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D’ ogni turpe servaggio, e sovra i tron

Nel documento Armonie (pagine 48-86)

Consacri i Re cui delle genti il voto Liberam ente elesse, e il fero orgoglio F reni di chi fa piangere; fra tante O rride dissonanze alfin trionfi

NOTE

(1) Una d elle p iù b e lle alleg o rie che a m m iran si appresso l ’an­ tic h ità pagana, è certam ente q u e lla di P sich e. R a p ita da Zef- firo e condotta in luogo lieto e re m o to , si disposò ad Am ore, d i cui erasi in v ag h ita. P er lungo tem po g o d ette di ogui m an iera di delizie e di vo lu ttà in q u e ll’ am eno ritiro . T u tto quiv i a le i sorrideva ; in v isib ili c rea tu re d i tu tto la provvedevano che fosse m estieri a’ suoi bisogni e a’ suoi d i le t ti , e n e lle v uote e soli­ ta rie ore del giorno l ’ allietav an o con arm onie d i so v ru m an a dolcezza. U na cosa però d im in u iv a la gioia d elle su e delizie, ed era l ’espresso divieto di vedere A m o re , dovendo rim a n e r p ag a a goderlo nel silenzio e fra le te n e b re d e lla n o tte . D e l

che e lla per aicu n tem po si tenne c o n te n ta ; m a poi, fosse don­ nesca cu rio sità, fossero le istigazioni d e lle sorelle invidiose d i tan ta fortu n a, si lasciò vincere dal desiderio di conoscere l ’au ­ to re m isterioso d e’ suoi d ile tti. Onde, non curando i voleri di Am ore, in q u e lla che q u esti dorm iva, recatosi fra le m an i u n a lam p ad a , osò di affissare lo sg u ard o su lle vietate sem bianze. R iconosce C u p id o , e com presa da m ara v ig lia si fa a co n sid e­ ra rlo ; di che non è a dire q u a n to in lei crescesse e divenisse sm aniosa la bram a di a b b rac cia rlo . Ma c h e? Amore, si rid esta, e forte sdegnato, batten d o le ali fuggi, e lasciò in perpetuo ab­ bandono la m isera. Or q u a le dovette essere lo sgom ento di que­ sta sv e n tu ra ta fa n c iu lla ! q u an to n e dovette rim an ere s m a rrita e dolorosa, allo rch é da colui che e lla am ava tan to e che m o­ stra v a di a v erla tan to c a ra , si vide d ’ im provviso a b b a n d o n a ta ; E lla tan to inesperta di p a tire, d a q u e sta prim a e su b itan ea p e r- cossa confusa , va ricercan d o traso g n a ta , come e perchè tan te c are dolcezze si fossero da lei d ile g u a te . P erd u to il suo unico b en e, e lla si sen te sola n e l m ondo ; m a non ha p e rd u to ancora la speranza di r itr o v a r lo : onde cogli occhi sp enti di ogni alle­ grezza e col volto atteg g iato a profonda m estizia, lo va rich ie­

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procede di grado in grado e spesso in mezzo a lle difficoltà e a’ trav a g li delle lo tte e d elle c a d u te , a’ dolori e a lle c o n tru ’-i dizioni.

(2) Orfeo.

(3) Omero, II. XXIV.

(4) Si a llu d e a lla leggenda d e ll’ inco n tro di C risto con San P ietro che fuggiva d i R om a per so ttra rs i a lle persecuzioni di Nerone.

(SS) Boezio. ,

(6) R a c h e le , n e lla S c rittu ra e n e lla D ivina C o m m ed ia, è il sim bolo d ella v ita co ntem plativa.

(7) Intorno a q u ello che gli an tich i credevano del cigno che, presso a m o r ir e , canta p iù soavem ente , vedi il D ialogo di P lato n e, che s’ in tito la d a F ed o n e.

Insidiosa del piacer b e v e s ti,

Degli anni in sul fiorir, la m orte ; forse Ahi! n o n 'p o te n d o la terrib il g uerra S opportar del pensier, cadesti, o, senza Il pensiero di Dio, senza la spem e, Che trasvola sublim e oltre il sepolcro, Inutil peso a te parve la vita,

E la gettasti disdegnoso e fero. C e r to , se fuvvi un’ alma ad alte cose Sortita e degna di spiegare il volo Alle più eccelse cime., eri tu quella. Ma i rei tem pi, il dolor ti féro in basso Sotto un oscuro c ie l, battere l’ ale. Sulle terre latine insanguinate Dagli odi cittadini ognor più rade Si fean 1’ orm e di Dio. Tra quelle lotte Em pie nefande parricide infami

Tu vedevi im m inente la m in a Di Roma che im m ortale esser parea. Siila m irasti p e r le vie di Roma Ancor fum anti di fratern a strage Passar calmo e s e r e n o , e dubitasti Della virtù, di Dio. Sovra i rottam i Della vinta Cartago u n di vedesti Mario, caduto da cotanta altezza, E fra sì m esti e lugubri pensieri Si fèr nella tua m ente incerte oscure

Le più sublim i idee. L’ eterno senno Che veglia e regge le create cose, E 1’ anima che gode oltre la tom ba D’ im m ortai giovinezza, al tuo pensiero

Spenti vide i figliuoli, a cui delitto F u 1’ am or della patria. Ei nella piena 'D el suo dolore or dentro im pietra, ed ora

Va d elirante p e r le vuote stanze, E chiam a a nome i suoi diletti. E rede Della p ie tà , delle virtù severe

Degli antichi Sabini, egli non vive Che ad espiar con vittime e p reghiere I mani de’ suoi figli. Unico raggio, Che splenda alla deserta anim a in te r r a , E il pensier degli Dei vendicatori De’ nefandi delitti e de’ tiranni.

O r va, digli, o poeta : in su l’ Olimpo È deserto, è silenzio ; il nulla siede

Sovra le tom be ; e a quel povero veglio Più crudele s a r à 'la tua parola

D ella spada di Siila.

E tu il sentivi, E spesso l’ om bra sul tuo volto apparve Di sì triste pensiero. Oh ! quante volle Affannoso il tuo spirito tornava

Al candor d e ll’ infanzia, a le serene Ore della tu a vita, allor c h e , ignaro F anciul, di rosm arino e fragil m irto I piccioletti lari inghirlandavi,

E t ’ arrid ea dolce la m adre. Oh ! come Lungi dal vero errò chi n e ’ suoi carm i F ortunato ti disse. (6) Una secreta (7) Angoscia, una tristezza indefinita A te sedea nel p e tto , e fino a 'tem p li

So non d a ll’ orm a che di Dio vedevi Nell’ universo ? E quando, da’ tran q u illi Tem pli lo sguardo rivolgendo a questa Ajuola che ne fa tanto feroci,

Gemevi sulle cure de’ m ortali, Sulle m isere gare e i vani s tu d i, P area la tua parola eco di q uella F ede che s’ appressava a volger l’ uomo A p iù gravi pensieri, a rivelargli l a vanità delle terre n e cose. (13) 0 m isero poeta, e perchè pago

Non fosti a lo splendor del Bello ? forse Q uella secura calma che c e rc a v i,

E quei segreti che esplorasti indarno Interrogando la scienza um ana, F ra le miti arm onie serenatrici Trovato avresti delle m use. Un altro Poeta che le prim e aure vitali (14) Spirò quel giorno che chiudesti gli occhi Al sonno della m orte, e in cui trasfuso Parea fosse il tuo spirto ; aneli’ ei conobbe 1 mali della vita e le vicende

Mortali : anch’ ei sentì stillare in petto Delle cose le lagrim e. (15) Negli occhi Portava im pressa una mestizia arcana E del cader del vecchio mondo un triste Presagio ; e p u r non disperò ; dell’ a lm a , Di Dio, dell’ avvenire oltre la tom ba Alte cose pensò. Dall’ O riente (16) Vaga una voce u d ì , che annunziava Nuovo ciel, nuova terra ; e sì soave

NOTE

(1) L ucrezio nel poema De N a tu ra R erum , prendendo a sv o l­ gere la dottrina di E picuro , si propose di com battere le due p iù su b lim i credenze d e l genere um an o , la Provvidenza e la im m o rta lità d e ll’ anim a. T r iste con solatore d e’ m ali d e lia v it a , a c u i con una profonda con vin zion e degna di p iù n o b ile filo­ sofia, non offre altro rim ed io che la rassegn azion e ed il n u lla ; m a ra v ig lio so dipintore d e lla natura se n sib ile , l e cui p iù b e lle im m agini ra c c o lse n e’ su o i versi, prim a di sc io g lie r la n e g li ato­ m i di E p ic u r o ; oscurò la g lo r ia d e’ poeti che lo p reced ettero, e preparò 1’ età di V irg ilio e di O razio. A l primo apparire d el su o poem a , si d estò n e’ R om an i una grande am m irazione , e tu tti si avvidero eh ’ era sorta alfine la vera ed a lta p o esia , in ­ vano da lu n g o tem po desiderata.

(2) L u crezio ebbe a ssa i chiaro l ’ in te lle tto d e’ m a li ch e tra­ v a g lia n o la vita ; e d a lla pietà ch e ne se n tiv a , derivò in gran parte la b ellezza d e lla su a p oesia. In a lc u n i v ersi la cu i le g ­ g ia d ria è ta le ch e io non so tenerm i di riportarli n e lla stu ­ p en d a traduzione di A . T o lo m e i, s i m ostra perfino in ten erito

a l dolore di u n ’ orba g io v en ca , ch e cerc a in d arn o i l v it e llo , da le i perduto per sem p re.

... Intanto p eregrina a’ verdi

P asch i la m adre orbata, im pressa a l su o lo L a b isu lc a la sc ia n d o orma d e l p ied e, T u tti esplora c o l gu ard o i lo ch i in torn o, S e m ai p otesse riveder la prole

P erd u ta . E sofferm ando em pie 1’ erbosa S e lv a di p ian to, e d a l d esio trafitta D e l su o g io v e n c o , la deserta s t a lla R iv isita freq u en te, e non l e dànno R isto ro in cor, nè l ’ im p rovvisa p ftg a P onno san ar s tilla n ti erbe di p ra ti, 0 flessu osi s a lic i, o scorren ti

R iv i a som m o le spon d e. Ad altra cura N on s i rich iam a, se per lie ti paschi V ed e torm a vagar d altri v ite lli, N è il su o dolor si a lle v ia . E lla cotanto U n c h e di proprio e a le i noto sospira.

(3) N u lla s i sa di certo intorno a lla morte di L ucrezio. A l­ c u n i v o g lio n o ch e abbia posto da sè m ed esim o fine a’ suoi giorn i, d e lir a n te per un filtro am atorio, p rop in atogli da una donna.

(4) L e c o n d iz io n i dei tem pi, in cui si avvenne L ucrezio, g li c s i li i c i m a c e lli di Mario e di S iila , la patria straziata d a l­ l ’ a m b iz io n e d e l l ’ u n o e d a lle ferocie d e ll’ a ltr o , l ’ avarizia, la lib id in e e la corruzione che am m orbavano g li an im i, c che af­ fretta ro n o la ro v in a della repubblica ; insom m a Io sp ettacolo d i u n a c ittà ch e, vinto il m ondo , u ccid e sè ste ssa , to lse a l- 1’ au tore d e lla N a tu ra delie cose di riposare la m ente e 1’ anim o c o n tr ista ti ne’ d iv in i aspetti del vero e d el b e n e , e lo in d u sse a d u b ita re d e lle p iù consolanti verità.

(5 ) Q uare rellig io pedibus subiecta vicissim

O b teritu r : nos exaequat v ic lo ria coelo.

L u cr. Ve N a t. R er. lib. 1.

(6) V ir g ilio ch ia m a felice Lucrezio per aver potuto con oscere la ra g io n e d e lle c o se : Felise qui p o tu it reru m cognoscere cau- sas, V irg . G eorg, lib . 2 .

(7) D a ’ v ersi d i L u crezio spira una tristezza in tim a , ign ota a ’ G reci. V i si sp e c c h ia l ’ amarezza di coloro che cercano in sè e d a l se n so u n ’ in fin ita volu ttà, ma anche in m ezzo ai piaceri so n o in q u ie ti ed a m b a scio si.

...M edio de fonte leporum

S etnper a m a r i aliqu id quod in ip sis floribus angat. De N at. R er. IV .

Ei p a rla di u n t e d io che ci sie d e s u ll’ anim a com e u n peso a rca n o , c di u n c u m u lo di angosce che si aggravano su l petto :

P o n d u s in e sse anim o, quod se gravitate fa tig e t, T a n ta m a li lam quam moles in pectore constet.

La v ita per lu i non ha p iù n ien te di nuovo e di attrattivo ; l a natura è sem pre l a ste ssa ; n è può far sazia la su a anim a p iù grande d i le i :

...Quod m ach in er inveniam que,

Quod p la ce a t, n il est; eadem sunt om nia sem per. De N a t. R er. III.

(8) I tem p li s e r e n i , tem pia serena , di cu i p arla L u c r e z io , sim b o le g g ia n o la ca lm a e la tr a n q u illità d e l filosofo in mezzo a lle agitazioni e a lle cure affannose d e lla v ita .

(9) Om nia denique san cta D e Am delubro replerat Corporibus m ors ex a n im is, onerataque passim Cuncta cadaveribus coeleslum tem pia m anebant, H ospitibus loca quae com plerant aedituenles. N ec ia m relligio divùrn, neque nu m in a m agni P en d eb a n tu r; enim praesen s dolor exsuperabat.

V e N a t. R e r. VI.

(10) L ucrezio poeta co n tra d d ice a L ucrezio filosofo, e spesso c o lle m era v ig lio se forme d e lla su a p o esia desta n e’ letto ri idee contrarie a lle dottrine che in seg n a . E gli pensa, d ice il F ornari, com e d isce p o lo di Epicuro, m a parla com e p ita g o r ic o .

(11) Il poem a D ella N atu ra delle cose si apre con u n inno a V e n e r e , ch e può reputarsi i l p iù b e llo che sia u sc ito d a l cuore di un p agan o.

(12) H is ib i me rebus quaedam d iv in a volu ptas

P e r c ip il atque h orror.

De N at. R er. lib. III.

(13) L u crezio, osservando d a’ seren i tem p li d e lla sap ien za le affannose cure e le ciech e fo llie d eg li u o m in i, prorom pe in gravi e so le n n i parole :

O m iseras hom inum m entes ! o pectora coeca ! Qualibus in tenebris vitae, quantisque p e ric lis D eg itu r hoc aevi, quodcumque est.

L ib . 2 De N a t. R er.

(14) L u crezio, n ato 95 anni prim a di C risto, m orì, com e a l­ cu n i credono, n e llo stesso giorno in c u i n acq u e V ir g ilio . V ix absoluto opere m o ritu r. (c o s ì d ic e u n celebre c r itic o ) eo ipso

d ie quo natu s est Virgilius, ut aliquis Pylhagoreus c re d a t L u - c r e tii anim arti in M aronis corpus transiisse, ibique, longo usu et m u lto stu d io exercitatam , poetarti perfeclissim um evasisse.

(15) S u n t la crim a e rerum, et m entem m ortalia tan gu n t. V irg. A en. I.

(16) V ed i l ’E g lo g a IV, in cui si p resagisce i l v icin o n ascim en to d i u n d iv in o R iparatore.

(17) S i a llu d e a llo stupendo ep isod io d e l sagrifizio d ’ Ifigenia n e l p o em a D e N atura Rerum.

X3Nf M O R T E 30X U N G X O V A M E C)

Della fiorente giovinezza appena

Il lim itare entravi; e dal tu o sg u a rd o , Da’ tuoi sem bianti u n ’ alm a tralu ce a C h e , d e’ terren i lim iti sd eg n o sa, A più sublim i regioni asp ira ,

A p iù vasti orizzonti. E , tolto a questo Àer sì bruno, col pensier salivi

Meco ad un m ondo, dove u n altro sole In p iù lim pido ciel splende più bello ;

Dov’ è perfetta ogni sem b ian za, dove Nella p u ra sua luce Iddio trionfa. Ma troppo avversa a’ voli dello spirto È la gelida e t à : dalle fangose Im e valli u na nebbia invida sale D’ u n ’ anim a a tu rb a r l ’ estasi e 1* alte Lim pide visioni. Onde aspiravi A’ b e’ tem pi di Pindaro e d ’ O m ero, Come gli esuli prim i a’ vaghi fiori, A’ b e’ p a lm e ti, a ll’ aure profum ate Dell’ edenne p e rd u to . Oh ! ci ra p is c a , A m e dicevi, del pensiero il volo Sotto il ciel della Grecia, a’ dì beati, Allor che in m ille e vaghe form e il yero

A ragionar d’ am ore ; e la sublim e Voce ti parve u d i r , c h e , ragionando Dell’ avvenir d ell’ anim a im m o rta le , L’um ana spem e alzò. F ra così belle Im m agini la tu a m ente vagava Inesperta del m ondo. 0 gio v in etto , Oh ! quante generose anime ardenti A re sp ira r le stesse aure serene Schiusero il volo n ell’età n ovella;

Ma , all’ ap p arir del v e r o , a poco a poco Vanì quel cielo di p u rp u re a luce

Agli occhi d e s io s i, e loro intorno Si distese un deserto. A te la m orte Diede 1’ ale a salire oltre le quete Cime del greco olimpo , e gli occhi tuoi Alla volgar sottrasse ed ingioconda Realtà delle cose. Avventurato ! L’ infinita bellezza ond’ eri vago , Di sua luce t ’ inonda. O ltre 1’ avello Non vola col p e n s ie ro , e in queste brevi Notti la vita circoscrive e chiude

Chi su te gem e, quasi fior caduto Innanzi tem po, od arpa a cui le corde D’ improvviso si ru p p ero nel mezzo D’ un soave preludio. Altrove 1’ opra Incom inciata su lla te rra , altrove Com pier si dee, lassù dove drizzasti La p u n ta del desio. Di più perfetta Vita era inizio q u e ll’ arcana ardente Sete del ver, q u e ll’ im pelo gentile, Q uell’ agile pensier che alle natie

P e r non tu rb ar quella fratern a g io ia , Prem e in p elto il dolore. A te che tanto Mesto desio lasciasti ; a cui 1’ avello Ognor fiorisce d’ odorosi cespi Dalle m aterne lagrim e irro rati , A te non dolga se m oristi o sc u ro ,

P ria che salde im prim esse orm e l ’ ingegno Che sì pronto sortisti. Una bugiarda Larva è la gloria ; il vagheggiato alloro Spesso dall’ ira degli avversi fati Fu convertito in fu n eral c ip re s s o , 0 dalla bieca invidia in un cruento Serto di spine. Oh ! quanti, ad alte cose

Sospinti dal desio d’ inclito nom e, Oscuro oblio coverse ! um ane destre Non li onorar di to m b a , e solo i freddi Venti d’ autunno d ’ ingiallite foglie Le stanche ne covrir ceneri. Oh ! quanti Colsero alfin la desiata palm a ;

' Ma dalle lunghe affranti acerbe lotte Con m esta invidia rico rd a r gii oscuri Senza gloria vissuti anni più belli.

M a , m entre io qui fra l’ ombra de’ cipressi E fra le croci inghirlandate, dove

Spira un’ au ra d’ a m o r, l’ alba saluto

D’ un dì che mai non m uore, oh ! chi è costei Che al tuo sepolcro vien ? pallido il v iso , Spento ha lo sguardo e chino al suolo; o madre, Odi : la rapitrice arte del canto

Una virtù p o ssie d e , una parola Che n e ’ petti risu o n a , eco del cielo,

E veglino su v o i, quando deserti R im arrete nel m ondo : e gli occhi suoi In così dir si fean gonfi di pianto. Cadea la sera : e sovra u n carro , tratto Da la pietà d e ’ suoi fig liu o li, in Argo

D’ E ra al tempio p e rv e n n e , e innanzi all’ ara Im p o rp o rata dall’ occidua luce ,

Al suol messo il ginocchio , ella pregava : « 0 Dea, se grato a te l’ olezzo ascese « De’ mici serti v o tiv i, agli amorosi « Miei figli arridi, e quel che alla terre n a « Prole p iù giova , assenti. » Avea com piuta La prece a p p e n a , e una fragranza intorno Sente sp irar d’ am brosia ; e volto il g u a r d o , In placida quiete addorm entati

Vede i suoi figli a pie’ d ell’ ara : u n dolce Ineffabile riso , una tranquilla

Soavissima calm a a p p ar diffusa Su le loro sem bianze. Invano a nome Li chiama e li riscuote ; a la sua voce

Solo 1’ eco risponde : avea que’ labbri Suggellati la m orte. Ella non piange , Ella un grido non dà, ch’ entro la m ente Un soave p ensier balena : « è spesso Dono di Dio m orir nel fior degli anni, n Ma se non vale la m ortai parola

A lenirti il dolore , e la ferita Ancor ti geme in petto ; apre la fede Un queto asilo in su la t e r r a , un santo Rifugio a 1’ alme com battute e stanche ; Ivi si serba un dittam o possente

NOTE

(1) S i allude a g li stu d i lettera ri, e specialm ente declassici g r e c i , f a l li dal giovane S tefa n elli sotto la direzion e d ell’ A .

(2) Un erudito ed elegante scritto latin o d i questo giovan e su lla E p is t. 1 . lib. 2 . d i O razio e sulla p o esia d ra m m a tica Ia lin a fu giu dicalo ( p o c h i g io rn i dopo la su a m orte ) degno d i prem io dalla F a co ltà d i Filosofia e L ettere della Univer­ s ità d i N apoli.

(3) b issai commovente e tenero è i l racconto che fa E rodoto ( 1. 31 ) d i Cleobi e 11 itone ; i quali p e r m ancanza d i buoi trascin a ro n o essi in p erson a il cocchio, ove sedeva la lor vec­ c h ia m adre , fino a l tem pio d i E r a in A rgo p e r ben lungo cam m ino. L a m adre ra p ita d a ta n ta dim ostrazione d i am or filiale e fe licita ta da tu tti g li A r g iv i p e r a v e r ta l p ro le , su p ­ p lic ò la D ea che a C leobi e B iton e, su oi f i g li , i q u a li l ’ aveano tanto onorata, d e sse c iò c h ’ é m e g l i o p e r Vu o m o . Dopo q u esta p regh iera, term inato il sacrificio e il co n v ito , i g io v a n i p o sa tisi a dorm ire n e llo ste sso tem pio, non s i levarono p iù , riceven d o t a l fine ; dove sen ti s ì dolce p ie tà e s ì religioso a ffe tto , che l i lascia su pporre u n conoscimento confuso dell’ im m o rta lità e d ’ un prem io n ella v ita a vven ire. Anche M enan dro, scritto re d e lla com m edia n u ova, ten en do esser dono del cielo i l m o r ir g io vin e, disse : C olui eli’ è caro a g li D ei, m uor g io v in e; e questo p en siero svolse e am p liò in quest’ altro fram m en to : Io ch iam o fe lic is s im o c o lu i, q u a lu n q u e s ia , i l q u a le , a fe n d o ved u to senza dolore q u este b e lle z z e d e lla natura, il s o le che per tutto spande su a lu ce, g li astri, 1’ a c q u a , le n u b i , il f u o c o , se n e ritorna so lle c ita m e n te co là d ’ onde e ’ venne : o s ia ch ’ e g li v iva cento> o che v iva p ochi armi.* sem pre vedrà queste m ed esim e cose, nè m a i altre più di q u este a m m ir a b ili. ( Tpob. f r, I I .) V. R a f­ fa e llo F o rn a cia ri, D el sentim ento d ellu m a n ità n ella lettera­ tu ra greca.

A L E S S A N D R O M A N Z O N X

F r a le tom be degli avi e le ruine E rravam o pensosi, in cor prem endo

Nel documento Armonie (pagine 48-86)

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