II. CAPITOLO – SCONFINAMENTI 1 Dalla a di tela alla e di tele
III.2 Riferimenti tipologic
Tra lo schizzo e il bozzetto
Il bozzetto è qui inteso come un disegno più compiuto; lo schizzo, invece, mantiene l'accezione di trasposizione rapida ed evocativa del pensiero dell’artista, e si può formare ovunque. Su pezzettini di carta o superfici casuali e provvisorie, di natura qualsiasi; ma anche su carte o superfici più strutturate. Ci sono artisti che prendono il primo pezzettino di carta che hanno a portata di mano per fermare l'idea, come fa Fabrizio Plessi, e altri, come Michele Sambin, che la trattengono un po' e cercano anche per lo schizzo un foglio più giusto. Altri ancora, come Grazia Toderi, ma tra questi va citato ancora Michele Sambin, Plessi, Gianni Toti, in alcuni casi anche Giacomo Verde, si predispongono proprio all'ascolto delle loro idee, lasciano lavorare la mano e la fantasia sulla carta senza pensare necessariamente a un'opera. E questa magari resterà, come nel caso dei taccuini di Gianni Toti, uno micro-schizzo
visionario già un po' progetto, oppure da quel momento anche ad anni di distanza, si tradurrà, nonostante resti schizzo, o forse è meglio dire bozzetto, in un disegno
manifesto, come nel caso di Il tempo consuma di Sambin, ovvero l'embrione matrice
di una e altre opere.
Il progetto e le versioni
Il progetto riguarda sia l'organizzazione dell'opera sia il layout definitivo, che sarà corredato dalle indicazioni tecniche necessarie all’allestimento. Diciamo che con il progetto il disegno diventa più tecnico-funzionale e per opere come le videoinstallazioni e le performance multimediali tutta questa parte è fondamentale. I progetti sono eseguiti su carte da disegno specifiche e sono comunemente conservati negli archivi dei contesti espositivi (musei, gallerie, fondazioni), come dimostrato dal
corpus di disegni inediti conservati presso i fondi d'archivio come l'Archivio Storico
dell' ASAC (Venezia), l'archivio del MAXXI (Roma), quello della Fondazione Ragghianti di Lucca, della Videoteca Care of di Milano e della Casa Totiana (Roma) e i disegni pubblicati nelle monografiche degli artisti.
Dei progetti esistono poi versioni diverse o multipli e nascono sia per esigenze dell'artista prima del layout definitivo, sia dopo a opera già esposta.
Corrispondono in sostanza a varianti dell’opera principale e possono riguardare: opere monocanale tradotte in un secondo momento in videoinstallazioni; videoinstallazioni che assumono nuove forme e realizzazioni espositive a seconda del contesto di riferimento.
Come scritto dalla studiosa francese Anne Marie Duguet:
Le installazioni […] Non hanno un solo modo di esistenza ma almeno due. In effetti quello che un collezionista acquista è un argomento, una descrizione tecnica, a volte delle immagini, degli elementi, un materiale, ma si tratta in realtà innanzitutto di un insieme di istruzioni e di un diritto di esposizione. A questo stadio si può dire che l’opera è compatibile con una partitura musicale o un progetto architettonico135
Ogni videoinstallazione ha infatti una doppia valenza, una di stampo creativo progettuale ed una derivata dal suo essere oggettuale e quindi progettabile, adattabile, nonché interpretabile in funzione di spazi diversi.
Le versioni rintracciate sono molteplici e fanno parte del repertorio artistico di Wolf Vostell, di Bill Viola e di Studio Azzurro, ma sotto varie forme sono presenti anche in 135Cfr. Anne-Marie Duguet IInstallazioni video e interattive...cit., p. 13.
altri artisti, Sambin su tutti.
Insieme ai multipli, o versioni, esistono poi le così definite prove progettuali.
Queste sono frammenti di progettazione, schizzi e ripensamenti, svincolati da esatte connotazioni spazio-temporali, eseguiti un po' ovunque e con ciò che si ha a disposizione: dalla carta velina a quella millimetrata; dal foglio da disegno al blocco notes.
Ci sono poi i dettagli progettuali. Disegni mirati accompagnati da appunti e indicazioni precise. Eseguiti con tecniche varie su supporti più “professionali”, sono importantissimi per le videoinstallazioni e i progetti performativi.
Disegni con valenza autonoma
Premesso che tutti i disegni visti e scelti, anche soltanto per l'espressività hanno una grande valenza autonoma, ma in questa tipologia si possono inserire soprattutto delle immagini-sintesi cariche di vitalità espressiva, che riassumono in sé il significato, l’atmosfera, e le suggestioni dell’opera. Sono disegni realizzati in tecniche varie - dalla matita all’acquarello, alla tecnica mista, su carte scelte, più “preziose, ma sono veicolati anche su altri supporti. I disegni di questo tipo non sono rientrati nell'analisi ma sono stati inseriti nel volume dei disegni di riferimento. A volte sono stati eseguiti ad opera finita ed esposta, possono essere quotati e rientrano quindi nel mercato dell’arte. Rientrano tra questi molti Plessi, dei Nauman e l'ultima produzione disegnata di Sambin, nata dagli sviluppi delle piattaforme elettroniche, post performance. In questo caso però sono opere nuove che si riappropriano del segno dopo averlo liberato nello spazio.
Disegno e identità
Questo è il caso di William Kentridge che fa, di segno e disegno, affermati e negati, gli attori principali della sua arte: prima, durante e intorno alle sue opere, dove con “intorno” si vuole indicare tutto l'apparato grafico-promozionale che spesso le accompagna e che qui non è stato indagato perché esulava dal tema. Ma segno e disegno in Kentridige oltre ad essere una cifra stilistica denotano un'etica e un valore politico fortissimo, e pieno di storie, che emerge in tutti gli apparati grafici.
Tra poetica e tecnica
In generale, ognuna di queste tipologie restituisce delle informazioni. Si possono trovare indicazioni sceniche e di allestimento di tipo schematico e percettivo, con le atmosfere da creare, le emozioni da sollecitare in chi osserva; indicazioni di tipo tecnico: come ad esempio la disposizione delle proiezioni, dei monitor, dei microfoni, degli altoparlanti, dei cavi che si devono o non si devono vedere; descrizioni grafiche e discorsive di eventuali oggetti e/o interpreti e/o elementi di arredo; studi, dettagliati, figurativi o stilizzati, sulle eventuali espressioni corporee e/ o facciali degli interpreti; raccolte simboliche fatte da forme geometriche piane e solide che andranno a rappresentare di volta in volta un immaginario o a denotare gli elementi tecnici sopraindicati.
È stata citata più volte la carta, ma alla restituzione delle informazioni concorre anche il tratto: a volte piuttosto preciso e regolare, altre veloce e vibrante; a volte eseguito a penna o a china, altre a matita (a pasta più o meno morbida), a pennarello, ad acquarello; può essere sovrapposto alla traccia grafica iniziale, come a ben marcare o a sottolineare un dato aspetto; può sfumare nel nulla e alleggerire o sollecitare un pensiero.
A seconda poi della scelta tematica, dello stadio progettuale e del tipo di opera tutto questo apparato e più o meno curato, sofisticato.
Nel confronto tra disegno e opera finita è inoltre interessante vedere quanto e come incida la formazione di ciascuno.
Per esempio, nel caso di Bill Viola i disegni e gli appunti che accompagnano tutta la sua produzione e il suo pensiero, sono un flusso di dati ricco di informazioni dettagliate: si va dalla resa percettiva, alle riflessioni estetiche, al tipo di macchine messe in campo per fare le riprese, alla tipologia delle riprese, alle indicazioni attoriali. Dati da cui si ricavano e la pratica artistica, e la funzione dell’opera. Insieme a questi dati c’è poi tutto un ventaglio di riferimenti tecnologici che aprono il fronte informativo legato alle interrelazioni mediatiche: dai monitor a tubo catodico (utilizzati in opere che arrivano fino alla prima metà degli anni Novanta) agli schermi al plasma attuali, così come ai sistemi di proiezione giganti, al tipo di luci, ai microfoni, ai proiettori, agli altoparlanti, agli arredi. Dall’insieme di questi materiali il processo creativo emerge quindi anche come “memoria storica”, calata nel clima socio-culturale di riferimento.
continuo – nel restituire su carta quanto fin qui esposto, utilizza una resa grafica di tipo tecnico-ingegneristico, tendente più alla sintesi e alla schematicità, che alla plasticità. Disegna con lo stesso medium con cui scrive. Matita e inchiostro sono i principali strumenti utilizzati e guardando le sue opere finite, troviamo una forte corrispondenza tra la sintesi e asciuttezza espositiva e quella compositiva progettuale di stampo grafico.
Nei disegni di Fabrizio Plessi, anch'essi ricchissimi di dati tecnici che a volte aiutono l'orientamento, a volte restano materia criptica, emerge invece la passione per l'architettura. Oltre ad essere un artista plastico Plessi è un architetto dello spazio e il disegno è per un compagno di viaggio dove appunta dettagli, atmosfere, totali. Un Le Corbusier (ma è meglio non dierglielo!) del video.
E ancora. Grazia Toderi.
Il disegno è per il fondamentale, nel senso proprio di fondamento. È il primo livello lavorativo nella creazione dell’opera. Lei stessa dice, come emerge dall'analisi, di non poterne fare a meno. Fa parte del suo modo d lavorare.
Opposto è ad esempio il caso di Giacomo Verde, che prima progetta, e quindi scrive, e poi disegna. Anche per quest'autore incide la formazione. Giacomo Verde è artista di teatro, per cui la narrazione è per lui importante, e a livello di studi si è formato nel contesto dell' «arte del tessuto», dove gli hanno insegnato proprio l'esposizione narrativa e analitica del progetto.
Ancora diverso è il casi di Gianni Toti, per il quale la parola è fondamentale. Ma quando disegna, e non gli schizzi schematici delle videoinstallazioni, ma i suoi disegni “liberi”, le sue tracce sono come le parole. Creano di continui nuovi tratti, che rinviano ad altri tratti e ad altri spazi, in un fluire continuo del pensiero che fisiologicamente non può arrestarsi. Scrittura e disegno sono solo apparentemente separati; si innestano, anche a distanza, l'una nell'altro, come pensiero fluido che scorre senza soluzione di continuità.
Diverso ancora il caso di Michele Sambin, dove il disegno è una amplificazione linguistica. Il segno è forse molto di più della parola per Sambin, talmento ricco di gradazioni di colori, di ritmi, di sfumature. É uno strumento duttile e liberatorio per lui immediato come la musica e a volte, della musica, del suono, ne ha anche i tratti dell'impalpabilità. Non soltanto nel contesto digitale più recente. Già sulla carta è così, nelle diafane trasparenze degli acquarelli.
intermediale.
E qui contribuiscono ad amplificare e a sfaccettare connotativamente l’opera; nonché a stimolare, nello spettatore suo fruitore, una ricaduta percettivo-esperenziale plurima e differenziata.
Cinquant’anni fa, o sessanta, dipende da quale inizio scegliamo, quando l’arte elettronica è nata, ma anche venti anni, fa quando il passaggio al digitale stava per realizzarsi, le tecnologie, nonostante non fossero avanzate come oggi, hanno comunque contribuito a far sì che gli artisti istruissero pratiche di attraversamenti tra i media e tra i saperi, e molti di loro, come dimostrano gli artisti dell'analisi, li hanno tracciati sulla carta. L’attualità algoritmica leggera, nella sua dinamica concretezza,136
ha offerto e sta offrendo ulteriori possibilità, permettendo la realizzazione di sogni passati e l’elaborazione di nuove e più articolate sperimentazioni di cui il disegno fa sempre parte.
Per riassumere: a partire dalla dialettica tra la dimensione privata del disegno e quella pubblica dell'opera, l’analisi svolta sui disegni mette in evidenza, per gli autori trattati, l’esistenza di un’alleanza mediale ed epistemologica, collocata tra saperi plurali e forme di memoria, in movimento!
Come si può intiuire da quanto fin qua detto, ma lo si vedrà meglio nell'analisi, il disegno è un documento ricco di un fascino pieno di spessore e valore. Va ben oltre il “semplice” elemento di corredo che si ritrova nelle mostre e nei cataloghi, ed è comunque importantissimo che ci sia, privato di contestualizzazione critica. Ma da quest'ottica si può uscire ed è interessante osservare anche, e proprio a partire dalle mostre e dalle pagine delle pubblicazioni, come è progredito il dialogo tra la carta e le altre tecnologie, sino ad arrivare a quelle più recenti.
Trattati da questa prospettiva segno e disegno non rappresentano niente di cristallizzato ma sono a tutti gli effetti dei documenti storici e delle preziosi fonti di conoscenza in grado di aggiornare lo sguardo retrospettivo.
L'analisi proposta, rivisitando il passato attraverso i disegni e le opere di riferimento scelte, in parte lo cambia e in parte lo ritrova nel presente; comunque ne dà, di alcuni suoi aspetti, una nuova comprensione, un nuovo sviluppo, o appunto, un aggiornamento.
Attraverso dunque gli autori scelti, un saggio di tutto questo.
136Il fatto che sia leggera non preclude la concretezza. Gli algoritmi sono grandezze concrete che identificano e controllano e permettono sempre maggiori evoluzioni.
Wolf Vostell
Electronic Dé-coll/age
Il disegno così come le installazioni o l'intera scelta artistica di Wolf Vostell sono una infrazione dello studium, per dirla con Roland Barthes,137 ovvero di quell'insieme di
cultura e convenzioni che rendono codificabile quanto si presenta davanti ai nostri occhi. L' elemento che disturba, sorprende, o che agita la sfera emotiva, il
punctum138, è infatti disseminato all'interno di tutta la sua opera, con un carico
emozionale che va dalle sfumature più crude a quelle più ironiche del binomio integrato arte-vita.
Il disegno scelto per l'analisi ha le caratteristiche di un bozzetto avanzato[fig. 24]. Stando alla premessa, contiene anch'esso degli elementi che lo rendono comprensibile solo in parte, ma mantiene, della parola studium, il secondo significato: lo studio vero e proprio.
Parte di un lavoro più esteso, per il momento non rintracciabile,139 l'immagine da me
scelta, e ottenuta, per la ricerca è una riproduzione pubblicata negli anni Settanta e sembra essere, in rapporto uno a uno con l'originale. Che il disegno sia un'immagine parziale, è piuttosto chiaro già a un primo sguardo: in alto e in basso, sul lato destro del foglio, compaiono infatti delle indicazioni numeriche e descrittive, in parte troncate dalla scelta grafica operata per la pubblicazione, che rimandano dichiaratamente a un ulteriore sviluppo.
Lo stesso valga per la parte alta del lato sinistro, dove l'ipotetico titolo, introdotto dall'indice numerico - 3. Gerat 140- corrisponde a un riferimento preciso, su cui
torneremo in seguito.
Andando avanti nella descrizione si può notare, in posizione quasi centrale (solo di poco spostato verso l'alto e verso sinistra), come domini la stesura grafica un assemblaggio alquanto bislacco, raffigurato, a matita e a pennarello, con rapidi e insistenti movimenti di mano che appuntano, delineano, cancellano e marcano. 137La camera chiara pp. 27-28. La frase esatta di Barthes, a pag 28, è «infrangere (o a scandire) lo
studium».
138Ibidem.
139Il disegno è pubblicato senza misure e informazioni dettagliate in Stadt Aachen Neue Galerie,
Wolf Vostell, Elektronisch, Alten Kurhaus Rheinisch-Westfälische Technische Hochschule in Aachen, 15 Oktober-27, November 1970, Aachen, 1970. La pubblicazione è rara è mi è stata gentilmente messa a disposizione, insieme ad altro materiale prezioso, dall'archivio della F o n d a z i o n e M u d i m a ( M i l a n o ) http://www.mudima.net/MudimaSite/Static/1- LaFondazioneMudima/ShowPage.mud
Vi si riconosce un monitor sormontato da un'insolita combinazione fatta di ruote di dimensioni variabili, due sci e una forma somigliante a un fumetto/volto feticcio, dall'accattivante espressione cinico-preoccupata, posta a capo del tutto. Sempre sopra al monitor, inserita tra questo e gli sci, una sovrapposizione confusa di linee in libertà dà - per un volo dell'immaginazione e per un'associazione concreta con il mondo artistico Vostelliano141 – l'idea di gambe posticce scivolanti di lato in una postura
afflosciata e disarticolata.
A partire da questo centro nevralgico lo sviluppo si compie verso destra, nel triangolo immaginario creato dalle semidirettrici diagonali del foglio e il margine estremo di quest'ultimo. Intorno, e dentro a quest'area, si trovano una serie di indicazioni: una figura annullata da un segno a X (in basso), un'altra connessa a dei cavi (che dal basso raggiungono gli sci) guarniti di molle ammortizzatrici, simboli tecnici che rappresentano l'uscita di suoni e luci, linee di collegamento semantico- strutturale, numeri e parole.142
Come capita normalmente nella stesura di un testo, anche in questo caso, benché si tratti di un disegno, l'inizio dello svolgimento sta in alto a sinistra. 3. Gerat, è stato detto, è un riferimento preciso e corrisponde, in effetti, a un titolo, o meglio, a un sottotitolo. Il foglio 3. Gerat annuncia e spiega, come ci dice il termine tedesco, il terzo di una serie di cinque dispositivi presentati nell'happening elettronico143 che ha
141In molte opere di Vostell ci sono manchini e parti del corpo. Solo per citarne un paio: in Fine del
Golfo (1991) insieme al gommone, alle maschere antigas, ai monitor e alle videocamere, ci sono
ricostruzioni di parti del corpo in gesso e calcestruzzo; lo stesso in Sara-Jevo 3 Fluxus piano (1994). cfr. Valerio Deho, a cura di, Wolf Vostell. I disastri della pace, Catalogo della mostra, Reggio Emilia, 30 ottobre 1999-30 gennaio 2000, Charta, Milano, 1999.
142Luftballon: luft vuol dire aria, la parola intera in italiano sta per palloncino, ma anche per paracadute, e nel disegno, e poi nell'opera, sono importanti entrambi i significati. Taschenlampe è la lampadina tascabile; sprache corrisponde a parola; gipfel schokolade sono cime di cioccolata;
sauer land significa terreno duro; rohre è sinonimo di magnete o generatore di raggi ultravioletti.
In alto, a matita, si leggono anche due nomi: Heubach e subito sotto Dr. Glaser. Bruce Glaser è un produttore televisivo newyorkese, direttore nella seconda metà degli anni Sessanta dell' Art Gallery of the America- lsrael Cultural Foundation di New York City. Friedrich Wolfram Heubach è lo studioso e curatore del periodico «Interfunktionen» a cui partecipavano numerosi artisti e intellettuali: Werner Wagner, Benjamin H.D. Buchloh, Joseph Beuys, Walter de Maria, Dennis Oppenheim, Michael Heizer, Richard Long, Jan Dibbets, Robert Smithson, Lutz Schirmer, Hagen Lieberknecht, Wolf Vostell, Dieter Roth, Johannes Stüttgen, Matthias Schäffer, Gabor Altorjay, Günter Brus, James Lee Byars, LIDL, Jörg Immendorff, Panamarenko, Keith Arnatt, Daniel Buren, Claus Böhmler, Gilbert & George, Dieter Meier, Peter Weibel, Paul Sharits, Birgit Hein, Valie Export, Carl Andre, Lothar Baumgarten, Vito Acconci, Giuseppe Penone, Dan Graham, Tomas Schmit, Oswald Wiener, Michael Oppitz, Bruce Nauman, Arnulf Rainer, Terry Fox, Hamish Fulton, Heinz Frank, Roger Welsh, Robert Morris, Rob Can, Richard Budelis, Peter Hutchinson, Buckminster Fuller, Will Insley, Jürgen Kramer, Sigmar Polke, Bazon Brock, Rebecca Horn, John Baldessari, Didier Bay, Hans Haacke, William Wegman, Steve Reich, Gufo Reale, Ernst Mitzka, Doug Waterman, Mark Oppitz, Ulrich Meister, Bill Beckley, Reiner Ruthenbeck, Marcel Broodthaers, Johannes Brus, Philip Glass, Jon Gibson, Laura Dean, Lawrence Weiner, A.R. Penck, Roman Jakobson, Michel Claura, Germano Celant, Italo Scanga, Hollis Frampton, Yvonne Rainer, David Lamelas, Maria Nordman, Antonius Höckelmann, Anselm Kiefer.
143L'happening è stato presentato in più sedi, il disegno però, come dice la didascalia che lo accompagna, è specificamente riferito all' instalazione veneziana. Cfr. successivamente.
siglato, nel 1968 proprio con quest'opera-evento, l'ingresso dell'arte elettronica nella storia della Biennale d'Arte di Venezia: Omaggio a Venezia, Electonic de-coll-age-
happening. Room 1959-1968144[fig. 25].
Dal disegno all'opera
Il disegno scelto per l'analisi corrisponde dunque a un'opera esposta in Italia.
Omaggio a Venezia, Electonic de-coll-age-happening. Room 1959-1968, questo il
suo lungo titolo, è stata allestita nel 1968 nel Padiglione Centrale145 della Biennale
d'arte di Venezia, e qui arriva con già un'esposizione alle spalle.
Commissionato dall'Istituto di Arte Moderna di Norimberga l'environment infatti era già stato assemblato ed esposto dal 4 aprile al 12 maggio 1968146 in occasione della
mostra Von der Collage zur Assemblage, con il titolo Hommage a Durer.
Elektronischer dé-coll/age-Happening-Raum.
Tra l'allestimento veneziano e quello tedesco pare non ci siano differenze. Entrambi sono costituiti da cinque147 dispositivi di varie dimensioni. I protagonisti sono degli
apparecchi televisivi in funzione, collegati a motori elettrici che – a loro volta collegati ad alcuni oggetti posti sopra, sotto e intorno ad essi – determinano il movimento complessivo di ogni singolo set.
Il pavimento è cosparso di vetri rotti; i dispositivi elettronici vi sono collocati sopra, posizionati al di qua e al di là di un corridoio costituito da sette pannelli rettangolari, in rigida pellicola trasparente (in tutto e per tutto comparabili con grandi diapositive) e a misura degradante dal centro verso le estremità, schierati parallelamente e calati giù dal soffitto. Posti a circa un metro di distanza l'uno dall'altro permettono al pubblico di stazionare anche in mezzo ad essi, in modo da poter essere guardati da una distanza ravvicinata, quasi in un faccia a faccia biunivoco.
144XXXIV Biennale Internazionale d'Arte Venezia, Catalogo, I ed., Venezia 1968, p. LXI. Cfr anche Ilia Durante, Quarant'anni di arte elettronica alla Biennale di Venezia 1968 - 2007: dal videotape