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F ENOMENOLOGIA E CRITICA DEL ROMANTICISMO NELLA BIOGRAFIA D

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4.1 Schleiermacher nella biografia di Rahel Varnhagen: pietrificazione della

compiutezza ed evasione dalla temporalità

Il terzo capitolo della biografia di Rahel Varnhagen contiene nella sua parte finale tre brevi paragrafi intitolati a Schleiermacher, Friedrich Schlegel e Wilhelm von Humboldt. Non si tratta né di presentazioni biografiche vere e proprie né di ricostruzioni filosofiche in senso stretto, ma di caratterizzazioni che si collocano a metà fra queste due forme, facendo ricorso sia alle opere pubblicate che al ricco materiale di carteggi e diari per fornire un ritratto della personalità schematizzato attorno a poche idee chiave. Le descrizioni sono ovviamente tracciate nel contesto finalizzato alla narrazione della vita di Rahel Varnhagen, si organizzano per dare conto dei suoi contatti con e delle sue impressioni su questi autori, e viceversa delle loro valutazioni su di lei, oppure per paragonare i diversi atteggiamenti esistenziali all’interno di questo intreccio. L’aspetto di queste considerazioni arendtiane è quello di una serie di profili storico-filosofici, concepiti secondo il duplice meccanismo dell’estrapolazione di pensieri e della tipizzazione, con la quale i diversi dati sono ricondotti ad un insieme finito di modelli psicologico- esistenziali. L’intera procedura ricorda indubbiamente da vicino la filosofia jaspersiana, soprattutto la Psicologia delle visioni del mondo, di cui sembra essere un’applicazione a contenuti biografici determinati1.

La sezione che si occupa di Schleiermacher disegna una figura il cui tratto saliente consiste nel raggiungimento della compiutezza e della perfezione sin dall’istante della scoperta della propria individualità.

Forse quello che accade ad una persona, accade solo per rendere più completa la sua natura particolare. L’individuo nell’«attimo sublime» in cui lo colpisce lo shock dell’infinito non ha già raggiunto il «compimento» di se stesso, non si è formato in un «tutto chiuso», non ha già fatto l’esperienza di tutto ciò che può apprendere? Non è giusto che dopo si pietrifichi, emblema vivo della propria natura particolare, che resta fissata in maniera immutabile fino alla morte? Che cosa può desiderare l’uomo più che essere un «io eternizzato» e fondersi come parte nell’«universo» la cui infinita perfezione gli si è rivelata? In seguito è al di là delle «vane speranze» e del «lamento comune», se soltanto gli riesce tenersi all’attimo che «non è più parte della vita temporale»2.

1 Le più importanti opere di Jaspers anteriori alla conclusione della stesura della biografia di Rahel Varnhagen (1932-1933) sono la Psicopatologia generale (1913), la Psicologia delle visioni del mondo (1919), il saggio su Max Weber (1932) e la Filosofia (1932). Nell’intervista con Günter Gaus del 1964 Arendt afferma di aver letto la Psicologia delle visioni del mondo a 14 anni, nel 1920: cfr. HANNAH ARENDT, Ich will verstehen, cit., p. 53, e EAD., La lingua materna, cit., p. 36.

Alla lettura della Filosofia Arendt si dedicò all’inizio del 1932, secondo quanto riportato nell’epistolario con Jaspers. Sempre nel carteggio è presente un accesa discussione sul saggio su Weber: cfr. HANNAH ARENDT E KARL JASPERS, Briefwechsel, cit., pp. 52-55; IID., Carteggio, cit., pp. 34-38. Per un esame della discussione fra Arendt e Jaspers sulla biografia di Rahel Varnhagen si veda il capitolo settimo.

Con queste osservazioni Arendt sviluppa la riflessione su Schleiermacher come diretta prosecuzione della narrazione biografica, perché nelle pagine che precedono questo passo la reazione di Rahel Varnhagen all’infelicità personale viene illustrata nei termini di un tentativo di fissarsi e irrigidirsi nel dolore. Analizzando il modo in cui Rahel Varnhagen viene respinta dal conte von Finckenstein per il suo desiderio di trasformare in storia d’amore un’occasione di matrimonio e di ascesa sociale, Arendt riconduce l’atteggiamento con cui Rahel affronta la sofferenza al desiderio di bloccare lo scorrere dell’esistenza. In questo senso Arendt allude alla volontà di Rahel di farsi “parete” impenetrabile contro la “stupida regolarità” della vita che spinge ad andare oltre, e sottolinea la sua esigenza di testimoniare l’accaduto raccogliendo “l’eccellente messe della disperazione” e mostrandosi sempre identica a se stessa. L’insieme delle riflessioni di Rahel Varnhagen raccolte da Arendt per realizzare questo quadro è costituito per lo più da estratti da annotazioni datate 17993 e dalla lettera a David Veit del 15 novembre 17984.

Inserito in questo contesto, il ritratto di Schleiermacher svolge la funzione di mostrare in versione esemplare e assolutizzata quella che nell’esistenza di Rahel Varnhagen rimane una disposizione transitoria, legata ad una fase contingente e ad un’esperienza particolare della vita. Nella caratterizzazione di Arendt Schleiermacher rappresenta il pensatore che ha reso lo sforzo di fermare il vivente nella perfezione un’idea guida e un principio ispiratore di carattere filosofico ed etico. Con questa lettura Arendt è automaticamente portata a dare risalto alla ricerca da parte di Schleiermacher di una forma di eternità all’interno dello scorrere dell’esistenza, condensata nel momento in cui l’uomo prende coscienza della propria individualità. Questo istante è concepito al di fuori del tempo e segna la fine del condizionamento temporale dell’essere umano, che rimane indifferente all’esteriorità degli alterni mutamenti una volta compresa la propria specificità interiore e l’importanza di coltivarla. Il momento della scoperta di se stessi libera dalla schiavitù del tempo perché è simultaneamente origine e fine. Esso vale sia come fonte di identità e continuità dell’essere che come obiettivo ultimo di una

Bildung costante, costituisce il fondamento in cui convergono tutte le dimensioni

del processo in cui si diventa ciò che si è. Il significato di queste assunzioni secondo Arendt è che la temporalità viene privata della sua valenza di condizione e determinazione dell’esistenza, che sussiste solo fino al momento della scoperta di sé, dopo il quale l’individuo risulta assolutamente liberato dal peso della realtà.

L’attimo ha fermato il tempo e la vita. Ciò che è perfetto ha sempre soltanto avuto una storia; in quanto perfetto può solo decadere. Ogni passato diventa un origine, ogni avvenire un deperimento, un disfacimento del perfetto nella vecchiaia e nella morte. Come l’uomo, nell’isolamento da tutto ciò che è futuro, diventa un pezzo di natura, «una parte dell’universo», così, quando la sua singolarità è fissata nella perfezione, egli è sottratto al tempo; il tempo ha cessato di formare il nesso delle cose, il nesso della vita. […] In ogni caso Schleiermacher pensava di dominare così la

3 RAHEL VARNHAGEN, Gesammelte Werke, cit., vol. I, Rahel. Ein Buch des Andenkens für ihre Freunde, pp. 192-196: “Der Mensch muß sich zur Wand, zu etwas Undurchdringlichem, ganz nach seiner Willkür, machen können”; “die alberene Regelmäßigkeit schützt uns”; “Düngen Sie mit Verzweiflung, – aber sie muß ächt sein, – und Sie werden vortreffliche Ärnte haben”.

4 RAHEL VARNHAGEN, Gesammelte Werke, cit., vol. VII/2, cit., pp. 236-237: “Ich bin wie ich war, und nie, nie! sollen Sie mich verändert finden”.

vita. Giocava contro la vita la posta più alta, se stesso, la persona perfetta che da allora «non si è più perduta»5.

Le citazioni richiamate per sviluppare questa lettura sono di una brevità estrema, spesso soltanto due o tre parole, con l’effetto di facilitarne il libero utilizzo e l’adattamento alla propria argomentazione da parte di Arendt. Si tratta di passi provenienti da due delle opere principali di Schleiermacher, i Discorsi sulla

religione e i Monologhi. L’oggetto di studio di questi due scritti fa scaturire in

realtà procedimenti filosofici opposti, ma Arendt può appoggiare il proprio discorso su entrambi i testi perché ciò che ne trae è riferito ad una concezione dell’individualità che è sottesa tanto all’uno quanto all’altro6. I Discorsi affrontano la questione dell’essenza della religione, individuata nella forma di assoluta ricettività e passività che caratterizza un rapporto con l’universo vissuto nell’intuizione e nel sentimento. Il segno distintivo dell’attitudine religiosa al mondo è un’illimitata larghezza di giudizio e una disposizione all’accettazione universale, all’accoglimento di ogni fenomeno particolare come espressione dell’infinità dell’universo7. Sul lato opposto si colloca la prospettiva della morale,

basata su una considerazione più selettiva e animata dall’impulso a collocare ogni cosa nel campo della libertà8. L’esaltazione della libera attività dello spirito propria dell’etica è il terreno su cui si muovono i Monologhi.

I punti dei Discorsi sulla religione a cui Arendt si riferisce nel suo esame sono attinenti alla tematica specifica del primitivo contatto tra finito e infinito come origine di ogni autentica religiosità. Questo argomento viene trattato da Schleiermacher nel quinto discorso, nel contesto dell’insistenza sulla questione dell’intuizione dominante che ogni vera religione deve avere. L’intuizione fondamentale è ciò che assicura a ciascuna forma religiosa la sua natura individuale e specifica, e deriva direttamente da una determinazione originaria che Schleiermacher chiama il “giorno natalizio” della vita spirituale. Nel momento in cui viene recepito per la prima volta dall’intuizione finita, l’infinito si rapprende in un’espressione unica ed irripetibile, producendo un fenomeno di nascita spirituale che è irriducibile e assoluto in quanto puro fatto non derivabile che da se stesso. Il sorgere di una vita religiosa determinata viene esplicitamente paragonato da Schleiermacher alla nascita di un nuovo essere umano, perché in entrambi i casi si ha a che fare con il nesso fra l’individualità e la maniera originaria in cui l’universo ha abbracciato il finito. L’istante in cui avviene questo incontro rimane

5 HANNAH ARENDT, Rahel Varnhagen, ed. tedesca cit., pp. 73-74; trad. it. cit., p. 66.

6 Questo punto di convergenza, che pure non elimina la biforcazione essenziale nella direzione d’indagine delle due opere, è rilevato da Dilthey in relazione alla distinzione fra processo etico e processo religioso. “Entrambi i processi comprendono in sé un’intuizione dell’inesplicabile punto di contatto, in cui infinito e individuo si uniscono e al contempo si separano, in cui sorge l’individualità umana”: cfr. WILHELM DILTHEY, Leben Schleiermachers, Berlin – Leipzig, Walter

de Gruyter, 1922, p. 350.

7 FRIEDRICH SCHLEIERMACHER, Kritische Gesamtausgabe, vol. 2, pp. 214, 217-218; ID., Discorsi sulla religione e Monologhi, cit., pp. 39, 45-46.

8 FRIEDRICH SCHLEIERMACHER, Kritische Gesamtausgabe, vol. 2, p. 212; ID., Discorsi sulla religione e Monologhi, cit., p. 37: “La morale parte dalla coscienza della libertà il cui regno essa vuole allargare sino all’infinito e a cui vuole sottomettere tutto; la religione, invece, respira laddove la libertà stessa è già ridiventata natura; essa coglie l’uomo al di là del gioco delle sue forze particolari e della sua personalità, e lo vede dal punto di vista dal quale egli deve essere necessariamente ciò che è, lo voglia o no”.

fondamentale per l’intero percorso successivo, ed è proprio il significato di questo momento dell’origine per lo svolgimento temporale dell’esistenza che viene chiamato in causa e sottoposto a critica da Arendt.

Se Arendt si confronta con la questione del venire alla luce delle intuizioni religiose individuali presentata nei Discorsi, i Monologhi rappresentano senz’altro la principale fonte di ispirazione della sua lettura del pensiero di Schleiermacher. Oltre a contenere la maggior parte dei passi citati da Arendt, riprodotti secondo la versione della terza (1822) e della quarta edizione (1829)9, questo testo è mosso dall’intento di mostrare la possibilità di liberarsi dalla schiavitù del tempo e della necessità mediante la contemplazione della propria vera natura individuale. In esso viene dunque affrontato il tema dell’emancipazione dalla temporalità che costituisce il centro motore delle riflessioni arendtiane. Il punto di vista etico dei

Monologhi conduce a fuggire il disagio e l’insoddisfazione dovuti alla

transitorietà e all’inadeguatezza della realtà esteriore per dedicarsi alla presa di coscienza e allo sviluppo del sé che risiede nella vita interiore. Attraverso questa riflessione sull’interiorità scompare il senso di costrizione imposto da un mondo o da un destino esterno e ciò che sembrava contrapposto all’io viene trasfigurato in un prodotto della libera attività e della natura creatrice dello spirito.

La corrente del tempo trascina con sé i miei atti terrestri, le idee e i sentimenti mutano e io non posso trattenerne neanche uno. […] Ma tutte le volte che volgo il mio sguardo al mio intimo io, mi trovo, nello stesso tempo, nel regno dell’eternità; io contemplo l’azione dello spirito, che nessun mondo può cambiare e nessun tempo può distruggere, ma che crea essa stessa il mondo e il tempo10.

Nel secondo monologo intitolato Sondaggi (Prüfungen) la consapevolezza dell’individualità, in cui si acquieta il desiderio umano di elevarsi sopra il finito, viene inserita come compimento di una progressione che parte dalla scoperta della ragione universale. La comprensione dell’universalità e dell’identità è la tappa iniziale, ma per ovviare all’uniformità e all’indeterminatezza correlate occorre l’intuizione più alta dell’individuo come manifestazione unica di una delle infinite combinazioni degli elementi dell’umanità. Il quarto monologo chiarisce che la contemplazione della propria natura specifica, una volta raggiunta, dà l’avvio ad un processo di Bildung e di sviluppo, concentrato a seconda della vocazione

9 Le citazioni arendtiane “den Strom des zeitlichen Lebens hemmen und durchschneiden kann” e “nie seitdem verloren hat” riportano piccole varianti e aggiunte inserite nella versione dell’opera pubblicata nel 1822 e mantenute in quella del 1829. Il fatto è significativo perché se ne può trarre con discreta plausibilità la conclusione che Arendt abbia usato un’edizione ottocentesca dei Monologhi. Le stampe dell’opera realizzate nel diciannovesimo secolo utilizzavano infatti il testo della quarta edizione del 1829, quasi identica alla terza. Nel 1902 Friedrich Michael Schiele pubblicò un’edizione critica dei Monologhi che invertiva questa tendenza, prendendo come riferimento il testo della prima edizione del 1800 e inserendo in apparato le varianti relative alle altre versioni, cioè la seconda del 1810 e la terza del 1822, mentre le poche modifiche della quarta del 1829 venivano esposte in una pagina della prefazione. L’edizione Schiele, ampliata e ristampata nel 1914 da Hermann Mulert, influenzò anche buona parte delle edizioni novecentesche successive nella scelta del testo originale del 1800. È evidente che Hannah Arendt non ha utilizzato l’edizione critica, perché segue la versione del 1822/1829 anche quando la variazione è talmente minimale da non poter giustificare una preferenza o una scelta consapevole.

10 FRIEDRICH SCHLEIERMACHER, Kritische Gesamtausgabe, vol. 3, Schriften aus der Berliner Zeit 1800-1802, a cura di G. Meckenstock, Berlin – New York, Walter de Gruyter, 1988, p. 13; ID.,

individuale sulla produzione di opere o sulla formazione del sé. Il primo atto di libertà resta comunque fondamentale, perché con esso si decide ciò che si desidera diventare e si accetta un’irrevocabile limitazione legata alla direzione intrapresa. Non si tratta di un vincolo imposto dall’esterno, ma di un’autodeterminazione che vale come condizione necessaria all’ulteriore esprimersi della libertà e che diventa il centro dell’esistenza. Ogni atto successivo perfeziona la volontà iniziale, ma non può rovesciare la consapevolezza dell’io nella sua interezza che ne è sorta. Il rapporto fra decisione originaria e Bildung successiva equivale per Schleiermacher al percorso con cui si diventa ciò che si è: “Il mio unico proposito è di diventare sempre più pienamente ciò che sono”11.

Nonostante la diversa impostazione tematica dei Discorsi e dei Monologhi, il punto comune è proprio l’aspetto su cui Arendt cerca di far leva, vale a dire la concezione dell’individualità e il ruolo fondamentale della storicità come espressione del momento in cui emerge nella persona la prima consapevolezza di sé12. Sebbene Schleiermacher consideri questa fase dell’origine una determinazione essenziale, in grado di fare del singolo essere umano una totalità che supera la frantumazione della coscienza nel tempo e garantisce la conservazione dell’identità individuale, essa non è vista come punto d’arrivo e di stasi. Ciò che viene bloccato dall’atto primitivo dell’individualità è la soggezione all’esteriorità, nelle forme del fluire temporale e della sorte, mentre prende l’avvio un processo di formazione e perfezionamento della natura spirituale, una Bildung indefinita dell’io che è giunto alla consapevolezza di sé. Arendt invece accentua a tal punto la rilevanza dell’iniziale congiunzione di finito e infinito descritta da Schleiermacher da interpretare la nascita dell’individualità come un compimento assoluto, che è raggiunto in maniera definitiva una volta per tutte e che non necessita di alcuno sviluppo ulteriore. A partire da questi presupposti Arendt insiste sullo perdita di senso cui va incontro la parte della vita posteriore al raggiungimento della pienezza.

Che cosa si ha se non si ha che se stessi? Che cosa si è guadagnato se si arresta la vita, che, alla fine, avrà lei ragione con la vecchiaia e la morte? Se si deve «appassire», come anche Schleiermacher, che apertamente conferma un giudizio di Schlegel su di lui? Alla vita dell’uomo è tolto il suo significato se è fissata nell’«attimo sublime», la sua storia è distrutta, se l’uomo è diventato indifferente al proprio destino13.

La metafora dell’appassire (verwelken), riportata come ammissione dello stesso Schleiermacher di fronte ad un’osservazione di Schlegel, viene chiamata in causa in questo passo a riprova dell’inevitabile declino dell’individualità perfetta su cui Arendt insiste tanto. Il riferimento implicito è alla lettera a Henriette Herz del 18 giugno 1799, nella quale Schleiermacher racconta all’amica una conversazione conflittuale avuta con Friedrich Schlegel, che pretendeva di sapere quale fosse il suo centro e di comprenderlo meglio di lui. Dopo aver spiegato le perplessità e le

11 FRIEDRICH SCHLEIERMACHER, Kritische Gesamtausgabe, vol. 3, cit., p. 42; ID., Discorsi sulla religione e Monologhi, cit., p. 271.

12 La manifestazione della peculiarità e dell’irripetibilità dell’individuale nel suo carattere storico è messa in rilievo in GIANNI VATTIMO, Schleiermacher filosofo dell’interpretazione, Milano, U. Mursia, 1968, pp. 62-63.

13 HANNAH ARENDT, Rahel Varnhagen, ed. tedesca cit., p. 74; trad. it. cit., p. 66. Nella prima frase della traduzione italiana è saltato il “che” che precede “se stessi”.

preoccupazioni legate ai contrasti con Schlegel, Schleiermacher riconosce che quest’ultimo aveva colto nel segno attribuendogli una preoccupante vicinanza alla morte ed esortandolo a fare ogni sforzo per conservare la vitalità interiore.

Indubbiamente Friedrich ha espresso una grande massima su di me nel nostro colloquio, non so proprio da dove gli sia arrivata, ma è vera da ogni punto di vista, e cioè che devo lavorare con tutte le forze per mantenermi interiormente fresco e vitale. Nessuno è continuamente così vicino all’appassire e alla morte come me, non lo posso articolare né dimostrare, ma purtroppo è vero14.

Attraverso il rimando a questo passo e un’opportuna selezione nei Discorsi e nei Monologhi, Arendt cerca dunque di restituire un’immagine di Schleiermacher come uomo compiuto, che ha arrestato ogni tipo di storicità nella propria vita ed ha esaltato l’ideale della perfezione. In questo modo, pur senza arrivare esplicitamente a questa conclusione, Arendt rende Schleiermacher una figura paradigmatica del tentativo romantico di fare della vita un’opera d’arte, di conferirle una forma definita attraverso la Bildung. Nella prefazione alla biografia di Rahel Varnhagen, scritta nel 1958 a decenni di distanza dalla stesura originale dell’opera, Arendt definisce tale impulso “il grande errore che Rahel ha condiviso coi suoi contemporanei”15. Alla base di questa attitudine romantica a rovesciare la vita nell’arte sta l’idea dell’esauribilità dell’esistenza in una configurazione unica e oggettivata, l’ammissione della possibilità di reificare l’intero significato della vita e la fiducia nella capacità della Bildung di assorbire lo slancio dello spirito nella sua interezza per riversarlo in modelli finiti e determinati. Si tratta cioè della stesso sforzo di fissare la dimensione vitale in una forma perfettamente definitiva che Arendt considera come la disposizione fondamentale di Schleiermacher, esaminata anche alla luce del corrispondente atteggiamento mentale di Rahel Varnhagen.

Il tipo di lettura proposto da Arendt, oltre a non essere affatto originale, ha l’effetto di trascurare la complessità e profondità delle diverse componenti del pensiero di Schleiermacher. Wilhelm Dilthey, nella sua memorabile biografia di Schleiermacher, sostiene che nessun fraintendimento è stato ripetuto più volte di quello secondo cui l’autore dei Monologhi si sarebbe presentato come uomo compiuto e avrebbe sostenuto una sorta di culto della bella eticità16. Anche

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