5.1 Herder e la condizione ebraica nella biografia di Rahel Varnhagen
Nelle considerazioni di Hannah Arendt Herder emerge come il portavoce un nuovo senso per la storia che ha prodotto un radicale ripensamento nelle principali tematiche affrontate dall’illuminismo, e in particolare nella comprensione della questione ebraica. Il secondo capitolo della biografia di Rahel Varnhagen si apre con una breve ricostruzione del dibattito sulla situazione e sull’emancipazione degli ebrei che corrisponde ad alcuni dei punti esposti più in dettaglio in
Illuminismo e questione ebraica e che termina con la descrizione della posizione
di Herder. Arendt inserisce la figura di Herder accanto a quella di Schleiermacher in contrapposizione a Friedländer per evidenziare la fine della ricettività verso le soluzioni illuministiche e l’anacronismo della proposta di conversione del
Sendschreiben. In realtà in queste pagine della biografia la riflessione storica di
Herder viene discussa in maniera indiretta, perché Arendt include solo un breve accenno alla filosofia della storia herderiana quando afferma che le sue idee sul potere della storia hanno fatto apparire la condizione ebraica in una luce nuova, dopodiché si limita a prendere in esame tale prospettiva sugli ebrei senza discuterne le premesse.
L’impulso innovatore che secondo Arendt Herder ha conferito al confronto con l’ebraismo consiste nell’abbandono dei tradizionali punti di vista sulla questione, come quello improntato alla tolleranza religiosa o quello modellato sui contrasti teologici, e nell’assunzione dell’autocomprensione degli ebrei come chiave di lettura della loro vicenda storica e della loro situazione nel presente.
Herder, per primo, identifica apertamente in Germania gli ebrei attuali con la loro storia e con l’Antico Testamento, si preoccupa cioè di capire la loro storia così come loro stessi una volta l’hanno spiegata: come la storia del popolo eletto. Considera la loro diaspora come inizio e condizione della loro azione estesa a tutto il genere umano. Dirige l’attenzione sul loro particolare senso della vita, che si attiene al passato e tenta di trattenere nel presente il passato. Il loro lamento sulla Gerusalemme distrutta da immemorabili tempi, la loro speranza nel Messia, non sono per lui una superstizione ma il segno che le «rovine di Gerusalemme… sono fondate… in qualche modo nel cuore del tempo»1.
Nonostante l’assenza di richiami a opere particolari di Herder, questo brano, anche a prescindere dalle brevi citazioni finali, è un concentrato di riferimenti impliciti a testi precisi in cui ogni frase è pensata in relazione ad affermazioni specifiche di Herder. Nel saggio sull’illuminismo, dove le considerazioni della biografia appena riportate si ritrovano in forma quasi identica2, Arendt rimanda in nota ai due scritti su cui si basa la sua argomentazione, vale a dire alle Ideen zur
Philosophie der Geschichte der Menschheit e agli Zerstreute Blätter. Il proposito
di esaminare la storia degli ebrei secondo la loro stessa interpretazione e l’affermazione sulla diaspora come espressione di un’influenza ebraica allargata
1 HANNAH ARENDT, Rahel Varnhagen, ed. tedesca cit., p. 44; trad. it. cit., p. 37.
2 HANNAH ARENDT, Aufklärung und Judenfrage, in EAD., Die verborgene Tradition, cit., pp. 119- 120; trad. it. cit., p. 431.
all’intero genere umano sono aspetti che Arendt trae dalle Ideen, mentre l’attaccamento al passato e alla religione della Palestina come tratto distintivo ebraico è riconducibile agli Zerstreute Blätter.
Le Ideen, che rappresentano uno dei capolavori più importanti nell’enorme mole degli scritti di Herder e forse la più ambiziosa delle sue opere, si compongono di quattro parti, apparse nel 1784, 1785, 1787 e 1791, cui avrebbe dovuto aggiungersene una quinta che non fu mai scritta. Il dodicesimo libro delle
Ideen, che rientra nella terza parte, contiene una trattazione su alcuni popoli
antichi che dedica una sezione agli ebrei. Herder inizia il suo discorso notando come gli ebrei, nonostante l’iniziale scarsa estensione del loro territorio e della loro influenza, siano arrivati ad esercitare attraverso il groviglio di circostanze del destino un’azione sulle altre genti più vasta di qualsiasi altro popolo asiatico. La caratteristica che distingue gli ebrei dai loro vicini dell’Asia e in generale dalle civiltà antiche risiede nel fatto che essi, con l’Antico Testamento, dispongono di annali scritti degli avvenimenti della loro storia risalenti a periodi in cui le altre nazioni non conoscevano ancora la scrittura. Tali annali oltretutto non sono resi confusi dall’utilizzo di geroglifici, ma sono sorti dai registri della stirpe e dall’intreccio con saghe o canzoni storiche, e sono stati custoditi con una scrupolosità che rasentava la superstizione essendo considerati il segno di un’elezione divina.
L’idea che i documenti scritti degli ebrei rappresentino una testimonianza fondamentale, la più chiara e attendibile per lo studio dell’umanità primitiva, si ritrova anche nel decimo libro all’interno della seconda parte delle Ideen, dove Herder si occupa della più antica tradizione scritta sull’origine del genere umano riprendendo il tema discusso in Älteste Urkunde des Menschengeschlechts, le cui due parti furono pubblicate nel 1774 e nel 1776. In entrambi i testi il racconto della creazione del Genesi viene interpretato come la raffigurazione più antica e compiuta dell’inizio della storia umana. Nel decimo libro delle Ideen, in particolare, Herder sottolinea l’intenzione di esaminare la narrazione del Genesi “non come storia, ma come tradizione o come un’antica filosofia della storia umana”3, spogliata dunque sia di tutti gli orpelli poetici di matrice orientale che dei motivi legati alla mera storia nazionale ebraica. Viceversa nel dodicesimo libro l’attenzione di Herder verso l’Antico Testamento non è rivolta al suo contenuto chiarificatore sui primordi dell’umanità e sull’origine della dimensione storica, ma agli aspetti condizionati al paese e al popolo degli ebrei precedentemente tralasciati, perché in questo caso è in discussione la specificità della storia ebraica. I testi sacri degli ebrei vengono utilizzati da Herder come punto di riferimento per disegnare un rapido schizzo delle loro vicissitudini storiche, a partire dalla vita nomade e pastorale dei capostipiti e dalla successiva permanenza in Egitto, per raggiungere il culmine della fioritura con Mosè e passare poi ad una serie di inarrestabili degenerazioni politiche conclusasi drammaticamente con la rovina e con la diaspora.
3 JOHANN GOTTFRIED HERDER, Sämtliche Werke, a cura di B. Suphan, Hildesheim, Georg Olms Verlagsbuchhandlung, 1967, vol. XIII, pp. 418-419. Esiste una traduzione italiana parziale: ID.,
Idee per la filosofia della storia dell’umanità, a cura di V. Verra, Bologna, Zanichelli, 1971. Purtroppo questa edizione contiene solo una traduzione delle parti più note e importanti dell’opera, mentre per le altre, come per quella da cui è tratta la citazione in questione, è stata adottata la scelta di inserire dei riassunti. Nel resto di questo capitolo la traduzione italiana verrà menzionata soltanto quando nell’edizione citata è effettivamente presente secondo il testo originale integrale.
In questo quadro l’aspetto sottolineato da Arendt, cioè l’utilizzo da parte di Herder della cognizione di sé degli ebrei come popolo eletto quale chiave di lettura della loro storia4, non è altro che l’applicazione del principio ermeneutico
secondo cui una nazione o un’epoca deve essere interpretata secondo i suoi stessi parametri descrittivi e valutativi. Secondo Herder gli ebrei, soprattutto a partire dalla diaspora e con l’enorme influenza sulle nazioni che hanno acquisito attraverso la mediazione del cristianesimo, hanno testimoniato storicamente la loro destinazione ad essere popolo di Dio, cioè a incarnare per le altre stirpi un modello esemplare di rapporto con la divinità. Herder reinterpreta storicamente l’elezione sottolineando che gli ebrei non si erano mai distinti né per la saggezza politica, né per la tecnica militare, né per le arti e per le scienze, ma che i loro scritti religiosi, soprattutto per la sublimità e la dedizione con cui la legge mosaica insegna la dottrina monoteistica del creatore del mondo, mostrano un indubbio primato su tutti gli altri libri delle religioni antiche e anche su testi più recenti come il Corano5. In qualità di popolo divino, che ha mostrato una preminenza nell’esemplificare la religiosità vivendola come dimensione onnicomprensiva e custodendola gelosamente nella propria tradizione scritta, gli ebrei hanno agito sull’umanità arrecandole grande vantaggio e in quest’azione hanno compiuto la loro missione storica. L’elezione e l’ispirazione divina delle Scritture non significano dunque che tali documenti siano discesi dal cielo o debbano avere un’origine soprannaturale miracolosa, ma indicano che il corso della storia, espressione dei disegni divini, ha portato gli ebrei a realizzare per l’intera umanità quella figura e tappa formativa essenziale che è costituita dalla religione come immersione di ogni aspetto della vita nella relazione fra uomo e Dio. Questa considerazione del significato dell’elezione è esposta in modo più esplicito ed esteso in un altro testo da cui Arendt attinge per l’esame del pensiero di Herder, ovvero nei Briefe, das Studium der Theologie betreffend (1780/1781). L’ultima lettera della prima parte, in cui Herder si interroga sul carattere divino dell’Antico Testamento, si conclude con la conferma della divinità e al tempo stesso della storicità del popolo ebraico e dei suoi scritti.
Un popolo artistico, l’ideale della Terra in belle produzioni, un popolo di eroi, l’ideale del vigore e della forza di volontà, un popolo politico, un modello dell’utilità del cittadino al bene comune, tutto ciò questo popolo non doveva diventarlo; […] popolo di Dio doveva essere, cioè immagine e figura del rapporto di Dio con gli uomini, e di questi con Jehovah, l’unico, il Dio degli dei. Ciò che metteva in luce questo rapporto fu realizzato con questo popolo, e il modo in cui quest’ultimo procedeva, con virtù ed errori, fu messo per iscritto. Rendere certa sulla Terra l’adorazione del Dio unico, del creatore, del Padre degli uomini, il suo influsso in tutto, la sua immediata efficacia in ogni piccolezza della preghiera, della speranza, del bisogno degli uomini […] Questo, amico mio, e molto di più nell’ambito di tale rapporto è lo spirito e lo scopo di questa storia e di questi scritti6.
4 La frase di Herder dal paragrafo sugli ebrei delle Ideen a cui Arendt si riferisce e che nel saggio sull’illuminismo è riportata esplicitamente è la seguente: “Perciò non mi vergogno di porre a fondamento la storia degli ebrei nel modo in cui essi stessi la raccontano”. In realtà a quest’affermazione Herder fa seguire immediatamente una dovuta precisazione tralasciata da Arendt: “ma mi auspico nondimeno che anche le saghe dei loro [degli ebrei] nemici non siano semplicemente disprezzate, ma vengano utilizzate”. Cfr. JOHANN GOTTFRIED HERDER, Sämtliche Werke, cit., vol. XIV, p. 59.
5 JOHANN GOTTFRIED HERDER, Sämtliche Werke, cit., vol. XIV cit., p. 63. 6 JOHANN GOTTFRIED HERDER, Sämtliche Werke, cit., vol. X, p. 142.
Se è vero come sottolinea Arendt che con questa lettura Herder cerca di rendere giustizia alla rilevanza della storia ebraica evidenziando l’impronta da essa lasciata prima sugli stessi ebrei e poi sul resto dell’umanità, occorre precisare che a proposito dell’ebraismo nelle Ideen la regola dell’osservazione di un oggetto storico secondo i suoi schemi interni di comprensione viene seguita solo fino ad un certo punto. Questa limitazione non deriva tuttavia da un ipotetico rinnegamento da parte delle Ideen delle premesse storico-relativistiche sostenute da Herder negli scritti del periodo di Bückeburg e in particolare in Auch eine
Philosophie der Geschichte zur Bildung der Menschheit. Il fatto che nella
trattazione sugli ebrei contenuta nelle Ideen il principio della comprensione di un’entità storica secondo i suoi criteri interni cui Arendt fa riferimento non abbia in realtà una valenza assoluta non significa che le Ideen lascino cadere l’assunto storicistico della fedeltà all’unicità e all’autonoma compiutezza di epoche o nazioni in favore di una valutazione secondo parametri unilaterali7. Piuttosto, la regola di basare la comprensione storica dei popoli sulla loro autocomprensione trova una necessaria restrizione nell’esigenza di considerare non soltanto l’irriducibile specificità di ogni organismo storico, ma anche il suo inserimento nelle tappe della formazione e della progressione totale del genere umano. Il contrappeso che bilancia la prospettiva relativistica senza essere una prerogativa delle Ideen, ma piuttosto in qualità di motivo centrale del pensiero di Herder, sta nel fatto che l’attenzione ai fenomeni storici come entità individuali viene affiancata all’accento sull’aspetto contrapposto dell’esistenza di uno sviluppo storico complessivo in termini di Bildung8.
La compresenza del punto di vista dell’individualità e di quello dello svolgimento si ritrova puntualmente nella trattazione sugli ebrei. Nella
7 Gli interpreti più noti ad aver espresso una chiara preferenza per la presunta imparzialità di Auch eine philosophie rispetto all’approccio delle Ideen, giudicato più uniformante e meno rispettoso della peculiarità degli organismi storici, sono RUDOLF STADELMANN, Der Historische Sinn bei
Herder, Halle/Saale, Max Niemeyer, 1928, e FRIEDRICH MEINECKE, Die Entstehung des Historismus, München – Berlin, 1936. In realtà gli interpreti più accorti hanno osservato che, pur essendo indubbio un mutamento e un’evoluzione della filosofia di Herder dopo il periodo di Bückeburg, la questione non è riducibile alla semplice alternativa fra atteggiamento storicistico o antistoricistico, in primo luogo perché neppure Auch eine Philosophie adotta un’ottica completamente a-valutativa verso tutte le epoche, visto che si scaglia con particolare irruenza contro quella dell’illuminismo, e poi perché il concetto di umanità che funge da criterio di giudizio nelle Ideen non è astratto, ma esso stesso storico e fondato sulla nozione di forza organica: cfr. soprattutto G. A. WELLS, Herder’s Two Philosophies of History, in «Journal of the History of Ideas», vol. XXI, ott.-dic. 1960, n. 4, pp. 527-537 e HANS GEORG GADAMER, Herder als
Wegbereiter des “historischen Bewußtseins”, in «Geist der Zeit», dic. 1941, n. 12, pp. 661-670. 8 La duplice considerazione dell’autonomia di ogni epoca o nazione all’interno del suo orizzonte e della presenza di un cammino progressivo che mette in comunicazione le singole tappe è rilevata da Valerio Verra come scarto fra l’incommensurabilità della felicità e la commensurabilità storica della perfezione nel suo commento alla parte conclusiva della prima sezione di Auch eine Philosophie. Dal punto di vista della felicità non esiste alcuna storia, perché la felicità di un popolo o di un individuo è legata a condizioni troppo specifiche ed irripetibili per essere oggetto di raffronti. Il progresso è pensabile solo in termini di perfezione, per l’esattezza in merito al rapporto tra la perfezione dell’intero genere umano e quella della singola parte o dell’individuo: cfr. VALERIO VERRA, Lo storicismo da Herder a Hegel, Roma, Bulzoni, 1974, pp. 78-83. Alludendo
alla stessa tematica della confrontabilità o meno dei fenomeni storici, Hans Dietrich Irmscher individua tanto a proposito di Auch eine Philosophie quanto in relazione alle Ideen un’immagine della storia caratterizzata dalla paradossale unità di continuità e discontinuità: cfr. HANS DIETRICH
considerazione del giudaismo delle Ideen il principio dell’adozione dell’autocomprensione delle formazioni storiche individuali è relativizzato non solo perché Herder precisa di sfuggita che per onere di imparzialità è necessario tenere presenti le saghe dei nemici degli ebrei, ma soprattutto perché la storia ebraica è vista anche nella successione di fasi della Bildung in cui si inserisce, cioè alla luce del suo sbocco nel cristianesimo, nell’acquisizione di un nuovo spirito di ricezione e fruizione dell’Antico Testamento che ha portato ad un superamento del compito storico-formativo del giudaismo della Palestina9. Con l’affermazione della religione cristiana l’attaccamento forzato al senso ebraico dell’Antico Testamento da parte delle nazioni non ebraiche è valutato da Herder come abuso e corruzione di tali scritture, come indebito incatenamento delle nuove disposizioni e misconoscimento del cambiamento di stadio storico intercorso.
Poiché non si distinguevano i tempi e i livelli della Bildung, si credeva di avere nell’intolleranza dello spirito religioso ebraico un modello secondo il quale anche i cristiani potevano procedere: ci si appoggiava a passi del Vecchio Testamento per giustificare il disegno contraddittorio che voleva fare del cristianesimo, con il suo carattere volontario e solamente morale, una religione di stato di tipo ebraico. […] Le leggi di Mosé dovevano valere sotto ogni striscia di cielo, anche presso costituzioni completamente diverse dei popoli; motivo per cui non una sola nazione cristiana si è formata completamente la propria legislazione e costituzione statale.10
Gli organismi storici, pur avendo centro e struttura propri, hanno vita limitata, ogni tentativo di assolutizzarli nello spazio e nel tempo è per lo più inutile, nel peggiore dei casi dannoso, e questo vale anche per i testi sacri degli ebrei. Dopo che il cristianesimo si è basato sull’Antico Testamento per fondare la missione divina del suo Messia, l’eredità ebraica è stata assorbita in una nuova dimensione vitale che non è lecito vincolare ad una fase anteriore di sviluppo. All’affermazione del cristianesimo si è aggiunta la distruzione di Gerusalemme e la diaspora, e questa concatenazione di eventi ha portato l’influenza degli ebrei sulle altre nazioni al suo culmine, nel bene e nel male. Nel bene questa accresciuta
9 Cfr. le assunzioni sul rapporto fra Antico e Nuovo Testamento nelle Briefe, das Studium der Theologie betreffend. Nella 18ª lettera Herder, pur precisando che in generale nessun luogo dell’Antico Testamento deve essere strappato dal suo contesto, sostiene che al contenuto storico di questo scritto appartiene uno spirito di profezia legato per il chiarimento graduale delle sue immagini (Bilder) alla progressione temporale di cui anche il cristianesimo fa parte, e arriva alla seguente conclusione: “Mi sembra però che se non si accetta la religione cristiana come medium terminum, come un interpositum aliquid che è venuto fuori da quella ebraica, che è sopraggiunto al suo posto, e che deve sviluppare l’ultimo avvento di tutte le profezie; - che se non si accetta questo, l’Antico Testamento terminerebbe senza intenzione, contraddirebbe se stesso, si accuserebbe apertamente di una pia illusione che non si è avverata, e in generale dopo tutti gli eventi pensati, intenzionali e divini che dovrebbero esser stati l’antecedente, si concluderebbe in una maniera meschina, inattesa, inspiegabile”; JOHANN GOTTFRIED HERDER, Sämtliche Werke, cit.,
vol. X, p. 207. Sul rapporto complesso di questa posizione herderiana con la tipologia, cioè con la spiegazione di avvenimenti come prefigurazioni profetiche di eventi futuri destinati a rivelarne il significato, rimando alle penetranti osservazioni di Verra, che nota come in Herder il rapporto fra prefigurazione e realizzazione non sia limitata al campo di singole figure o personaggi della Scrittura, ma si estenda dal contenuto germinale della Scrittura quale interpretazione della natura e della storia dell’uomo fino al presente e all’intera umanità. Cfr. VALERIO VERRA, Mito, rivelazione
e filosofia in J. G. Herder e nel suo tempo, Milano, Marzorati, 1966, pp. 146-156. 10 JOHANN GOTTFRIED HERDER, Sämtliche Werke, cit., vol. XIV, pp. 64-65.
efficacia corrisponde soprattutto al primato ebraico in ambito religioso11, accolto e diffuso universalmente mediante il cristianesimo. Nel male essa si è affermata sia sotto forma di tendenza a far valere l’Antico Testamento per fissare lo sviluppo storico su tappe concluse della Bildung, sia nel modo con cui gli ebrei nella diaspora si sono abbarbicati sulle altre nazioni sfruttandone i commerci. Herder non manca di notare che tale attività era l’unica praticabile per gli ebrei nell’incertezza in cui vivevano negli stati cristiani e maomettani, ma è interessato soprattutto alle conseguenze dannose di questa evoluzione, che ha condotto molti paesi europei a disprezzare ingiustificatamente le occupazioni mercantili e a ritardarne la fioritura12.
L’effetto nocivo prevalente rinvenuto da Herder nel destino degli ebrei e dei loro scritti dopo la dispersione e l’avvento del cristianesimo si riassume sostanzialmente nell’accusa di parassitarismo13. In essa si condensa l’idea che la
fine della storia nazionale e la confluenza dell’Antico Testamento nelle scritture sacre cristiane abbiano fatto transitare la storia al di là dello stadio formativo- umano a cui gli ebrei potevano contribuire attivamente con la loro cultura asiatica