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Capitolo II L’evoluzione della comunicazione scientifica e il rapporto con i pubblici

2.3 Da science literacy a Public Understanding of Science

Negli anni Cinquanta e Settanta il modello dominante fu quello della science literacy, basato non solo sul paradigma di un pubblico deficitario, ma anche sull’idea che un pubblico ignorante difficilmente avrebbe potuto prendere parte alle decisioni politiche. Il gap conoscitivo andava riempito con sforzi nel campo dell’educazione scientifica, e il tentativo di istruire il pubblico era monitorato con sondaggi e test sulle conoscenze di base dei libri di testo, la credenza o meno a superstizioni e oroscopi, il grado di apprezzamento dei risultati della comunità scientifica e tecnologica (Bauer, 2009).

L’idea di base prevedeva che si potesse misurare la conoscenza scientifica popolare con quiz e sondaggi e creare dei confronti tra Paesi totalmente diversi dal punto di vista culturale e scientifico, senza dare peso alle differenti tematiche trattate, alle differenti basi scientifiche di partenza e alle differenze letterature scientifiche di appartenenza. Si metteva in evidenza l’idea che le differenti percezioni tra il pubblico generalista e gli esperti fossero riducibili alla mancanza di informazione scientifica in termini di quantità e sembrava che questa mancanza potesse risolversi aumentando la disponibilità di informazione presente, senza però considerare variabili di ricezione e di comprensione. Il pubblico era unico, passivo e deficitario, dunque era compito della comunità scientifica provvedere a educarlo e proporre contenuti da presentare al pubblico. Divulgazione e scienza sono considerate due attività separate tra loro e anche la sociologia della scienza ha per lungo tempo considerato queste due attività come separate tra loro, e la divulgazione era considerata di scarso interesse per gli studi sociali legati all’istituzione scientifica.

È negli anni Ottanta che questi punti critici cominciano ad emergere, in particolare con un paper che pone un punto di arrivo e di partenza della comunicazione scientifica, il report della Royal Society inglese sulla conoscenza e sulla comunicazione scientifica del 1985, il Public

Understanding of Science (PUS).

‹‹ More than ever, people need some understanding of science, whether they are involved in decision-making at a national or local level, in managing industrial companies, in skilled or semi-skilled employment, in voting as private citizens or in making a wide range of personal decisions. In publishing this report the Council hopes that it will highlight this need for an overall awareness of the nature of science and, more particularly, of the way that science and technology pervade modern life, and that it will generate both debate and decisions on how best they can be fostered›› (Royal Society,

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1985, p. 5).

L’approccio che proviene da questo report inserisce alcuni atteggiamenti innovativi rispetto alla science literacy, a partire dal non considerare più scienza e divulgazione come attività distinte, e cominciando a considerarle un continuum, senza argomenti che non si possono trattare perché troppo complessi. Vi è un’urgenza di portare la scienza più vicina ai cittadini, perché questi siano più competenti in materia scientifica e, di conseguenza, siano cittadini politicamente più attenti e coscienti della presenza della scienza e della tecnologia nella vita quotidiana e nella politica di un Paese.

La nuova agenda si sposta dal concetto della mera conoscenza scientifica a considerare l’atteggiamento del pubblico verso la scienza: non era più fondamentale che tutti conoscessero le basi della letteratura scientifica, ma piuttosto che più persone possibili avessero un atteggiamento positivo verso la scienza. “The more you know, the more you love it” divenne il motto del nuovo programma di azioni e di ricerca che considerava la comunicazione scientifica elemento fondamentale non solo per l’istituzione scientifica, ma per la politica e la società intera. In questo momento storico si rivede tutto l’impianto comunicativo e la relazione della scienza con l’ambito scientifico, proponendo una visione tra scienze e divulgazione continuativa, con differenze tra i diversi contesti in cui l’informazione viene proposta, gli stili di comunicazione e soprattutto la ricezione dei pubblici. Vengono identificati diversi livelli di comunicazione, che cooperano e dialogano tra loro a partire dal livello più specialistico fino al livello pubblico (Bucchi, Trench; 2008).

Figura 1: Modello di comunicazione scientifica come continuum (Bucchi, 2010)

Secondo questo modello esistono quattro tipi principali di livelli all’interno del processo comunicativo. Partendo dal livello intraspecialistico, si ha di fronte il livello di comunicazione più scientifica possibile, basata su ricerca e dati empirici, che solitamente culmina con la scrittura di paper altamente specialistici, perché tutti gli attori interessati sono professionisti in

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quel determinato campo di ricerca. Scendendo, si arriva al livello interspecialistico, in cui la comunicazione si basa su articoli interdisciplinari, giornali e riviste di settore, relazioni e incontri con specialisti di formazione diversa che si occupano, con prospettive diverse, di una stessa disciplina scientifica. Da qui di passa al livello pedagogico, tipicamente proprio della scienza dei manuali, in cui la comunicazione si basa su un corpus teorico già consolidato e spiegato, con una visione cumulativa dell’impresa scientifica. Si arriva poi al livello popolare, l’ultimo livello, in cui si ha un misto di fonti di informazione, dai libri di divulgazione, agli articoli scientifici su testate generaliste, a documentari televisivi.

In questa prospettiva è ben chiara l’esistenza di una traiettoria comunicativa che ha due direzioni: dal livello intraspecialistico a quello popolare e viceversa. Questo perché gli studi di public understanding of science vedevano come obbligatorio in passaggio di un’informazione attraverso i vari livello, che semplificavano via via l’informazione fino a rendere accessibile al pubblico ampio. Questa impostazione è figlia delle teorie della costruzione del fatto scientifico di Fleck e Latour, che passava per il processo di accettazione di un paradigma a vari livelli di complessità e di incertezza. Passando per i vari livelli una teoria diventa un fatto e, arrivata al livello popolare, perde quelle sfumature di dubbio o specificità della teoria. ‹‹Il percorso comunicativo dalla scienza specialistica a quella popolare può insomma essere descritto come una sorta di imbuto che si restringe progressivamente e, lungo il quale il sapere perde sottigliezze e sfumature, riducendosi a pochi elementi a cui viene attribuita certezza e incontrovertibilità›› (Bucchi, 2010, p. 139). Ogni passaggio trasforma in qualche modo l’informazione stessa, considerando il livello popolare come livello finale di stilizzazione e riduzione della complessità scientifica, decontestualizzando la teoria dal lavoro di ricerca e di sviluppo.

Questo modello si basava però sulla scorretta assunzione che la conoscenza potesse necessariamente portare ad un’opinione positiva e di supporto nei confronti del panorama scientifico, cosa non del tutto verificabile e, anzi, in molti casi smentita. L’equivalenza tra atteggiamenti negativi per forza legati all’ignoranza e gli atteggiamenti positivi per forza legati alla conoscenza scientifica fu il punto debole dell’intero modello, che si basava ancora una volta su un pubblico deficitario, che non poteva essere affidabile e che doveva essere istruito. Questo atteggiamento di non-fiducia nel pubblico portò ad un atteggiamento di sfiducia della parte scientifica, creando come risposta un atteggiamento di sfiducia da parte del pubblico, in una sorta di profezia che si auto-avvera (Bauer, 2009).

«The mass media are a powerful influence on public understanding of science. The scientific community and the media work in very different ways and are, on the whole, often ignorant

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of each other’s procedures and constraints. These attitudes need to be changed. If scientists are to communicate with the public through the media they must learn to accept the media's constraints and to convey information on the journalists' terms. The journalists, on the other hand, who may not themselves be scientists, have to understand the attitude of the scientists» (Royal Society, 1985, p. 33).

I mass media erano considerati il mezzo perfetto per arrivare a quante più persone possibili con questo programma di diffusione del sapere, perché le logiche del funzionamento massmediali permettevano un approccio meno istituzionale, ma con un indice di attenzione che si prevedeva sarebbe stato molto più alto rispetto ad altri mezzi. Ciò che non fu compreso era il funzionamento interno dei processi di mediatizzazione, che inevitabilmente portavano ad un messaggio modificato rispetto all’intento originale, nonostante l’invito a presentare le informazioni in maniera accurata. Questa assunzione si basa su un’idea semplicistica e monodirezionale del processo comunicativo, spesso riassunto con il modello matematico della comunicazione, proposto da Shannon e Weaver (1949), che tratta l’informazione in maniera prettamente fisica, inserendola in un trasferimento tra Emittente e Destinatario attraverso un ipotetico canale, senza però considerare il ruolo del destinatario nell’interazione. Le problematiche che potevano presentarsi erano perlopiù relative ad un disturbo fisico nella trasmissione del messaggio, che in questo modello viene definita “rumore”, e che ostacola la trasmissione del messaggio (Stella, 2012). In questo modello, molto più tecnico che sociale, mancano le operazioni che intercorrono nel processo sociale comunicativo, in cui è presente e ben consolidato il ruolo che ha il destinatario nello scambio di informazioni.

I limiti del modello matematico furono infatti ben presto presi in considerazione da altri studiosi che consideravano il modello matematico troppo generale e limitante per spiegare appieno i processi comunicativi, in particolare i processi comunicativi che vedevano come protagonista la conoscenza scientifica. Una delle assunzioni principali era che il ruolo del pubblico, profano dell’area scientifica, fosse limitato all’assorbimento e alla ritenzione delle informazioni che erano proposte, attraverso il processo di semplificazione del contenuto scientifico. In realtà, si vide ben presto che la conoscenza scientifica viene elaborata e modificata anche all’ultimo livello del modello a imbuto, ovvero il modello popolare. Questo rispecchiava gli ultimi studi in campo della sociologia della comunicazione di massa, che criticando il modello matematico, aveva smontato l’idea che il messaggio passasse da Emittente a Destinatario così come era stato concepito, eliminando una volta per tutte la metafora del messaggio come un “pacco postale”. Due elementi cominciavano ad essere chiari: il medium non è mai neutrale rispetto ai messaggi che trasmette e il destinatario non è

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mai passivo rispetto all’informazione che viene condivisa.

Nel caso della divulgazione scientifica voluta dal Public Understanding of Science era necessaria l’azione di media di massa, come i network televisivi, le case editrici, le stazioni radiofoniche e ‹‹il medium in questo caso non è solo l’apparecchiatura strumentale che “si mette in mezzo” tra gli eventi che accadono e il Destinatario che ne deve essere informato. È piuttosto esso stesso un attore che interviene in prima persona, nel ruolo di Emittente›› (Stella, 2012, p. 206). Le logiche del funzionamento del network, della pubblicazione di un libro o del programma radiofonico condizionano in qualche modo il processo comunicativo, venendo meno all’assunto originale che prevedeva un trasferimento del messaggio così come era stato confezionato.

In breve tempo le teorie e i modelli della comunicazione mediata si sviluppano e cominciano a rendere espliciti tutti quei microprocessi sociali e psico-cognitivi che intervengono nel processo di trasferimento di un messaggio da Emittente a Destinatario, e sottolineano le criticità che possono portare a fraintendimenti o addirittura a non recepire il messaggio nella sua totalità.

Massimiano Bucchi propone anche un’altra critica verso il modello inizialmente adottato con il PUS, ovvero il problema della deviazione della comunicazione scientifica. In alcuni casi, secondo il sociologo, il campo della comunicazione pubblica della scienza fu usato come prosecuzione per un dibattito prettamente scientifico, che però si ampliava nel territorio non-specialistico per attirare l’attenzione dei policy makers e della comunità scientifica attorno ad un tema specifico. Si parla quindi di deviazione del discorso specialistico verso il discorso pubblico, con il metodo dell’“appello al pubblico” per casi particolari di controversia o di scontro con altri specialisti: portare il tema ancora dibattuto agli occhi dell’opinione pubblica come un qualcosa di quasi definitivo può avere delle implicazioni anche nel campo del dibattito intraspecialistico. Bucchi osserva che questo tipo di comunicazione ‹‹non è realmente volta al pubblico in generale, ma al raggiungimento di un vasto numero di colleghi, in maniera rapida, utilizzando il livello pubblico come “arena” comune senza doversi attenere ai tempi e alle costrizioni della comunicazione specialistica›› (Bucchi, 2010, p. 141). Questo processo complica ulteriormente lo studio delle dinamiche della comunicazione scientifica e dimostra come i livelli del percorso comunicativo siano intrecciati tra loro e duttili, perché in dinamiche di questo genere il discorso scientifico a livello pubblico può diventare la vera arena in cui si verificano le discussioni che normalmente sarebbero solo ad un livello specialistico. Questo tipo di dinamica si è verificata anche in passato, per esempio nel 1919 quando l’esperimento dell’eclissi di Einstein, che doveva essere la prova regina della validità della sua teoria della

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relatività, trovo ampia copertura sui giornali con titolazioni e descrizione che ormai la davano come teoria sostitutiva di quella newtoniana, mentre a livello intraspecialistico era ancora in corso il dibattito scientifico. Un altro esempio fu relativo alla teoria di Alvarez sull’estinzione dei dinosauri del Cretaceo, causata dall’impatto con un meteorite: un terzo degli studiosi coinvolti nel dibattito affermò di aver ricevuto notizia di questa ipotesi tramite i media popolari (Bucchi, 2010). La complessità dei rapporti tra scienze diverse, tra scienziati e tra scienza e pubblico risulta in questo modo evidente: scienza e società sono collegate e l’una agisce nell’altra in modi dipendenti e non escludibili. Per questo motivo, nonostante la continuità del modello PUS fino ai primi anni 2000, anche i comunicatori pubblici della scienza e gli stessi scienziati cominciarono a riconoscere alcuni limiti di questo modello comunicativo e relazionale, e, in maniera coerente con gli studi che mano a mano approfondivano le dinamiche dei processi comunicativi, sociali e psicologici, si passò ad un approccio diverso.

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