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Decisione del Consiglio 2006/617/EC del 24 luglio 2006 (in Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea del 22 settembre 2006).

In tempi più recenti, segnaliamo:

13 Decisione del Consiglio 2006/617/EC del 24 luglio 2006 (in Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea del 22 settembre 2006).

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rappresenti, sul piano del diritto internazionale, un punto di svolta, essa (come suggerisce la sua origine “reattiva”) giace al fondo di un percorso tortuoso, fatto di ripetuti differimenti e precise strategie politiche. Emblematicamente, più di un secolo prima, fu Napoleone a ripristinare lo schiavismo nei territori d'oltremare, abolendo, con legge del 20 maggio 1802, il Decret emanato dalla Convenzione nazionale francese del 16 piovoso anno II (4 febbraio 1794), che segna un passo importante - seppur effimero - nella storia dell'abolizionismo europeo. Infatti, la Dichiarazione del 1789 abolì, sì, la schiavitù, ma senza conseguenze per le Antille. Nel 1791 l'istituzione era confermata dall'Assemblea Costituente e, due anni più tardi, il governo rivoluzionario ne rifiuterà l'abolizione.

Il Decret fu l'effetto, da un lato, delle pressioni della Société des amis des Noirs (che, a fini persuasivi, faceva leva sullo “scarso rendimento” dell'economia schiavista); dall'altro, si colloca poco tempo dopo una ribellione di schiavi scoppiata il 22 agosto del 1791 ad Haiti, nella zona di Cap Français, e poi dilagata nell'isola sotto il comando del “liberatore” F.-D. Toussaint Louverture.

Ciò che qui importa sottolineare è il carattere di compromesso insito in logiche di pensiero che si affrontano per più di un secolo. I dibattiti sull'universalità della natura umana aprivano a una battaglia per l'affermazione di certi diritti, ma la discussione

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giaceva isolata a un livello subalterno rispetto al primato della ratio politico-mercantile. Qui i valori della persona “contano” (nel senso che sono... monetizzabili) nella misura in cui possono servire interessi di tutt'altro ordine. Perciò il dialogo sulla pertinenza della schiavitù e della tratta, anche quando trovò risposta politica, era una speculazione filosofica di fronte a un'espansione mercantile ormai tanto avviata da diventare un sistema globalizzato. E' indubbio, ad esempio, il pragmatismo che sta alla base della decisione del governo danese di abolire un tipo di “commercio” che, per i costi in termini economici ed umani, non poteva considerarsi redditizio (salvo poi dimostrare il contrario, almeno per i dieci anni successivi). Per quanto concerne la tratta, la Danimarca detiene il primato europeo: correva l'anno 1792.

Nate in reazione ai sistemi repressivi generati da logiche schiaviste e da una pratica estesa della violenza ergonomica14, le teorie abolizioniste15 fecero da contrappunto intellettuale alle vicende delle colonie (rivolte di schiavi comprese).

14 Nonostante sia un concetto elastico, l' ”ergonomia” ricopre in tal senso ogni situazione di violenza applicata ai rapporti di produzione.

15 Tra gli esponenti europei del pensiero abolizionista citeremo, in Franca, Montesquieu,

l'enciclopedista Louis de Jaucourt, Jacques Pierre Brissot, fondatore della Societé des amis des

Noirs nel 1788, Condorcet e l'abate Henri Grégoire, il “vescovo costituzionale di Blois”, tenace

sostenitore all'Assemblée del suffragio universale e del voto che cancellasse la schiavitù e la tratta; in Inghilterra, il giudice Granville Sharp, che sancì il principio della libertas soli (per cui tutti gli schiavi fuggiaschi che mettessero piede in Inghilterra, diventavano automaticamente uomini liberi), i quaccheri dell'Abolition Society e il deputato William Wilberforce che, nel 1787, presentò ai Comuni le linee di una mozione per l'abolizione della tratta (vinse la battaglia dopo vent'anni, ma la schiavitù nelle colonie britanniche fu abolita solo nel 1833 ).

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I luoghi della schiavitù erano la proiezione totale e irreversibile dell'esilio dei deportati e, ancor prima (in quanto “concezioni” a priori), di una cesura praticata nell'umanità, capace di annullare le ragioni profonde su cui poggiava l'illuministica unificazione del soggetto di diritto. La distanza geografica e sociale (di classe e, in generale, di appartenenza a “ambienti” reciprocamente estranei) tra liberi pensatori e i soggetti direttamente coinvolti impedì, nella seconda metà del sec. XVIII, il formarsi di un movimento antischiavista sufficientemente unitario e organizzato, in grado di operare nella società a più livelli e in modo sostanziale. Sul piano formale, l'illiceità della tratta (contraria allo jus gentium e alla morale internazionale) è sancita per la prima volta al Congresso di Vienna del 1815 mediante l'adozione di un Trattato e di una Dichiarazione per l'abolizione della tratta. Nel 1841, la spada di Damocle di tale politica si abbatte sui comandanti delle navi negriere che, secondo quanto dispone il Trattato di Londra, soppressivo della tratta in Africa, potranno essere giudicati dallo stato firmatario di appartenenza.

Tuttavia, a ben vedere, neppure un secolo più tardi la generalizzazione degli atti abolitivi e la retorica dei valori tesa ad ammantare di noblesse l'imperialismo metropolitano, hanno messo fine ad attitudini schiaviste e all'impiego di mezzi repressivi (basti pensare che alla succitata Conferenza di

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Bruxelles16 si accompagna la cosiddetta “spartizione dell'Africa”, avviata quattro anni prima).

Per tutto il secolo XX fino ad ora, malgrado i mutamenti nel

modus e nei ruoli degli attori, la scomparsa della tratta atlantica

(sostituita, a livello globale, dal traffico di esseri umani) e l'esistenza di strumenti giuridici a tutela della persona umana e delle collettività, la violenza ergonomica costituisce l'essenza strutturale di un rapporto secolare non ancora esaurito. Anzi, legata com'è allo sfruttamento privato delle risorse economiche e del capitale umano, essa trascende i rapporti di produzione per trasmettersi ai diversi aspetti sociali e esistenziali delle sue vittime.

La disciplina della schiavitù rimane, su un piano dei valori civici, una conquista sociale e giuridica. Peraltro, in merito ai suoi dispositivi di validità ed efficacia, il carattere di universalità della sanzione la fa apparire come un'affermazione di principio piuttosto lontana dalle realtà di riferimento. Anzitutto per “realtà” intendiamo quelle culturali, costituite da insiemi mobili di rappresentazioni collettive che operano entro reti di relazione (un modo forse più pertinente di riferirsi ai 16 Nel 1890, nell'ambito della Conferenza, è adottata una Convenzione antischiavista, che vieta il

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