1992, i casi, genericamente definiti, di cumulo inscindibile di domande… ; e secondo Cass. 5703/1993 … quelli di cumulo meramente alternativo o subordinato…».
Prosegue l’autore, entrando nel vivo della sua critica, asserendo che è proprio con riferimento a tale nuova espressione dell’orientamento sostanzialista (in part. si veda la pag. 648 dell’opera di MONTANARI) che Cass., sez. un., 08-10-1999, n. 711 e 712 ha inteso far breccia : « con un
impianto argomentativo, è il caso immediatamente di aggiungere, privo di spunti veramente innovativi ed anzi, in taluni snodi, piuttosto debole e inconferente, a legittimazione delle riserve … avanzate circa la possibilità di
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guardare ad essa sentenza come a momento fondamentale dell’elaborazione giurisprudenziale sul tema» . In particolare, secondo l’autore, non
completamente soddisfacenti appaiono «…le considerazioni svolte per
dimostrare come il potere di frazionamento della decisione ai sensi dell’art. 277 cpv. non sarebbe confinato entro l’area del cumulo inscindibile di domande o entro quella, ulteriormente ridotta del cumulo condizionale o alternativo ma ben si estenderebbe anche ai casi dove sussiste, e dunque concorre, il potere di seprazione delle cause oggetto delle previsioni degli artt. 103, 104 e 279, c. 2, n. 5 ».
L’autore, poi, con riferimento alle critiche al criterio formale, conclude e scrive : «…Al di là di questi aspetti, ci sembra poi giusto notare come…
l’applicazione del criterio formale, o, almeno, una sua applicazione rigida e indiscriminata, non sia del tutto scevra di inconvenienti. Il riferimento è alle ipotesi di cumulo inscindibile e di adozione contra legem del provvedimento di separazione delle cause in una alla pronuncia in tal guisa riunite».
L’osservanza del criterio in questione, invero, «…costringerebbe … la parte, che sia rimasta soccombente rispetto a quella pronuncia parziale ed intenda dolersene a proporre impugnazione immediata contro la stessa : ciò che – salvo l’ipotetico rimedio della sospensione di tale giudizio d’impugnativa […] - , equivarrebbe a sancire l’irrimediabilità del vizio in questione, ovvero l’impossibilità di ricostruire quell’unità del processo che il giudice, in virtù del suo errore, avrebbe spezzato».
Estremamente interessante, in definitiva, mi sembra il richiamo fatto dall’autore ad un ipoteticoadattamento al caso in questione «…del principio
di derivazione germanica, del Meisthegünstigung…a mente del quale sarebbe data alla parte la possibilità di conformarsi al regime impugnatorio corrispondente non alla veste concretamente impressa dal giudice al provvedimento impugnabile ma a quella distinta veste che il provvedimento medesimo avrebbe dovuto assumere ex lege »