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Oltre al già citato profilo autoanticorpale caratteristico, nella sclerosi sistemica si può avere un incremento degli indici di flogosi (VES e PCR) e non è infrequente riscontrare anemia. Quest’ultima si associa a diverse cause, tra cui i sanguinamenti gastrointestinali, il deficit di vitamina B12 e acido folico per l’eccessiva crescita batterica nell’intestino atonico e/o l’uso

cronico di inibitori di pompa protonica, e l’emolisi microangiopatica93,121.

L’ipocomplementemia, ovvero ridotti livelli del complemento (C3 e C4) nel sangue, può essere presente. E’ stato evidenziato che si associa ad un particolare sottogruppo di pazienti, quelli con sindrome overlap. Infatti la percentuale di miositi e vasculiti in caso di

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ipocomplementemia è rispettivamente del 27% e 12%, contro il 12% e 2% in caso di livelli

di complemento nella norma122.

Infine, il dosaggio sierico della molecola NT-proBNP (frammento N-terminale della proforma di Brain Natriuretic Peptide, peptide natriuretico cerebrale) correla con l’impegno vascolare polmonare nella SSc. La sua importanza aumenta nelle condizioni di pressioni polmonari ‘borderline’ non ancora francamente patologiche. Elevati livelli di NT-proBNP riflettono anche il grado di coinvolgimento del ventricolo destro e sinistro (in termini di

sovraccarico, alterazione della morfologia, riduzione della contrattilità)101,102. Anche

condizioni di interessamento subclinico possono essere sospettate nel caso di riscontro di

aumentati livelli della molecola108,109.

DECORSO e PROGNOSI

Il decorso della sclerodermia è variabile e difficile da valutare nella malattia in fase precoce, almeno finché non assume le caratteristiche cliniche tipiche di uno dei vari sottogruppi. I pazienti con la forma limitata, e ACA+, presentano prognosi favorevole, esclusi quei pochi casi (10%) che dopo 10-20 anni sviluppano ipertensione polmonare. Altre cause di mortalità per i pazienti con lcSSc, ancora più rare, sono la cirrosi biliare primitiva e il malassorbimento intestinale. La sopravvivenza generale dei pazienti a 5 anni è del 90% e a 10 anni del 75%. I pazienti con la forma diffusa hanno una prognosi generalmente peggiore. I maschi, seppure colpiti con minore frequenza, hanno un decorso peggiore rispetto alle femmine. L’indice di sopravvivenza cumulativa è del 70% a 5 anni e del 55% a 10 anni.

Recentemente è stato proposto un modello prognostico per stratificare i pazienti in gruppi sulla base del rischio di mortalità a breve termine. Gli autori hanno infatti evidenziato quattro variabili indipendenti prognostiche per i pazienti con SSc: età alla prima visita, rapidità di progressione dell’ispessimento cutaneo, severità di coinvolgimento del tratto gastro-

intestinale e anemia123.

Dopo anni di malattia la cute può ammorbidirsi, oltre che grazie alla terapia, spontaneamente. La sclerodattilia, le contratture in flessione e l’atrofia della cute sono

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TERAPIA

Ad oggi non ci sono terapie in grado di guarire la sclerodermia. L’approccio terapeutico va distinto in due target: terapia della patologia nella sua globalità, tesa ad interferire sulle tappe del processo patogenetico di base, e terapia dell’interessamento d’organo, volta a ridurre i

sintomi e migliorarne la funzionalità124. Le evidenze di efficacia terapeutica sono in genere

deboli, data la mancanza di studi randomizzati dovuto al fatto che la SSc è una malattia rara ed estremamente eterogenea. E’ pertanto importante adattare la terapia all’espressione

clinica del singolo paziente56.

Riguardo alla terapia di fondo, la mancanza di certezze sulla patogenesi impedisce l’utilizzo di un farmaco in grado di guarire la SSc. Sono stati utilizzati vari farmaci che hanno dato risultati contrastanti, tra questi D-penicillamina (oggi abbandonata), colchicina, IFN,

relaxina umana ricombinante, farmaci monoclonali anti-TGF Beta. Più recentemente sono

stati utilizzati numerosi farmaci immunosoppressivi, tra cui ciclofosfamide (CYC),

micofenolato mofetile (MMF), azatioprina (AZT), ciclosporina (CyA) e metotrexate

(MTX), che sarebbero utili nelle forme di SSc diffusa nelle fasi precoci e più in generale

nella gestione dell’interessamento cutaneo e polmonare56,125. Nell’ambito della terapia di

fondo vanno considerate anche le tecniche di aferesi. Dopo cicli di plasmaferesi si è riscontrato un miglioramento delle manifestazioni cutanee, vascolari e periferiche. Nei casi più gravi si è ricorso al trapianto autologo di midollo per cercare di eliminare i cloni cellulari inducenti autoimmunità; l’approccio trapiantologico è stato introdotto dopo l’osservazione in pazienti con emolinfopatie e concomitanti patologie autoimmuni che il trapianto era efficace anche nella cura della malattia autoimmune. Ad oggi si tende a ricorrere al trapianto

in quei pazienti con dc-SSc rapidamente progressiva a prognosi severa126,127.

Per quanto riguarda la terapia dell’interessamento d’organo, sono state pubblicate

recentemente linee guida125. La terapia dell’impegno vascolare si basa su farmaci come

calcio antagonisti, ACE-inibitori, antagonisti del recettore dell’endotelina, inibitori delle fosfodiesterasi e analoghi della prostaciclina, il cui impiego verrà trattato nel capitolo

specifico.

Il trattamento dell’impegno cutaneo è centrale nella gestione della SSc, e va dall’applicazione topica di idratanti a base di lanolina, all’impiego, nei casi più severi, di immunoterapia a base di ciclofosfamide o metotrexate entrambi in grado di migliorare il grado di fibrosi cutanea. Dati recenti dimostrerebbero l’efficacia sull’impegno cutaneo del

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In caso di interessamento polmonare, il trattamento dipende dall’entità di coinvolgimento d’organo: la terapia immunosoppressiva è indicata in caso di interessamento diffuso, basata su ciclofosfamide endovena o su micofenolato, in alternativa o in seguito alla CYC. Il riconoscimento di un’alveolite nelle fasi iniziali permette il precoce instaurarsi di un trattamento in grado di rallentare o prevenire la fibrosi. La fibrosi non è reversibile, pertanto la terapia è sintomatica o volta alla gestione delle complicanze: antibiotici nel caso di infezioni polmonari, ossigeno-terapia in caso di ipossia e vaccinazione anti-pneumococcica e anti-influenzale annuale a scopo preventivo. In caso di PAH, gli studi disponibili sono relativi alla gestione delle forme idiopatiche e secondarie (tra cui la sclerodermica) di PAH, mentre mancano studi specifici sulle forme di PAH sclerodermica. La terapia della PAH è particolarmente complessa perché deve tenere conto di molti fattori, tra cui la valutazione della severità, le misure generali e di supporto, le terapie associate e la valutazione dell’efficacia delle cure. Tra i farmaci utilizzati, dimostratisi in grado di migliorare la sintomatologia e ridurre il tasso di progressione, si hanno gli antagonisti dell’endotelina (Bosentan, Macitentan, Ambrisentan), gli inibitori della fosfodiesterasi (Sildenafil, Tadalafil), il Riociguat (stimolare della guanilato ciclasi solubile indipendentemente dal NO) e gli analoghi delle prostaciciline. Tra questi ultimi si utilizza Ventavis, forma inalatoria di iloprost, o iloprost e epoprostenolo endovena nelle PAH di grado severo; anche treprostinil

sottocute ha dimostrato buoni risultati9.

In caso di interessamento gastro-intestinale si utilizzano inibitori di pompa protonica,

antagonisti del recettore dell’istamina H2 e antagonisti della dopamina procinetici, anche

per lunghi periodi, se presente reflusso e disfagia, terapia che deve essere associata al cambiamento delle abitudini come evitare l’assunzione di caffè, alcol, cioccolata e il consumo di pasti grassi in tarda serata. In caso di stipsi si utilizzano procinetici o prodotti

ammorbidenti le feci, fino a blandi lassativi. In caso di severa perdita di peso si ricorre alla nutrizione parenterale. In caso di sindrome da malassorbimento per eccessiva crescita di

batteri sono indicati cicli di antibiotici a largo spettro.

In caso di xeroftalmia sono disponibili lacrime artificiali da utilizzare quotidianamente. Nel paziente che presenta fattori di rischio per crisi renale sclerodermica è consigliato il controllo settimanale della pressione arteriosa. Il riconoscimento della crisi deve essere gestito con immediata somministrazione di ACE-inibitori. Particolare attenzione deve essere prestata all’uso di glucocorticoidi che sembrerebbero essere associati, in particolare per dosaggi superiori a 6.5 mg di prednisone o dosaggi equivalenti, ad incrementato rischio di crisi renale. Il loro utilizzo nella SSc va eseguito con cautela, seppure si sono dimostrati efficaci per ridurre l’edema cutaneo nella fase iniziale e le algie tendinee e articolari.

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I sintomi articolari sono gestiti sia con FANS che con glucocorticoidi, seppure la fisioterapia svolge un ruolo importante nel limitare la perdita di mobilità tipica di questi pazienti. Le manifestazioni muscoloscheletriche si giovano anche di terapie immunosoppressive. Pleurite, pericardite e miosite rispondono generalmente agli steroidi a dosi medie.

Rimane complessa la gestione della calcinosi, che se complicata da sovrainfezione richiede un appropriato trattamento antibiotico, mentre nei casi particolarmente severi di calcinosi refrattarie, che limitano l’autonomia funzionale e la qualità di vita, è indicato l’intervento

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