1. INTRODUZIONE
1.7. DATI EPIDEMIOLOGICI SUL DISAGIO PSICOSOCIALE
La progressiva riduzione dell’incidenza delle malattie professionali determinate dai rischi tradizionali e la definizione di salute dell’OMS quale “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza di malattia” ha indotto gli organi deputati alla tutela della salute dei lavoratori ad occuparsi dei rischi psicosociali ed organizzativi.
Un’importante sollecitazione all’approfondimento del fenomeno è derivata dalla necessità di fornire risposte adeguate alle richieste di riconoscimento di patologie psichiche lavoro-correlate che, dalla fine degli anni Novanta, sono pervenute all’INAIL in numero progressivamente crescente.
La sentenza della Corte Costituzionale n. 179/1988 ha introdotto nel sistema di tutela sociale delle malattie professionali il cosiddetto “sistema misto”, che estende la tutela a tutte le malattie di cui sia dimostrata la causa di lavoro. Per le malattie professionali “non tabellate” non vige però la presunzione legale di origine e il lavoratore deve provare che la patologia dalla quale è affetto è stata contratta a causa dell’attività lavorativa espletata.
Alla luce di tale sentenza, interpretata anche in relazione all’evoluzione delle forme di organizzazione dei processi produttivi e dell’accresciuta attenzione, anche legislativa, ai profili di sicurezza e salute sul lavoro, il Comitato Scientifico istituito dall’INAIL nel luglio 2001 con il compito di approfondire il tema delle “malattie psichiche e psicosomatiche da stress e disagio lavorativo, compreso il mobbing”, riteneva che il rischio tecnopatico assicurativamente rilevante fosse non solo quello collegato alla nocività intrinseca delle lavorazioni, tabellate e non, in cui si sviluppa il ciclo produttivo aziendale, ma anche quello riconducibile alla concreta organizzazione aziendale in cui si svolgono le prestazioni lavorative. Nel documento elaborato da tale comitato veniva per la prima volta introdotto il termine di “costrittività organizzativa” per indicare quelle situazioni di incongruenza delle scelte di processo organizzativo, di cui si allegava un
elenco indicativo non esaustivo, che possano determinare “stress lavorativo e di conseguenza patologie psichiche e psicosomatiche specifiche”. Per assumere il carattere di rischio tutelabile le costrittività organizzative dovevano avere caratteristiche strutturali, durature ed oggettive e, come tali, verificabili e documentabili tramite riscontri oggettivi e non suscettibili di discrezionalità interpretativa. Nella relazione erano individuate le due sindromi che, secondo la classificazione dei disturbi psichici e comportamentali dell’ICD-10 e secondo il DSM-IV, sono correlate allo stress, cioè la sindrome da disadattamento e la sindrome post-traumatica da stress. La prima si manifesta in risposta ad uno o più fattori stressanti non estremi, mentre la seconda rappresenta la risposta ritardata o protratta ad un evento fortemente stressante o ad una situazione altamente minacciosa o catastrofica, in grado di provocare diffuso malessere in quasi tutte le persone.
Le malattie da disagio psicosociale sono tuttora non tabellate non essendo infatti state inserite neppure nelle tabelle emanate con D.M. 9 aprile 2008 ed in vigore dal 22 luglio dello stesso anno. Le malattie psichiche e psicosomatiche dovute a disfunzione dell’organizzazione del lavoro erano state invece previste dal D.M. 14 gennaio 2008, nel Gruppo 7 dalla Lista II, che ricomprende malattie la cui origine professionale è di limitata probabilità.
Nel 2009 la Direzione Generale dell’INAIL ha reso disponibili i risultati di uno studio condotto sulle denuncie delle malattie psichiche e psicosomatiche da costrittività organizzativa presentate all’istituto dal 2000 al 31 dicembre 2008. Questi dati sono sicuramente parziali in quanto la tutela assicurativa agisce solo quando la noxa patogena ha determinato nel lavoratore l’insorgenza di uno stato di malattia acuta o cronica, non essendo prevista ad oggi una tutela per le condizioni di disagio transitorio, che senza dubbio rappresentano le condizioni più frequenti.
36 Gestione Anno denuncia 2004 2005 2006 2007 2008 Agricoltura 1.074 1.318 1.445 1.845 1.817 Industria e servizi 25.235 25.111 25.022 26.743 27.539 Dipendenti conto Stato 285 323 320 392 348
Totale 26.596 26.752 26.787 28.978 29.704
Nella Tabella 1 sono riportate le denuncie per ogni singolo anno nelle principali gestioni Industria, Agricoltura e Stato. Il numero di denuncie rimasto sostanzialmente stabile nel primo triennio è accresciuto nel 2007 (+7,4%) e seppure in misura inferiore nell’anno successivo (+3,2%). L’incremento ha riguardato soprattutto le malattie non tabellate che nel 2008 hanno rappresentato l’86% di tutte le patologie denunciate. Per quanto riguarda i disturbi psichici lavoro correlati, il dato nel quinquennio 2004-2008 si è attestato sul numero di denunce pari a circa 500 per anno (Tabella 2). Come si evince dalla tabella, questo tipo di patologia è risultata pervenire in netta prevalenza dal settore industria e servizi con oltre il 94% delle denunce, mentre sembra rappresentare un fenomeno del tutto residuale nel mondo agricolo (0,6% del totale).
Tabella 2 – Disturbi psichici lavoro correlati 2004 - 2008
Gestione
Anno denuncia Totale
2004 2005 2006 2007 2008
Agricoltura 2 3 4 5 2 16
Industria e servizi 485 511 486 505 429 2416 Dipendenti conto Stato 26 24 21 36 29 136
Totale 513 538 511 546 460 2568
Nel quinquennio di riferimento le denunce di questa tecnopatia hanno rappresentato complessivamente il 2,35% (Figura 1) di tutte le malattie professionali non tabellate, con un modesto ma progressivo decremento nel corso degli anni della quota percentuale, che dal 2,5% nel periodo 2004-2005 diventa 2,3% nel biennio successivo.
Figura 1 – Distribuzione delle denunce di MP non tabellate 2004 – 2008
L’analisi di maggior dettaglio eseguita a livello centrale sui casi definiti con esito positivo, ha evidenziato che la prevalenza del sesso maschile già
38 evidente nei casi denunciati (poco meno del 55%) è ancor più evidente tra quelli ammessi a tutela, 60%.
Tuttavia, per ritenersi reale tale prevalenza dovrebbe essere confermata da una rivalutazione che tenesse conto del diverso tasso di occupazione femminile, notoriamente inferiore al maschile.
Relativamente all’età sono i lavoratori ultracinquantenni quelli che più spesso presentano segni di sofferenza psicologica per situazioni di stress o di disagio lavorativo, essendo i soggetti più “deboli” rispetto alle continue modificazioni del mondo del lavoro imposto dalle logiche di mercato, in quanto ancora giovani per lasciare il mondo del lavoro, ma già vecchi per trovare facilmente una nuova collocazione.
Nel 40% dei casi la denuncia è stata presentata da lavoratori di età superiore a 50 anni. Oltre 2/3 delle patologie riconosciute riguardano soggetti di età superiore a 46 anni.
l D.Lgs 23 febbraio 2000, n.38, ha introdotto nell’ambito del sistema assicurativo il ristoro del danno biologico permanente conseguente agli infortuni sul lavoro ed alle malattie professionali, in luogo delle prestazioni previste dal Testo Unico n. 1124/1965.
Il danno biologico, inteso come lesione all’integrità psicofisica della persona, viene valutato con riferimento alle specifiche “tabelle delle menomazioni” e dà diritto ad un indennizzo che a seconda dell’entità del danno è erogato in capitale o in rendita. Per le menomazioni di grado pari o superiore al 6% ed inferiore al 16%, l’indennizzo è erogato in capitale; per quelle di grado pari o superiore al 16% in rendita.
La tabella delle menomazioni relative al danno biologico prevede 2 voci attinenti al disturbo post-traumatico da stress cronico: la forma di grado moderato (voce 180), fino al 6%, e quella di entità severa (voce 181), fino al 15%. Per il danno biologico conseguente al disturbo da disadattamento cronico non sono previste autonome voci di menomazione.