6. L'aborto dopo il primo trimestre Una finestra
6.1 Il danno da nascita indesiderata
Il danno da nascita indesiderata rientra nel più ampio novero delle responsabilità mediche per condotte professionali e ricorre nei casi in cui alla gestante viene negata la possibilità di interrompere la gravidanza, in quanto, per errore del medico non vengono rilevate delle malformazioni congenite del feto. E' dei giorni nostri l'ultima presa di posizione della Cassazione,
74. Negli stessi termini, la Corte si era già espressa nel 2002, con la sent. n. 6735 e nel 2004, con la sent. n. 14488.
l'ordinanza interlocutoria n. 3569 del 23.02.2015 della terza sezione civile, dove l’azione era stata intrapresa da una coppia di coniugi per ottenere il risarcimento dovuto alla nascita della loro
figlia affetta dalla sindrome di Down. In particolare, secondo i ricorrenti, i sanitari avrebbero omesso di prescrivere alla gestante i dovuti approfondimenti nonostante i risultati degli esami ematochimici avessero fornito risultati non tranquillizzanti. Il Tribunale di Lucca (in primo grado) e la Corte d’Appello di Firenze avevano rigettato la domanda attorea in quanto non avevano ritenuto raggiunta la prova del pericolo per la salute fisica o psichica della gestante, condizione legittimante il ricorso all’aborto oltre il novantesimo giorno. Inoltre, i giudici, negavano la possibilità di configurare un risarcimento direttamente in capo alla figlia sostenendo che nel nostro ordinamento non sussiste un diritto a non nascere se non sano.
Gli Ermellini, nella loro pronuncia, evidenziano le due questioni oggetto di dibattiti giurisprudenziali e dottrinali e rimettono la questione alle Sezioni Unite.
La prima problematica è quella inerente all’onere della prova. Sul punto, La Corte evidenzia come l’onere probatorio a carico
della gestante non si limiti solo alla dimostrazione del nesso causale tra l’inadempimento dei sanitari e il mancato aborto, ma comprende anche la dimostrazione della sussistenza delle condizioni previste dalla legge n. 194/78 (ossia la presenza di processi patologici che determinino un grave pericolo per la salute fisica e psichica della stessa)75.
La seconda questione, che la Suprema Corte ha ritenuto di dover assegnare all’esame delle Sezioni Unite, riguarda la legittimazione del nato a pretendere il risarcimento del danno a carico del medico che, col suo inadempimento, ha privato la gestante della possibilità di ricorrere all’aborto.
Il dibattito su tale punto è sorto negli ultimi anni, alimentato dalle pronunce n. 9700/2011 e n. 16754/2012 della Suprema Corte. In
75. Invero, nell’ultimo decennio, la Corte si è più volte pronunciata sul problema dell’onere della prova e, nonostante la pacifica premessa per cui la gestante ha l’onere di dimostrare che la conoscenza delle patologie del feto l’avrebbero spinta a ricorrere all’aborto, si sono avuti diversi orientamenti con riferimento al contenuto di tale onere probatorio. In particolare, secondo un primo orientamento, sarebbe sufficiente che la “donna alleghi che si sarebbe avvalsa della facoltà di abortire qualora fosse stata a conoscenza delle malformazioni del feto” (Cass. n. 14488/2004). Con riguardo, invece, alla sussistenza dei requisiti di legge per ricorrere all’aborto,” l’esigenza di prova sorge solo qualora il fatto venga contestato dalla controparte”(Cass. n. 22837/2010).
Un nuovo orientamento critica tale impostazione e ritiene che “in mancanza di una espressa ed inequivoca dichiarazione della volontà di interrompere la gravidanza in caso di malattia genetica, la mera richiesta di un esame diagnostico costituisce un indizio isolato” (Cass. n. 16754/2012). Secondo tale orientamento sarà, dunque, compito dell’attrice quello di integrare il contenuto di tale dichiarazione con elementi ulteriori da sottoporre al vaglio del giudice per dimostrare la reale volontà della stessa di ricorrere all’aborto in caso di malformazioni genetiche del feto.
precedenza, infatti, si era andato consolidando un orientamento univoco che negava, in modo costante, la configurabilità di un diritto a non nascere se non sano. Le argomentazioni poste alla base di questo orientamento erano molteplici.
In primo luogo, la giurisprudenza di legittimità faceva rilevare che nel nostro ordinamento non è prevista la possibilità di praticare l’aborto cd. eugenetico o selettivo, per cui, non essendo la patologia insorta a causa della mancata diagnosi da parte dei sanitari, non si può configurare una responsabilità dei medici per i danni sofferti dal bambino nato malato e quindi, indesiderato. In altre pronunce che confermavano tale orientamento si evidenziava che ad essere tutelato dall’ordinamento giuridico è il diritto a nascere sano, dunque si tratta di una tutela “positiva” in base alla quale non possono procurarsi al nascituro lesioni o malattie.
Tale orientamento, come detto, è stato travolto da un inatteso
revirement della giurisprudenza di legittimità. Dapprima, infatti,
la Suprema Corte ha aperto la strada ad un risarcimento azionabile dal figlio dopo la nascita il quale, “per la violazione
dell’autodeterminazione della madre, si duole non della nascita ma del proprio stato di infermità”. A questa prima inattesa pronuncia, che ha previsto un risarcimento in capo al figlio ma non configurando un diritto a non nascere se non sano, è seguita altresì la sentenza n. 16754/2012 che ha completato il revirement prevedendo espressamente il diritto in capo al nascituro “ad essere risarcito da parte del sanitario, con riguardo al danno consistente nell’essere nato non sano, e rappresentato nell’interesse ad alleviare la propria condizione di vita impeditiva di una libera estrinsecazione della personalità, a nulla rilevando né che la sua patologia fosse congenita, né che la madre, ove fosse stata informata della malformazione, avrebbe verosimilmente scelto di abortire”. Rimane però maggioritaria la posizione di chi sostiene l'escludibilità di pratiche eugentiche, ammettendesi pertanto - oltre il terzo mese di gravidanza - il solo aborto a fini terapeutici, vale a dire giustificato da motivi che dimostrano il pericolo per la salute psico-fisica della donna. Alle pronunce della Corte di Cassazione va però aggiunta la Sentenza 96/2015 della Corte Costituzionale di cui sopra76, che aprendo la 76 Supra, par . 4.
strada per un'interpretazione diversa, pare consentire valutazioni meramente selettive, sul presupposto che a disciplina invariata della legge 40 sarebbe prevedibile che la coppia che si vedesse negare la diagnosi preimpianto, ove la gravidanza mettesse in luce gravi malformazioni o anomalie del feto, questi ricorrebbero in ogni caso alla disciplina di cui l'articolo in questione.