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Dall’analisi fisheriana allo schema teorico interpretativo di Friedman

CRISI ECONOMICA MONDIALE

9. Dall’analisi fisheriana allo schema teorico interpretativo di Friedman

9.1. Stando all’analisi fisheriana delle grandi depressioni, l’instabilità finanziaria non ha una causa iniziale prefigurabile. Sopra un piano teorico generale, l’eccessivo indebitamento, che poi determina la deflazione, può infatti maturarsi in relazione ad uno o più fattori endogeni e/o esogeni.

l’approccio qui segnalato, proprio della logica degli starters, non è l’unica forma di trattazione teorica dei processi deflazio- nistici. Infatti, accogliendo un approccio diverso, basato sulla ricerca delle cause iniziali dei succitati processi, se da un lato non è mancato chi ha affermato che l’instabilità finanziaria è

2 Citazione in Kahn (950, ed. it. p. 58).

il risultato di forze esogene al funzionamento dell’economia capitalistica, puntando sulla dimostrazione, ritenuta fondata, che il settore privato di tale economia è per sua natura fon- damentalmente stabile, pure vi è stato chi, ponendosi in una posizione diametralmente opposta, ha difeso la tesi che quella instabilità è da considerarsi endogena.

Un campione indiscusso della prima delle due posizioni dianzi riferite è Milton Friedman; uno dei maggiori sostenitori dell’altra posizione è invece Hyman P. Minsky.

Giunti a questo punto, assumendo ancora una volta come banco di prova la depressione statunitense degli anni Trenta, soffermere- mo la riflessione sull’analisi friedmaniana dell’instabilità finanzia- ria e sulla consequenziale lettura della succitata depressione.

9.2. Nell’analisi del Friedman, il progetto teorico finalizzato all’affermazione della tesi dell’instabilità finanziaria esogena ha, a nostro giudizio, come primo momento logico il riconoscimento della stabilità della macrofunzione della domanda di moneta reale di

periodo lungo. Dato l’oggetto peculiare della presente indagine,

trascureremo, in questa sede, il ragionamento del Friedman volto a configurare la stabilità della suddetta macrofunzione3.

Una puntualizzazione preliminare va fatta. l’espressione “funzione della domanda di moneta”, adottata dal Friedman, è impropria. In effetti, il Friedman con tale espressione vuole in- tendere la funzione della preferenza per la detenzione della ricchezza

in forma di moneta. Su questo specifico punto, è indubbio come

l’originalità di Friedman, rispetto a Keynes (il quale accoglie il concetto di “preferenza per la liquidità”), risieda nell’estensione dell’approccio di portafoglio. È stato osservato che la “originalità di Friedman rispetto alla teoria dell’approccio di portafoglio di Tobin, sta nella specificazione delle variabili che entrano

3 Il lavoro friedmaniano a cui ci si riferisce è The Quantity Theory of Money (Friedman

956), ristampato in Friedman (969). avvertiamo il lettore che le nostre citazioni relative al Restatement hanno come base di riferimento il volume del 969. Per un esame della trattazione analitica friedmaniana della macrofunzione della domanda della moneta reale di periodo lungo, ci sia consentito rinviare al nostro saggio (de Girolamo 989).

nella funzione di domanda di moneta e nell’individuazione dei rapporti di sostituzione esistenti tra le diverse attività, con conseguenze rilevanti sul piano dei meccanismi di trasmissione della politica monetaria” (arcelli 988, p. 352).

occorre chiedersi in che cosa consista il ruolo strategico svolto dalla proposizione secondo la quale la macrofunzione della domanda di moneta reale è stabile nel periodo lungo. Per comprendere questo punto, bisogna considerare la circostanza che Friedman ritiene che accanto ai fattori che influenzano ad un tempo sia la domanda che l’offerta di moneta, vi siano fattori che influenzano esclusivamente l’offerta di moneta: questi ultimi, in alcuni casi sono d’ordine tecnico, in altri sono rappresentati dalle condizioni politiche o psicologiche che determinano le decisioni delle autorità monetarie.

Di qui il fondamento, in Friedman, dell’ipotesi della “indi- pendenza dei fattori” che influenzano la domanda di moneta da quelli che ne influenzano l’offerta. accolta l’ipotesi della “indipendenza dei fattori” (“independence of factors”), ne deriva che è proprio la stabilità della macrofunzione della domanda di moneta reale a consentire di scoprire gli effetti di variazioni nell’offerta di moneta nominale.

9.3. È doveroso notare che l’ipotesi della “indipendenza dei fattori” trova un’importante specificazione, nell’analisi del Frie- dman, allorché si sostiene che l’offerta di moneta si può conside- rare “fissa o, più in generale, autonomamente determinata”.

Posta uguale ad M l’offerta di moneta nominale determi- nata esogenamente, è chiaro che la condizione di equilibrio monetario,

Md = Mo

in cui Mo è l’offerta di moneta nominale, si traduce nella

relazione

Md = M []

Esplicitando ora nella [] la macrofunzione friedmaniana della domanda di moneta in termini reali, che esprime “la quantità di moneta reale domandata” [ossia lo stock di moneta reale che gli agenti economici desiderano detenere, nel loro complesso, in rapporto alle composizioni di portafoglio] come una funzione di poche variabili, si ottiene:

[2] ora, per Friedman, l’equazione [2], che pur collega Y (red- dito monetario) ad M (offerta di moneta esogenamente deter- minata), non è in grado di esprimere una teoria del “reddito monetario”. Invero, data l’ipotesi dell’offerta di moneta esoge- na, affinché l’equazione [2] esprima una tale teoria è necessario aggiungere l’ipotesi che la domanda di moneta sia fortemente anelastica rispetto alle variabili in v(…), oppure aggiungere l’ipotesi che queste variabili diventino tutte fisse o rigide. Solo cosí l’equazione [2] consente di affermare che ad una variazione di M segue una variazione direttamente proporzionale in Y.

Né, stando alla logica del Friedman, l’equazione [2] è in grado di esprimere una “teoria della produzione” o una teoria del “livello dei prezzi”. Detta equazione, infatti, se anche può suggerire che le variazioni di Y riflettono variazioni di M, non può stabilire quanto della variazione di Y si riflette sulla “pro- duzione reale” e quanto sui “prezzi”. occorre l’introduzione di “informazioni esterne” per sciogliere detto problema, che invero è di non difficile soluzione soltanto nel caso in cui dal processo informativo risulti che la capacità produttiva è pie- namente utilizzata.

anche su quest’altro versante si ritrova l’essenza della “rifor- mulazione” friedmaniana della teoria quantitativa: questa teo- ria è “in primo luogo una teoria della domanda di moneta”.

Non si può non esprimere – a questo punto – un giudizio positivo sulla tesi che considera la “teoria quantitativa di Frie-

dman” come teoria keynesiana “scritta in altro linguaggio” (Johnson 97, Patinkin 965).

Se, per un istante, si pone l’attenzione su alcuni passaggi formali di cui si nutre la logica del Friedman in tema di quan-

titativismo, non può non riconoscersi come, in effetti, vi fosse

in questo studioso la profonda volontà di confrontarsi con Keynes.

Come ben mostrano i concetti friedmaniani di “reddito permanente”, di “velocità permanente” e di “consumo per- manente”, il Friedman, in un certo senso, vuole combattere Keynes nel campo, strategico, del long run, proprio quel campo in riferimento al quale lo stesso Keynes aveva affermato, con vigore, che we are all dead.