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Dalle lettere al Viaggio. L’arrivo a Coccorich

II.1. Notizie dall’Adriatico

II.1.1. Dalle lettere al Viaggio. L’arrivo a Coccorich

La riflessione di Alberto Fortis sul genere odeporico può essere sviscerata attraverso il confronto di due diverse tipologie di scritti di viaggio.

Da un lato, il Viaggio in Dalmazia, e quindi un’opera carica di progettualità letteraria, in cui è forte la ricerca di genere, di forma, di stile e di linguaggio fondata, come sappiamo, su una serie di lettere fittizie. D’altro lato, le numerose epistole scritte durante i viaggi compiuti da Fortis fra il 1771 e il 1774.

Nello specifico, ora esaminerò la lettera del Viaggio riguardante la regione che Fortis indica come «Primorie, o sia regione Paratalassia degli antichi»138. L’epistola dedicata a Frederick Hervey, vescovo di Londonderry, verrà confrontata con la lettera realmente inviata a Giulio Bajamonti il 22 ottobre 1772 da Coccorich139, che tratta della stessa area geografica.

Si ha così nel Viaggio in Dalmazia un riutilizzo di materiali veri, ma che subiscono determinate modifiche proprio in funzione della realizzazione di un preciso modello di resoconto di viaggio e, allo stesso tempo, di un determinato ideale di viaggiatore.

Difatti, come prima cosa Fortis purga il resoconto a stampa di tutte quelle esagerazioni che secondo lui arricchiscono le produzioni degli scrittori odeporici del suo tempo. Nel Viaggio in Dalmazia si esauriscono i residui soggettivi presenti nel carteggio e Fortis si appresta a tagliare tutti i riferimenti al viaggio materiale.

Nella vasta gamma di inconvenienti registrati dall’epistolario privato del viaggiatore padovano, figurano la lunghezza e la fatica di alcuni spostamenti, la paura per la propria vita e anche alcune considerazioni pecuniarie. Fra quest’ultime ricordo

138 Mi riferisco, nello specifico, al capitolo «Dalle voragini di Coccorich; de’ laghi di Rastok, di Jezero, di Desna; e del fiume Trebisat», in A. FORTIS, Viaggio cit., pp. 182-212.

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BMCV, Mss. P. D. 770 c/29, Cartella Tessier, lettera del 22 e 23 ottobre 1772 di A. Fortis, Coccorich: a G. Bajamonti, Spalato. Questa lettera è stata pubblicata da A. TESSIER, Lettera dell’abate Alberto

Fortis padovano al dott. Giulio Bajamonti di Spalato tratta dall’autografo ed ora per la prima volta pubblicata, Antonelli, Venezia 1876 e recentemente da Ţ. MULJAĈIĆ, Putovanja Alberta Fortisa po Hrvatskoj cit., pp. 77-78, da cui cito.

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l’incontro con alcuni albergatori dal prezzo «più giudaico che Spalatrino»140

, il sofferto acquisto di alcune cuffie per la moglie del governatore Contarini e infine l’alto costo pagato per potersi portare appresso un disegnatore.

Le lettere private costituiscono una sorta d’integrazione alle informazioni riferiteci nel testo a stampa141, ma rivelano talvolta anche alcune contraddizioni interessanti. Vediamole più da vicino e prendiamo in considerazione il caso specifico della lettera del 22 ottobre 1772.

In questo contesto, viene disillusa la speranza di Fortis di arrivare fino a Mostar, in territorio turco, per far abbozzare al suo disegnatore il ponte antico della città. Nel volume a stampa, la colpa ricade su un ufficiale della Craina narentana che si rimangia la parola data rifiutandosi di accompagnarlo142. Nella lettera privata, invece, la situazione è capovolta: Fortis spiega che il suo proposito è stato vanificato perché proprio in quel periodo era in corso il periodo di «krvarina» provocato dall’uccisione di un turco per mano di un narentano. Nella stessa lettera, il viaggiatore padovano mette l’accento sui propri timori personali e sulla propria riluttanza a spingersi in territorio ottomano.

Nelle lettere scritte a caldo, inoltre, vengono anticipate alcune descrizioni che nella redazione del Viaggio tendono a diventare più specialistiche. Nella lettera esaminata, la descrizione dell’isola di Opus circondata dalle acque del fiume Narenta muta i propri connotati. Come vedremo più avanti, i contorni narentani sono oggetto di ripetute riscritture. Accanto alle rappresentazioni offerteci da questa lettera e dal

Viaggio in Dalmazia, ne ritroveremo una terza nella relazione sullo stato della pesca in

Dalmazia, stesa per il governo veneziano. Se ci limitiamo a considerare il Viaggio in

Dalmazia e l’epistola privata notiamo nel primo la sistematicità della narrazione che

valuta i pro e i contro della regione pestilenziale; nella lettera privata, invece, il viaggiatore esulta per aver scampato il pericolo di contrarre la malaria in una zona altamente a rischio. La precarietà della situazione è però percorsa da una dose di sarcasmo, che rivela in Fortis un autoironico registratore di avventure e che lo fa

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AMS, Documenti cit., XII/B-48-66, lettera del 30 giugno 1772 di A. Fortis, Zara: a G. Bajamonti, Spalato.

141 Sulla loro base, difatti, Muljaĉić ha proposto una ricostruzione temporale del percorso del viaggiatore; cfr. il lavoro di sintesi Ţ. MULJAĈIĆ, Putovanja Alberta Fortisa cit.

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concludere di non voler essere «beccato dal beccamorti» nell’atto di «beccar qui molte iscrizioni»143.

Sono particolarmente interessanti anche le riflessioni riguardanti la donna morlacca. L’episodio è chiarificatore di un punto di vista caleidoscopico, che muta a seconda del destinatario. Nella lettera privata, Fortis dice che le belle e numerose fanciulle della casa del voivoda Pervan gli vengono tenute nascoste di proposito, anche se loro fanno il possibile per farsi vedere. Come possiamo notare, in questo caso, Fortis accentua il desiderio delle donne locali di interagire con lui, con lo straniero. Nel

Viaggio in Dalmazia, invece, quelle stesse fanciulle vengono tratteggiate nel

divertimento che la presenza straniera occasiona. Difatti, le ragazze fanno a gara per spiare il viaggiatore e il suo disegnatore dalle fessure delle porte, quasi fossero «due strani animali sì nel vestito che nelle maniere»144. Lovrich non tarda a mettere in discussione Fortis anche su questo punto, considerandolo, invece, un fatto puramente casuale. Inoltre, è interessante notare che Ernst Friedrich Germar, un altro viaggiatore naturalista in Adriatico, di cui parlerò in seguito, descrive il proprio rapporto con i Dalmati proprio in questi termini.

Ritornando alle parole fortisiane della lettera privata, il viaggiatore mira a evidenziare innanzitutto la tendenza a far allontanare le donne dai forestieri. Su questa scia, il breve passo che riguarda quest’episodio viene scandito dalla ripetizione dell’espressione «alla Turchesca»145

(ripetuta ben tre volte in una stessa frase). In tutta la lettera è viva la presenza turca che contribuisce a costruire l’idea della Dalmazia come frontiera. Nel resoconto odeporico, invece, l’autore non insiste su queste commistioni culturali.

Sempre scrivendo a Giulio Bajamonti, Fortis esagera enormemente la difficoltà del tragitto percorso per raggiungere una località dell’interno dalmata, posta alle spalle

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Lettera del 22 e 23 ottobre 1772 cit., p. 78.

144

A. FORTIS, Viaggio cit., p. 201. A questo proposito sottolineo uno baglio d’interpretazione di Marin Knezović. Lo studioso riporta nel suo saggio tali parole (virgolettate e tratte dall’edizione croata del

Viaggio, cfr. Put po Dalmaciji, a cura di J. Bratulić, traduz. italiana di M. Maras e traduz. latina di D.

Novaković, Globus, Zagreb 1984, p. 235) come esempio della volontà del Fortis di marcare l’aspetto selvaggio dei Morlacchi. In realtà, la prospettiva è ribaltata: nel senso che, in questo caso, sono i viaggiatori a essere considerati dei diversi e non le Morlacche. Cfr. M. KNEZOVIĆ, Morlak kao prirodni

čovjek u djelima Alberta Fortisa, Ivana Lovrića i Balthasara Hacqueta, in Triplex confinium (1500-1700): ekohistorija, Zbornik radova sa meĊunarodnog znanstvenog skupa (od 3. do 7. svibnja 2000.

godine), Knjiţevni Krug, Split-Zagreb 2003, p. 129.

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del monte Biocovo. Egli è costretto a percorrere a piedi, senza l’aiuto del cavallo, un bel tratto di strada, e arriva a destinazione, come dice, «con un piede guasto di una scorticatura crudele»146. Nel resoconto a stampa non si trova nulla di tutto questo: l’enfasi si riduce e anche la difficoltà di un viaggio intrapreso a piedi ma anche a cavallo. Nel Viaggio in Dalmazia, scrive di aver impiegato «sei grosse ore nel varcare la montagna per la strada de’ quadrupedi» e di non esser riuscito a proseguire il viaggio «così comodamente» a causa dei massi dirupati del Biocovo147.

Nel resoconto a stampa l’attenzione si concentra, invece, sull’ospitalità cortese del voivoda Pervan. Si smorza l’amplificazione della fatica del viaggio in favore di un’apologia del Morlacco. Si ha anche in questa circostanza l’esaltazione dell’estrema generosità morlacca accompagnata dalla descrizione della «meravigliosa destrezza» e dell’agilità di questi abitanti148

, che sembrano uccelli in volo fra i dirupi.