• Non ci sono risultati.

II. CAPITOLO – SCONFINAMENTI 1 Dalla a di tela alla e di tele

II.2 De/materializz/azione

Il segno che si trasforma in disegno, la visione di un gesto in trasparenza e in movimento.

La congiuntura di questi elementi è possibile grazie a una lastra di vetro utilizzata come supporto e diaframma penetrabile.105 Uno stratagemma visivo con cui nel 1949

Paul Haesaerts, critico d'arte e regista, nel realizzare Bezoek aan Picasso (Visite à

Picasso)106 sfonda l'impianto materico del quadro e scioglie il processo creativo

nella linearità della pellicola.

Ponendo un confine trasparente tra la mano dell'artista e la macchina da presa, Haesaerts rende così visibile ciò che normalmente è invisibile107.

La portata innovativa derivata dall'escamotage non ha la stessa forza delle contemporanee soluzioni artistiche di Fontana o del McLaren di Begune Dull Care, per rimanere in tema di pellicola e di rapporto col segno. Ma all'interno del dibattitto culturale sulle metodologie di ripresa e montaggio dei documentari d'arte, lo sguardo intrusivo del regista che osserva con pochi movimenti di macchina quanto accade al di là del vetro, nell'aprire il varco al «film processuale»,108si offre all'arte

contemporanea come testimone privilegiato di una metamorfosi in corso, che coinvolge appunto anche il segno.

In Jackson Pollock 51109 (1951), film di Hans Namuth e Paul Falkenberg, il vetro è

105Sul ritratto di Picasso operato da Haesaerts e sullo stesso escamotage utilizzato anche per riprendere il dripping di Jackson Pollock v. Tommaso Casini, La mano “parlante” dell’artista, in Annamaria Dreucci, Chirurgia della creazione. Mano e arti visive, «predella», 3, Felici Editore, Pisa 2011, p. 35.

106A Picasso è dedicato anche il film di Henri-Georges Clouzot Le Mystère Picasso (1956). Qui il

vetro scompare, ma le riprese mantengono comunque una forma di trasparenza. L'escamotage, in questo caso, è costituito da una tela bianca illuminata da una fonte posta dallo stesso lato della cinepresa. In molte sequenze del film la tela satura l'inquadratura e coincide con i margini del quadro di ripresa. A parte una sequenza in cui si vede l'artista e si svela il dispositivo, di Picasso si vede soltanto l'evoluzione del segno e della sua pittura, alle prese, ogni volta, con una nuova fantasia che assorbe, supera e e anche nega quanto svolto. In una successione di quadri nei quadri. Il film di Clouzot è salutato da Bazin come «un film bergsoniano». Per la prima volta secondo Bazin la «durata» - il concetto bergsoniano per eccellenza - della pittura è stata rivelata: «Il cinema non è in questo caso semplice fotografia mobile di una realtà preliminare e esteriore. Esso è legittimamente e intimamente organizzato in simbiosi estetica con l'avvenimento pittorico»André Bazin, Un film bergsoniano: Le Mystère Picasso, in Che cos'è il cinema?, Garzanti, Milano 2000, 2. p. 196. Per Le Mystère Picasso cfr. anche Paola Scremin, Picasso e il film sull'arte, in «Bianco e Nero», 62, 3, 2001, pp. 94-105.

107Volendo cercare e trovare delle corrispondenze, da regista, e soprattutto da critico d'arte, Haesaerts sembra interpretare il ruolo immaginario dei «testimoni oculisti (sic)» de il Grand verre di Duchamp mentre osservano «il passaggio dalla vergine alla sposa», ovvero sembra rispondere - cogliendo quel determinato momento di realtà nel suo svolgersi - alla metafora del «vaglio del reale operato dallo sguardo». Cfr. le pagine dedicate al Grand verre di Duchamp in Jean-Jeacques Lebel, Quel che sognamo d'aver visto, in Jean Jacques Lebel, Gabriele Mazzotta, Ewald Rathke, Il

Disegno del nostro secolo...cit., p. 33-37. L'intero saggio è alle pp. 29-40.

108Cfr. Paola Scremin, Viatico nel mondo dei documentari sull'arte. Il critofilm e la cinematografia

sull'arte fra gli anni Quaranta e Sessanta, i n Carlo Ludovico Ragghianti e il carattere cinematografico della visione, Charta-Fondazione Ragghianti, Milano/Lucca 2000, p.156.

scelto ancora una volta come mediatore diretto tra la macchina da presa e l'artista di riferimento. Poggiato in questo caso su dei cavalletti, in parallelo al pavimento per non snaturare il modus operandi di Pollock, in una delle sequenze più significative del film diventa schermo su cui si sedimenta una trama di segni, data da uno stratificarsi progressivo di gesti e materia pittorica. E nella stratificazione, sempre progressivamente, diventa anche la superficie di un ossimoro visivo dove diminuisce la potenza della visione. Lo spazio - del vetro, dello schermo - ospita azione e corpi duttili che mentre evolvono e si stratificano, determinano anche un parziale occultamento della visione; come se oggetto d'interesse fosse una percezione più estesa e complessiva. Materia, segno e artista contribuiscono all'unisono alla nascita di maglie informi, ritmicamente cadenzate sotto la guida di una pulsione motrice fisica e gestuale. Un'energia che muta, che passa e si trasmette, da un corpo a un altro: da quello dell’artista al corpo vibrante del colore, allo spazio-corpo del vetro, su cui il colore è allo stesso tempo trattenuto e lasciato andare, nel campo del medium.

La fusione tra tela e tele, quella di Fontana,110 parte come idea messa prima sulla

carta, disegnata e scritta più volte; il segno, invece, che in Pollock si fa trama e va oltre la materia e il supporto, anche figurativamente, fa parte di un confronto diretto e processualmente agito tra gesto e segno.

Disegno e segno in Fontana e in Pollock indirizzano verso quelle che saranno le due direttrici della «dematerializzazione»111 dell'arte: l'idea, il concetto, da un lato;

l'azione dall'altro.

Di «arte come idea e arte come azione» scriveranno infatti alcuni anni dopo, nel 1968, Lucy Lippard e John Chandler problematizzando la questione in uno tra i saggi fondamentali della critica contemporanea dal titolo significativo The

Dematerialization of Art.

Massimo Recalcati. Cfr. Massimo Recalcati, «Sono ancora quadri?» La poetica dell'atto di

Jackson Pollock, in Massimo Recalcati, Il miracolo della forma. Per un'estetica psicoanalitica,

Bruno Mondadori, Milano-Torino 2011, pp. 165-178.

110La fusione tra «quadro» e monitor avvenuta con Fontana nel '52 attraverso lo spazio dell'etere, come è stato detto in precedenza, risponde alla dimensione «integrale» di scienza-tecnica-arte auspicata e dichiarata dall'artista argentino già nel '46 col Manifesto Blanco. Fontana oltre a inserirsi nella direzione artistica orientata da Malevic realizza anche il sogno futurista di Marinetti che nel manifesto redatto insieme a Pino Masnata nel 1933, La radia, a livello teorico si spingeva anche oltre: «La radia sará: […] un'Arte nuova che comincia dove cessano il teatro il cinematografo e la narrazione scena diventa universale e cosmica emesse da esseri viventi da spiriti viventi o morti drammi di stati d’animo rumoristi senza parole.» Punti 2, 3 e 4 in Filippo Tommaso Marinetti, Pino Masnata, La radia, Manifesto futurista,

«Gazzetta del Popolo», ottobre 1933, in Autori e scrittori, Anno VI n. 8, Roma, agosto 1941.

111Lucy R. Lippard, John Chandler, The Demateialization of Art (1967), in «Art International», v. 12, n. 2, febbraio 1968, pp. 31-36.

«Aumentano sempre più i lavori progettati in studio ma eseguiti altrove da artigiani professionisti, sicché l'ogetto diventa semplicemente un prodotto finito. […] Al momento le arti visive sembrano trovarsi a un bivio, che potrebbe trasformarsi in due strade che conducono allo stesso luogo, malgrado esse sembrino provenire da due fonti: arte come idea e arte come azione. Nel primo caso, la materia viene negata […]; nel secondo caso la materia viene trasformata in energia e movimento temporale»112.

Già nel corso degli anni Cinquanta, gli stessi in cui l'arte elettronica comincia il proprio viaggio fatto di diretta televisiva, di installazioni e spazializzazioni del monitor, parte della scena della ricerca e della sperimentazione artistica mette in atto un'importante revisione estetica che, nel sovvertire confini e condizioni operative e muovere verso la «dematerializzazione», contempla quelle che Ihab Hassan definisce come forme di «indetermanenza […] (l'indeterminazione dislocata nell'immanenza)».113

Nella «indetermanenza» i termini come istantaneità, cancellazione, azzeramento, riduzione, trasfigurazione, simultaneità acquistano rilievo.114 Insieme alla tendenza

verso un progressivo superamento dell'opera e dell'autore questi termini rappresentano la condizione affinché si possa compiere una metamorfosi. Un mutamento che implica, nel caso del sovvertimento oggettuale o autoriale, anche una ri-collocazione dello spettatore, coinvolto sempre più in qualità di attivo com- partecipante.

In un contesto di processualità, espansioni e convergenze artistiche multiple, in cui il segnale e l'immagine elettronica saranno contemplati proprio per la loro natura,115

con gli inizi degli anni Cinquanta, quasi in parallelo alla trasmissione di Fontana e all'Action Painting di Pollock, importanti personalità internazionali, nonché alcuni snodi concettuali e procedurali possono essere ascrivibili alla «dematerializzazione dell'arte». John Cage e l'ascolto musicale da lui rivoluzionato sono tra questi. In 4'33' (1952)116 la partitura del silenzio come condizione sonora può essere considerata

112Lucy R. Lippard, John Chandler, Six Years: The Dematerialization of the Art Object from 1966 to

1972, Praeger, New York 1973, pp. 42-43, in Diletta Borromeo, Al di là della materia. L'arte concettuale, in Silvia Bordini, Arte contemporanea e tecniche. Materiali procedimenti, sperimentazioni, Carocci, Roma 2009, 2., p. 217.

113Giovanni Borradori, Il pensiero post-filosofico: cit..., pp. 275-276.

114Il «neologismo (…) indetermanenza è composto da indeterminazione (pluralismo, eterodossia, discontinuità, casualità, ambiguità, e una miriade di termini fatti precedere da de/dis, del tipo decreazione, disintegrazione, decentramento, decostruzione, disgiunzione, delegittimazione ecc.) e

immanenza, che designa la capacità umana di astrarsi nei simboli, di agire attraverso l’astrazione e

diventare così sempre più immediatamente uniti al proprio ambiente.» Peter Carravetta, Del Postmoderno, Studi Bompiani, Milano 2009, p.74.

115Natura fisiologicamente processuale, effimera, immateriale, simultanea e istantanea, almeno fin quando non si affermano, miniaturizzati, e resi commerciabili i sistemi di registrazione.

116Emanuele Quinz, Dal Gesamstkunstwerk agli ambientisonori. Linee di deriva della musica, in Andrea Balzola, Anna Maria Monteverdi, Le arti multimediali digitali. Storia, tecniche, linguaggi,

come la somma espressione sia della «indetermanenza» che della «dematerializzazione». Di fronte a un pianoforte che rimane chiuso per più di 4 minuti, il silenzio come materia sonora è rumore di sottofondo, catalizzatore del suono ambiente e un «infinito musicale ritrovato».117 Un invito ad ascoltare il mondo

e a farne parte. Invito che, ad esempio, nel contesto coreografico di Merce Cunningham si traduce come una riesplorazione della danza con l'inclusione dell'immobilità e dei gesti quotidiani; e nell'universo plastico-pittorico di di Robert Rauschenberg produce una risonanza nelle White Pictures realizzate per l'Untitled

Event118 del 1952. Considerato il primo happening, l'Untitled Event, nato dalla

collaborazione di Cage e Cunningham presso il Black Mountain College, nella Carolina del Nord, è forse l'evento che più di tutti irrompe nella scena del contemporaneo come azione iconoclasta e interdisciplinare. Musica, danza, pittura, teatro, poesia e film coesistono e danno luogo a una concatenazione di imprevisti tra loro slegati e senza alcuna corrispondenza logica. La stessa filosofia negli happening di Allan Kaprow119 (cominciati nel 1959), nei Dé-coll/age di Vostell (a partire dal

1954), negli eventi che hanno caratterizzato l'estetica Fluxus,120 in genere.

In pochi anni nella scena newyorkese e in quella europea, soprattutto francese e tedesca, si forma una nuova dimensione dialettica - tra le arti e con la partecipazione del pubblico - dove l'arte diventa una «ambiguità fenomenica»,121 dove il corpo ha

un ruolo primario, insieme alla quotidianità e all'occhio, dello spettatore, che assume un valore aptico in conseguenza alla variazione e indeterminazione dei punti di vista, sempre più frammentati e moltiplicati.

A partire da Fontana e Pollock, passando per gli eventi sopra citati, ma anche dal New American Cinema122, o dal contesto del Living Theatre123, il clima artistico

viene dunque modulato in una specie di ping pong processuale molteplice e ibrido anche Michele Porzio, Metafi sica del silenzio - John Cage e la Nuova Musica, Auditorium edizioni, Milano 1995.

117Umberto Eco, Opera aperta, Bompiani, Milano 1962, 2000, 5., p. 222.

118Cfr. John Cage, Merce Cunningham, David Tudor, Robert Rauschenberg, Mary Caroline Richards,

Untitled Event, 1952, in Andrea Balzola, Anna Maria Monteverdi, Le arti multimediali digitali...cit., 39 schede, s.p.

119Cfr. Allan Kaprow, Happening, in Michael Kirby, Happening, De Donato, Bari 1968.

120Cfr. Achille Bonito Oliva, Ubi Fluxus ibi motus: 1990-1962, Mazzotta - Fondazione Mudima, Milano 1990.

121Gillo Dorfles, Ultime tendenze nell'arte d'oggi. Dall'informale al neo-oggettuale, Universale

economica Feltrinelli, Milano 2001, p. 88.

122Sul New America Cinema cfr. Adriano Aprà, a cura di, New american cinema. Il cinema

indipendente americano degli anni Sessanta, Ubulibri, Milano 1986; Adriano Aprà, a cura di, Le avventure della non-fiction. Il cinema e il suo oltre 2, Mostra Internazionale del Nuovo Cinema,

Pesaro 1997; Adriano Aprà, Bruno Di Marino, a cura di, Il cinema e il suo oltre, Mostra Internazionale del Nuovo Cinema, Pesaro 1996.

123Per il Living Theatre cfr. Franco Quadri, a cura di, Julian Beck, Judith Malina. Il Lavoro del

Living Theatre. Materiali 1952-1969, Ubulibri, Milano 1982; Marco De Marinis, Il nuovo teatro 1947-1970, Bompiani, Milano 1987.

che dichiara la propria frammentazione di fronte a uno spettatore che ne è parte integrante.

Tra gli azzeramenti che possono ancora rientrare nella «dematerializzazione dell'arte» il riferimento può andare anche agli Achromes124 di Piero Manzoni del

1958, all'esposizione coeva di Yves Klein alla Galerie Iris Clert di Le Vide, ou la

sensibilité picturale à l’état de matière première125, con la galleria completamente

vuota e ridipinta di bianco per l'occasione; o ancora, considerando sempre Yves Klein, al confine tra gesto, segno, superficie, profondità infinita e anche possibili metafore con il fluido elettronico, ai suoi primi Monocromi blu.

Per tornare però al dialogo con il segno e il disegno, a partire dalla fine degli anni Cinquanta fanno parte del concetto di «dematerializzazione» anche il crescente numero di lavori che poggiano su un'idea progettuale realizzata in «studio»126 ma

eseguita fisicamente da una manovalanza esperta che non coincide con l'artista.127

È qui che l'idea comincia a prevalere sul fare, con un fare diverso dalle azioni poco sopra esposte; che sembra raccordarsi a tipologie esecutive con radici nella bottega medioevale o rinascimentale, e dove l'«idea», invece, ha valore di partitura grafica: è la parte più importante dell'opera, il versante ideativo dell'autore e rimane tale anche nel caso in cui l'opera non venga realizzata.

In questo orizzonte altro del fare, il disegno, per dirla con Umberto Eco, diventa «un'istruzione semantica»128: permette una serie di azioni, o esperienze, che esistono

in qualità di pratiche realizzative. E, sul fronte spettatoriale, anche in qualità di pratiche percettivo-esperenziali. L'opera, insomma, non avendo più un'identità oggettuale unitaria, ne assume una collettiva che insiste sul concetto di relazione; tanto che si trasforma anche in «discorso»,129 oppure descrizione, o definizione tratta

dal vocabolario.130

Dall'identità collettiva parte dunque il completamento dell'opera. Un'identità 124Germano Celant, Piero Manzoni: The Body Infinite, in Germano Celant, Piero Manzoni,

Serpentine Gallery-Edizioni Charta, Londra-Milano 1998, pp.17-37.

125Hannah Weitemeier, «Con il vuoto, pieni poteri», in Hannah Weitemeier, Yves Klein 1928-1962, Taschen, Colonia 2002, tr. it. Carmela Raciti, pp. 31-35.

126Lucy R. Lippard, John Chandler, The Demateialization ...cit., p. 31. 127Ibidem.

128Umberto Eco, Lector in fabula, Bompiani, Milano 1979, p. 29.

129Bruce Nauman, tra gli autori analizzati, realizza sulle tracce del filosofo Wittengstein delle opere linguistiche.

130Come nel caso di Vostell: il significato della parola Décollage cercato sul dizionario per capire cosa significasse il termine, sentito urlare dopo un disastro aereo (cfr. Analisi), si trasforma in opera perché diventa emblematica.

frazionabile – negli spazi dell'esecuzione/esposizione – esponenziale che ricorre nella fruizione e nella realizzazione.

«L’idea o il concetto rappresentano l’aspetto più importante dell’opera. […] Se l’artista porta avanti la sua idea e la trasforma in una forma visibile, allora tutti gli stadi del processo sono importanti. L’idea in sé, anche se non resa visibile, è un oggetto artistico quanto il prodotto finito. Tutti i passaggi che intervengono — scritti, schizzi, disegni, lavori errati, modelli, studi, pensieri, conversazioni — sono interessanti. Quelli che mostrano il processo del pensiero dell’artista sono a volte più interessanti del prodotto finale.»131

Il pensiero di Sol Lewitt è quasi un ritorno alla «concezione di un’arte immutabile in quanto disegno e di un’arte variabile in quanto maniera»132 sostenuta da Vasari.

Ma ciò che artisti come Lewitt sostengono assume una valenza del tutto particolare nella dimensione elettronica delle videoinstallazioni, dove il «principio di tutte le arti»,133 il disegno, ancora una volta si rinnova.

Oltre a essere, schizzo, bozzetto, progetto, «idea», nel senso concettuale, o «spartito»134 come lo definirà anni dopo Anne Marie Duguet, ha una nuova capacità:

nel lasciare lavorare prima l'autore con pensiero e gesto, poi una collettività varia di esecutori, rappresentata da tecnici specializzati e aiutanti, nelle videoinstallazioni di volta in volta quella «idea» o quello «spartito» generano, sempre, una nuova opera d'arte.

Il disegno è una matrice replicabile, potenzialmente all'infinito, e generatrice di opere sempre nuove e sempre temporanee che sono il risultato dialettico, e altresì complementare, di tradizione e innovazione, corporeo e incorporeo, visibile e invisibile, bidimensionale e tridimensionale, pensiero dell'autore e all'immaginario 131Sol Lewitt, Paragraphs on Conceptual Art, «Art Forum», 1967, in Alexander Alberro, Blake Stimson, conceptual art: a critical anthology, the MIT press, Cambridge, Massachusetts, London 1999, p. 12.

132«Nel Proemio delle Vite l’arte in quanto disegno è definita come un principio perfetto dagli inizi del tempo. Come prova che l’arte è una facoltà innata all’uomo, Vasari usa l’esempio dei bambini cresciuti nelle selve senza maestri che cominciano a creare opere d’arte spontaneamente. Nelle Vite possiamo constatare perciò due diverse accezioni di arte: l’arte in quanto principio (disegno) è un’entità invariabile e l’arte come stile (maniera) invece è un’entità variabile. Mentre il disegno non conosce storia, non è sottoposto al tempo, la maniera è sempre storica.» Matteo Burioni,

Rinascita dell'arte o rinascite dell'antichità? Storia, antropologia e critica d'arte nelle Vite di Vasari, in Katja Burzer, Charles Davis, Sabine Feser, Alessandro Nova, a cura di, Le Vite del Vasari. Genesi, topoi, ricezione - Die Vite Vasaris. Entstehung, Topoi, Rezeption, Atti del

convegno, 13-17 febbraio 2008, Marsilio, Venezia 2010, p. 155. 133Continuando a citare Vasari.

134 «Le installazioni […] Non hanno un solo modo di esistenza ma almeno due. In effetti quello che un collezionista acquista è un argomento, una descrizione tecnica, a volte delle immagini, degli elementi, un materiale, ma si tratta in realtà innanzitutto di un insieme di istruzioni e di un diritto di esposizione. A questo stadio si può dire che l’opera è compatibile con una partitura musicale o un progetto architettonico» Anne-Marie Duguet Installazioni video e interattive. Definizioni e

condizioni di esistenza, in Valentina Valentini, a cura di, Visibilità Zero. Immagini in movimento. Arte elettronica, Graffiti, Roma 1997, p. 13.

dello spettatore.

Il disegno dunque non appare più, soltanto, come un mezzo per rappresentare, mantenere memoria, calibrare e verificare l'organizzazione e la progettualità dell'opera, ma passa dall'essere oggetto di riferimento estetico all'avere una natura maggiormente autonoma e soggettiva, indipendente dalla realizzazione. Un'identità in grado di porsi sia come idea che come strategia.

A partire da Fontana il disegno diventa un potentissimo medium di elaborazione teorica in cui formazione ed esperienza autoriale, segno come tipologia espressiva e trasversalità dei linguaggi si fondono connotandolo di ruoli inediti; tanto da farlo divenire insieme al segno - al di là dei riferimenti temporali e delle singole cifre stilistiche - una risorsa trasversale per poter meglio leggere e analizzare opere e autori.

III. CAPITOLO

Dialoghi intermediali e tipologie

Come emerso nel capitolo precedente, l'arte elettronica comincia il proprio viaggio nel contesto «indetermanente» degli anni Cinquanta. Visto quanto emerso dall'analisi dei disegni di Fontana e dalla loro relazione con la trasmissione del 1952 e con il

Manifesto del movimento Spaziale per la televisione, trasmesso per l'occasione

insieme ai buchi del '49, potremmo forse spostare la data indietro di qualche anno rispetto a quel 1958 che ne sigla attualmente l'inizio - o meglio, uno degli inizi - con TV-Dé-coll/age di Vostell. L'esperimento di Fontana, a rifletterci bene, non è molto

diverso dall'azione dell'artista tedesco, benché sia opposto. Mentre Fontana avvicina i buchi alla camera, e li muove, in modo che siano ripresi, trasmessi in primo piano e in movimento, Vostell, al contrario, porta l'apparecchio televisivo all'interno dell'opera, ve lo installa, e, in questa fase, sfrutta la dinamicità luminosa della trama elettronica con cui movimenta la sua tela. In entrambe le situazioni si ha l'uso di una

Documenti correlati