“l’Oriente era diventato, come afferma Disraeli, ‘una carriera’, in cui si poteva rifare e restaurare non solo l’Oriente, ma anche se stessi” (O, 168).
Il termine “carriera” non è scelto a caso da Said, abbiamo visto quanto fosse centrale in Beginnings, un’opera che per molti versi costituisce un vero e proprio arsenale metodologico per le successive opere del critico palestinese. Tuttavia all’exergo disraeliano di Orientalismo sono state date, da autorevoli interpreti di Said, delle interpretazioni che a nostro avviso appaiono abbastanza riduttive e poco convincenti. Bruce Robbins, in un articolo già citato, che si intitola per l’appunto The East is a Career: The Logics of Professionalism, sostiene che la citazione da Disraeli avrebbe un carattere «ironico» nella misura in cui questa frase ha la funzione di mettere sullo stesso piano i destini personali di milioni di persone oppresse dal colonialismo con l’ascesa professionale di un singolo individuo20. Dinnanzi alle preoccupazioni della carriera la diversità degli individui con cui l’orientalista aveva a che fare sulla scena orientale veniva omogeneizzata e sacrificata in nome della sola autorità politica ed enunciativa concepibile, ovvero quella dell’orientalista stesso. La frase di Disraeli, a detta di Robbins, sarebbe acutamente ironica non solo perché Orientalismo e le opere successive di Said sarebbero andate a mostrare il carattere brutale ed epistemologicamente infondato di questa affermazione, ma anche perché essa anticiperebbe una situazione speculare ma di segno inverso che concerne il “professionalismo” attualmente all’opera nelle istituzioni produttrici di sapere (e di potere). Attualmente infatti, argomenta Robbins, si è giunti alla paradossale situazione per cui gli intellettuali odierni, autorizzati per l’appunto ironicamente da un’opera come Orientalismo e da una carriera come quella dello stesso Said, pensano di poter fare carriera all’interno delle istituzioni accademiche metropolitane trasmettendo, interpretando e dibattendo su rappresentazioni di ciò che essi chiamano “il Terzo Mondo”. Questa pretesa, che alla lunga si nutre della medesima aspirazione a fare carriera, renderebbe molto simili, se non negli intenti almeno nell’esito delle loro pratiche, le carriere di questi “intellettuali del Terzo Mondo” e quelle degli orientalisti criticati strenuamente da Said (se non anche da loro stessi). Ne deriverebbe una concezione della carriera per cui basta esibire delle caratteristiche diasporiche, o mostrare le cicatrici dell’esilio per assumere ipso facto uno status che permette di discutere dei miliardi di individui che fanno parte del Terzo Mondo dalle proprie comode posizioni accademiche metropolitane nel Primo Mondo.
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Non è nostro interesse impegnarci in questi ordini di problemi, per quanto effettivi ed attuali essi possano essere, quello che ci interessa argomentare è come questo modo di porre la questione della carriera fa perdere di vista la centralità metodologica che essa riveste per la composizione di Orientalismo. Questa interpretazione di Robbins dimentica che Said già in Beginnings tratta la carriera come una nozione capitale non solo da un punto di vista epistemologico o di critica letteraria ma anche da un punto di vista etico-pratico non separabile dal primo. Sotto questo rispetto ci sembrano fuori fuoco anche le osservazioni di un altro eminente interprete di Said, ovvero Micheal Sprinker, il quale nel mezzo della già citata polemica intorno a In Theory di Aijaz Ahmad, nel suo intervento sul numero di Public Culture dedicato a questa discussione, sostiene che la carriera artistica tratteggiata in Beginnings segnerebbe un’ermetica chiusura su se stessa da parte dell’artista o dello scrittore, e di conseguenza l’esilio neo-romantico che ne scaturirebbe sarebbe la perfetta antitesi della posizione del critico letterario engagé, ovvero dell’intellettuale secolare che rappresenta il paradigma della coscienza critica saidiana21. Queste considerazioni non tengono conto che proprio uno degli elementi centrali della coscienza critica, ovvero la volontà di iniziare di nuovo come modalità etica di destabilizzazione delle configurazioni discorsive e dei rapporti di forza ad esse intrecciati si strutturi per Said proprio attraverso l’insieme di opposizioni tecnoetiche che abbiamo ravvisato come nucleo centrale di Beginnings. Se in esse è presente una tensione etica ciò avviene perché il rapporto tra etica e linguaggio, tra volontà e scrittura, consiste proprio di determinate modalità di concepire la politicità degli atti rappresentativi da un lato e la loro performatività dall’altro. Con performativo intendiamo, come Judith Butler, la caratteristica per cui una pratica produce la soggettività stessa che la esercita. Sarebbe pertanto poco credibile il fatto che le acquisizioni testimoniate da uno sforzo teorico di così notevole portata finiscano per terminare su un binario morto. Al contrario, nonostante le correzioni di rotta e gli affinamenti di prospettiva, molte delle categorie rinvenute in Beginnings, sembrano semmai essersi sublimate nella composizione di Orientalismo in strategie epistemologiche vere e proprie. Come nel caso della boîte à outils foucaultiana anche la nozione di carriera anziché essere tematizzata direttamente subisce uno slittamento verso lo sfondo metodologico di Orientalismo. La maggior parte degli interpreti si è interessata all’influenza che la teoria del discorso di Foucault ha avuto su quest’opera, ma quasi mai è stata notata l’importanza che, ai fini della formazione dell’impalcatura metodologica di Orientalismo, riveste la nozione di carriera, la cui elaborazione è senz’altro più specificamente saidiana e resta uno dei momenti teorici più rilevanti di Beginnings. Se da un lato è vero che la questione della carriera non è più tematizzata in sé, dall’altro lato bisogna cercare di verificare se ci siano delle linee di continuità
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con l’insieme di «opposizioni tecnoetiche» che abbiamo visto caratterizzare il nucleo più profondo di questa complessa nozione.
Di certo sussistono delle differenze non di poco conto tra le soggettività implicate nei progetti estetici di cui si parla in Beginnings e le figure coinvolte nella costante rienunciazione del discorso orientalista. Le pratiche di scrittura dell’artista sono infatti situate in una dimensione etico-ascetica in cui il concentrarsi su se stessi articola lo sforzo per resistere alle pressioni della vita quotidiana e per uscire dall’ordinario a beneficio della creazione artistica. Il progetto estetico, secondo Said, non riguarda soltanto la produzione di opere letterarie ma la strutturazione etico- pratica dell’artista stesso. Diversamente, nelle pratiche di scrittura orientalista si ha a che fare con una potente ed efficace serie di limitazioni riguardo al modo di scrivere, osservare e studiare le popolazioni e le culture orientali, segnate da imperativi, prospettive e inclinazioni funzionali al dominio occidentale. Sebbene l’orientalismo resti sicuramente un sistema consolidato e regolato di possibilità enunciative a cui è estremamente difficile sottrarsi, tuttavia questo non equivale naturalmente al trionfo di un qualsivoglia determinismo, infatti la serie di carriere su cui Said si sofferma di più rappresenta delle variazioni del modo e del grado con cui avviene la ripetizione del discorso orientalista stesso. Quest’ultimo non si riattualizza sempre nella stessa maniera e la differenza connessa alla sua ripetizione dispone queste variazioni entro un campo attraversato dalla tensione che si crea tra un “eccentrico” contributo particolare e la potenza di riassorbimento propria dell’ordine discorsivo22:
«...in un comune spazio scenico [...] ogni ricercatore offre i propri contributi. Detti contributi, per quanto geniali ed eccezionali, sono in primo luogo delle strategie per la disposizione del materiale nello spazio scenico [...]. Così ogni contributo individuale causa dapprima mutamenti all’interno dello spazio scenico, e poi il costituirsi di una nuova stabilità, proprio come in una superficie su cui si trovano venti bussole, l’aggiunta della ventesima causa dapprima oscillazioni generalizzate, e poi l’emergere di una nuova configurazione» (O, 269).
Benché questa dinamica di differenza e ripetizione esponga alla contingenza l’intero ambito discorsivo dell’orientalismo, è per Said altresì importante tener fermo che queste variazioni non implicano automaticamente la messa in discussione della coerenza che lo caratterizza. Anzi, come abbiamo visto, in maniera disincantata, il critico palestinese ricorda come queste variazioni siano alla fine sempre riassorbite dallo stesso discorso al cui interno sono germinate.
22 È in questo passaggio teorico che si nota come queste variazioni siano in realtà debitrici di quel principio di
affiancamento e adiacenza che Said aveva espresso in Beginnings e collegato prevalentemente al pensiero di Vico (nonché a Foucault e ad altri pensatori menzionati nell’Abecedarium Culturae). La peculiarità di ogni produzione simbolica e culturale che non è coordinata da nessuna origine rientra nel paradigma discontinuista e differenziale dell’iniziare e dell’iniziare-di-nuovo (beginning and beginning again). Tuttavia proprio in questo punto, mostra la sua convergenza teoretica verso quei modelli della testualità decostruzionista che troppo sbrigativamente lo stesso Said cercava di liquidare. Proprio perché la ripetizione non è mai identica o sincronica la possibilità dell’inizio riposa nello scarto specifico e contingente di ogni pulsazione che avviene entro un regime enunciativo.
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Malgrado ciò le carriere messe a fuoco in Orientalismo circoscrivono una dimensione teorica, metodologica, ma anche etico-politica, che permette di seguire fino in fondo la tensione tra visione orientalista e narrazione storica a cui prima si è fatto riferimento. Se la narrazione storica è ritenuta da Said il fattore principale di destabilizzazione nella rienunciazione orientalista, è facilmente comprensibile come questo concetto non possa essere dissociato dai momenti soggettivi che provvedono ad attualizzare una rienunciazione di volta in volta differente. Pertanto la nostra ipotesi di lavoro è che i processi di scrittura e di testualizzazione dell’esperienza orientalista sembrano rimandare sotterraneamente ad una serie di soggettivazioni complesse che corrispondono alle diverse carriere che Said prende in esame23. Ma se in Beginnings, le opposizioni tecnoetiche che articolavano la carriera dello scrittore rimandano ad un’esperienza che è in qualche modo etica e che si pone anche come tentativo di resistenza nei confronti degli imperativi che gravano sulla vita ordinaria, le carriere che figurano in Orientalismo, si collocano invece tra estremi per così dire opposti che vanno dal completo assoggettamento alla pressione epistemica e politica imposta dall’orientalismo al tentativo di smarcamento dal controllo discorsivo e dagli interessi geopolitici imperialistici. È chiaro dunque perché nel primo caso la valenza etica della soggettivazione dell’artista è in un certo senso sempre positiva, mentre nel secondo caso essa è positiva soltanto nella misura in cui interessa non già le dinamiche di assoggettamento ma le controcondotte e gli atteggiamenti etico-testuali che resistono ai condizionamenti epistemici e ai rapporti di potere che sono ad essi intrecciati. Come abbiamo appena notato, in nessuno dei casi presentati da Said una carriera è davvero in grado di sottrarsi in tutto e per tutto ai dettami imposti dalla visione orientalista, tuttavia dal momento che la carriera – proprio come avveniva in Beginnings – è composta da differenti fasi a cui corrispondono degli insiemi di pratiche o di atteggiamenti specifici, anche i fenomeni di opposizione all’orientalismo si presentano in modo molteplice e decentrato, talvolta ambiguamente e paradossalmente mescolati a pratiche e atteggiamenti passivi e acquiescenti verso il potere. Ragione per cui, tra le pagine di Orientalismo, non troveremo mai l’idealizzazione etica di una carriera, ma più limitatamente delle linee di soggettivazione che producono (o possono produrre) delle instabilità nelle fasi riconfigurazione discorsiva dell’orientalismo stesso.
Ad ogni modo, al di là di ogni preoccupazione etica, la serie di carriere passate in rassegna da Said rappresenta un gigantesco affresco della scena orientalista e mostra come il potere/sapere
23 Michael Dutton e Peter Williams hanno ravvisato nell’importanza data agli autori da parte di Said un possibile
riferimento al concetto di “persona” per come emerge nello scritto di Marcel Mauss sulle tecniche del corpo. Questo concetto di persona designerebbe a loro avviso il modo in cui la categoria di soggetto autoriale costituisce un polo di organizzazione attorno al quale Said cerca di collocare e di promuovere i discorsi e le contronarrazioni nei confronti dell’orientalismo. Questo suggerimento è stimolante ma prima di riferirlo alle pratiche di contronarrazione contrappuntistica dell’intellettuale secolare è per noi centrale applicare il nucleo etico-pratico, o detto in altri termini performativo, che Dutton e Williams individuano nella nozione maussiana di persona, direttamente al metodo e agli oggetti storiografici più peculiari di Orientalismo, ovvero le carriere. Cfr. M. Dutton - P. Williams, Translating Theories: Edward Said on Orientalism, Imperialism and Alterity, op. cit..
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arrivi a manifestarsi così in profondità nella forma stessa della soggettività. Gli effetti di verità dell’orientalismo possono essere allora intesi in tutta la loro forza solo nella misura in cui essi sono visti come produttivi di certi atteggiamenti insieme etici e testuali, politici ed epistemici. La nostra analisi di questi effetti di verità sulle diverse soggettività delle carriere mira pertanto ad ampliare la capacità esplicativa della stessa nozione di regime discorsivo da cui foucaultianamente Said era partito. Dal nostro punto di vista questa è forse una delle poste in gioco più importanti nell’opera più nota del critico palestinese, ed è anche un utile elemento di riscontro per testare i limiti e i meriti dell’“ibrida prospettiva metodologica” adottata in Orientalismo.
Quel che cercheremo adesso di esaminare è come lo strumento metodologico della carriera derivi da una particolare elaborazione delle opposizioni tecnoetiche trattate in Beginnings. Come si ricorderà, la prima serie di opposizioni che interessavano la carriera letteraria consisteva nelle tecniche del distacco dalla quotidianità che lo scrittore doveva mettere in atto se voleva ritagliarsi uno spazio di natura ascetica ed estetica che consentiva al suo sé di trasfigurare il tempo della vita ordinaria in quello della creazione artistica. Se in Beginnings questo insieme di pratiche mirava in qualche modo ad un allontanamento del sé dalla vita di tutti i giorni, in Orientalismo invece quest’opposizione si trasforma nell’interrogativo opposto, ovvero in che modo e in che misura colui che scrive dell’Oriente è coinvolto nella dimensione mondana in cui si ha che fare con l’esigenza di conoscere e poi di sottomettere le popolazioni orientali. E ancora, se in Beginnings la capacità di rispondere alle emorragie di senso prodotte dal presente attraverso una separazione da esso costituiva il terminus ad quem di tutta una serie di pratiche e di atteggiamenti; in Orientalismo, invece, tale facoltà di distanziamento si presenta solo come l’estremo di una scala che ha il suo polo opposto nel condizionamento passivo di fronte alle direttive e alle pressioni del progetto imperiale e del sapere consolidatosi all’interno dei suoi supporti istituzionali. Dunque il primo segmento di cui si compone la nozione di carriera in Orientalismo determinerà le modalità e il grado di coinvolgimento all’interno delle istituzioni politiche e culturali della propria epoca e del proprio contesto geopolitico. La pratica della scrittura orientalista non può infatti essere analizzata sufficientemente se non si tiene conto di questo tipo di determinazione24.
La seconda opposizione presente nella carriera letteraria, accentuando l’esigenza di non far dipendere la scrittura dalle aspettative del pubblico dei lettori ma da una sorta di responsabilità verso i propri testi e verso la scrittura stessa, mostrava come si avesse bisogno di pratiche di coerenza e controllo delle immagini che venivano ad essere create. In questa fase la valenza ascetica che caratterizza le pratiche di coerenza e di controllo sul proprio vissuto punta a mantenere viva una tensione implicita nelle immagini stesse da testualizzare, esse dovevano restare aperte, e in qualche modo mai del tutto afferrabili. Da qui l’importanza dell’esempio
24 Su questa opposizione e sulle sue ripercussioni mondane si è soffermato A.A. Hussein, Edward Said: Criticism and
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kafkiano o dello scorching out joyciano per cui la scrittura si alimentava dell’impossibilità di raggiungere l’immagine. In Orientalismo, la responsabilità verso la propria attività di ricerca implica l’istanza di afferrare e testualizzare tramite immagini popolazioni e culture orientali. Tutto ciò rimanda anche a un problema etico preliminare connesso alla pratica di scrittura orientalista, cioè il rapporto stesso con gli orientali. Questo rapporto comprende quindi due livelli, nel primo si tratta di verificare le modalità etiche del contatto effettivo con l’Oriente e gli orientali (laddove esso abbia effettivamente avuto luogo) mentre nel secondo si tratta di esaminare come questo incontro sia stato testualizzato, ovvero in che misura hanno agito i condizionamenti del potere/sapere orientalista nel chiudere e determinare nel modo più esauriente possibile l’esperienza con l’Oriente, oppure ancora, come le immagini prodotte dalla scrittura riescano a conservare un carattere “aperto” nei confronti dei casi particolari che si presentano all’esperienza, nel tentativo di evitare ogni generalizzazione e ogni ipostatizzazione orientalista. In questo secondo caso il tipo di testualizzazione avrà la conseguenza etica di aprire la scrittura alle forme diacroniche della storia e della differenza che opera al di sotto di significanti così generali come l’“Oriente” o gli “orientali”. La scrittura in questa fase si carica di una tensione etica che attraversa la domanda generale “come rappresentare gli orientali?”.
Nella terza opposizione tecnoetica si ricorderà come il principio di fedeltà allo stile di scrittura fosse travagliato dalla necessità dell’originalità. Questo dilemma aveva dato modo a Said di soffermarsi sulle strategie di trasfigurazione semiotica del sé dell’artista che mettevano in movimento delle dinamiche di controfocalizzazione in grado far mutare la prospettiva sul mondo e sul presente. Se in Beginnings le pratiche di trasfigurazione semiotica del sé dovevano alimentare l’originalità e la creatività letteraria, in Orientalismo esse rendono invece conto di come è costruito il punto di vista dello scrittore nei confronti dell’esperienza che egli ha avuto dell’Oriente e della sua successiva testualizzazione. Si tratta, in altri termini, di analizzare le modalità strategiche e pratiche attraverso le quali l’autore orientalista rivendica la propria autorità. Come è facile notare, al livello della scrittura orientalista, questa opposizione intrattiene degli importanti legami con quella precedente e, di conseguenza, con il ruolo effettivo svolto dagli orientali nell’incontro con ogni determinata carriera orientalista. Questa situazione di incontro con un’alterità, in più di un’occasione, dà luogo a qualcosa di molto simile a una scrittura etnografica25. Per intendere il tipo di problemi sollevati da questa complessa interazione vorremo servirci delle parole che James Clifford ha usato nel suo noto saggio sull’autorità etnografica:
«In che modo [...] un incontro tra culture, sovradeterminato e verboso, intessuto di rapporti di potere e immerso in un groviglio di scopi personali, si circoscrive come una versione adeguata,
25 W.S. Simmons, Culture Theory in Contemporary Ethnohistory, in Ethnohistory (Winter 1988), vol. 35, n° 1, pp. 1-14; C.G.
Martin, Orientalism and the Ethnographer: Said, Herodotus, and the Discourse of Alterity, in Criticism (Fall 1990), vol. 32, n° 4, pp. 511-529; S.A. Tyler, Ethnography, Intertextuality and the End of Description, in American Journal of Semiotics (1985), vol. 3, n° 4, pp. 83-98.
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composta da un singolo autore, di un più o meno separato “altro mondo”? [...] Il processo si complica per l’azione di molteplici soggettività e condizionamenti politici fuori da ogni controllo dello scrittore. In risposta a tali forze la scrittura etnografica mette in atto una specifica strategia di autorità. Questa strategia ha implicato di prammatica una pretesa indiscussa di figurare come il fornitore di verità nel testo. Una esperienza culturale complessa è enunciata da una singola persona [...]»26.
Non sempre l’incontro diretto con le popolazioni orientali è in primo piano nelle ricostruzioni che Said fa dei suoi autori, talvolta addirittura si menzionano studiosi, come ad esempio Renan, la cui carriera viene presentata senza il riferimento a un qualunque incontro effettivo con le popolazioni orientali. Nondimeno, neanche il particolare tipo di autorità che caratterizza gli enunciati delle sue opere può interamente prescindere dalle strategie retoriche mediante le quali egli cerca di costruire la sua autorità di orientalista. A questo livello inoltre, si incontreranno almeno due tendenze generali, ognuna delle quali, a suo modo, comporta la presenza di un sé e la sua «pretesa indiscussa di figurare come fornitore di verità». Alla prima di