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Tra politica e propaganda. Le relazioni dell'Italia fascista con l'Egitto (1922-1943)

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I

NDICE

INTRODUZIONE P

.

7

PARTE PRIMA

Gli anni Venti

CAPITOLO I

I PRIMICONTATTICONIL CAIROELASITUAZIONEPOLITICAEGIZIANA

1.1. Il sogno dell’impero p. 14

1.2. Il fascismo sansepolcrista e l’Egitto (1919-1922) p. 16 1.3. La politica araba del Duce e l’Egitto indipendente p. 21

1.4. La Costituzione egiziana del 1923 p. 26

1.5. Le elezioni del 1924 e le prime diatribe anglo-egiziane p. 30 1.6. Il fallimento del negoziato Zaghlul – MacDonald p. 33

CAPITOLO II

GIARABUB. L’OASICONTESA

2.1. I precedenti della questione fino alla campagna libica p. 39 2.2.L’articolo XIII del Patto di Londra ed i negoziati italo-britannici p. 43

del 1919-1920

2.3. Mussolini e Giarabub: le trattative del 1923 p. 46

2.4. Roma chiede aiuto a Londra p. 50

2.5. Turbamenti in Egitto: l’assassinio di Sir Stack e le elezioni del 1925 p. 52 2.6. Il gabinetto Ziwer Pascià e la sostituzione dell’Alto commissario p. 55

2.7. Diplomazia o forza? p. 58

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CAPITOLO III

LAPROPAGANDAFASCISTA, LACOMUNITÀITALIANA

3.1. La comunità italiana in Egitto dagli inizi del 1800 al fascismo p. 69 3.2. Gli italiani in Egitto attraverso i censimenti dal 1882 al 1947 p. 79 3.3. La “fascistizzazione” della comunità italiana

3.4. Le scuole italiane p. 85

3.5. La polemica con la Francia per la Zona del Canale p. 100 3.6. I fasci all'estero e l'influenza economico-culturale p. 112

CAPITOLO IV

LEMODIFICHEALSISTEMACAPITOLARE

4.1. I timori europei e il malumore del Cairo p. 119

4.2. La legge n. 28 del luglio 1923 p. 123

4.3. Riforme giuridiche e fiscali p. 125

4.4. Roma e la soppressione del regime capitolare p. 128

CAPITOLO V

I NEGOZIATIANGLO-EGIZIANIDEL 1927 EDEL 1929 VISTIDA ROMA

5.1. La situazione interna egiziana: 1926-1927 p. 135

5.2.Le trattative Sarwat-Chamberlain 1927 p. 140 5.3. La reazione di Roma al fallimento delle trattative e l’equivoco p. 142

con Londra

5.4. Nuova tensione anglo-egiziana p. 145

5.5. Le forzate dimissioni di Nahas e l’accordo anglo-egiziano del 1928 p. 148 5.6. Il gabinetto laburista e l’allontanamento di Lord Lloyd p. 152 5.7. Le trattative Mahmud Pascià – Henderson del 1929 e le ripercussioni p. 156

su Roma

5.8. Il fallimento del negoziato e il governo Adly Pascià p. 162

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5.9. Nahas di nuovo al potere. Le relazioni Wafd-Roma p. 165

5.10. Le trattative Nahas – Henderson del 1930 p. 169

5.11. I colloqui Paternò – Nahas e la caduta del gabinetto wafdista p. 174 5.12. Il gabinetto Sidky e gli intrighi contro Fuad p. 176 5.13. Il duello Fuad – Nahas e la politica italiana dinanzi la crisi egiziana p. 181 5.14. La costituzione egiziana del 1930 e le sue disposizioni p. 186 5.15. 1930: è scontro tra Wafd, Re e Gran Bretagna p. 191

PARTE SECONDA

Dal 1931 alla guerra d’Etiopia

CAPITOLO I

LASITUAZIONEPOLITICAEGIZIANA

1.1. Ancora tensioni al Cairo p. 199

1.2. Le elezioni del 1931: Sidky di nuovo al potere p. 202 1.3. I rapporti con Londra e le trattative Simon-Sidky p. 206 1.4. Il gabinetto Adly pascià e la questione capitolare p. 211

1.5.L’ingerenza inglese, il gabinetto Tawfiq Nesim e le prime avvisaglie p. 213 della guerra italo-etiopica

CAPITOLO II

LAPROPAGANDAFASCISTA

2.1. La nuova politica araba dell’Italia p. 216

2.2. I mezzi della propaganda fascista: l’ISMEO e la Confederazione p. 220 degli Studenti orientali d’Europa

2.3. Le trasmissioni di Radio Bari p. 225

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2.5.L’influenza sulla stampa egiziana p. 237

2.6. L’Agenzia d’Egitto e d’Oriente p. 243

2.7. L’istituto per l’Oriente e “Oriente moderno” p. 247

2.8. “Avvenire Arabo” p. 254

CAPITOLO III

L'

INFLUENZA POLITICA

3.1. Roma ponte tra Oriente e Occidente p. 260

3.2. La politica estera fascista nei primi anni Trenta e i suoi riflessi p. 265 in Egitto

3.3. Le Camicie azzurre e il movimento del Giovane Egitto p. 269 3.4. L’antagonismo con il Wafd e la vicinanza alla Corte p. 283

PARTE III

Dall’aggressione all’Etiopia alla Seconda Guerra Mondiale. La Spada dell’Islam

CAPITOLO I La guerra d'Etiopia

1.1. Le prime avvisaglie della guerra d’Etiopia: la reazione inglese, p. 289 i timori egiziani e il mancato accordo Cairo-Addis Abeba

1.2. I preparativi militari sul suolo egiziano p. 295 1.3. La propaganda fascista: la comunità italiana, i partiti nazionalisti p. 297

1.4. L’Egitto applica le sanzioni p. 308

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CAPITOLO II

ILTRATTATOD’INDIPENDENZAELACONFERENZADI MONTREUX: LECONSEGUENZEPER ROMA

2.1. I negoziati del 1936, la morte di Fuad, il ritorno al potere del Wafd p. 315 e i suoi rapporti con il fascismo

2.2. Il trattato del 26 agosto 1936: un’analisi p. 320

2.3. Le reazioni al trattato: il partito wafdista, il Giovane Egitto e Roma p. 325 2.4. La conferenza di Montreux p. 330

CAPITOLO III La Spada dell'Islam

3.1. L’Asse e le sue ripercussioni sul mondo arabo p. 340

3.2. La politica del Reich verso il mondo arabo p. 344

3.3. La fine della guerra d'Etiopia, i timori per un'aggressione italiana e p. 349 la normalizzazione dei rapporti italo-inglesi

3.4. Faruk al potere, la caduta del Wafd e il nuovo corso delle relazioni p. 355 Roma-Cairo

3.5.I contatti con Aziz Ali al-Masri e l'“Unione del fascismo p. 360 mediterraneo”

3.6. I flirt con in nazionalisti e l’insuccesso del “trattato di pace e non p. 364 aggressione”

3.7. Gli accordi di Pasqua e il trattato triangolare p. 367

3.8. Il viaggio di Ahmed Hussein in Italia p. 371

3.9. 1938: il preludio alla guerra p. 376

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PARTE QUATTRO

CAPITOLO I

L’Italia sogna il Vicino Oriente

1.1. 1940. Il “Nuovo Ordine Mondiale” p. 388

1.2. L’Egitto e lo scoppio della guerra: settembre 1939 - giugno 1940 p. 393

1.3. 10 giugno 1940: l'Egitto tra pace e guerra p. 398

1.4. Cautela verso il Cairo p. 401

CAPITOLO II

L'Egitto sogna la libertà

2.1. Scoppia la guerra in Africa p. 408

2.2. La controffensiva inglese p. 412

2.3. L'avanzata italo-tedesca p. 415

2.4. Le ripercussioni della guerra sulla comunità italiana p. 422

2.5. Nahas di nuovo al potere p. 435

2.6. La legione araba per l'Egitto p. 441

2.7. L'organizzazione politico-militare dell'Egitto occupato p. 447

2.8. L'epilogo p. 457

Conclusioni p. 461

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Introduzione

Nonostante il grande interesse storiografico dell’argomento, i rapporti che già dalla fine del primo conflitto mondiale al 1943 s’instaurarono tra il fascismo e il mondo egiziano rimangono tutt’oggi un aspetto della politica mussoliniana praticamente ignorato o sbrigativamente liquidato come velleitario e privo di effettiva rilevanza storica. Eppure l’Egitto, centro culturale, sociale e politico di tutto il mondo arabo del tempo, nel disegno egemonico fascista rappresentò il punto d’incontro privilegiato tra il mondo occidentale e quello orientale, per cui l’Italia doveva rappresentare il naturale trait d’union. Il leit motiv della politica fascista fu infatti costituito dalla rappresentazione di un’Italia “ponte” tra Occidente e Oriente e “scuola occidentale” per le nascenti nazioni islamiche. Questo leit motiv affondava del resto le sue radici nella tradizione culturale precedente, soprattutto cattolica (recepita successivamente, in termini laici, da vasti settori culturali, economici, politici, diplomatici e persino militari dell’Italia liberale) che aveva visto l’Italia come anello di congiuntura tra Europa e mondo islamico, e aveva concepito in questa prospettiva il rapporto con gli arabi come essenziale e privilegiato.

La consapevolezza dell’importanza strategica, politica ed economica del Mediterraneo orientale e dell’Egitto in particolare non fu pertanto estranea al fascismo che, pur nell’ambiguità e nella saltuarietà propria del modus operandi mussoliniano, elaborò un’importante politica di penetrazione nel paese finalizzata ad estendervi l’influenza ideologica, politica ed economica dell’Italia fascista.

La ricerca si propone di analizzare le relazioni intercorse tra l’Italia e l’Egitto durante il Ventennio fascista, cercando di cogliere l’evoluzione di un fenomeno, che da propagandistico, assunse un ruolo centrale nella politica estera del Duce. Nello studio di questa evoluzione non è stato trascurato l’esame delle cosiddette “forze profonde”, (posizione geografica, situazione demografica, realtà economica, cultura nazionale, mentalità collettiva, ecc.), che giocano un ruolo fondamentale nella determinazione della politica estera di un paese. Se non si valuta correttamente il peso di queste forze diventa infatti difficile, se non addirittura impossibile, capire veramente e, nel caso di

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regimi autoritari o totalitari, non fraintendere, l’indole “conservatrice” degli schemi d’azione della diplomazia, e la lentezza e vischiosità dei mutamenti di fondo in politica estera. Di notevole interesse sarà pertanto l’analisi delle relazioni italo-egiziane alla luce del ruolo giocato dall’Inghilterra nello scenario diplomatico internazionale. L’Egitto fu uno degli strumenti della trama diplomatica del regime, moneta di scambio per il riconoscimento di grande potenza che solo il prestigio della Gran Bretagna avrebbe potuto conferire. Per l’esame del modus agendi mussoliano non si potranno trascurare altri fattori: le tradizionali ambizioni sul Mediterraneo orientale, area di naturale estensione dell’egemonia italiana; l’uso più o meno strumentale che Mussolini fece dell’ideologia fascista che portò l’Italia ad allinearsi ai movimenti conservatori guidati dal re, all’Islam e al nazionalismo arabo; gli interessi commerciali e strategici che investivano la zona del canale di Suez.

Nella prima parte di questo studio, “Gli anni Venti”, ripercorreremo le relazioni che intercorsero, tra il 1919 e il 1930, tra Mussolini, il fascismo delle origini e quello del regime, da una parte, e i più rappresentativi esponenti del nazionalismo arabo e del mondo islamico dall’altra, “analizzando le affinità” del fascismo con l’Islam, la contraddittoria politica araba dell’Italia, “ponte tra Oriente e Occidente”, ma attenta a non pregiudicare più di tanto i suoi rapporti con Londra.

Nell’immediato dopoguerra, il neonato movimento fascista espresse in più di un’occasione la sua simpatia per i movimenti nazionalistici dei vari paesi arabi che cercavano di ottenere, dopo la caduta dell’Impero Ottomano, la propria indipendenza. Soprattutto in questo periodo il fascismo suscitò grandi speranze nel mondo islamico, assumendo nella fantasia delle masse contorni favolosi. I sentimenti di profonda ostilità verso l’Inghilterra, responsabile del tradimento, dopo la prima guerra mondiale, delle speranze d’indipendenza arabe, alimentarono le simpatie per Mussolini e i suoi proclami rivoluzionari che tendevano a mettere su uno piano le aspirazioni arabe con la “vittoria mutilata” dell’Italia.

Quanto vi fosse di strumentale, di non realistico e non impegnativo in queste prese di posizione lo avrebbero dimostrato ampiamente le decisioni assunte da Mussolini una volta al governo. Dopo la Marcia su Roma, l’insieme di questi propositi parve cadere in un letargo politico: i vecchi argomenti pro-arabi furono accantonati, e di questa fantapolitica anti-SdN non si troveranno tracce nell’insieme delle decisioni politiche del governo fascista. Arrivato al governo, il Duce parve del tutto trascurare le sue precedenti prese di posizione: la problematica dei “compensi” rivendicati agli alleati

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rimase in piena luce, ma furono le vicende interne di un’Italia ancora tutta da trasformare in regime a mobilitare la maggior parte delle sue energie. La congiuntura mediorientale venne presa come un dato di fatto e, nel contesto del disegno complessivo della politica estera italiana di quel periodo, si offrì costantemente appoggio alle potenze mandatarie, prima fra tutte la Gran Bretagna, che si riconosceva essere, realisticamente, la potenza cardine di tutta la regione e dell’Egitto in particolare. Ad impedire un’azione significativa verso il Cairo intervenne inoltre la riconquista della Libia, che realizzata con estrema durezza irritò la sensibilità degli islamici, sebbene il regime conservatore dei Senussi non godesse di molto apprezzamento agli occhi dei leader riformisti arabi. Infine, per quanto questo potesse avere minore importanza, non può essere ignorato il fatto che gli arabi non potevano dimenticare che l’Italia aveva partecipato alla spartizione delle spoglie, dopo la prima guerra mondiale, dell’Impero Ottomano (le isole del Dodecanneso) e che Roma esercitava un virtuale protettorato sull’Albania, paese in gran parte islamico. Le direttive di questo imperialismo fascista non potevano che toccare il mondo arabo che ne registrava con una certa apprensione, dopo le prime illusioni, le connotazioni autoritarie e soprattutto l’assenza totale di un qualsiasi spiraglio per l’agognata indipendenza nazionale. Da una parte, la polemica fascista con gli imperialismi francese e britannico poteva sorridere ed avvantaggiare i nazionalisti, ma dall’altra essa appariva più un’invidia ed una concorrenza che una vera e propria condanna di un odiato sistema. L’immobilismo del governo di Mussolini, che rinnegava promesse ed impegni presi nel periodo dell’opposizione, parve confermare quanto di poco attendibile vi fosse nelle varie dichiarazioni di appoggio totale alla causa araba e di sistematica opposizione al sistema dei mandati e alla politica generale della SdN nel Medio Oriente.

Tuttavia il fascismo non rinunciò a tessere quei legami di ordine economico, culturale e politico che avrebbero costituito il fulcro della politica futura, più dinamica e rispondente al reale obiettivo mussoliniano: la costruzione dell’impero. I toni moderati della politica fascista non fermarono pertanto il tentativo di presentare una positiva immagine dell’Italia nei paesi arabi. Fu anzi nel corso degli anni Venti che iniziò quell’azione propagandistica che abbiamo chiamato indiretta. L’organizzazione del regime non venne, infatti, effettuata solo all’interno dei confini geografici della penisola. Le numerosissime colonie di italiani, che in epoche diverse erano emigrate nei paesi del Mediterraneo orientale, divennero oggetto negli anni Venti di un’attenzione tutta speciale e tramite la Segreteria dei Fasci all’Estero, prima, e della Direzione degli

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italiani all’estero, poi, furono organizzate in maniera abbastanza ferma sul piano politico e sociale. Pur evitando di coinvolgere direttamente i fascisti all’estero nella politica locale, il regime cercò di usare gli italiani nel bacino del Mediterraneo come base e insieme come giustificazione storica di un “pacifico” espansionismo culturale ed economico.

Nel corso degli anni Venti la politica fascista verso l’Egitto si orientò su due direttrici differenti: l’estensione dell’influenza politica, culturale ed economica nel paese arabo, e l’annessione dell’oasi di Giarabub, al confine cirenaico-egiziano, luogo sacro per la confraternita senussita e principale centro di agitazione e contrabbando dei ribelli libici. Rivendicata sulla base di un Rescritto imperiale ottomano del 1841, che individuava i confini dell’Egitto ad oriente di Sollum e delle oasi di Siwa e di Giarabub, l’oasi fu annessa, dopo vari mesi di trattative, in un altalenante gioco di politica e propaganda, di diplomazia e forza, il 6 dicembre 1925.

Una nuova fase, caratterizzata da una maggiore attenzione per il mondo arabo e da un modo più autonomo e dinamico di concepire la politica italiana verso di esso, si venne manifestando tra il 1931e il 1936, periodo analizzato nella seconda parte dello studio “Dal 1931 alla guerra d’Etiopia”. Il degradarsi della situazione economica e politica europea fece credere all’Italia di avere una maggiore libertà di manovra. Proprio negli anni Trenta cominciarono ad essere più consistenti le iniziative prese dal governo fascista nel Mediterraneo, ma il meno che si possa dire di queste è che la loro natura fosse incerta e contraddittoria e forse anche solamente strumentale, alla mercè della grande politica di rivalità e di concorrenza con Parigi e con Londra.

Ad ogni modo la politica di propaganda inaugurata negli anni Venti continuò con successo: i primi anni Trenta videro il fiorire di tutta una serie di iniziative e istituzioni – dall’ISMEO a Radio Bari, dall’Agenzia d’Egitto e d’Oriente a l’istituto per l’Oriente e “Oriente moderno” – che fecero dell’Italia fascista un punto di riferimento per quei movimenti fortemente nazionalisti e anti-britannici (le Camicie azzurre e il Giovane Egitto), che quando non ricevettero aiuti finanziari da Roma, ne fecero un modello da imitare per la propria organizzazione e condotta.

Questo clima di eccitazione e fu terreno fertile per l’abile oratoria di Mussolini. L’Italia fascista, agli occhi del Duce, era la nazione che più di ogni altra avrebbe potuto tessere una collaborazione con i paesi arabi dell’Africa e dell’Oriente, sulla base del riconoscimento della loro indipendenza. L’Italia, nazione storicamente non imperialista, era dotata dei mezzi finanziari, della volontà e degli uomini per realizzare con i paesi

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della sponda sud del Mediterraneo un rapporto proficuo per entrambi. I proclami rivoluzionari avevano ben poco da spartire con la realtà dei fatti e, aldilà delle ragioni della propaganda, il Duce prestò la massima attenzione a non turbare in alcun modo le relazioni con Londra e Parigi, che mai pensò di sacrificare sull’altare delle aspirazioni arabe.

Nella terza parte del nostro lavoro “La spada dell’Islam” si analizzerà una nuova fase della politica fascista verso l’Egitto, determinata dalla fine della guerra d’Etiopia, la tensione nei rapporti con Londra e l’avvicinamento alla Germania.

La forte ostilità dimostrata da Eden nei confronti dell’Italia dopo il conflitto etiopico convinse il Duce a seguire una linea, sia in Europa, sia nei confronti del mondo arabo, molto più audace e sprezzante degli interessi inglesi. Agli occhi di Mussolini, Roma avrebbe dovuto assumere il ruolo di guida dei paesi arabi nella loro liberazione dall’oppressione anglo-francese, il modello da seguire e imitare una volta riconquistata l’indipendenza. Mussolini, il 18 marzo, a Tripoli, in una cornice coreografica immortalata da una fotografia poi rimasta storica, si fece consegnare “la spada dell’Islam”, ed espresse in modo addirittura teatrale le sue simpatie per quel mondo. La spada dell’Islam, secondo le massime autorità fasciste, avrebbe rappresentato la suprema affermazione della tutela che il capo del fascismo dichiarava a favore dell’intero mondo musulmano. Tuttavia la politica del “peso determinante” costituì, anche nella seconda metà degli anni Trenta, la linea strategica in base alla quale il Duce cercò, invano, di muoversi sul piano internazionale: Mussolini non solo nel gennaio 1937 stipulò il Gentlemen’s Agreement con l’Inghilterra, ma tra Roma e Londra fu anche avviata una serie di contatti per una più vasta intesa di fondo, il cui scopo era quello di riequilibrare gli impegni presi con Berlino. I contatti con il mondo egiziano risentirono ovviamente dell’andamento altalenante dei rapporti con Londra: dai proclami indipendentisti del 1936 si passò ai toni più moderati degli anni successivi quando Mussolini, grazie all’allineamento ai partiti di corte, riuscì ad intessere legami con gli esponenti del nazionalismo moderato in un progetto di unione dei fascismi mediterranei che l’evolversi degli eventi non realizzò mai. La situazione dopo Monaco indebolì fortemente la posizione italiana agli occhi del Cairo e il ruolo di arbitro che Mussolini aveva per un momento svolto.

Con l’ingresso nella seconda guerra mondiale dell’Italia si aprì una quarta fase nelle relazioni tra fascismo e mondo arabo, che assunse nella strategia mussoliniana un valore permanente e non meramente strumentale nei confronti di Londra. Da quel

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momento la politica araba del fascismo assunse un carattere e un significato diversi da quelli degli anni precedenti, sia dal punto di vista dei vantaggi che Mussolini pensava di poterne trarre sul terreno militare, sia in considerazione del futuro assetto postbellico nell’area mediterranea. Che tale assetto dovesse prevedere l’indipendenza e l’unità del Medio Oriente era per Mussolini in via di principio scontato e, d’altro canto, Berlino e Roma non rappresentavano soltanto la forza di una coalizione vittoriosa contro gli imperi coloniali del passato, ma vennero ad incarnare agli occhi delle élite intellettuali e delle masse diseredate arabe, la speranza del riscatto e dell’imminente liberazione nazionale.

Analizzeremo le fasi salienti della guerra in Africa, le speranze per una prossima indipendenza che essa suscitò presso la corte, la classe politica e il popolo egiziano, ma anche i timori per le mire imperialistiche italiane. Ampio spaziò sarà dedicato all’analisi del progetto di “Organizzazione politico-militare dell’Egitto occupato” elaborato nel luglio del 1942, nell’euforia dell’avanzata, da parte dell’Ufficio Egitto del ministero degli Affari Esteri italiano, allo studio della politica adottata dal Reich verso il Cairo che gli guadagnò consensi molto più larghi di quelli riservati a un’Italia che mal celava le proprie mire egemoniche, alla creazione della Legione araba per l’Egitto, che avrebbero dovuto rispondere ad una serie d’esigenze politiche e militari nel teatro di guerra arabo, e alla descrizione delle condizioni di vita della collettività italiana nel paese, sottoposta a internamenti, sequestri, privazioni di ogni tipo che cancellarono tutti i privilegi e le ricchezze guadagnati con due secoli di presenza e lavoro nel paese.

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PARTE PRIMA

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CAPITOLO I

I PRIMICONTATTICONIL CAIROELASITUAZIONEPOLITICAEGIZIANA

1.1. Il sogno dell’impero

Il 28 ottobre 1922 si apriva una nuova pagina della storia italiana: l’ascesa al potere di Mussolini rappresentava il preludio a vent’anni di monopolizzazione del potere politico, di violenze, sopraffazioni, di esaltazione della filosofia della violenza, del culto della guerra. Era l’inizio della negazione dei principi statutari e della deificazione dello Stato con il fanatismo nazionalista, della militarizzazione del sistema educativo e del rifiuto di ogni forma di collaborazione nella politica internazionale, interpretata quale lotta di tutti contro tutti. In realtà, il Mussolini che aspirava a riscattare l’Italia dallo stato di subordinazione in cui era caduta con i governi liberali e che vedeva se stesso come il nuovo Cesare d’Europa non aveva elaborato, al 1922, un vero e proprio programma che guidasse la condotta internazionale del nuovo Stato totalitario. Il conte Carlo Sforza definì, già nel novembre 1922, le sue aspirazioni in politica estera come “sommario di sentimenti e risentimenti”1. Non diverso fu il giudizio

di Nenni: “Quello che manca maggiormente al fascismo è la coerenza. Esso non possiede nessun programma determinato e le sue decisioni più importanti sono spesso soltanto improvvisazioni estemporanee, dovute a sentimenti e risentimenti più o meno passeggeri2”. Il fatto che nel 1922 non esistesse un programma chiaramente

riconoscibile di politica estera è ampiamente dimostrato dagli stessi discorsi programmatici del Duce, a partire da quello del 16 novembre 1922, nel quale, a parte alcuni slogan ovvi e banali - “i trattati non sono eterni” - il programma si riduceva ad alcune semplici proposizioni: fedeltà all’Intesa, con la richiesta del riconoscimento della parità di diritti; esaurimento delle poche questioni lasciate aperte dalle conferenze di pace; equa soluzione per il problema riparazioni. Come possiamo notare, queste enunciazioni erano le stesse che impegnavano la politica estera italiana prima del 1 C. SFORZA, L’Italia dal 1914 al 1944 quale io la vidi, Roma, 1944, p. 149.

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fascismo e, per le quali, Mussolini propose e accettò soluzioni analoghe a quelle ricercate, e spesso ottenute, dai governi precedenti. Dunque, mutamenti effettivi nella sostanza e ancor più negli obiettivi non si verificarono fino a dopo Locarno.

Pur nell’ambiguità propria del modus agendi mussoliniano e nell’incertezza che contraddistinse le prime fasi politiche del regime esisteva una chimera che avrebbe segnato tutta la politica estera del Ventennio: l’impero. “L’impero è la meta suprema cui si dirige la politica del regime”3, scriveva Rumi nel 1963. Nella stessa direzione si

era espresso D’Amoja, quando scrisse sul tema “L’Idea imperiale”:

“Nella visione di Mussolini di un destino di grandezza dell’Italia, l’espansione in Africa e nel Mediterraneo ebbe influenza e peso determinante. Fu presenza continua, ricerca senza posa che era stata latente nel regime e nei progetti di Mussolini dagli accordi con la Gran Bretagna nel 1925, al Patto di amicizia con l’Etiopia nel 1928, agli accenni di revisione coloniale impliciti nel Patto a quattro del 1933”4.

In sintesi, vi sono alcuni punti che rimangono fermi nell’ideologia mussoliniana in tutto il periodo 1922-1936: la concezione del Mediterraneo come area di pertinenza esclusiva dell’Italia, l’idea di un impero arabo-africano come realtà prepotente, il “mal d’Africa” e il sogno dell’Oriente che acquistano la forza di un mito.

In un discorso al IV Congresso nazionale del PNF, il 22 giugno del 1925, Mussolini indicò la creazione dell’impero quale meta ultima della politica estera italiana:

“Un impero non è soltanto territoriale. Può essere politico, economico, spirituale. L’impero non è peraltro una creazione improvvisa. […]. Dobbiamo tendere questo ideale. Bisogna allora abbandonare risolutamente tutta la fraseologia e la mentalità liberale. La parola d’ordine non può essere che questa: disciplina all’interno per presentare il blocco granitico dell’unificata volontà nazionale all’esterno. Un partito che chiede ed impone a tutti gl’italiani la rinuncia alle loro libertà e si proclama un esercito pronto ad affrontare qualunque nemico in qualunque momento, ha l’impegno di dare la grandezza al paese”5.

Per Mussolini realizzare lo Stato fascista nella sua pienezza significava, dunque, realizzare l’impero e in questo l’Italia doveva guardare al Mediterraneo, ma non solo. 3 G. RUMI, Revisionismo fascista ed espansione coloniale (1925-1935), in “Il Movimento di liberazione in

Italia”, 1963, n. 80, pp. 37-73.

4 F. D’AMOJA, La politica estera dell’impero. Storia della politica estera fascista dalla conquista

dell’Etiopia all’“Anschluss”, Padova, 1961, p. 18.

5 E. D. SUSMEL (a cura di), Opera omnia di Benito Mussolini, XXVIII: Dalla proclamazione dell’impero al

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Per il Vicino Oriente, Mussolini perseguiva il fine, senza dubbio un poco nebuloso, di creare, sotto la guida romana, un certo contrappeso alla posizione storica di predominio dell’Inghilterra e della Francia e di assumere la loro eredità mediante un’influenza culturale, economica e politica in Siria, in Palestina, lungo la costa orientale fino al Tanganika, e in Nord Africa, dove gli interessi del regime, oltre che alla riconquista della Libia, si orientavano verso lo Stato di maggior interesse economico, politico e strategico: l’Egitto6.

1.2. Il fascismo sansepolcrista e l’Egitto (1919-1922)

Agli inizi del XX secolo, l’Egitto poteva essere considerato il paese culturalmente, socialmente e politicamente più importante di tutto il mondo arabo. I suoi giornali erano letti in Palestina come in Siria, la sua rilevanza strategica lo faceva considerare il fulcro del sistema imperiale britannico, il suo movimento nazionalistico di massa e il suo partito guida, il Wafd, erano certamente i più avanzati della regione, mentre l’università cairota di al-Azhar continuava ad essere il tempio della cultura islamica per tutto il mondo musulmano. Appare ovvio che l’Italia fascista, nell’intento di creare un “impero informale” in Medio Oriente, vi guardasse con grande attenzione.

Nonostante l’esagitato attivismo pro-arabo del fascismo (che si sarebbe affermato negli anni Trenta per culminare durante la seconda guerra mondiale) non avesse un vero precedente ufficiale, risulta interessante, anche per lo studio delle fasi storiche successive, tenere conto di quanto Mussolini, proprio nella fase rivoluzionaria della sua attività politica, ebbe a dichiarare al riguardo e costatare che egli non fosse alieno, nel quadro della sua generale rivendicazione rivoluzionaria, dall’evocare anche la questione dell’emancipazione nazionale dei popoli arabi. L’interesse per il mondo arabo e per l’Egitto in particolare risaliva a ben prima la marcia su Roma del 1922: “Un paese come il nostro che abbia a che fare con i paesi dell’Islam”, aveva scritto Gioacchino Volpe, “bisogna che cominci ad ordire la sua trama in Egitto”7.

Nell’immediato dopoguerra, il neonato movimento fascista espresse in più di un’occasione la sua simpatia per i movimenti nazionalistici dei vari paesi arabi che cercavano di ottenere, dopo la caduta dell’Impero Ottomano, la propria indipendenza. 6 F. GABRIELI, Il risorgimento arabo, Torino, 1958, pp. 184 ss.

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Dalla nascita del suo primo movimento politico, il sansepolcrista, il 23 marzo 1919, Mussolini annoverava infatti tra le questioni irrisolte dalla sistemazione versagliese oltre alle mancate compensazioni politiche e territoriali all’Italia, pur compresa nell’ambito dei vincitori, anche l’egoistica spartizione delle egemonie mediorientali tra la Francia e la Gran Bretagna, spartizione che, oltre all’Italia, penalizzava gravemente gli arabi, cioè coloro che alla vittoria contro l’Impero Ottomano avevano dato un contributo decisivo. Questa simpatia era generalmente dettata, sin da allora, da un sentimento fortemente anti-britannico e tendeva a porre sullo stesso piano le aspirazioni nazionali arabe e le aspettative italiane “tradite” dopo la vittoria. L’Inghilterra aveva giocato su più tavoli, aveva teso la mano agli arabi, poi ai francesi, quindi ai sionisti, ripartendo il Medio Oriente con alleati e amici più o meno sinceri. Cercando di accontentare tutti, Londra era riuscita a non accontentare nessuno, meno di tutti gli arabi. Gli accordi Sykes-Picot del 1916 e la “Dichiarazione Balfour” del 1917 avevano creato motivi d’insofferenza nel mondo islamico: la Transgiordania e l’Iraq furono poste sotto mandato britannico; la Palestina, anch’essa mandato britannico, dovette prendere atto della nuova realtà creatasi con la colonizzazione ebraica. La Siria e il Libano furono posti sotto influenza francese. L’Egitto, subordinato anch’esso al protettorato inglese dal 1914, conobbe lo scoppio del malcontento che dette luogo, sia nelle città, sia nelle province, a sollevazioni puntualmente e duramente represse.

Come ebbe a notare Luigi Goglia: “Per i popoli appartenenti sia alla schiera dei vinti che a quella dei vincitori (leggasi Italia) della prima guerra mondiale, la conferenza di Versailles del 1919 fu causa di disappunto, di delusione e di frustrazione”8;

certamente lo fu per gli arabi che si ritrovarono dopo secoli di unità ottomana divisi in nazioni dalle difficili nature. Lo storico francese Maxime Rodinson lo ha ben capito affermando che il 1920, anno in cui cominciarono ad essere operative le decisioni di quella conferenza, fu chiamato dagli arabi “l’anno della catastrofe”9. Il giudizio appare

oramai unanime e converge sulla sintetica analisi del maggior storico del Medio Oriente, il presidente del prestigioso Istituto per l’Oriente di Roma, Ettore Rossi, nella sua opera classica, e cioè che questo periodo dovrebbe sinteticamente chiamarsi “L’immediato dopoguerra: delusioni e tradimenti”10.

8 L. GOGLIA, Il Mufti e Mussolini: alcuni documenti italiani sui rapporti tra nazionalismo palestinese e

fascismo negli anni Trenta, in “Storia contemporanea”, dicembre 1986, p. 1202.

9 M. RODINSON, Israel et le refus arabe: 75 ans d’histoire, Paris, 1968, p. 25.

10 E. ROSSI, Documenti sull’origine e gli sviluppi della questione araba (1875-1944), Roma, Istituto per

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In questo contesto le varie delegazioni arabe, che, ufficialmente o meno, percorrevano l’Europa, trovarono in Italia un’atmosfera politica molto ricettiva alle loro istanze e rivendicazioni. Si legge su “Il Popolo d’Italia” del 1919:

“L’Inghilterra schiaccia a cannonate i tentativi di liberazione dei popoli soggetti al suo dominio e si ricorda del wilsonismo soltanto quando sono in gioco non gli interessi, ma i diritti dell’Italia. (…). Noi rispondiamo: viva Malta italiana! Viva l’Irlanda! L’Egitto agli egiziani!”11.

Questa visione un po’ riduttiva che vedeva il nazionalismo arabo in funzione della politica estera dell’Italia, non impedì al fascismo di esprimere in più di un’occasione univoche prese di posizione politiche e di intrecciare rapporti più che occasionali con i leader arabi in Europa12. Contatti di particolare familiarità dovettero instaurarsi, per

esempio, con Abdul Hamid Said, un egiziano che aveva fondato a Roma, nel 1921, l’“Associazione Egiziana”13 che poco tempo dopo si trasformò e s’inserì in un

organismo di più vaste ambizioni: la Lega dei Popoli Oppressi. Tale organizzazione prese il nome, e probabilmente l’ispirazione, dal tentativo dannunziano di creare a Fiume nel 1920 una lega delle nazionalità oppresse capeggiata da Fiume stessa. I contrasti interni al mondo fiumano non permisero però di andare oltre la fase d’ideazione e il progetto venne ripreso soltanto più tardi, limitatamente ai paesi islamici, proprio da quell’Abdul Hamid Said che i fiumani avevano contattato. La Lega svolse una vasta opera di propaganda politica che culminò con l’organizzazione a Genova, nel maggio del 1922, di un convegno internazionale che “Il Popolo d’Italia” seguì con evidente simpatia14, come peraltro aveva già fatto un anno prima con il Congresso

Arabo radunatosi a Ginevra ai margini della seconda assemblea della Società delle Nazioni15. Di notevole va ricordato che a Genova venne approvata una serie di richieste

11 L’estero in noi, in “Il Popolo d’Italia” del 28 aprile 1919.

12 In due occasioni almeno il partito si espresse ufficialmente in appoggio ai nazionalisti arabi: in un

manifesto di simpatia per la rivolta egiziana votato dal Comitato Centrale nel 1920 (Cfr. Deliberazioni

del C.C. dei fasci di combattimento, in “Il Popolo d’Italia”, 13 aprile 1920) e in un ordine del giorno

approvato nel maggio 1922 che protestava contro i mandati francesi e britannici in Siria, Libano e Palestina (Cfr. “Oriente Moderno”, VI (1926), p. 510-11).

13 Per il manifesto dell’“Associazione Egiziana” si veda “Oriente Moderno”, II, (1922), p. 426. Abdul

Hamid Said, che negli anni Trenta prenderà ripetutamente posizione contro l’Italia per la questione del confine libico e per la guerra d’Etiopia, intervenne più di una volta con lunghi articoli su “Il Popolo d’Italia”. Si veda per esempio: La situazione dell’Egitto. Le parole e la realtà, in “Il Popolo d’Italia”, 2 settembre 1922.

14 A. PIRAZZOLI, Intorno alla Conferenza. I desiderata dei popoli asiatici. Il convegno di Genova, in “Il

Popolo d’Italia” del 20 maggio 1922. La conferenza era presieduta dall’emiro druso Shekib Arslan, che svolgerà negli anni Trenta un ruolo molto importante nella propaganda araba del fascismo.

15 A. ACITO, L’oriente arabo. Odierne questioni mediterranee, Milano, 1922. Si vedano inoltre i suoi

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dei “popoli orientali” che ci sembrano interessanti poiché chi diede alla dichiarazione ampio spazio e consenso fu proprio la stampa fascista che parve, con questi consensi, anticipare la politica da attuarsi nel momento in cui il Duce fosse andato al governo. Il testo di queste rivendicazioni appare interessante proprio in questa prospettiva; esse ribadivano:

1. l’estensione a tutto l’Oriente del diritto internazionale di pace; 2. l’abolizione delle teorie dei mandati della S.d.N;

3. il riconoscimento del diritto dei popoli orientali a costituirsi liberamente in Stati secondo la comunanza di razza, le frontiere naturali, la storia e la loro volontà;

4. il riconoscimento della completa indipendenza degli Stati d’Oriente già costituiti e di quelli che si sarebbero costituiti;

5. l’evacuazione completa delle truppe europee da tutti i territori che esse occupavano in Oriente;

6. l’inclusione di tutti i paesi orientali organizzati nella S.d.N.; 7. l’estensione agli stessi della “tregua di non aggressione”16.

A Genova parve che la rivendicazione araba tradita dagli anglo-francesi avesse finalmente trovato il proprio futuro Stato tutore: l’Italia, la quale nella sua parte più dinamica e rivoluzionaria, il fascismo, si era orientata a contestare l’intera filosofia di Versailles, e si era impegnata formalmente a realizzare, a governo raggiunto, l’insieme delle rivendicazioni della Lega a dispetto e contro le decisioni della Società delle Nazioni.

Già da tempo Mussolini aveva infatti espresso il proprio appoggio a questa contestazione sostenendo la causa araba. Quanto vi fosse di strumentale, di non realistico e non impegnativo in queste prese di posizione, lo avrebbero dimostrato ampiamente le decisioni assunte da Mussolini una volta al governo. Dopo la Marcia su Roma, l’insieme di questi propositi parve cadere in un letargo politico: i vecchi argomenti pro-arabi furono accantonati, e di questa fantapolitica anti-S.d.N. non si troveranno tracce nell’insieme delle decisioni politiche del governo fascista.

Tuttavia, al momento, l’orientamento era decisamente a favore del mondo arabo e lo stesso Mussolini intervenne, con toni rivoluzionari, sulle vicende riguardanti l’Egitto: “L’Italia, anche per la sua posizione geografica che la mette in contatto quasi

siriaco-Il travaglio del mondo arabo; Le decisioni del Congresso siriaco – Una confederazione dei paesi arabi.

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immediato con l’Egitto, col Canale di Suez, col Mediterraneo orientale, (…) potrebbe domani assolvere il compito di far saltare l’impero inglese asiatico-africano”17.

La più importante delegazione nazionalista araba a far tappa in Italia in quegli anni fu proprio quella egiziana guidata da Abd al-latif Mikabbati, un collaboratore di Zaghlul che, il 10 maggio 1920, inviò un memoriale al presidente della Camera Orlando col chiaro intento di sollecitare la simpatia dei politici e dell’opinione pubblica italiana nei confronti del nazionalismo egiziano. Mikabbati dichiarò che, come l’Italia, l’Egitto aveva trovato la diplomazia europea pronta ad impedirgli di raccogliere il frutto dei suoi sacrifici e, per questo, egli affidava la protesta del proprio paese al Parlamento italiano, “ultimo rifugio delle speranze dei popoli”18. Nell’estate del 1920, il ministero degli

Esteri, d’accordo con il ministero della Guerra, accolse in Italia un gruppo di giovani egiziani, studenti in ingegneria, che con mezzi propri volevano seguire alcuni corsi universitari e perfezionarsi nella fabbricazione delle armi.

Che i nazionalisti egiziani nutrissero simpatia e fiducia per l’Italia e si aspettassero da essa una politica a loro favorevole era determinato dal fatto che Roma non avesse mai riconosciuto formalmente il protettorato proclamato da Londra sull’Egitto allo scoppio delle ostilità con l’Impero Ottomano, che almeno nominalmente manteneva sulla valle del Nilo la propria autorità. Oltre a ciò, le dichiarazioni di sostegno espresse dalla colonia italiana in Egitto per le aspirazioni nazionali di questo Paese avevano dato luogo, nel 1920 e nel 1921, a manifestazioni in cui, mentre si richiedeva la completa indipendenza, s’inneggiava all’Italia.

Queste attività generarono per la prima volta negli inglesi il timore di una collusione italiana con i nazionalisti arabi. L’ambasciatore britannico a Roma protestò ripetutamente con il ministero degli Esteri per aver permesso che l’Italia “diventasse un centro di agitazione panislamica, per il quale lavoravano gli agenti delle cosiddette nazionalità oppresse”19 e una corrispondenza dal Cairo de “Il Popolo d’Italia” ci informa

che nel 1920 circolava nella comunità internazionale d’Egitto “la leggenda che gli italiani siano sobillatori di arabi”20. A Londra, che domandava il riconoscimento del

protettorato come condizione necessaria per la ratifica dei trattati coloniali, Roma rispondeva che ciò avrebbe avuto luogo quando il governo inglese si fosse deciso ad

17 B. MUSSOLINI, Ideali e affari, in “Il Popolo d’Italia” del 20 aprile 1919. 18 S. FABEI, op. cit., p. 32.

19 Public Record Office (PRO), carte del Foreign Office (FO), Political Correspondence, Lettera di

Graham a Lord Curzon, 17 gennaio 1923, in M. TEDESCHINI LALLI, La politica italiana in Egitto negli anni

trenta il movimento delle “camicie verdi”, in “Storia Contemporanea”, a. XVII, n. 6, dicembre 1986.

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accordare agli egiziani uno statuto più liberale e più rispondente alle esigenze della popolazione.

I legami del partito fascista con alcuni esponenti nazionalisti arabi cominciarono a diradarsi o a rompersi quando Mussolini conquistò il potere, e dopo aver integrato nelle sue fila il movimento nazionalista che, chiaramente collocato “a destra”, era ben lontano da qualsiasi posizione antimperialistica e, anzi, aspirava che l’Italia si creasse un proprio impero coloniale. Già all’inizio del 1923 l’ambasciatore britannico a Roma poteva pertanto tranquillizzarsi e informare il suo governo che erano passati i tempi in cui era permesso che la capitale d’Italia svolgesse il ruolo di centro d’agitazione panislamica per cui lavoravano gli agenti delle cosiddette nazioni oppresse.

1.3. La politica araba del Duce e l’Egitto indipendente

L’interessamento italiano per le vicende egiziane continuò dopo l’ascesa al potere del fascismo, anche se in modo più moderato e in toni più pacati. Mussolini, una volta assunto il potere, abbandonò i proclami rivoluzionari del fascismo delle origini per far propria una politica fatta di realismo e cautela. Arrivato al governo, il Duce parve del tutto trascurare le sue precedenti prese di posizione: la problematica dei “compensi” rivendicati agli alleati rimase in piena luce, ma furono le vicende interne di un’Italia ancora tutta da trasformare in regime a mobilitare la maggior parte delle sue energie.

Impegnato sul piano interno a stabilizzare il suo potere, Mussolini fu quasi interamente assorbito sul piano internazionale dalle questioni europee, mentre nell’area mediterranea dovette far fronte ai problemi ereditati dai governi precedenti. La politica estera italiana oscillò tra un ossequioso ricordo della grande alleanza di guerra con Londra e con Parigi, e quindi di intesa anche sul Medio Oriente, ed una ribadita delusione che si manifestava in alterne occasioni, ma con toni piuttosto moderati, per gli irrisori benefici avuti dall’Italia dalla vittoria comune. Gli inizi di questa politica rimasero così dominati da una certa confusione e divisi tra una deferenza verso gli “alleati” ed una rottura dei vecchi schemi del negoziato diplomatico. Su questo sfondo, le due strade che parevano aprirsi erano quella tradizionale della diplomazia che poteva anche essere aggressiva, ma che rimaneva pur sempre una diplomazia, oppure una scelta che era una vera novità e che fiorirà appieno alcuni anni dopo (con Mussolini in camicia

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nera e fez), e cioè la scelta dell’eversione ideologica attraverso l’esportazione dell’ideologia fascista e del mussolinismo.

La congiuntura mediorientale venne presa come un dato di fatto e, nel contesto del disegno complessivo della politica estera italiana di quel periodo, si offrì costantemente appoggio alle potenze mandatarie, prima fra tutte la Gran Bretagna, che si riconosceva essere, realisticamente, la potenza cardine di tutta la regione e dell’Egitto in particolare21. Palazzo Chigi riteneva che “sia nell’interesse delle nostre colonie

confinanti, sia nei riguardi dei nostri interessi generali islamici, un rinnovato rafforzamento eventuale del nazionalismo egiziano, verrebbe a costituire un danno e un pericolo”22. Se di mondo arabo e di Medio Oriente il fascismo pareva interessarsi,

questo interesse non aveva nulla a che fare né con la storia del nazionalismo arabo, né con quella dell’emancipazione auspicata fin dalla fine dell’Ottocento da taluni pensatori arabi, quali Mohammed Abduh o Jemal ed-Din el-Afgani. Le attenzioni dell’Italia e della sua diplomazia erano invero circoscritte alle conseguenze ritenute negative delle paci successive alla prima guerra mondiale ed alla vittoria alleata.

Nei primi otto anni di potere l’azione mussoliniana, pur riconoscendo tutta l’importanza dell’Egitto e del mondo mediorientale nella sua strategia internazionale, non volle e non poté elaborare una politica particolarmente attiva e autonoma verso il paese islamico. Ad impedire un’azione significativa verso il Cairo, oltre i propositi annessionistici sulla Tunisia, intervenne la riconquista della Libia, che realizzata con estrema durezza irritò la sensibilità degli islamici, sebbene il regime conservatore dei Senussi non godesse di molto apprezzamento agli occhi dei leader riformisti arabi. Infine, per quanto questo potesse avere minore importanza, non può essere ignorato il fatto che gli arabi non potevano dimenticare che l’Italia aveva partecipato alla spartizione delle spoglie, dopo la prima guerra mondiale, dell’Impero Ottomano (le isole del Dodecanneso) e che Roma esercitava un virtuale protettorato sull’Albania, paese in gran parte islamico.

Le direttive di questo imperialismo fascista non potevano che toccare il mondo arabo che ne registrava con una certa apprensione, dopo le prime illusioni, le 21 La politica d’ossequio verso Londra causò non poche critiche al governo fascista da parte della

comunità italiana in Egitto. Si legge su “al-Arhan”: “Gli sforzi fatti dall’Italia in questi due anni per consolidare la sua posizione nel Mediterraneo è pena persa. Essa non è riuscita a concludere trattati aventi per base il reciproco scambio di interessi con la Turchia e la Russia e non si è sufficientemente adoperata per consolidare la sua sovranità nel Mediterraneo. Essa non ha nulla fatto perché la nostra volontà (degli italiani) sia eseguita. Archivio Storico Diplomatico del ministero degli Affari Esteri (d’ora in poi ASMAE), AP, Egitto, 1919-1930, b. 1002, f. 2679, Giornali e giornalisti, 9 dicembre 1924.

22 Dispaccio del 24 dicembre 1926, Mussolini a Paternò, cit. in: G. CAROCCI, La politica estera fascista

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connotazioni autoritarie e soprattutto l’assenza totale di un qualsiasi spiraglio per l’agognata indipendenza nazionale. Da una parte, la polemica fascista con gli imperialismi francese e britannico poteva avvantaggiare i nazionalisti, ma dall’altra essa appariva più un’invidia ed una concorrenza che una vera e propria condanna di un odiato sistema. Pareva che, anche quando Mussolini denunciava le malefatte di Versailles nei confronti delle sistemazioni coloniali, egli non sposasse per niente le tesi dei nazionalisti arabi pur ricordate, bensì si limitasse a lamentare che della “torta coloniale” distribuita alla Francia e alla Gran Bretagna, l’Italia fosse stata esclusa o avesse ricevuto solo una più che modesta fetta. La continua evocazione delle dimensioni demografiche dell’Italia, della sua carenza di risorse del sottosuolo e delle sue ingrate caratteristiche geografiche erano sempre evocate per accusare chi di colonie era ricco. Veniva così denunciato non solo l'imperialismo attuato da Parigi e Londra, ma anche quello che Roma sembrava volere realizzare nei propri futuri compensi coloniali. Le dichiarazioni del Duce, sia in Italia sia in Libia durante la sua visita alla colonia dell’aprile 1926, ribadirono le ambizioni imperiali romano-fasciste del regime e queste affermazioni furono per i nazionalisti arabi segnali chiaramente negativi.

Una serie di fatti contribuì poi ad allarmare il mondo arabo che vedeva crescere la propria impazienza nei confronti del regime coloniale. I silenzi della diplomazia italiana verso la rivolta del Rif, la crisi egiziana, le effervescenze del Nord Africa parvero tutte segnare una vera acquiescenza alle varie politiche coloniali arabe ed anti-nazionalisti arabi, e ciò malgrado le puntuali descrizioni della rivista “Oriente Moderno”. Le opinioni pubbliche arabe non mancarono di segnalare quest’imbarazzato silenzio ufficiale: fu il caso di Shekib Arslan, il leader nazionalista siriano in esilio a Ginevra, che indicò dalle colonne del suo periodico “Le Monde Arabe” i motivi della politica coloniale fascista in Libia e gli accordi con la Gran Bretagna. Il fatto che, proprio in quel tempo, la distensione tra Roma e Londra si realizzasse all’insegna di un’ulteriore concessione coloniale non fu certo un buon segno. Nel periodo di massimo impegno repressivo dell’Italia contro i senussiti cirenaici, il 6 dicembre 1925 l’accordo con l’Inghilterra allargava il patrimonio coloniale italiano in Libia con la cessione, sulla frontiera con l’Egitto, di una vasta fascia che comprendeva Giarabub23.

I timori arabi rispondevano perfettamente ai fatti: dopo anni di promesse e illusoria propaganda, l’Italia si guardava bene ora dal fornire qualsiasi tipo d’appoggio ai movimenti nazionalisti arabi in lotta contro le potenze coloniali. La politica che

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pareva vincente sembrò essere quella del cauto attendismo che non prendeva di petto nessuna della notevole serie di crisi arabe di quegli anni e pareva meditare sul da farsi in un quadro che mirava soprattutto a tutelare gli interessi dell’Italia al di là delle precedenti dichiarazioni d’aperto sostegno alla causa araba. L’immobilismo del governo di Mussolini, che rinnegava promesse ed impegni presi nel periodo dell’opposizione, parve confermare quanto di poco attendibile vi fosse nelle varie dichiarazioni di appoggio totale alla causa araba e di sistematica opposizione al sistema dei mandati e alla politica generale della S.d.N. nel Medio Oriente. La nuova strategia politica è condensata nel rapporto che, al ritorno da un viaggio del Levante, Francesco Coppola fece al capo del governo, nel 1927:

“A noi non conviene né esasperare gli arabi né incoraggiare la crescente tracotanza xenofoba. Non abbiamo quindi alcuna ragione né di favorire né di combattere nella Lega delle Nazioni la loro persistente reazione antibritannica, se non in quanto l’una e l’altra cosa possa convenirci in funzione dei nostri rapporti con l’Inghilterra”24.

Desta quindi una qualche curiosità il fatto che, anche in questi anni d’immobilismo e di costante allineamento alle posizioni inglesi, i timori britannici di un disegno italiano di dominazione sull’Egitto resistessero in qualche misura, come quando, nel luglio del 1928, si sparse la notizia di una possibile sostituzione del ministro italiano al Cairo, con l’“estremista fascista” Orazio Pedrazzi, ex-nazionalista e console generale d’Italia a Gerusalemme.

La stessa situazione politica egiziana, d’altro canto, non lasciava ampi spazi di manovra per il neonato governo fascista. La nazione che salutava con entusiasmo l’ascesa al potere del Duce25 era logorata dalla lotta interna tra Fuad, riferimento dei

partiti conservatori, il partito nazionalista Wafd, che catalizzava gli entusiasmi di un popolo desideroso di libertà, e la Gran Bretagna, restia a cedere la propria posizione di predominio nel paese mediorientale. La concessione dell’indipendenza all’Egitto, il 28 febbraio 1922, fu quindi uno smacco per la politica inglese, anche se la Gran Bretagna 24 Ivi, p. 201.

25 Con queste parole Negretto Cambiaso, ministro al Cairo, commentava la reazione egiziana alla notizia

dell’ascesa al potere di Mussolini: “Gli ultimi avvenimenti sono stati commentati favorevolmente e con simpatia dalla stampa locale, dai circoli politici, finanziari e dai connazionali […]. Una Vostra biografia elogiativa e il programma di V.E. sono stati riprodotti da gran parte dei giornali arabi ed europei […]. L’organo nazionale egiziano rammenta che nel 1919 V.E. si è fatto paladino dell’indipendenza dell’Egitto”. Documenti Diplomatici Italiani (d’ora in avanti DDI), Serie VII, 1922-35, vol. I, doc. 26, Il

ministro al Cairo, Negretto Cambiaso, al Presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli Esteri, Mussolini, 2 novembre 1922.

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limitò gravemente la sovranità del nuovo Stato indipendente, eccettuando da essa quattro punti fondamentali, corrispondenti ai principali interessi inglesi nella vallata del Nilo: il Canale di Suez, la politica estera, la difesa, la sovranità sul Sudan26.

Nella premessa della Dichiarazione si confermava il fermo desiderio inglese di stabilire su solide basi l’amicizia fra le due Nazioni, mediante il riconoscimento dell’indipendenza egiziana. “Sta ora all’Egitto di rispondere – diceva il preambolo – ed è da sperare che esso saprà giustamente apprezzare le buone intenzioni della Gran Bretagna e che la riflessione, non la passione, guiderà il suo atteggiamento”27. Il 16

marzo successivo Londra, con una nota indirizzata alle grandi potenze, faceva sapere che avrebbe considerato atto “non amichevole” qualsiasi tentativo di interferire negli affari dell’Egitto.

Questa “Dichiarazione” non era certo di natura tale da soddisfare i nazionalisti egiziani. Essa, infatti, se da un lato riconosceva l’indipendenza egiziana e sanciva la fine del protettorato, lasciava alla discrezione assoluta della Gran Bretagna quattro punti vitali per l’Egitto, la cui mancata soluzione incideva sul concetto stesso dell’indipendenza. I punti riservati comprendevano tutti quegli ardui problemi che i negoziati Milner-Zaghlul, prima, e Adly Yeghen-Curzon, poi, non erano riusciti a risolvere e che, pertanto, erano stati la causa determinante del fallimento delle trattative.

L’ambiguità della dichiarazione britannica creò non solo un clima di grave malcontento nel mondo politico egiziano, ma fu al centro di un acceso dibattito della stampa di regime. Si legge su un opuscolo di Clemente Giannini, “Il conflitto anglo-egiziano e gli interessi italiani”:

“Il lato caratteristico dell’indipendenza, dal punto di vista legale, è la capacità che ha lo Stato di dirigere da solo i suoi affari interni e esteri. L’abolizione di questa capacità e la limitazione del suo campo d’azione, equivale alla soppressione dell’indipendenza. Quali sono le attribuzioni della capacità politica dell’Egitto? Se non sono nulle, sono ben limitate. […]. In tal modo si vede che le regole della Dichiarazione comportano, sotto forma diversa, il mantenimento del 26 Ecco il testo della fondamentale “Declaration to Egypt” del 28 febbraio 1922: “Il protettorato britannico

sull’Egitto è terminato e l’Egitto è dichiarato uno Stato sovrano e indipendente. Appena il governo di S.A. avrà promulgato un Atto di indennità applicabile a tutti gli abitanti dell’Egitto, la legge marziale proclamata il 2 novembre 1914 sarà abrogata. In attesa del momento in cui sarà possibile, mediante la libera discussione e degli accomodamenti amichevoli d’ambo le parti, di concludere fra il governo di Sua Maestà e il governo egiziano degli accordi concernenti le seguenti materie, queste materie sono assolutamente riservate alla discrezione del Governo di Sua Maestà: I. la sicurezza delle comunicazioni dell’impero britannico in Egitto; II. la difesa dell’Egitto contro ogni aggressioni straniera e contro ogni ingerenza diretta o indiretta; III. la protezione degli interessi stranieri in Egitto e la protezione delle minoranze; IV. il Sudan. R. ROSSI, L’Egitto. Storia, società, religione, Milano, Mondadori, 1999, p. 32.

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protettorato proclamato dall’Inghilterra nel 1914 e, per di più, esso tiene il tacito riconoscimento di questo stato di cose da parte del popolo egiziano”28.

Anche il leader del Partito repubblicano, Eugenio Chiesa, il sen. Sforza e il duca Colonna di Cesarò intervennero sul giornale arabo “al Arhan” con parole di grande malcontento verso l’atteggiamento inglese nei confronti dell’Egitto: “La soppressione del protettorato, nonché la proclamazione dell’indipendenza, non sono che un velo, destinato a camuffare il dominio inglese. La libertà non può in nessun modo essere ambigua. Si è o non si è liberi”29.

1.4. La costituzione egiziana del 1923

Un provvedimento che s’imponeva in Egitto, dopo la dichiarazione d’indipendenza, era l’emanazione di una Carta costituzionale che disciplinasse i rapporti fra corona, governo e Parlamento. Alla necessità di una costituzione, re Fuad (che aveva abbandonato il titolo di sultano per quello di “Sua Maestà e Re d’Egitto” il 15 marzo 1922) aveva pensato fin dal giorno in cui l’Inghilterra aveva riconosciuto l’indipendenza dell’Egitto, e il 1° marzo 1922 un Rescritto reale aveva incaricato il governo di elaborare un progetto di costituzione.

A tale scopo erano stati convocati i rappresentanti dei vari partiti politici, i wafdisti, i liberal-costituzionali ed i watanisti al fine di ottenere il loro appoggio e la loro collaborazione. Mentre il partito liberal-costituzionale, legato alla corona e costituito da elementi moderati, aderì all’appello, il Wafd e i watanisti subordinarono la loro collaborazione alla creazione di una “Assemblea Nazionale Costituente”, da eleggersi in base al suffragio universale, che avrebbe dovuto partecipare ai lavori. Il governo non ritenne opportuno accettare tali richieste e nella seduta del Consiglio dei ministri del 6 aprile 1922 decise di affidare la redazione del progetto ad uno speciale comitato, detto dei “Trenta”, che risultò composto unicamente da elementi liberal-costituzionali. Una commissione, composta di tredici persone e costituita in seno al Comitato, in diciotto sedute, dall’11 aprile al 20 maggio, procedette all’elaborazione di

28 ASMAE, AP, Egitto, 1919-1930, b. 1002, f. 2676, Accordo anglo-egiziano pel Sudan, 23 maggio 1923. 29 ASMAE, AP, Egitto, 1919-1930, b. 1002, f. 2679, Giornali e giornalisti, 30 agosto 1923.

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uno schema generale e il 29 agosto cessava i suoi lavori. Lo schema generale fu discusso dal Comitato in seduta plenaria ed approvato tra il 29 settembre ed il 2 ottobre 1922. Fu quindi sottoposto all’esame del Comitato legislativo, poi a quello di un Comitato governativo.

Nel progetto così predisposto figuravano due articoli, il 29 e il 145, che riguardavano il Sudan. Il primo di essi stabiliva che il sovrano avrebbe avuto il diritto al titolo di “re d’Egitto e del Sudan”. Il secondo diceva invece: “Questo statuto andrà in vigore in tutto il Regno d’Egitto, escluso il Sudan, per il quale, benché esso formi parte integrante del Regno, sarà determinato l’ordinamento mediante legge speciale”. L’Alto Commissario britannico, appena il progetto fu reso noto, chiese in forma ufficiosa, prima, e ufficialmente poi, il 2 febbraio 1923, che fosse soppresso ogni accenno al Sudan, concedendo ventiquattro ore per la risposta. Un estremo tentativo fu fatto dal Cairo per raggiungere un compromesso: si propose che i suddetti accenni fossero per il momento omessi, lasciando però la decisione finale al Parlamento. L’Alto Commissario rispose che avrebbe interpellato il suo governo, ma il 5 febbraio, non essendo ancora pervenuta alcuna risposta, il gabinetto Nesim preferì rassegnare le dimissioni30. Due

giorni dopo, giunse da Londra una risposta favorevole alla richiesta egiziana, ma il gabinetto si era ormai dimesso e la crisi ministeriale poté trovare una soluzione solamente il 15 marzo successivo, con la formazione di un governo presieduto da Yahyà Ibrahim pascià.

Poco più di un mese dopo, il 21 aprile, il progetto di costituzione, dopo aver ottenuto l’approvazione del comitato governativo, venne promulgato. La prima Carta costituzionale dell’Egitto indipendente era creata. I principi da essa stabiliti erano in gran parte presi dalla costituzione belga e possono, in sostanza, essere così brevemente riassunti31: l’Egitto era proclamato Stato “sovrano e indipendente”; i suoi diritti di

sovranità dichiarati indivisibili ed inalienabili; il suo regime definito una monarchia ereditaria rappresentativa (titolo primo). Era sancita l’eguaglianza giuridica di tutti gli egiziani e fissati i diritti e doveri di ogni cittadino (titolo secondo). Veniva enunciato il principio della divisione dei poteri e si stabiliva il procedimento per la formazione delle leggi ed i limiti della loro applicabilità. La monarchia era ereditaria con successione devoluta alla primogenitura maschile, erano minutamente fissati i rapporti fra corona e

30 Cfr. “Oriente Moderno”, II, 1923, pp. 556-557.

31 Per un esauriente commento del testo della costituzione egiziana del 1923, di cui si fa qui solo

sommario accenno, si veda A. GIANNINI, La costituzione egiziana, in “Oriente Moderno”, III, 1923, pp.

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Parlamento, in modo da consentire alla prima una netta supremazia, erano inoltre regolati i diritti, le attribuzioni ed i doveri dei singoli ministri. Fra le due Camere, quella dei Deputati aveva una evidente preminenza sul Senato; i membri del Senato erano nominati per due quinti dal re per i tre quinti eletti sulla base del suffragio universale. I deputati sarebbero stati invece eletti tutti in base al suffragio universale. Venivano quindi sancite una serie di disposizioni comuni per le due Camere (titolo terzo). Erano infine stabiliti i principi generali degli ordinamenti giudiziario, degli enti locali, delle imposte e delle finanze, delle forze armate (titolo quarto e quinto). Chiudevano il testo le disposizioni generali (titolo sesto) e le disposizioni finali e transitorie (titolo settimo)32

.

La carta fu accolta con grande freddezza, sia dalla popolazione, che dalla classe politica egiziana, conscia di come, nella realtà, fosse ancora vivo lo stato di subordinazione alla potenza europea.

“Dopo qualche momento d’incertezza l’opinione pubblica giudicò favorevolmente il testo della costituzione e la città si imbandierò, sebbene non unanimemente, né spontaneamente. […]. I primi ad esporre la bandiera furono gli stranieri, gli arabi lo fecero poi, sollecitati in gran parte dalla polizia. Il Wafd ha pubblicato un manifesto di protesta sulla illiberalità della costituzione. Il manifesto conclude: “Il paese continuerà la sua lotta legittima e il trionfo finale è sicuro”33.

Zaghlul, il leader wafdista, (già rinominato dall’opinione pubblica egiziana “il padre della patria”) si espresse in toni molto violenti a riguardo della costituzione, evidenziando come essa non realizzasse le aspirazioni di un popolo la cui vita e libertà si trovavano ancora alla mercé del Comando britannico. Zaghlul criticò specialmente i larghi poteri riconosciuti ad un re accusato di nascondersi sotto la protezione straniera: “Il sovrano è sotto l’influenza straniera. Il trono è protetto dalle truppe straniere ed ogni tentativo di avvicinare il trono al popolo è punito con l’esilio”34. Per l’uomo politico

egiziano il paese avrebbe dovuto continuare la lotta fino ad ottenere la piena indipendenza, il ritiro delle truppe inglese dal territorio egiziano e dal Sudan. Il malcontento del Wafd era inoltre determinato dalla normativa sul regime capitolare.

32 ASMAE, AP, Egitto, 1919-1930, b. 1001, f. 2658, Egitto, trattazione generale, 10 giugno 1923. 33 Ibidem.

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L’articolo 154 della costituzione stabiliva, infatti, il permanere dell’immunità legislativa e giuridica per gli stranieri presenti nel paese35.

Ben diversa la posizione di Fuad, che interpretava con grande lucidità la situazione politica del proprio paese e che così argomentava le proprie scelte:

“Ho dato al mio paese l’indipendenza e la costituzione. […]. Ho fiducia che il popolo egiziano sappia rendersi degno di queste liberalità e che le teste più calde dei miei sudditi che perseguono una politica irraggiungibile perché rovinosa per il paese stesso, una volta assunta la loro parte di responsabilità del potere, entrando in Parlamento, si rendano conto che lavorare per ottenere ad ogni costo, intempestivamente, una maggiore indipendenza significherebbe perdere l’indipendenza già ottenuta”36.

Aggiungendo a riguardo dell’Inghilterra:

“Il popolo si deve rendere conto che per almeno venti anni noi non possiamo vivere che sotto l’influenza di una grande potenza. Quale potrebbe essere questa se non l’Inghilterra? Quale grande potenza potrebbe, in contrasto con gli interessi inglesi, soppiantare, da amica e alleata, l’influenza britannica? [...]. L’Egitto ha per ora la fortuna di non avere bisogno di flotta e di esercito perché ci pensa l’Inghilterra”37.

La concessione fatta unilateralmente dall’Inghilterra, in quel difficile momento, era un’evidente prova di buona volontà verso l’Egitto. Negli ambienti nazionalisti moderati, ed anche in qualche settore più oltranzista, non si mancò di prendere atto del contenuto sostanzialmente positivo della “Dichiarazione” e di riconoscere l’importante passo avanti che faceva l’Egitto sulla via della sua completa emancipazione. Le dimostrazioni e i disordini, che quasi senza interruzione si erano succeduti nel paese dalla fine della guerra, conobbero finalmente una battuta d’arresto.

35 L’articolo 154 della costituzione recitava: “L’applicazione della presente costituzione non tocca gli

obblighi dell’Egitto verso gli stati stranieri, né i diritti che gli stranieri abbiano acquistato in Egitto in virtù delle leggi, dei trattati e degli usi riconosciuti”. Ibidem.

36 Ivi, Situazione politica dell’Egitto, colloquio con re Fuad, 29 agosto 1923. 37 Ibidem.

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