loro licenziamento, ma anzi, in certi casi, aveva mostrato di esigerne un aumento. Il ministro Chamberlain, per evitare nuovi attriti con gli egiziani, si era mostrato avverso alle idee di Lord Lloyd. Anche in questo caso v’era stato un lungo scambio di telegrammi, ma questa volta partita vinta l’aveva avuta il governo;
III. estate 1927: controversia sul riordinamento dell’esercito egiziano. L’Alto Commissario considerava l’esercito egiziano come una minaccia alla supremazia inglese e riteneva perciò di dover insistere sulla permanenza di un controllo britannico sulle forze armate. Il governo inglese sarebbe stato invece propenso a venire incontro ai desideri egiziani per evitare nuovi attriti. Ma Lord Lloyd aveva insistito e ne era derivato un compromesso che, pur non risolvendo interamente la divergenza, aveva visto prevalere la tesi dell’Alto Commissario;
IV. primavera 1928: grave crisi provocata dal progetto sulle pubbliche riunioni. L’Alto Commissario riteneva che, in caso di mancato ritiro del progetto, si sarebbero dovute esigere le dimissioni del Primo Ministro e ricorrere a rimedi estremi. Ma, in ultimo, Lord Lloyd aveva dovuto cedere ed accettare la soluzione dilatoria proposta dal governo egiziano;
V. primavera 1929: nonostante il deciso, avverso parere dell’Alto Commissario, il governo britannico aveva accolto una richiesta egiziana di applicare alcune tasse agli stranieri345.
In virtù di tali avvenimenti il governo inglese decise di sostituire Lord Lloyd con Sir Percy Loraine, ministro ad Atene e già incaricato di missioni diplomatiche a Roma,
Pechino, Parigi e Teheran, dove si era messo in luce specialmente nel 1921 quando, in un momento delicato dei rapporti anglo-persiani, era riuscito a ristabilire su buone basi le relazioni con il paese346.
5.7. Le trattative Mahmud pascià – Henderson del 1929 e le ripercussioni su Roma Nelle dimissioni dell’Alto commissario un ruolo di grande rilievo era stato giocato dal Wafd, le cui pressioni sui laburisti inglesi, andati al potere nel giugno del 1929, avevano prodotto un clima di maggiore attenzione e comprensione verso le aspirazioni egiziane347, tanto che nell’agosto 1929 si era andati molto vicini alla
conclusione di un trattato che sistemasse definitivamente le pendenze anglo-egiziane. L’avvento del gabinetto laburista riaccese le speranze degli egiziani. Si ricordava infatti al Cairo che, sebbene le trattative Zaghlul-MacDonald del 1924 non si fossero concluse, le concessioni allora fatte dall’Inghilterra avevano oltrepassato sensibilmente tutte quelle precedenti, ed anzi erano risultate maggiori e più consistenti di quelle dei successivi negoziati Sarwat-Chamberlain del 1927.
Il 20 giugno 1929, il Presidente del Consiglio egiziano, in un’intervista concessa al “Daily Express”, dopo aver giustificato le misure di emergenza adottate dal governo, attribuendo al Wafd la responsabilità di avere con il suo atteggiamento “frustrato ogni buona volontà esistente fra l’Egitto e la Gran Bretagna”, si dichiarò convinto che gli interessi britannici non fossero incompatibili con l’indipendenza egiziana. Concluse Mahmud:
“Data la buona volontà da ambo le parti la questione egiziana potrà essere risolta con piena soddisfazione reciproca. D’altronde sono certo che la Gran Bretagna possa e voglia giungere ad un’intesa con l’Egitto; ciò potrà avvenire, come spero, fra non molto tempo. L’Egitto, fruendo 346 “The Times”, 8 agosto 1929, cit. in “Oriente Moderno”, IX, 1929, p. 379.
347 Ovviamente le maggiori personalità politiche egiziane (in primo luogo l’allora Primo Ministro
Mahmud Pascià, alla ricerca di un rinnovato prestigio) si attribuirono il merito dell’allontanamento di Lord Loyd dall’Egitto. Un rapporto inviato dal Cairo spiega, nell’ottica wafdista, la dinamica delle dimissioni dell’Alto Commissario inglese: “Il merito dell’eliminazione di Lord Loyd e delle favorevoli disposizioni del governo laburista è da attribuirsi al Wafd. Uomini del partito hanno da un anno lavorato a Londra il Labour Party. Essi hanno potuto così guadagnare alla causa nazionale i laburisti più rappresentativi”. ASMAE, AP, Egitto, 1919-1930, b. 1010, f. 2805, Relazioni anglo-egiziane, 28 agosto 1929.
dei benefici di una vera democrazia e di una effettiva indipendenza, sarà in grado di collaborare in piena armonia con la Gran Bretagna”348.
Per tali considerazioni, Mahmud pascià ritenne che fosse giunto il momento di riprendere i contatti con gli inglesi e nel giugno 1929 si recò a Londra. Il 20 luglio successivo re Fuad, reduce da una visita ufficiale in Germania, giunse a sua volta nella capitale inglese. Secondo il programma che si era prefisso, il Primo Ministro egiziano intendeva affrontare non tanto l’insieme dei rapporti anglo-egiziani, quanto alcuni punti particolari, ove maggiori erano le prospettive di un’intesa. La soluzione di tali questioni avrebbe infatti sgomberato il terreno dagli ostacoli e creato l'atmosfera propizia in vista di più ampi negoziati sull’intera questione egiziana. Più precisamente, i problemi che Mahmud pascià si proponeva di sollevare e discutere erano essenzialmente tre: quello capitolare, con particolare riguardo della parte che concerneva la devoluzione della competenza penale dei tribunali consolari alle giurisdizioni miste e dell’applicazione di alcune imposte agli stranieri; quello dell’ammissione dell’Egitto alla Società delle Nazioni ed infine quello del Sudan349. Per quest’ultimo problema, si puntava sul ritorno
al regime stabilito dalle Convenzioni del 1899, che era stato sospeso dopo i noti avvenimenti del 1924.
Il progetto di trattato a cui giunsero le parti dopo varie riunioni rivoluzionava le relazioni anglo-egiziane, ponendole su nuove basi giuridiche e politiche. L’accordo si componeva di sedici articoli e di alcuni annessi, in forma di scambio di lettere, le cui disposizioni possono così riassumersi. Veniva innanzi tutto sancita la fine dell’occupazione britannica (art. 1) e convenuta la stipulazione di un’alleanza fra le Parti (art. 2). La Gran Bretagna s’impegnava, inoltre, a sostenere la domanda di ammissione dell’Egitto alla Società delle Nazioni (art. 3). In caso di conflitto con Stati terzi, le due parti si sarebbero concordate per risolvere il conflitto pacificamente, secondo i principi della Società delle Nazioni e gli altri impegni internazionali (art. 4). Le due parti s’impegnavano a non adottare nei loro rapporti con terzi Paesi un atteggiamento incompatibile con l’alleanza o che avesse comunque creato difficoltà all’altra parte; a non opporsi alla politica dell’altro contraente nei Paesi stranieri e a non concludere “accordi politici” che potessero recare pregiudizio all’altro contraente (art. 5). Il governo egiziano si sarebbe assunto ogni responsabilità per la protezione della vita
348 Vds. anche “Oriente Moderno”, IX, 1929, p. 331.
349 AA.VV., Memorandum on the negotiations of 1929 which led to the anglo-egyptian project-treaty,
e dei beni degli stranieri (art. 6). L’articolo 7 fissava gli obblighi dell’Egitto verso l’alleato. Qualora una delle parti fosse stata coinvolta in un conflitto, l’altra sarebbe venuta in suo soccorso come alleata. In particolare, il governo egiziano avrebbe fornito alla Gran Bretagna sul suo territorio, in caso di guerra o minaccia di guerra, “tutte le facilitazioni ed assistenza in suo potere, compreso l’uso dei suoi porti, aerodromi e mezzi di comunicazione”350. Qualora l’Egitto avesse avuto bisogno di istruttori stranieri
per l’esercito avrebbe fatto ricorso, di preferenza, a quelli britannici (art. 8). Uguale disposizione era stabilita per i funzionari (art. 10). Le truppe britanniche stanziate in Egitto per la difesa delle comunicazioni imperiali sarebbero state dislocate ad oriente del 32° di longitudine e non avrebbero in nessun caso intaccato i diritto sovrani dell’Egitto (art. 9). Il governo britannico s’impegnava a sostenere quello egiziano presso i paesi interessati per ottenere il trasferimento ai tribunali misti della competenza dei tribunali consolari e l’applicazione della legislazione egiziana agli stranieri (art. 11). I due paesi sarebbero stati rappresentanti da un ambasciatore e al rappresentante britannico sarebbe stato riconosciuto rango più elevato rispetto agli altri rappresentanti diplomatici stranieri (art. 12). Per il Sudan si ritornava al regime delle Convenzioni del 1899, con riserva di concludere nuovi accordi in avvenire (art. 13). Il governatore generale avrebbe pertanto continuato ad esercitare, in nome delle due Parti, i poteri conferitigli dalle dette Convenzioni. Le parti riconoscevano la validità degli impegni derivanti dal patto della Società delle Nazioni e dal patto Briand-Kellog di rinuncia alla guerra (art. 14). In caso di disaccordo sull’interpretazione delle norme del trattato era previsto il ricorso alla Società delle Nazioni (art. 15). Con l’articolo sedicesimo ed ultimo, i due contraenti si riservavano il diritto di iniziare, in ogni momento dopo il termine di venticinque anni, negoziati per concordare le modificazioni che si fossero rese necessarie.
Nelle Note annesse erano previste alcune disposizioni che delimitavano, in un certo modo, i diritti riconosciuti all’Egitto. Erano così contemplati: la permanenza di una missione militare inglese, l’impegno egiziano di usare lo stesso armamento ed equipaggiamento dell’esercito britannico, l’obbligo di mettere a disposizione gratuita delle truppe britanniche i terreni e le caserme occorrenti. Il trasferimento delle truppe britanniche nella zona prestabilita sarebbe avvenuto quando le nuove caserme fossero state pronte. Il governo egiziano avrebbe inoltre preso i provvedimenti necessari per assicurare alla forze britanniche ogni comodità (piantagioni di alberi, giardini, ecc.) e
una riserva d’acqua potabile per i casi imprevisti. Le truppe britanniche avrebbero continuato a fruire, salvo nuovi accordi, delle immunità e privilegi fino allora goduti. Il governo egiziano avrebbe vietato il sorvolo degli aerei di altri paesi lungo una fascia di venti chilometri sui due lati del Canale ed avrebbe concesso invece agli aerei britannici ogni facilitazione di transito sul territorio egiziano; si impegnava altresì a mantenere, per un congruo periodo, i due Consiglieri inglesi nei ministeri delle Finanze e della Giustizia, ma era lasciato libero di sopprimere l’Ufficio europeo di Pubblica Sicurezza. Rimaneva però inteso che, per un periodo di almeno cinque anni, un certo numero di elementi europei sarebbe stato mantenuto nelle forze di polizia delle città, al comando di ufficiali britannici. In caso di riorganizzazione dei servizi di polizia, il governo britannico si dichiarava lieto di poter fornire gli esperti ed una missione di polizia. Qualora l’Egitto non avesse trovato elementi britannici idonei sarebbe stato libero di ricorrere ai servizi di funzionari stranieri. Il governo britannico conveniva che la non menzione nel Trattato della protezione delle minoranze significava che la questione sarebbe ormai dipesa esclusivamente dal Cairo.
Per il Sudan, si conveniva che la questione dei debiti verso l’Egitto sarebbe stata discussa e risolta su basi ragionevoli ed eque. Era inoltre stabilita una particolare procedura per l’applicazione delle Convenzioni internazionali al paese, al fine di assicurare il rispetto dell’eguaglianza fra le due parti. Infine, il governo britannico si dichiarava disposto ad esaminare con benevolenza la possibilità di autorizzare il ritorno di un battaglione egiziano nel Sudan al momento stesso in cui le forze britanniche fossero state ritirate dal Cairo, a condizione che l’Egitto avesse eseguito il Trattato con lo stesso spirito amichevole con cui aveva condotto i negoziati351.
Non v’era dubbio che le concessioni fatte all’Egitto dal nuovo schema di accordo fossero sensibilmente superiori a quelle ottenute in tutti i negoziati che si erano susseguiti negli anni precedenti. Tornato in Egitto, Mahmud pascià, in un discorso pronunziato il 24 agosto ad Alessandria, sottolineò i numerosi benefici che l’accordo avrebbe assicurato al paese. Innanzi tutto il governo britannico riconosceva la fine dell’occupazione militare. Tale principio, osservò il Primo Ministro, non poteva considerarsi intaccato dalla permanenza di truppe britanniche lungo il Canale di Suez, perché tali truppe sarebbero state destinate esclusivamente alla difesa delle comunicazioni imperiali. Pari importanza rivestivano la soppressione delle
capitolazioni, l’ingresso dell’Egitto nella Società delle Nazioni e il ritorno delle truppe egiziane nel Sudan.
In favore dell’accordo si pronunziarono i liberal-costituzionali (dei quali, del resto, era presidente lo stesso Mahmud pascià) e gli unionisti. Anche i watanisti parvero disposti ad accettare l’accordo, purché fosse aggiunta una clausola che sancisse la partecipazione delle truppe egiziane alla difesa del Canale352.
Da parte sua, il Wafd fece sapere che non avrebbe potuto pronunciarsi se prima il gabinetto non si fosse dimesso, non fossero state indette le elezioni e riaperto il Parlamento. Evidentemente Nahas non poteva permettere che fosse qualcun altro a concludere il tanto agognato accordo con la Gran Bretagna. Per non essere d’ostacolo al raggiungimento dell’intesa, Mahmud presentò da lì a poco le dimissioni. In attesa delle elezioni, l’incarico di formare il governo fu conferito ad Adly Yeghen pascià, accetto ai wafdisti.
I negoziati Mahmud-Henderson furono oggetto di dure critiche da parte del governo fascista. Si accusò Londra di perseguire i soli propri interessi senza tenere conto delle ripercussioni che tale atteggiamento avrebbe prodotto sulle altre potenze capitolari, in primis, l’Italia. La fine dell’occupazione britannica (sancita all’art. 1), anche se con tutte le clausole e le riserve del caso, violava gli obblighi internazionali tacitamente assunti nel 1882 dall’Inghilterra di salvaguardare la vita, le proprietà e gli interessi delle comunità straniere presenti in Egitto, obblighi che si considerava quasi contrattuali, poiché rafforzati da una lunghissima consuetudine.
Positivamente fu invece accolto l’art. 3 del progetto di trattato per cui la Gran Bretagna si impegnava ad appoggiare l’ingresso dell’Egitto nella Società delle Nazioni. Il diritto riconosciuto al paese di appellarsi all’organismo internazionale in qualsiasi momento dei suoi rapporti con la Gran Bretagna e per qualsiasi argomento andava a modificare radicalmente la natura delle relazioni anglo-egiziane, considerate gelosamente dagli inglesi come affari interni, la cui conoscenza era preclusa alla diplomazia straniera. L’adesione alla Lega, oltre che sancire la piena indipendenza internazionale del paese, avrebbe contribuito ad allentare i vincoli esistenti tra Londra e il Cairo, permettendo all’Italia di aprire un varco nel quale inserire la propria azione.
A questi due importantissimi atti, che ponevano su nuove basi i rapporti anglo- egiziani, il governo laburista era andato ad aggiungere tutta una serie di rinunce, che più direttamente interessavano le potenze capitolari; esse contemplavano:
352 Intervista concessa da Hafiz Ramadan, capo dei watanisti, al corrispondente parigino di “al-Ahram”
a) le capitolazioni;
b) la soppressione di funzionari stranieri “non inglesi”; c) la rinuncia alla protezione degli stranieri;
d) la soppressione dell’ufficio europeo del Dipartimento della Pubblica Sicurezza e il graduale licenziamento degli Ufficiali di Polizia stranieri; e) il mantenimento temporaneo dei due consiglieri inglesi, il Finanziario e il
Giudiziario, per coadiuvare alle riforme.
Tutte queste misure, mentre non intaccavano le posizioni inglesi, garantite dal trattato di alleanza con l’Egitto, rendevano delicata la posizione delle comunità europee, in balia del governo e della giustizia egiziane353. Il ministro plenipotenziario al Cairo,
Paternò, in un lungo rapporto dell’agosto 1929, evidenziò tutta l’incertezza che il nuovo trattato avrebbe creato:
“La rinuncia alla protezione degli stranieri equivale a lasciare l’Egitto a provvedere da solo all’incolumità degli stranieri ed in genere all’ordine pubblico. L’incapacità degli egiziani a questo servizio non ha bisogno di dimostrazioni. Gli archivi di tutti i consolati esteri sono pieni di reclami contro i poliziotti indigeni per i soprusi che commettono ogni volta che riescono su un europeo. Cosa avverrebbe se la pubblica sicurezza dovesse egizianizzarsi completamente è facile immaginarlo. L’Egitto non è da considerarsi alla stregua degli altri paesi orientali dove i nuclei di stranieri e gli interessi che essi rappresentano sono minimi e quindi è minimo il danno che una cattiva amministrazione della giustizia e una scarsa tutela dell’ordine pubblico possono produrre. Qui si tratta di migliaia di stranieri e di interessi colossali. Il danno che la Gran Bretagna arreca o per lo meno tenta di arrecare col lasciare di colpo l’Egitto libero verso gli stranieri è semplicemente enorme”354.
L’Italia, nella visione di “grande potenza mediterranea”355 tipica del fascismo, non
intendeva attendere lo scorrere degli eventi. Si rendeva necessaria un’azione, sicuramente attenta e ramificata, ma che non andasse ad urtare la sensibilità orientale, per salvaguardare le posizioni politico-economiche del regime e della numerosa 353 I timori italiani sulla situazione che si sarebbe determinata in Egitto con la firma del trattato erano
condivisi anche dalle altre potenze europee che in Egitto avevano importanti interessi da difendere e numerose comunità da tutelare, in primis, la Francia. Mentre Briand propose a Roma la formazione di un fronte unico mirante a dare garanzia nei seguenti settori: 1) proporzionalità dei tribunali misti; 2) polizia giudiziaria; 3) garanzie fiscali a mezzo commissione mista e diritto di ricorso alla giurisdizione mista; 4) codice penale misto; 5) mantenimento dello statuto personale. ASMAE, AP, Egitto, 1919-1930, b. 1010, f. 2805, Relazioni anglo-egiziane, 9 agosto 1929.
354 Ivi, 28 agosto 1929. 355 Ibid.
collettività italiana. In questo senso la politica adottata da Roma a riguardo della riforma capitolare sembrò produrre i propri frutti: il regime, consapevole che un’azione mirante alla completa abolizione delle capitolazioni avrebbe gettato l’Egitto tra le braccia di Londra, preferì una politica più pacata, finalizzata a riformare, ma gradualmente, il settore fiscale e giudiziario356. La riforma del sistema capitolare, la perdita d’influenza
sociale e culturale, la paura di una tariffa preferenziale nei commerci tra Gran Bretagna ed Egitto, rappresentavano, dunque, le principali paure del regime al momento della partenza dei rappresentanti egiziani per Londra.
5.8. Il fallimento del negoziato e il governo Adly pascià
Il 3 agosto 1929 re Fuad e Mahmud si erano recati nella capitale inglese, ma i negoziati si conclusero, ancora una volta, con un nulla di fatto. I mutamenti nella vita politica egiziana e il nuovo deteriorarsi delle relazioni con Londra mostrarono, non solo come i timori del Duce fossero infondati, ma che la strada per l’indipendenza era ancora lunga e difficile. La firma del trattato con Londra fu impedita dalla pressante azione del Wafd, che chiese, come abbiamo visto, le dimissioni dell’allora governo liberal- costituzionale, l’indizione delle elezioni e la riapertura del Parlamento, sollevando altresì l’opinione pubblica contro un esecutivo che, non rispondente alla volontà popolare, era privo di poteri negoziali. Dal canto suo, la Gran Bretagna era ben consapevole che un lungo periodo di pace e stabilità in Egitto fosse consentito solo dalla presenza del Wafd al potere357.
356 Quello che il governo italiano temeva in maniera particolare era la riforma del sistema giurisdizionale.
Secondo le capitolazioni e il diritto consuetudinario, esistente in Egitto sin dall’anno 1875, la giurisdizione dei consoli si applicava a tutte le controversie esistenti tra i connazionali o promosse contro un connazionale. Il console d’Italia, perciò, per quello che riguardava gli italiani, giudicava per tutte le controversie che operavano contro un italiano, di qualunque nazionalità fosse stato l’autore della causa.
357 Si legge su “La Réforme” a riguardo della situazione politica interna all’Egitto e dei suoi rapporti con
Londra: “I membri del ministero hanno approvato le richieste inglesi. Quanto al Wafd, esso ha deciso di non pronunciarsi a riguardo delle proposte inglesi, se non nell’ambito del Parlamento tramite rappresentanti liberamente eletti dalla nazione. Quindi da qui a due mesi la politica egiziana entrerà in una fase di stallo, che porterà a nuove elezioni e alla formazione delle nuove camere. È da credere che Gran Bretagna ed Egitto, in questo periodo, cercheranno di salvaguardare le loro rispettive posizioni. Per quello che concerne i diritti dell’Egitto e i privilegi della Gran Bretagna, ci asteniamo dal fare qualsiasi osservazione. Ognuno dei due paesi possiede un numero sufficiente di patrioti capaci e disinteressati, in grado di difendere la propria causa. Per quello che concerne gli interessi materiali e morali degli stranieri, spetterà alle potenze europee far intendere la propria voce ai due Stati che si apprestano a diventare alleati e che dimenticano di salvaguardare quelle comunità che tanto hanno dato alla storia dell’Egitto. Tra i fautori del Rinascimento egiziano ci sono francesi, inglesi, italiani, greci, spagnoli, tedeschi, austriaci, svizzeri che hanno lasciato delle tracce indelebili in ogni campo della vita politica, economica, sociale,
Al capovolgimento della situazione politica interna egiziana concorsero il Wafd e il risentimento del popolo, ma anche i laburisti inglesi, la denunciata anglofilia di Mahmud e l’ostilità tra quest’ultimo e Fuad358. Le parole di Paternò, in questo senso,