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Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 216

Nel documento IL MOBBINGResponsabilità e danni (pagine 108-116)

Capitolo VII - Mobbing e molestie sessuali

4. Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 216

dagli handicap, dall’età e dall’orientamento sessuale, per quanto concerne l’occupa-zione e le condizioni di lavoro, disponendo le misure necessarie affinchè tali fattori non siano causa di discriminazione, in un’ottica che tenga conto anche del diverso impatto che le stesse forme di discriminazione possono avere su donne e uomini.

Art. 2. - Nozione di discriminazione

1. Ai fini del presente decreto e salvo quanto disposto dall’articolo 3, commi da 3 a 6, per principio di parità di trattamento si intende l’assenza di qualsiasi discriminazio-ne diretta o indiretta a causa della religiodiscriminazio-ne, delle convinzioni personali, degli han-dicap, dell’età o dell’orientamento sessuale. Tale principio comporta che non sia praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta, così come di seguito definite:

a) discriminazione diretta quando, per religione, per convinzioni personali, per handicap, per età o per orientamento sessuale, una persona è trattata meno favo-revolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga;

b) discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di handicap, le persone di una particolare età o di un orienta-mento sessuale in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre per-sone.

2. E’ fatto salvo il disposto dell’articolo 43, commi 1 e 2 del testo unico delle disposi-zioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, approvato con decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.

3. Sono, altresì, considerate come discriminazioni, ai sensi del comma 1, anche le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per uno dei motivi di cui all’articolo 1, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo.

4. L’ordine di discriminare persone a causa della religione, delle convinzioni persona-li, dell’handicap, dell’età o dell’orientamento sessuale è considerata una discrimina-zione ai sensi del comma 1.

Art. 3. - Ambito di applicazione

1. Il principio di parità di trattamento senza distinzione di religione, di convinzioni personali, di handicap, di età e di orientamento sessuale si applica a tutte le perso-ne sia perso-nel settore pubblico che privato ed è suscettibile di tutela giurisdizionale secondo le forme previste dall’articolo 4, con specifico riferimento alle seguenti aree:

a) accesso all’occupazione e al lavoro, sia autonomo che dipendente, compresi i cri-teri di selezione e le condizioni di assunzione;

b) occupazione e condizioni di lavoro, compresi gli avanzamenti di carriera, la retri-buzione e le condizioni del licenziamento;

c) accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale, perfezio-namento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini professionali;

d) affiliazione e attività nell’ambito di organizzazioni di lavoratori, di datori di lavo-ro o di altre organizzazioni plavo-rofessionali e prestazioni elavo-rogate dalle medesime organizzazioni.

2. La disciplina di cui al presente decreto fa salve tutte le disposizioni vigenti in mate-ria di:

a) condizioni di ingresso, soggiorno ed accesso all’occupazione, all’assistenza e alla previdenza dei cittadini dei Paesi terzi e degli apolidi nel territorio dello Stato;

b) sicurezza e protezione sociale;

c) sicurezza pubblica, tutela dell’ordine pubblico, prevenzione dei reati e tutela della salute;

d) stato civile e prestazioni che ne derivano;

e) forze armate, limitatamente ai fattori di età e di handicap.

3. Nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, nell’ambito del rap-porto di lavoro o dell’esercizio dell’attività di impresa, non costituiscono atti di dis-criminazione ai sensi dell’articolo 2 quelle differenze di trattamento dovute a carat-teristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali, all’handicap, all’età o all’orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura dell’attività lavora-tiva o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costi-tuiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attivi-tà medesima. Parimenti, non costituisce atto di discriminazione la valutazione delle caratteristiche suddette ove esse assumano rilevanza ai fini dell’idoneita’ allo svolgi-mento delle funzioni che le forze armate e i servizi di polizia, penitenziari o di soc-corso possono essere chiamati ad esercitare.

4. Sono, comunque, fatte salve le disposizioni che prevedono accertamenti di idoneità al lavoro per quanto riguarda la necessità di una idoneità ad uno specifico lavoro e le disposizioni che prevedono la possibilità di trattamenti differenziati in merito agli adolescenti, ai giovani, ai lavoratori anziani e ai lavoratori con persone a carico, det-tati dalla particolare natura del rapporto e dalle legittime finalità di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale.

5. Non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 le differenze di trat-tamento basate sulla professione di una determinata religione o di determinate con-vinzioni personali che siano praticate nell’ambito di enti religiosi o altre organizza-zioni pubbliche o private, qualora tale religione o tali convinorganizza-zioni personali, per la natura delle attività professionali svolte da detti enti o organizzazioni o per il

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testo in cui esse sono espletate, costituiscano requisito essenziale, legittimo e giusti-ficato ai fini dello svolgimento delle medesime attività.

6. Non costituiscono, comunque, atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 quelle dif-ferenze di trattamento che, pur risultando indirettamente discriminatorie, siano giusti-ficate oggettivamente da finalità legittime perseguite attraverso mezzi appropriati e necessari. In particolare, resta ferma la legittimità di atti diretti all’esclusione dallo svol-gimento di attività lavorativa che riguardi la cura, l’assistenza, l’istruzione e l’educazio-ne di soggetti minorenni l’educazio-nei confronti di coloro che siano stati condannati in via defi-nitiva per reati che concernono la libertà sessuale dei minori e la pornografia minorile.

Art. 4. - Tutela giurisdizionale dei diritti

1. All’articolo 15, comma 2, della legge 20 maggio 1970, n. 300, dopo la parola “sesso”

sono aggiunte le seguenti: “, di handicap, di età o basata sull’orientamento sessuale o sulle convinzioni personali”.

2. La tutela giurisdizionale avverso gli atti e i comportamenti di cui all’articolo 2 si svolge nelle forme previste dall’articolo 44, commi da 1 a 6, 8 e 11, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condi-zione dello straniero, approvato con decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.

3. Chi intende agire in giudizio per il riconoscimento della sussistenza di una delle dis-criminazioni di cui all’articolo 2 e non ritiene di avvalersi delle procedure di concilia-zione previste dai contratti collettivi, può promuovere il tentativo di conciliaconcilia-zione ai sensi dell’articolo 410 del codice di procedura civile o, nell’ipotesi di rapporti di lavo-ro con le amministrazioni pubbliche, ai sensi dell’articolo 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, anche tramite le rappresentanze locali di cui all’articolo 5.

4. Il ricorrente, al fine di dimostrare la sussistenza di un comportamento discrimina-torio a proprio danno, può dedurre in giudizio, anche sulla base di dati statistici, elementi di fatto, in termini gravi, precisi e concordanti, che il giudice valuta ai sensi dell’articolo 2729, primo comma, del codice civile.

5. Con il provvedimento che accoglie il ricorso il giudice, oltre a provvedere, se richie-sto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, ordina la cessazione del comportamento, della condotta o dell’atto discriminatorio, ove ancora sussistente, nonchè la rimozione degli effetti. Al fine di impedirne la ripetizione, il giudice può ordinare, entro il termine fissato nel provvedimento, un piano di rimozione delle dis-criminazioni accertate.

6. Il giudice tiene conto, ai fini della liquidazione del danno di cui al comma 5, che l’at-to o comportamenl’at-to discriminal’at-torio costituiscono ril’at-torsione ad una precedente azione giudiziale ovvero ingiusta reazione ad una precedente attività del soggetto leso volta ad ottenere il rispetto del principio della parita’ di trattamento.

7. Il giudice può ordinare la pubblicazione della sentenza di cui ai commi 5 e 6, a spese del convenuto, per una sola volta su un quotidiano di tiratura nazionale.

8. Resta salva la giurisdizione del giudice amministrativo per il personale di cui all’ar-ticolo 3, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

Art. 5. - Legittimazione ad agire

1. Le rappresentanze locali delle organizzazioni nazionali maggiormente rappresentati-ve a lirappresentati-vello nazionale, in forza di delega, rilasciata per atto pubblico o scrittura pri-vata autenticata, a pena di nullità, sono legittimate ad agire ai sensi dell’articolo 4, in nome e per conto o a sostegno del soggetto passivo della discriminazione, contro la persona fisica o giuridica cui è riferibile il comportamento o l’atto discriminatorio.

2. Le rappresentanze locali di cui al comma 1 sono, altresì, legittimate ad agire nei casi di discriminazione collettiva qualora non siano individuabili in modo diretto e immediato le persone lese dalla discriminazione.

Art. 6. - Relazione

1. Entro il 2 dicembre 2005 e successivamente ogni cinque anni, il Ministero del lavo-ro e delle politiche sociali trasmette alla Commissione eulavo-ropea una relazione conte-nente le informazioni relative all’applicazione del presente decreto.

Art. 7. - Copertura finanziaria

1. Dall’attuazione del presente decreto non derivano oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

Dato a Roma, addì 9 luglio 2003

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ACCORDO EUROPEO SULLO STRESS SUL LAVORO (8/10/2004)

(Accordo siglato da CES - sindacato Europeo; UNICE-”confindustria europea”;

UEAPME - associazione europea artigianato e PMI; CEEP - associazione europea delle imprese partecipate dal pubblico e di interesse economico generale)

1. Introduzione

Lo stress da lavoro è considerato, a livello internazionale, europeo e nazionale, un pro-blema sia dai datori di lavoro che dai lavoratori. Avendo individuato l’esigenza di un’a-zione comune specifica in relaun’a-zione a questo problema e anticipando una consultazio-ne sullo stress da parte della Commissioconsultazio-ne, le parti sociali europee hanno inserito que-sto tema nel programma di lavoro del dialogo sociale 2003-2005. Lo stress, potenzial-mente, può colpire in qualunque luogo di lavoro e qualunque lavoratore, a prescindere dalla dimensione dell’azienda, dal campo di attività, dal tipo di contratto o di rappor-to di lavoro. In pratica non tutti i luoghi di lavoro e non tutti i lavorarappor-tori ne sono neces-sariamente interessati. Considerare il problema dello stress sul lavoro può voler dire una maggiore efficienza e un deciso miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro, con conseguenti benefici economici e sociali per le aziende, i lavoratori e la socie-tà nel suo insieme. Nel considerare lo stress da lavoro è essenziale tener conto delle diversità che caratterizzano i lavoratori.

2. Oggetto

Lo scopo dell’accordo è migliorare la consapevolezza e la comprensione dello stress da lavoro da parte dei datori di lavoro, dei lavoratori e dei loro rappresentanti, attirando la loro attenzione sui sintomi che possono indicare l’insorgenza di problemi di stress da lavoro. L’obiettivo di questo accordo è di offrire ai datori di lavoro e ai lavoratori un modello che consenta di individuare e di prevenire o gestire i problemi di stress da lavo-ro. Il suo scopo non è quello di colpevolizzare (far vergognare) l’individuo rispetto allo stress. Riconoscendo che la soppraffazione e la violenza sul lavoro sono fattori stresso-geni potenziali ma che il programma di lavoro 2003-2005 delle parti sociali europee pre-vede la possibilità di una contrattazione specifica su questi problemi, il presente accor-do non riguarda né la violenza sul lavoro, né la soppraffazione sul lavoro, né lo stress post-traumatico.

3. Descrizione dello stress e dello stress da lavoro

Lo stress è uno stato, che si accompagna a malessere e disfunzioni fisiche, psicologiche o sociali e che consegue dal fatto che le persone non si sentono in grado di superare i gap rispetto alle richieste o alle attese nei loro confronti. L’individuo è capace di reagire alle pressioni a cui è sottoposto nel breve termine, e queste possono essere considerate

posi-tive (per lo sviluppo dell’individuo stesso -ndt), ma di fronte ad una esposizione prolun-gata a forti pressioni egli avverte grosse difficoltà di reazione. Inoltre, persone diverse possono reagire in modo diverso a situazioni simili e una stessa persona può, in momen-ti diversi della propria vita, reagire in maniera diversa a situazioni simili. Lo stress non è una malattia ma una esposizione prolungata allo stress può ridurre l’efficienza sul ro e causare problemi di salute. Lo stress indotto da fattori esterni all’ambiente di lavo-ro può condurre a cambiamenti nel comportamento e ridurre l’efficienza sul lavolavo-ro.

Tutte le manifestazioni di stress sul lavoro non vanno considerate causate dal lavoro stes-so. Lo stress da lavoro può essere causato da vari fattori quali il contenuto e l’organiz-zazione del lavoro, l’ambiente di lavoro, una comunicazione “povera”, ecc.

4. Individuazione dei problemi di stress da lavoro

Data la complessità del fenomeno stress, questo accordo non intende fornire una lista esaustiva dei potenziali indicatori di stress. Tuttavia, un alto assenteismo o un’elevata rotazione del personale, conflitti interpersonali o lamentele frequenti da parte dei lavo-ratori sono alcuni dei sintomi che possono rivelare la presenza di stress da lavoro.

L’individuazione di un problema di stress da lavoro può avvenire attraverso un’analisi di fattori quali l’organizzazione e i processi di lavoro (pianificazione dell’orario di lavo-ro, grado di autonomia, grado di coincidenza tra esigenze imposte dal lavoro e capaci-tà/conoscenze dei lavoratori, carico di lavoro, ecc.), le condizioni e l’ambiente di lavoro (esposizione ad un comportamento illecito, al rumore, al calore, a sostanze pericolose, ecc.), la comunicazione (incertezza circa le aspettative riguardo al lavoro, prospettive di occupazione, un futuro cambiamento, ecc.) e i fattori soggettivi (pressioni emotive e sociali, sensazione di non poter far fronte alla situazione, percezione di una mancanza di aiuto, ecc.). Se il problema di stress da lavoro è identificato, bisogna agire per preve-nirlo, eliminarlo o ridurlo. La responsabilità di stabilire le misure adeguate da adottare spetta al datore di lavoro. Queste misure saranno attuate con la partecipazione e la col-laborazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti.

5. Responsabilità dei datori di lavoro e dei lavoratori

In base alla direttiva quadro 89/391 (quella che ha originato la 626- ndt), tutti i datori di lavoro sono obbligati per legge a tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori. Questo dovere riguarda anche i problemi di stress da lavoro in quanto costituiscano un rischio per la salute e la sicurezza. Tutti i lavoratori hanno il dovere generale di rispettare le misure di protezione decise dal datore di lavoro. I problemi associati allo stress posso-no essere affrontati nel quadro del processo di valutazione di tutti i rischi, program-mando una politica aziendale specifica in materia di stress e/o attraverso misure speci-fiche mirate per ogni fattore di stress individuato.

6. Prevenire, eliminare o ridurre i problemi di stress da lavoro

Per prevenire, eliminare o ridurre questi problemi si può ricorrere a varie misure. Queste misure possono essere collettive, individuali o tutte e due insieme. Si possono introdur-re misuintrodur-re specifiche per ciascun fattointrodur-re di stintrodur-ress individuato oppuintrodur-re le misuintrodur-re possono

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rientrare nel quadro di una politica anti-stress integrata che sia contemporaneamente preventiva e valutabile.

Dove l’azienda non può disporre al suo interno di competenze sufficienti, può ricorre-re a competenze esterne in conformità alle leggi europee e nazionali, ai contratti collet-tivi e alle prassi. Una volta definite, le misure anti-stress dovrebbero essere riesaminate regolarmente per valutarne l’efficacia e stabilire se utilizzano in modo ottimale le risor-se disponibili e risor-se sono ancora appropriate o necessarie. Queste misure possono com-prendere ad esempio:

• misure di gestione e di comunicazione in grado di chiarire gli obiettivi aziendali e il ruolo di ciascun lavoratore, di assicurare un sostegno adeguato da parte della dire-zione ai singoli individui e ai team di lavoro, di portare a coerenza, responsabilità e controllo sul lavoro, di migliorare l’organizzazione, i processi, le condizioni e l’am-biente di lavoro;

• la formazione dei dirigenti e dei lavoratori per migliorare la loro consapevolezza e la loro comprensione nei confronti dello stress, delle sue possibili cause e del modo in cui affrontarlo, e/o per adattarsi al cambiamento;

• l’informazione e la consultazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti, in con-formità alla legislazione europea e nazionale, ai contratti collettivi e alle prassi.

7. Attuazione e controllo nel tempo

In base all’art. 139 del Trattato questo accordo-quadro europeo volontario impegna i membri dell’UNICE/UEAPME, del CEEP e della CES (e del Comitato di Collegamento EUROCADRES/CEC) ad implementarlo in accordo con le procedure e le pratiche proprie delle parti sociali nei vari Stati membri e nei paesi dell’Area Economica Europea. I firmatari invitano anche le loro organizzazioni affiliate nei paesi candidati ad attuare questo accordo. L’implementazione di questo accordo sarà effet-tuata entro tre anni dalla data della sua firma. Le organizzazioni affiliate notificheran-no l’applicazione dell’accordo al Comitato del dialogo sociale. Nel corso dei primi tre anni successivi alla firma dell’accordo il Comitato del dialogo sociale predisporrà una tabella annuale riassuntiva della situazione relativa all’implementazione dell’accordo.

Nel corso del quarto anno il Comitato redigerà un rapporto completo sulle azioni intraprese ai fini dell’attuazione dell’accordo. I firmatari valuteranno e riesamineranno l’accordo in qualunque momento su richiesta di uno di loro una volta trascorsi cinque anni dalla data della firma. In caso di domande in merito al contenuto dell’ accordo le organizzazioni affiliate interessate possono rivolgersi congiuntamente o separatamente ai firmatari che risponderanno loro congiuntamente o separatamente. Nell’attuare que-sto accordo i membri delle organizzazioni firmatarie evitino di imporre oneri inutili alle PMI. L’attuazione di questo accordo non costituisce un valido motivo per ridurre il livello generale di protezione concesso ai lavoratori nell’ambito di questo accordo.

Questo accordo non pregiudica il diritto dei partner sociali di concludere, ai livelli ade-guati, incluso il livello europeo, accordi che adattino e/o completino questo accordo in modo da prendere in considerazione le esigenze specifiche delle parti sociali interessa-te.

Capitolo IV del Codice del Lavoro Lotta contro l’assillo morale al lavoro (artt.168-180)

Art. 168

Dopo l’art. L. 120-3 del Codice del Lavoro, è stato inserito l’art. L. 120-4 così redatto:

“art. L. 120-4: il contratto di lavoro è eseguito in buona fede”.

Art. 169

I. Dopo l’art. L. 122-48 del Codice del Lavoro, sono inseriti cinque articoli: artt. da L.

122-49 a L. 122-53 così redatti:

art. L. 122-49:

“Nessun lavoratore deve subire i comportamenti ripetuti di assillo morale che hanno per oggetto o per effetto un deterioramento delle condizioni di lavoro capace di ledere i suoi diritti e la sua dignità, di alterare la sua salute fisica o mentale o di compromet-tere il suo avvenire professionale.

Nessun lavoratore può essere sanzionato, licenziato o essere oggetto di una misura dis-criminatoria, diretta o indiretta specialmente in materia di remunerazione, di forma-zione, di riqualificaforma-zione, di assegnaforma-zione, di qualificaforma-zione, di classificaforma-zione, di pro-mozione professionale, di mutamento o di rinnovo del contratto per aver subito, o rifiu-tato di subire, i comportamenti definiti nel capoverso precedente o per aver testimonia-to di tali comportamenti o averli riferiti.

Ogni rottura del contratto di lavoro che ne risulterà, ogni disposizione o ogni atto con-trario è nullo in pieno diritto”.

art. L. 122-50:

“E’ soggetto a sanzione disciplinare ogni lavoratore che ha dato inizio a comportamen-ti previscomportamen-ti dall’art. L. 122-49”.

art. L. 122-51:

“Spetta al capo dell’impresa prendere tutte le misure necessarie allo scopo di prevenire i comportamenti indicati nell’art. L. 122-49”.

art. L. 122-52:

“In caso di lite relativa all’applicazione degli artt. L. 122-46 e L. 122-49 il lavoratore riguardante presenta degli elementi di fatto lasciando supporre l’esistenza di un assillo.

In base a questi elementi, incombe sulla parte convenuta di provare che i suoi compor-tamenti non sono costitutivi di un tale assillo e che la sua decisione è giustificata dagli elementi obiettivi esterni ad ogni assillo. Il giudice forma la sua convinzione dopo aver ordinato in caso di bisogno tutte le misure di istruzione che egli reputa utili”.

6. Legge di modernizzazione sociale francese del

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