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1981 ero a Parigi per un anno di specializzazione all' Agence

3. Fratture composte.

3.1 Brevi considerazioni sulla variabile “cromatica”.

Nel suo importante contributo, Moustapha Kadi Oumani, parlando delle limitazioni alla libertà di movimento e all'autodeterminazione dello schiavo, afferma: “La loro [degli schiavi] sicurezza e quella della loro famiglia riposano, di norma, sui loro padroni, tanto più che non sono degni di alcuna considerazione (…) A colpire l'osservatore è il disprezzo, esteso ai discendenti e agli emancipati (…) Questa violenza verbale si spinge fino al colore della pelle, perché i coloni (…) ne hanno fatto un criterio. Di sicuro, coloro che hanno creduto a questa mentalità ne traggono vantaggio” (Kadi 2005: 160).

Nell'incontro con W. Ilguilass che si è scelto di riportare per intero nel precedente capitolo, la variabile “cromatica”dell'oppressione sociale (ossia il disprezzo per un colore più scuro della pelle) si è dimostrata particolarmente “forte” tra gli elementi che assistono la rappresentazione dello schiavo. Questo non vale solo per il Niger, ma, con le differenze

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del caso, per tutto il Sahel (assumendo talvolta forme estreme, come in Mauritania).

Un altro aspetto che colpisce è l'impiego della stesso indicatore per opporre una resistenza ad attitudini e pratiche schiaviste diffuse a vari livelli di pensiero e di esperienza.

Gli stessi membri di Timidria, che proprio quelle attitudini combattono, non hanno esitato a far uso nel loro discorso di una categoria, a ben vedere, connotata razzialmente: touareg de teint

noir (o de souche86 noire). Tuttavia, per evitare la stagnazione

dell'analisi delle lotte sociali a un livello schematico, che poco o nulla muove all'interno dei fatti empirici, bisogna forse guardare alle motivazioni che sorreggono quella scelta.

Timidria è nata in un momento preciso e particolarmente

drammatico: l'inizio degli anni ‘90, a un anno di distanza dai fatti di Tchin-tabaraden, portò lotte civili e resistenze da parte dei gruppi che si sentivano più diseredati.

Oggi le componenti attive del movimento tuareg rivendicano una dignità e una tutela giuridica a respiro più nazionale e meno particolaristico o “etnico” (come fu nel 1990). Le categorie di

86 La “souche” è, in francese, il “ceppo”: una metafora botanica che deve la sua efficacia all'immagine correlata del fittone , della radice profonda e originaria che non si può estirpare. Come la storia delle “razze” ha ampiamente dimostrato e alla luce dei suoi nuovi sviluppi (pensiamo alla retorica dell' “autoctonia” delle nuove destre europee) , la figura retorica continua ad essere impiegata con successo.

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valore si trasformano, secondo il mutare dei confini politici e delle rappresentazioni in capo ai soggetti. La variabile cromatica nasce da esigenze di riscatto che, per “dirompere” contro il pregiudizio razziale, lo riflettono specularmente generando la “sovversione” dei valori.

“ Il nostro messaggio non consiste certo nel voler ridurre i tuareg “bianchi” alla stessa degradazione in cui loro ci hanno posti, ma nel restituire, con un discorso collettivo ed unitario, tutto il peso di quell'esperienza, come a dire: Provate a sentire

la forza generata dall'eventualità che, un giorno, la situazione si rovesci e il peso della discriminazioni che ci avete rivolto si scarichi sulle vostre coscienze! E' vero, nel rivendicare quella

variabile, rimane uno “sbilanciamento”... Ma questa discriminante esiste proprio perché ci siamo uniti in reazione a un contesto sbilanciato. L'accezione è adottata, almeno da parte mia, con una certa ironia (l'ironia della storia) e , se in futuro cambia il corso delle cose, cambierà anche l'espressione della differenza.” (Ilguilass 2008).

Parlando con Weila, emerge inoltre una volontà di combattere il razzismo, radicatosi attraverso il prisma della schiavitù (come fatto-sociale-totale), partendo dalla propria situazione personale “anomala”: “Sono nato con questa tinta di pelle e non faccio niente per nascondere che sono di famiglia nobile. Non ero votato a nessuna causa: ci sono arrivato seguendo un percorso

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libero da schemi e forzature. ” (ibid.).

Anche l'attenzione al mito dei tuareg neri è un'esigenza - più che effettivamente “storica” - di soggettivazione politica. La costruzione del “sé” è dettata qui da una volontà di riscatto e reazione: è necessario opporlo al mito maggioritario delle genti nobili di pelle chiara scese dal nord per conquistare e soggiogare i popoli “neri” privi di storia, quindi di dignità. Se il missionario voleva convertire il “nero” temperandone l'animalità e salvando la sua anima, il conquistatore lo avrebbe sottomesso in coerenza con i suoi attributi e facoltà bestiali. Il discrimine è secolare poiché contenuto nelle interpretazioni dei testi sacri87 e riproposto dalla storia antica, dalla filosofia occidentale (particolarmente da Hegel), dalla tratta e dalle ragioni scientifica (la razziologia) e coloniale, nonostante tutte le dichiarazioni di abolizione.

Per Timidria, Kaosèn, il guerriero tuareg che ha guidato la resistenza coloniale, è un eroe: come Weïla era, anche lui, de

teint noir e non apparteneva a una famiglia ridotta in schiavitù,

bensì di ceto nobile. In effetti,come si è potuto riscontrare 87 Da simili interpretazioni sono discesi, nei secoli XVIII e XIX, gli etnonimi (o nomi di popolazione) destinati ad avere

successo nell'amministrazione dei territori, e nello scontro identitario: ad esempio la costruzione , per contrasto, delle categorie hutu/tutsi è opera coloniale e missionaria: i camiti, di ceppo nilotico venuti da nord, dai tratti fini, dalla pelle più chiara, dotati di intelletto, furono plasmati su queste idee e, una volta schedati per essere altri dagli hutu, impiegati come quadri dall'amministrazione coloniale belga. Gli hutu sarebbero rimasti il “popolo della terra” ovvero dei bifolchi.

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direttamente, è normale che nel Sahel le persone di origine araba o berbera (e, quindi, di pelle chiara) siano una minoranza... E non è un caso che i privilegi accordati dal potere coloniale ai tuareg bianchi siano stati concessi non solo sulla scorta dei rapporti storici tra le popolazioni e della configurazione delle élites locali 88, ma anche e soprattutto in base a pregiudizi razziali.

Senza nascondere il fatto che, per non cadere nell'ideologia - e per la repulsione che ci ispira la variabile cromatica - , assumiamo a principio guida della ricerca il rifiuto di polarizzazioni fondate sulla dicotomia e su elementi contingenti (come, appunto, i caratteri attinenti alla fisicità di un soggetto), non si ometterà il seguente rilievo. Se, da un lato, obbiettività storica e strategie di azione hanno spesso difficoltà a trovarsi d'accordo, dall'altro, un linguaggio apparentemente neutro e “politicamente corretto” può mascherare, con l'esotismo dei temi trattati e un ampio ricorso all'astrazione e ai simboli, una reale distanza da tutto ciò che sia “alterità”, intesa in termini sostantivi e quindi, in buona misura, incommensurabile. Tale

ratio, nelle scienze sociali, non manca.

88 Questi rapporti reggevano il dominio di alcuni gruppi provenienti da nord , in cerca di nuovi territori di