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Dopo aver approfondito le dinamiche migratorie e gli scenari occupazionali in Italia e nell’Unione europea, si tenterà di analiz-zare come la crisi economica abbia influito sulle traiettorie migra-torie e sulle aspettative familiari di una parte della componente immigrata della popolazione. Nello specifico ci si concentrerà sull’emigrazione verso l’estero di cui sono protagonisti gli italiani di origine immigrata, ossia sulla riattivazione migratoria dei lavo-ratori immigrati che hanno acquisito la cittadinanza italiana.

La cittadinanza formale assume, così, un ruolo centrale per il dispiegamento di tale progettualità: diventando cittadini ita-liani, infatti, gli immigrati diventano cittadini europei. Acqui-sendo la cittadinanza di un Paese membro si acquisisce, cioè, la possibilità di spostarsi entro il territorio dell’Unione europea e di intraprendere un’eventuale nuova migrazione.

Ecco, quindi, che, se per alcuni il possesso del passaporto italiano si configura come l’ultimo traguardo di un percorso di radicamento e stabilizzazione in Italia, per altri rappresenta un fattore strategico di riattivazione di una mai completamente

so-pita mobilità migratoria e, di conseguenza, una strategia per far fronte agli effetti della crisi.

Per analizzare tale processo ci si focalizzerà su un caso stu-dio che può essere considerato ideal-tipico, concentrandosi sulla collettività immigrata dal Bangladesh in un contesto locale della periferia industriale veneta.

1.5.1. Alte Ceccato. Da campagna urbanizzata a snodo della mi-grazione bangladese

Alte Ceccato9, frazione di Montecchio Maggiore, provincia di Vicenza: ieri, una distesa di campi in un tempo in cui i figli della classe lavoratrice erano costretti a emigrare e le fabbriche si contavano sulle dita di una mano; oggi, quartiere di immigra-zione e tratto globalizzato dello sprawl urbano veneto.

Qui, nel secondo dopoguerra, fu realizzata una piccola co-munità-fabbrica costituita su un’industria –  la Ceccato Spa  – che ha attirato un’ingente massa di famiglie immigrate dalle aree rurali della provincia vicentina e successivamente dal meridione d’Italia.

In meno di un ventennio, la fabbrica che ha mutato il nome della frazione, perse però la sua forza attrattiva determinando, as-sieme alle numerose problematiche che la caratterizzano (un’ur-banistica poco razionale, i limiti strutturali delle abitazioni, l’insi-stente traffico che attraversa l’abitato, la mancanza di spazi di so-cialità...), un ulteriore ricambio della popolazione residente e un progressivo spopolamento dei suoi spazi pubblici, sociali e di vita.

Negli anni ’80, Alte Ceccato diventa, così, un quartiere dor-mitorio, centro marginale e luogo di passaggio nella periferia industriale del nord-est italiano che si stava avviando verso una vertiginosa crescita economica.

In quest’area della regione, prossima alla Valle del Chiampo, è la concia delle pelli a costituire, tra gli anni ’80 e oggi, la

prin-9 Per un approfondimento sulla collettività bangladese di Alte Ceccato, sulle dinamiche migratorie e sulle trasformazioni sociali di cui è stata prota-gonista la frazione, osservabile come caso emblematico e idealtipico del nesso che intercorre tra migrazioni internazionali e contesti locali in Italia o, quanto-meno, in Veneto, si rimanda a Della Puppa e Gelati [2015].

cipale attività produttiva. Un territorio di un centinaio di chilo-metri quadrati, infatti, racchiude il più importante distretto con-ciario europeo, realizzando  –  prima della crisi economica  –  il 50% della produzione italiana, con un fatturato di 3 miliardi di euro annui [Finco 2006].

Un simile sistema produttivo non poteva che richiamare forza-lavoro da tutto il territorio italiano e dall’estero. L’Ovest vi-centino si caratterizza, infatti, per un tasso di immigrazione stra-niera tra i più alti a livello nazionale. Lo stesso Montecchio Mag-giore rappresenta uno dei Comuni italiani a più alto tasso di resi-denti immigrati (20%). Ciò soprattutto in relazione alla frazione di Alte, dove i cittadini immigrati rappresentano circa un terzo dei suoi 6.804 abitanti, oltre il 50% dei quali è originario del Bangladesh. Si tratta, cioè, del 74% dei bangladesi sul territorio comunale, del 51% della popolazione straniera della frazione e il 16% dell’intera popolazione residente a cui si aggiungono coloro che, per diverse ragioni, sfuggono alle statistiche10.

L’immigrazione bangladese in Italia è un fenomeno relativa-mente recente. È a partire dagli anni ’80 che molti bangladesi giungono nella Penisola, anche a causa della chiusura delle fron-tiere di altre nazioni europee [Priori 2012]; ma sono gli anni ’90 che qualificano l’Italia come destinazione importante, passando da un centinaio di presenze nel 1986 alle oltre 70.000 dei primi anni 2000 [Priori 2012; Zeytlin 2006]. Ciò va connesso alle ne-cessità di forza-lavoro di un mercato in espansione e di politiche migratorie strumentalmente lassiste. Oggi, quella bangladese costituisce la sesta collettività non comunitaria, contando oltre 130.000 unità [Caritas/Migrantes 2013].

Fino alla fine degli anni ’90 oltre il 90% di essi si concen-trava a Roma [King e Knights 1994; Knights 1996], dando vita alla seconda collettività bangladese in Europa dopo Londra. Gli anni successivi saranno contraddistinti dalla dispersione sul territorio nazionale: iniziano a nascere diverse «bangla-town» in molte aree di provincia con maggiori opportunità di stabiliz-zazione, solitamente a ridosso di grossi centri industriali nelle regioni settentrionali; tra questi contesti è possibile annoverare Alte Ceccato.

La popolazione immigrata dall’estero, e soprattutto dal Bangladesh, infatti, ha trovato nei vecchi condomini della fra-zione, abbandonati da molti italiani  –  gli operai della Ceccato e delle industrie fiorite in seguito –, una residenza stabile e accessibile, acquistando alloggi di bassa qualità abitativa e a costo limitato, in ragione del facile accesso ai mutui che un contratto a tempo indeterminato nelle fabbriche del fiorente distretto offriva loro.

Dagli anni ’90 in poi, quindi, crescendo numericamente grazie al richiamo delle reti migratorie e all’intenso processo di ricongiungimento familiare, la collettività bangladese ha contra-stato la desertificazione sociale e il declino demografico della frazione, dove trova così conferma la «regola pressoché gene-rale» dei fenomeni migratori che vede nell’immigrazione fami-liare o «di popolamento» la spontanea evoluzione dell’immigra-zione «di lavoro» [Sayad 2006].

Tenendo conto delle caratteristiche di genere della migra-zione dal Bangladesh all’Europa, in cui il primo-migrante è costituito nella pressoché totalità dei casi da un uomo [Della Puppa 2014], l’importante crescita della componente femminile (tab. 1.16) esprime proprio l’incremento della presenza delle mogli ricongiunte.

La formazione di molti nuclei familiari bangladesi ha com-portato uno straordinario incremento delle nascite che arrivano a superare quelle della componente autoctona (tab. 1.17).

Tab 1.15. Nuovi arrivi ad Alte Ceccato

Anno Italiani Bangladesi Altre nazionalità Tot.

2001 163 81 79 323 2002 164 153 80 397 2003 100 163 132 395 2004 89 139 152 380 2005 107 119 148 374 2006 128 97 122 347 2007 144 104 181 429 2008 117 152 140 409 2009 94 98 128 320 2010 77 74 97 248 2011 46 29 59 134

1.5.2. Le età della migrazione bangladese ad Alte Ceccato e la crisi economica nel distretto conciario

Riassumendo in modo necessariamente schematico è possi-bile delineare almeno quattro fasi dell’immigrazione bangladese ad Alte Ceccato.

Un primo periodo, che si estende lungo la prima metà degli anni ’90, ha visto l’arrivo di uomini celibi, provenienti per lo più da Roma o da altri contesti europei e attirati dalla relativa facilità dell’inserimento lavorativo che il distretto conciario garantiva.

Segue la fase che, dalla seconda metà degli anni ’90, si pro-trae fino ai primi anni 2000. Essa è caratterizzata da una

inci-Tab 1.16. Cittadini bangladesi ad Alte Ceccato per sesso e anno di arrivo

Anno Maschi Femmine % Femmine Tot.

2001 63 18 22,2 81 2002 114 39 25,4 153 2003 113 50 30,6 163 2004 104 35 25,1 139 2005 83 36 30,2 119 2006 52 45 46,3 97 2007 44 60 57,6 104 2008 95 57 37,5 152 2009 60 38 38,7 98 2010 39 35 47,3 74 2011 14 15 51,7 29 Fonte: Comune di M.M.

Tab. 1.17. Nuovi nati ad Alte Ceccato

Anno Italiani Bangladesi Altre nazionalità Tot.

2001 37 2 1 40 2002 41 5 2 48 2003 32 7 3 42 2004 39 17 7 63 2005 34 8 4 46 2006 32 26 6 64 2007 32 30 12 74 2008 39 20 24 83 2009 34 41 12 87 2010 30 47 19 96 2011 14 12 10 36 Fonte: Comune di M.M.

denza bangladese ancora minoritaria rispetto alle altre compo-nenti nazionali, seppur la presenza dei primi nuclei familiari la ponga in costante crescita.

Il punto di svolta, tra il 2001 e il 2006, è segnato da un consistente incremento dei cittadini bangladesi rispetto alle al-tre componenti nazionali, italiana compresa. Tale crescita, faci-litata dalla congiuntura economica positiva e dalla conseguente domanda di manodopera a basso costo espressa dai settori produttivi locali, vede come principali protagonisti giovani la-voratori che, provenienti da altre realtà urbane della Penisola, hanno percorso e rafforzato nuove catene migratorie. I processi di ricongiungimento familiare, il boom delle nascite e l’emer-gere delle seconde generazioni completano la fase di più rapida espansione e sviluppo dell’immigrazione bangladese ad Alte.

Va poi segnalato un ulteriore passaggio, che va dalla seconda metà degli anni 2000 fino ai giorni nostri, contraddistinto dall’ar-rivo di una nuova fascia di giovani uomini non ancora coniugati, richiamati dalla presenza di fratelli, cognati e zii più maturi, sta-bilitisi da tempo. Questa componente sarà caratterizzata da una forte mobilità dovuta essenzialmente alla crisi economica e alla difficoltà di reperire un’occupazione nelle fabbriche dell’area [Reyneri 2010; 2011]. Tale mobilità porterà i «neo-arrivati» alla ricerca di nuove possibilità occupazionali, solitamente stagio-nali e temporanee, in tutta la Penisola. Già prima della crisi del 2008, il sistema industriale della Val del Chiampo, infatti, mo-strava i primi segnali di cedimento. Se a fine 2007 solo il settore della concia contava circa 12.000 addetti, nel giro di un biennio si perdono circa 2.000 posti di lavoro, delle oltre 780 aziende ne rimangono meno di 650, molte delle quali hanno subito forti ridi-mensionamenti. In una simile realtà, basata sulla concentrazione di centinaia di imprese fra loro affiancate e interdipendenti, la cui produzione risulta strettamente correlata, il declino del settore principale e trainante  –  la concia  –  ha comportato quindi, a ca-scata, pesanti conseguenze sull’intero distretto.

1.5.3. Immigrati in Italia, cittadini in Europa

Come mostrato, la presenza bangladese ad Alte è, oggi, una realtà consolidata. Tra i fattori che ne indicano il radicamento

e la stabilizzazione va segnalato anche l’imponente incremento delle acquisizioni di cittadinanza italiana, la cui crescita nume-rica negli ultimi anni ha registrato una tendenza quasi espo-nenziale: nel 2010 sono state conferite 132 nuove cittadinanze, ovvero più del triplo rispetto all’anno precedente11. Ciò appare in linea con le traiettorie migratorie di molti pionieri dell’inse-diamento bangladese: arrivati nell’ovest vicentino a partire tra gli anni ’90 e gli anni 2000, dopo aver passato alcuni anni in altre località della penisola [Della Puppa 2014], hanno da poco o stanno ora acquisendo i requisiti necessari12 per ottenere il nuovo status civitatis.

Si tratta di un fenomeno che investe direttamente il dina-mismo migratorio che vede protagonista l’Italia e i processi migratori interni all’Unione europea osservati nei paragrafi pre-cedenti. Sempre più immigrati da tempo presenti ad Alte Cec-cato, infatti, grazie alla possibilità di mobilità geografica che l’acquisizione della cittadinanza italiana offre all’interno dei confini europei, intraprendono un’ulteriore migrazione verso altri contesti nazionali, ritenuti più attrattivi poiché storica-mente determinati come mete e centri nevralgici della migra-zione bangladese. Primo fra tutti la Gran Bretagna e i quartieri orientali di Londra.

Questa scelta si configura come una strategia messa in atto da coloro che intendono offrire migliori opportunità formative e di realizzazione alle nuove generazioni attraverso una mobilità transnazionale, ma riguarda anche quanti versano in condizioni di estrema difficoltà a causa della crisi economica e si spostano alla ricerca di nuove prospettive laddove si ritiene siano presenti maggiori opportunità lavorative. La crisi che sta colpendo il di-stretto conciario e le strutture produttive della Val del Chiampo si configura, quindi, come una crisi nella crisi che innesca una

migrazione nella migrazione.

11 Il dato generale non è scomposto per nazionalità. Nonostante sia ipo-tizzabile che esse costituiscano l’ampia maggioranza occorre pertanto sottoli-neare che non riguarda esclusivamente le acquisizioni di cittadinanza italiana da parte di cittadini bangladesi.

12 Dieci anni di residenza regolare e continuativa sul territorio nazionale e il possesso di sufficienti risorse economiche e lavorative [Codini 2008].

1.5.4. Un territorio di passaggio

L’ultimo decennio della storia dell’intero Paese è stato se-gnato da profonde trasformazioni sociali, economiche e poli-tiche. Dal 2008 la crisi economica si è manifestata con viru-lenza e i suoi effetti non sembrano certo attenuarsi [Chesnais 2011; Gallino 2011]. Nel frattempo, le politiche migratorie europee nazionali e locali si sono inasprite [Ambrosini 2012a; 2012b; 2013; Basso 2010; Cittalia 2009; Gjirgji 2013; Manconi e Resta 2010; Usai 2011] e, sia a livello istituzionale, sia a li-vello di sentore popolare, si è avuto un indubbio aumento del razzismo [Basso 2010; Ferrero e Perocco 2011]. Nello stesso periodo, però, la migrazione dal Bangladesh che interessa l’I-talia è aumentata: le fasce popolari della società bangladese hanno iniziato a migrare e l’Europa mediterranea è divenuta una meta significativa e riconosciuta [Della Puppa 2014; Priori 2012].

Un simile intreccio di fattori ha determinato un profondo mutamento negli scenari globali e locali. Di seguito, quindi, si approfondiranno le conseguenze di tale mutamento sul contesto di Alte Ceccato e, soprattutto, sulle traiettorie della collettività bangladese ivi residente.

Al luglio 2014, secondo i dati anagrafici del comune, ad Alte Ceccato risiedevano 991 residenti immigrati dal Bangla-desh13. Tuttavia, solo due anni prima i residenti erano 1.100. La flessione è significativa. In parte, certo, essa va connessa alle ac-quisizioni di cittadinanza italiana da parte dei bangladesi. Tali acquisizioni non esauriscono però il fenomeno. Di fatto, ci tro-viamo di fronte a una emigrazione bangladese da Alte. I ban-gladesi ripartono verso la Gran Bretagna, inevitabile centro di riferimento sin dall’epoca coloniale. Secondo il registro dell’Aire (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero), tra il 2010 e il 2014, sono emigrati 216 residenti di origine bangladese con cit-tadinanza italiana, di cui 207 primo-migranti e 9 bambini nati da padre con la doppia cittadinanza. L’andamento delle par-tenze è in crescita costante, seguendo a distanza di pochi anni il

13 Ancora una volta, i dati sono sottostimati, non includendo i domiciliati senza residenza e le persone in situazione di irregolarità amministrativa.

progressivo esaurimento degli ammortizzatori sociali combinato con la difficoltà di trovare nuovi inserimenti lavorativi.

Ma chi emigra? Il gruppo più corposo (51 casi) è costituito da famiglie nucleari con figli in età scolare o prescolare, in cui il marito primo-migrante ha acquisito la cittadinanza. In base alla legge n. 91/1992 modificata dal d.l. n. 733/2008, infatti, la cittadinanza italiana si acquisisce dopo dieci anni di residenza continuativa entro il territorio nazionale; essa si trasferisce im-mediatamente ai figli, mentre solo dopo due anni al coniuge, il quale nel frattempo riceve un permesso di soggiorno di lungo periodo [Codini 2008]. Questi nuovi nuclei di emigrati sono formati, cioè, da un marito primo-migrante che ha trasferito la cittadinanza ai figli, una moglie ricongiunta con permesso di soggiorno, ma senza cittadinanza (circa 57 casi stimati). In que-sto caso, come in quello meno numeroso delle coppie senza fi-gli (6 casi), emerge la difficoltà di ricostruire i movimenti delle donne bangladesi senza cittadinanza italiana.

1.5.5. Un crocevia migratorio in piccolo

Mentre alcuni nuclei familiari emigrano da Alte, altri vi con-tinuano ad arrivare: le nuove registrazioni di stranieri sono 52 nel 2012 (di cui 28 direttamente dal Bangladesh), 68 nel 2013 (di cui 37 direttamente dal Bangladesh) e ben 79 nella prima metà del 2014 (di cui 38 direttamente dal Bangladesh). Pur restando cifre lontane da quelle che si potevano registrare nei primi anni 2000, si tratta, comunque, di numeri rilevanti che se-gnano una netta ripresa dal 2011 e che si riferiscono, con molta probabilità, a un’immigrazione per lavoro. La collettività ban-gladese di Alte rimane in questo senso dinamica, soprattutto se osservata alla luce della crisi, come dimostra anche il numero dei nuovi nati (65 bambini tra il 2012 e il 2014) e la dinamica dei ricongiungimenti familiari (35 nuclei tra il 2012 e il 2014). Se nel quadro della crisi economica la migrazione da lavoro re-gistra una leggera flessione, continua invece il processo di lungo corso della migrazione familiare di popolamento.

Emergono anche casi di bambini nati in Italia, ma mandati in Bangladesh dai genitori per qualche anno, prima di esser fatti rientrare. È comprensibile, infatti, che sia meno oneroso

man-tenere per un determinato periodo i figli in patria, attraverso le rimesse e appoggiandosi alla famiglia di origine. A questa razionalità economica, però, molti immigrati aggiungono l’aspi-razione di far conoscere la terra natale ai propri figli. Si deli-nea così il profilo di famiglie transnazionali, il cui ultimo passo parrebbe essere persino quello di un ricongiungimento dei geni-tori – dato quantitativamente marginale, ma qualitativamente in-teressante, che conferma il carattere maturo e radicato dell’im-migrazione bangladese.

Infine, i bangladesi si rilocano anche all’interno del terri-torio italiano: giungono ad Alte da altre zone del vicentino e, in misura minore, da altri contesti veneti, lombardi e laziali. In questi casi è ipotizzabile l’importanza di un welfare comunita-rio – parentale o amicale – in nuce che si attiva per fronteggiare le difficoltà materiali.

Nel suo piccolo, Alte rispecchia le dinamiche che da anni caratterizzano il nostro Paese: nell’ultimo mezzo secolo l’Italia, storicamente terra di emigrazione, è divenuta anche terra di im-migrazione. Nel territorio urbano diffuso del Nord-Est questa inversione è divenuta visibile a partire dagli anni ’90. Il processo di radicamento non è però lineare e rovesci come quello della crisi economica, iniziata nel 2008, mostrano che il contesto di immigrazione è in realtà un crocevia migratorio [Pugliese 2006]. Acquisita la cittadinanza italiana, diversi bangladesi con un cur-riculum migratorio hanno riattivato la loro mobilità, sostituiti in parte da nuovi cicli di immigrazione.

1.5.6. Da Alte Ceccato all’Europa

Che significato attribuiscono allora i bangladesi al fatto di divenire cittadini italiani? Quali sono i motivi che li spingono a ripartire?

Diverse ricerche hanno mostrato come gli immigrati e le loro famiglie siano particolarmente colpiti dagli effetti della crisi economica [Bonifazi e Marini 2011; Cillo e Perocco 2011; 2014; Como 2014; Ferrucci e Galossi 2014; Fullin 2011; Galossi 2014; Reyneri 2010; 2011]. Non va dimenticato, inoltre, che molti dei lavori in cui sono impiegati sono particolarmente duri e usuranti.

Ci si orienta, pertanto, verso contesti europei che si riten-gono caratterizzati da una maggiore capacità di assorbimento del mercato lavorativo, in forza di un’economia nazionale meno compromessa dalla crisi economica globale. Al contempo, ci si orienta anche verso contesti di più antica immigrazione, dove è presente una collettività di connazionali più ampia e strutturata di quanto non sia in Italia e che, in virtù di tale radicamento, possa offrire più agevoli possibilità di inserimento occupazio-nale. La prospettiva di una vita in Italia, infatti, implicherebbe l’impossibilità di un effettivo miglioramento della loro condi-zione socio-lavorativa e del rischio che i loro figli ripercorrano la stessa traiettoria professionale ed esistenziale da loro prece-dentemente disegnata: quella di «manovali a vita» [Sayad 1999] o, comunque, rinchiusi nei segmenti subalterni del mercato la-vorativo a svolgere le mansioni che in Italia sono implicitamente «riservate agli immigrati»  –  i cosiddetti «3D jobs» (Dirty,

Dan-gerous, Demanding) o «Lavori delle 5P» (pesanti, pericolosi,

precari, poco pagati, penalizzati socialmente) [Ambrosini 2005; Basso e Perocco 2003; Ismu/Censis/Iprs 2010; Perocco 2012; Zanfrini 2010].

La nuova migrazione è anche la risposta di molti immigrati al timore che il misconoscimento delle loro credenziali forma-tive e dei loro titoli di studio, a cui si è fatto riferimento nei paragrafi precedenti, colpisca anche i loro figli nati e cresciuti in Italia. Ma anche all’allontanamento delle nuove generazioni a una lingua come l’inglese, spesso riferimento ed elemento di distinzione nel loro Paese di origine e percepita come chiave di accesso al mondo [Imam 2005]  –  e, quindi, come molti-plicatore delle possibilità di successo e realizzazione socio-economica.

Un’altra spinta verso la riattivazione della mobilità migra-toria è costituita, non di rado, dalle ripetute discriminazioni a cui gli immigrati sono sottoposti nell’ambito lavorativo; ma an-che dal punto di vista socio-giuridico, soprattutto con l’inaspri-mento e la normalizzazione di retoriche razziste e prassi discri-minatorie che, talvolta, hanno preso forma, tanto a livello isti-tuzionale quanto a livello popolare, in Italia [Basso 2010]. Ciò si paleserebbe sovente nelle politiche locali [Ambrosini 2012a; 2012b; 2013; Basso 2010; Cittalia 2009; Manconi e Resta 2010; Usai 2011] che spesso colpiscono i residenti di origine

immi-grata anche se già in possesso della cittadinanza italiana [Della Puppa 2014; Della Puppa e Gelati 2015].

L’esclusione che la società di immigrazione agirebbe nei confronti degli immigrati, quindi, impedisce loro di «sentirsi a casa», facendoli percepire quella italiana come una società an-cora impreparata a includere i cittadini con diverso background linguistico-culturale e di diversa origine nazionale.

Se per oltre un decennio i primo-migranti hanno acconsen-tito alla degradazione di essere considerati «stranieri tempora-neamente ospiti», con la nascita  –  o il ricongiungimento  –  e la socializzazione delle nuove generazioni tale condizione non pare più accettabile. Altri contesti europei – considerati, a ragione o torto, maggiormente cosmopoliti e più vicini alle supposte