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De-costruire l’immaginario violento dell’amore cattivo

Nel documento FEMI CIDIO (pagine 79-84)

ELENCO DELLE DONNE VITTIME DI FEMICIDIO IN ITALIA NEL 2011

3. De-costruire l’immaginario violento dell’amore cattivo

Nell’ambito di progetti e percorsi di educazione al genere, quando si portano riflessioni di questo tipo all’attenzione di scolaresche, educatori e genitori, si incontrano di solito due obiezioni. La prima è che si tratta di storie di fantasia e quindi innocue; la seconda è che si tratta pur sempre di storie “romanti-che”, quasi il ricorso a un immaginario violento e patriarcale fosse una sorta

81 di licenza poetica necessaria a ottenere l’effetto romantico. Il nodo che sfugge e che bisogna ricordare è che queste storie, queste dinamiche narrative, que-sto immaginario non sono romantici di per sé ma vengono costruiti come tali.

Il desiderio maschile e quello femminile vengono culturalmente elaborati e proposti come violento il primo e votato alla sottomissione il secondo. Non c’è niente di atavico e naturale in tutto ciò, per questo è importante decostruire un determinato discorso amoroso.

Tanto più che si tratta di un immaginario che, una volta sdoganato, diventa un bacino a cui attingono pubblicità, videogiochi, canzoni e altri canali della cultura mainstream.

Per circolare, l’amore cattivo non ha bisogno di essere reso romantico: può veni-re semplicemente rivestito di un’aura accattivante e spavalda. Basta daveni-re uno sguardo ad alcune recenti campagne pubblicitarie indirizzate a giovanissimi per rendersene conto. I manifesti delle case di abbigliamento D&G, Calvin Klein jeans e Relish, per esempio, sono incentrati su un’operazione di estetiz-zazione dello stupro di gruppo, delle molestie e della violenza contro le donne (vedi Figg. 2, 3, 4): il modello in jeans D&G che tiene immobilizzata a terra una modella completamente inerte e passiva è rappresentato come un soggetto desiderabile, vincente e cool (Fig. 4).

Fig.2 Campagna pubblicitaria Relish Fig. 3 Campagna pubblicitaria Calvin Klein Jeans

Fig. 4 Campagna pubblicitaria D&G

Tipi tosti e cool sono anche i rapper della scena hip hop giovanile. “Non con-servatevi, datela a tutti, anche ai cani / se non me la dai, io te la strappo come

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Femicidio. Corredo culturale

Pacciani” canta il popolare rapper Fabri Fibra nella canzone Tira su le mani. Gli fa eco il cantante J-Ax con l’inquietante ritornello della canzone Ti amo o ti am-mazzo: “il tuo ragazzo è pazzo / o parliamo o ci pestiamo scegli uno, / o ti amo o ti ammazzo, / ti amo ti ammazzo”. Anche nell’immaginario della musica rock si trovano rappresentazioni di relazione violente in cui il ruolo maschile è quello, implicitamente affascinante, del bello e dannato. Così cantano gli Afterhours in Lasciami leccare l’adrenalina: “Forse non è proprio legale sai / ma sei bella vestita di lividi. / M’incoraggi ad annullare i miei limiti. / Le tue lacrime in fondo ai miei brividi”.

Non si tratta di fare del moralismo, ma di riflettere sul fatto che la diffusione e la pervasività di queste rappresentazioni contribuiscono a far rientrare la violenza sulle donne nella normalità, legittimandola. Inoltre, l’idealizzazione romantica della violenza rende difficile la leggibilità di una relazione come violenta, di un rapporto come non paritario, di un comportamento come per-secutorio.

Torniamo, infine, alla prima delle due obiezioni: sono storie immaginarie, non reali... perché prenderle sul serio? Chi sottovaluta il potere delle storie e dell’immaginario sottovaluta il nesso tra rappresentazione e auto-rappre-sentazione. Come illustrato ampiamente da Teresa de Lauretis (1999), il ge-nere va preso in considerazione e analizzato sia in quanto rappresentazione sia in quanto auto-rappresentazione. Da un lato, bisogna prestare attenzione alla costituzione sociale del genere, dunque alle sue rappresentazioni messe in circolo da varie istituzioni e dispositivi di potere (la famiglia, la scuola, il lin-guaggio, i mass media, pratiche culturali, etc.). Dall’altro, bisogna considerare l’introiezione del genere da parte degli individui, ovvero il fatto che questo insieme di discorsi e rappresentazioni produce un effetto sui singoli individui, che si costituiscono e auto-rappresentano come soggetti maschili o femminili basandosi sulle rappresentazioni che hanno a disposizione.

Il soggetto sociale […] non è dotato di una sessualità naturale, innata o originaria, ma si costituisce - e si costituisce sessuato - come effetto delle rappresentazioni di genere, nell’identificarsi in esse, nel farle proprie.

(de Lauretis 1999: 60) Un romanzo, un’immagine, una canzone prevedono determinati percorsi in-terpretativi: predispongono alcune identificazioni e non altre, ci mettono nella posizione di assumere un determinato sguardo, attribuiscono significati che entrano a far parte del set di associazioni e codici di cui ci serviamo per leggere la realtà e agire di conseguenza, per interpretare il mondo e abitarlo. Come scrive Paul Ricoeur (1991), contestando l’affermazione per cui le storie sono rac-contate, la vita vissuta, la questione è un po’ più complessa. Le storie ci offrono un’esperienza meno passiva di quello che sembra, in quanto sono raccontate, ma anche vissute nelle modalità proprie dell’immaginario.

Le storie ci interpellano, ci forniscono trame e ruoli da interpretare. Trame

83 e ruoli che possiamo e dobbiamo decostruire e trasformare se vogliamo cam-biare storia. Il processo di riappropriazione di una relazione paritaria tra il maschile e il femminile passa necessariamente attraverso la costruzione di un nuovo immaginario.

Iniziative come La violenza illustrata, il festival organizzato dalla Casa delle don-ne di Bologna focalizzato sulla violenza di gedon-nere, servono anche a questo:

de-colonizzare la cultura da un immaginario patriarcale e dare linfa e visibilità a immagini, voci, visioni e parole che raccontano storie di relazioni, amori, desideri affrancati dalla violenza.

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