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ha dato prova dinanzi al mondo di agire con fermezza, ma di non disgiungere tale fermezza da un

senso di benevola accondiscendenza verso il popolo egiziano che desidera proteggere e sorreggere erga

entro tre anni, la costituzione sarebbe stata modificata nella parte relativa alla legge elettorale e alla libertà di stampa, ogni comizio e assembramento sarebbe stato vietato, il nuovo governo si sarebbe ispirato al corporativismo di natura fascista, in ossequio all’Italia e al Duce. Affermava Fuad: “Io sono un sincero ammiratore del Signor Mussolini, io sono per l’azione, il parlamentarismo è fatto di chiacchiere”331. Una

dichiarazione che compiaceva il Duce e faceva ben sperare per la futura politica fascista332. Quanto alla sorte di Nahas, mi rifarò alle parole di Paternò:

“Nahas pascià continua da parte sua ad agitarsi nel Paese e prepara la campagna elettorale sulla sola piattaforma che può ancora giovargli: l’antibritannismo. Egli raduna la gente, parla continuamente, e cerca di eccitare gli animi alla riscossa. Non è priva di significato la sua intervista al “Daily Telegraph” in cui afferma che il suo successore nel governo non potrà realizzare il successo, perché egli non è né Mussolini, né Cronwell. È questa la prima frase sennata pronunziata in pubblico dall’ex Presidente del Consiglio”333.

Come già detto, l’incarico di formare il governo venne dato al liberale Mohammed Mahmud pascià334, ma in seguito alle violente reazioni della Camera,

composta in gran maggioranza di wafdisti, il Consiglio dei ministri chiese ed ottenne dal re (19 luglio) lo scioglimento del Parlamento per il periodo di tre anni335. Il giorno

successivo, in un’intervista al corrispondente del “Times”, il Primo Ministro così delineò i suoi propositi in quella difficile contingenza: “Non sarò un tiranno ma, se necessario, sarò un dittatore, un dittatore benevolo. Noi non abbiamo paura del compito che ci siamo assunti, giacché siamo decisi a riportare l’onestà e l’ordine nel governo di questo paese”336.

331 Ivi, 22 settembre 1928.

332 Grandi non mancò di comunicare al Cairo come le parole di Fuad fossero state accolte con grande

soddisfazione dal Duce: “La prego di voler trovar modo di far conoscere a S.M. il re Fuad che S.E. il capo del governo ha seguito con vivo compiacimento l’energica azione svolta dalla Maestà Sua per addivenire allo scioglimento della Camera e del Senato egiziano. Per S.E. il capo del governo è stato motivo di vera soddisfazione il constatare che il governo egiziano si è ispirato in questa occasione alle direttive dell’Italia fascista. S.E. il capo del governo è convinto che i provvedimenti adottati da S.M. il re Fuad avranno risultati felici per lo stabile assetto e il sicuro sviluppo della vita politica ed economica dell’Egitto, la cui prosperità ed il cui benessere stanno profondamente a cuore dell’Italia. DDI, Serie VII, 1922-1935, vol. VI, doc. 515, Il sottosegretario agli Esteri, Grandi, al ministro al Cairo, Paternò, 24 luglio 1928.

333 Ivi, 13 luglio 1928.

334 Mohammed Mahmud Pascià era stato uno dei capi della delegazione egiziana da cui aveva tratto

origine il Wafd e nel 1919 era stato uno dei tre compagni d’esilio di Zaghlul, da cui si era poi allontanato non per differenze di idee, ma di metodo.

335 “Journal Officiel” egiziano, numero straordinario del 19 luglio 1928. 336 “Oriente Moderno”, VII, 1928, p. 363.

Una delle principali preoccupazioni di Mahmud pascià fu quella di ristabilire normali, se non proprio cordiali, relazioni con le autorità britanniche e di riallacciare i contatti in vista di una possibile ripresa dei negoziati per risolvere almeno alcune delle più spinose questioni pendenti fra i due paesi. I suoi obiettivi furono, in partenza, ben delimitati e circoscritti: valutando la situazione con realismo e le probabilità di successo, lungi dall’intavolare trattative di carattere generale, preferì affrontare separatamente i singoli punti, in modo da eliminare per gradi le più grosse difficoltà che avevano fino a quel momento impedito un’intesa anglo-egiziana. Come si ricorderà, uno degli argomenti più ardui era rappresentato dal regime politico del Sudan. Ma la possibilità di un accordo su tale questione era in realtà condizionato alla previa rimozione di una serie di ostacoli e fra di essi, in primo luogo, quello del regime delle acque del Nilo, da cui dipendeva lo sviluppo agricolo dell’Egitto. Era questo uno dei tre punti che avevano determinato l’insuccesso dei negoziati Sarwat-Chamberlain del 1927. I primi contatti con la Residenza inglese ebbero inizio nel gennaio 1929 e, contrariamente alle previsioni, procedettero con una certa speditezza, tanto che un accordo poté essere raggiunto il 7 maggio successivo, mediante uno scambio di note. La nota egiziana constava di un preambolo e di cinque articoli. Nel preambolo, il governo egiziano, nel mentre riconosceva l’impossibilità di rinviare la conclusione di un accordo sulle acque del Nilo al previo regolamento dell’intera questione sudanese, precisava che esso intendeva riservarsi ogni maggiore libertà d’azione per qualunque negoziato sullo status giuridico del Sudan. Seguiva il testo della Nota. Il governo egiziano consentiva, con particolari cautele e limitazioni, a un adeguato aumento delle superfici irrigue del Sudan, da attuarsi però in maniera tale da non pregiudicare i diritti naturali e storici dell’Egitto sulle acque del Nilo e alle esigenze del processo agricolo. Le successive disposizioni erano dirette a consentire un più effettivo controllo dell’Egitto sulle acque del Nilo ed a fissare le relative garanzie. La Nota britannica aderiva al punto di vista egiziano confermando che l’accordo non aveva “alcun rapporto diretto con lo status quo del Sudan”, e che il governo di Londra aveva “già riconosciuto i diritti naturali e storici dell’Egitto sulle acque del Nilo”337.

L’accordo rappresentava un primo passo in avanti sulla via di un chiarimento dei rapporti anglo-egiziani. Nuove e più favorevoli prospettive parvero presentarsi subito dopo, col ritorno dei laburisti al potere in Inghilterra.

5.6. Il gabinetto laburista e l’allontanamento di Lord Lloyd

Per più di un anno – dal giugno 1928 all’ottobre 1929 – la vita politica egiziana fu caratterizzata da una certa stabilità, garantita dall’isolamento del Wafd, dalla soppressione d’ogni forma di manifestazione di dissenso, da un Primo Ministro docile alle ingiunzioni reali e, soprattutto, inglesi.

Nel giugno del 1929, dopo la sconfitta alle elezioni, il gabinetto conservatore lasciò il posto a quello laburista presieduto da MacDonald ed avente agli Esteri Henderson. Da quel momento la posizione di Lord Lloyd, la cui nomina aveva suscitato, a suo tempo, le più vive reazioni laburiste, divenne insostenibile.

Il telegramma inviato dal Primo Ministro in Egitto diceva testualmente:

“Nel breve tempo che ho avuto a disposizione da quando ho assunto il mio ufficio, ho cercato di passare in rassegna, nelle sue linee generali, l’insieme degli avvenimenti politici svoltisi in Egitto dopo il 1924. Per essere assolutamente schietto, ritengo dovervi dire che sono rimasto impressionato dalla divergenza di opinioni che di volta in volta si è verificata fra il mio predecessore e la S.V. Che questa divergenza di opinioni sia perfettamente sincera è cosa che io non pongo in dubbio per un solo istante; ma confesso che essa mi sembra così profonda da essere insanabile. Il successo della mia politica, che non sarà certamente meno liberale del mio predecessore, dipenderà dal grado di intelligenza e di simpatia con cui essa potrà essere interpretata dal rappresentante di Sua Maestà. Basandomi sulla recente corrispondenza, mancherei di franchezza se non vi avvertissi che la possibilità di conciliare il vostro punto di vista con quello del mio predecessore o con quello mio mi sembra remota; in queste circostanze desidererei discutere con Voi della situazione al Vostro ritorno”338.

La lettera era dura ed implicito era altresì l’invito a lasciare la carica. Le dimissioni furono infatti presentate poco dopo da Lord Lloyd, a seguito di un suo colloquio col ministro degli Esteri, con la seguente comunicazione:

“Dopo il mio ritorno dall’Egitto ho riflettuto, alla luce del mio recente colloquio con Voi, sulla situazione determinata dall’avvento di un nuovo governo in Inghilterra e sulla politica che io 338 LORD G. LLOYD, op. cit., vol. II, pp. 303-323.

credo debba essere seguita negli affari d’Egitto. Avevo ogni speranza ed ogni desiderio di continuare a prestare servizio sotto la nuova amministrazione; ma sono giunto a malincuore alla conclusione che non è probabile che le mie opinioni siano in sufficiente armonia con le Vostre in modo da consentirmi di assolvere coscienziosamente i miei doveri di fronte al governo di Sua Maestà”339.

Le forzate dimissioni di Lord Lloyd rappresentarono un vero e proprio colpo di scena nella vita politica egiziana. L’Alto Commissario inglese in Egitto, con la propria personalità carismatica e dominatrice, era riuscito a rinsaldare le posizioni britanniche nel paese, nonostante la sua politica intransigente gli avesse procurato l’ostilità dell’opinione pubblica egiziana e dei laburisti inglesi che attribuivano proprio alla sua radicale politica il fallimento dei vari progetti di trattato. Ripercorrere brevemente la sua politica ci permetterà di cogliere non solo le tappe e le incomprensioni che lo portarono alle dimissioni, ma anche un importante scorcio delle relazioni anglo-egiziane.

Lord Lloyd, tipico esempio di funzionario imperiale, tentò, in ognuna delle crisi, di ridurre l’attività del Parlamento, i cui ampi poteri intralciavano continuamente il suo programma, di annientare la costituzione e tutti i poteri dello Stato, corona compresa, al fine di assicurare all’impero britannico il saldo possesso dell’Egitto e del Sudan. Questa visione dell’ex Alto Commissario, sicuramente molto attraente per gli imperialisti britannici, oltrepassava i limiti delle reali esigenze dell’impero, consistenti nell’assicurare le vie di comunicazione con l’India, e andava ad inquinare i rapporti della Gran Bretagna con l’Egitto e con le altre potenze che avevano nel paese ingenti interessi da tutelare. La politica di moderazione e patteggiamenti adottata dal governo britannico impedì a Lord Lloyd di realizzare la soluzione radicale da lui agognata, costringendolo a transazioni da cui la sua tesi di assoluto predominio riceveva, di volta in volta, seri colpi. Solo in seguito al colpo di Stato e con l’abolizione del maggior organo di resistenza, il Parlamento, si aprì il periodo della dittatura dell’Alto Commissario, con la sottomissione di ogni pubblico potere alla residenza britannica. Il governo egiziano passò così alla diretta dipendenza degli inglesi, gli affari dello Stato furono apertamente trattati dai funzionari della Residenza e da tutti quegli esperti britannici che, presenti in ogni ministero, avevano ricevuto il preciso mandato di escludere gli stranieri dagli impieghi statali. L’ingerenza del sovrano negli affari interni cessò del tutto e gli stessi ministri pregavano i rappresentanti stranieri di prendere accordi con gli inglesi prima di trattare ufficialmente le pratiche del governo. L’azione 339 “Oriente Moderno”, IX, 1929, p. 380.

della residenza britannica, assoluta e incontrastata padrona dell’Egitto, si era fatta travolgente, in presenza di un sovrano e di un Parlamento incapaci di reagire340. La

situazione non poteva però durare a lungo, Londra ben sapeva come lo stato d’assedio in cui viveva il paese fosse un semplice palliativo per le speranze del popolo egiziano e per il risorgere del Wafd. Nell’agosto 1929 Lord Lloyd si dimise, tra mille polemiche in seno alla camera dei comuni341 e il compiacimento di Fuad342.

Il ritiro di Lord Lloyd ed il modo in cui tale ritiro era stato determinato ebbero vive ripercussioni alla Camera dei Comuni. Si riproduceva esattamente la stessa situazione, con i ruoli invertiti, di cinque anni prima, quando era stato il gabinetto conservatore a determinare, appena giunto al potere, le dimissioni di Lord Allenby. Nella seduta del 24 luglio, rispondendo ad un’interrogazione di Sir Winston Churchill, il ministro Henderson non ebbe difficoltà a convenire che il telegramma da lui inviato all’Alto Commissario “era di natura tale che la maggior parte delle persone lo avrebbe interpretato come un invito ad abbandonare la propria carica”343. Le critiche al governo

per il trattamento inflitto a Lord Lloyd vennero riprese dall’ex Primo Ministro Baldwin nella successiva seduta del 26 luglio. Un rappresentante di Sua Maestà all’estero, diceva Baldwin, doveva avere ogni diritto di esprimere il proprio parere al governo, e Lord Lloyd l’aveva fatto, pur non avendo mai esitato a piegarsi alle direttive superiori ogni qualvolta v’era stata una divergenza di opinioni. Per quale motivo dunque lo si congedava? Voleva forse il governo avere a disposizione un semplice fantoccio, oppure intendeva eliminare una persona che si sarebbe opposta ad un mutamento di politica?344.

340 ASMAE, AP, Egitto, 1919-1930, b. 1010, f. 2805, Relazioni anglo-egiziane, 21 agosto 1929.

341 Lord Salisbury, esponente conservatore, colse l’occasione delle dimissioni di Lord Lloyd per criticare

aspramente la politica laburista in Egitto. Egli denunciò come le forzate dimissioni dell’Alto commissario mettessero in serio pericolo tutta la politica inglese in Egitto. Spettò a Lord Parmoor rispondere alle critiche mosse. Si legge in un rapporto inviato dall’ambasciatore a Londra, Bardonaro: “Lord Parmoor affermò che il governo laburista desiderava oggi come nel 1924 accordare all’Egitto, in sostanza e quasi completamente, il diritto all’autonomia di governo per quanto riguardava gli affari interni. Egli scartò l’ipotesi di una qualsiasi mancanza di cortesia per parte del governo nei riguardi dell’alto commissario in Egitto ed assicurò che le dimissioni di Lord Lloyd non erano state provocate. Parlando delle quattro note riserve britanniche nei confronti dell’Egitto, lord Parmoor ammise (allarmando i suoi ascoltatori) che il governo laburista contemplava un cambiamento di metodo”. Ivi, 12 agosto 1929.

342 Paternò si intrattenne con Fuad a riguardo delle dimissioni di Lord Lloyd: “Re Fuad si è espresso con

violenti parole di condanna sulla persona e sull’opera di lui, mostrandosi soddisfatto del provvedimento che, secondo il re, anche Chamberlain avrebbe dovuto finire per prendere se fosse rimasto al potere. Sua Maestà ha espresso la convinzione che l’opera di Lord Lloyd in Egitto è stata esiziale, sin dal principio, ai rapporti anglo-britannici, ha ricordato la commedia dell’invio di navi ad Alessandria, due anni fa, e vari altri particolari di interessanti colloqui avuti da lui con l’alto commissario”. Sulla nomina del futuro alto commissario Fuad aggiunse: “Se il nuovo rappresentante inglese sarà un diplomatico di carriera o un uomo politico non importa, purché sia non solo intelligente, ma anche un gentleman”. ASMAE, AP, Egitto, 1919-1930, b. 1010, f. 2802, Rapporti politici, 5 agosto 1929.

343 “Oriente Moderno”, IX, 1929, pp. 380-381.

Il ministro Henderson rispose con un ampio esposto nel quale, fra l’altro, rilevò come, da un rapido esame degli avvenimenti dal 1924 in poi, avesse potuto notare che almeno in quattro o cinque occasioni le divergenze fra il suo predecessore e Lord Lloyd fossero state notevoli. Seguiva quindi la citazione dei casi, a suo parere molto significativi:

I. inizio estate 1926: crisi prodotta dal trionfo del Wafd alle elezioni. Mentre il governo inglese aveva mostrato di propendere per un contegno astensionistico e di non volersi opporre all’eventuale ritorno di Zaghlul al potere, Lord Lloyd si era pronunciato con vigore per una presa di posizione contro il ritorno del leader wafdista. Conclusione: dopo lungo scambio di telegrammi, l’Alto Commissario aveva avuto partita vinta;

II. inverno 1926-1927: questione del ritiro dei funzionari britannici dall’Egitto e in