2. Sovranità nazionale – Costituzione economica
2.3. Costituzionalità e principi democratici nell‘UE
2.3.1. Deficit democratico
La problematica del deficit democratico208 non è da trascurare, tanto più che l‘evolversi e l‘espandersi dei poteri dell‘Unione richiede sempre più forme di democrazia che permettano di rafforzare l‘integrazione, che è «la condicio sine qua non per ulteriori passi nel lungo e difficile cammino dell‘Unione».209
Emblematica la dichiarazione dell‘attuale Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz: «Se l‘Ue fosse uno Stato che facesse domanda di ammissione nell‘Unione
207 GOZI S., cit. , p. 25. 208
Deficit democratico e ruolo dei Parlamenti nazionali sono argomenti tra loro interconnessi fortemente, infatti Giovanni Guzzetta dichiara: «l‘esigenza di rafforzare il ruolo dei Parlamenti nazionali si è imposta al dibattito in relazione all‘obiettivo di attenuare il deficit di legittimazione (democratica) dell‘Unione. Ma, se ci si riflette, la risposta ricercata er tale via esprime già di per sé il superamento di una interpretazione del dualismo europeo in termini di separatezza e giustapposizione. Infatti, l‘inserimento dei Parlamenti nazionali nell‘architettura europea non appare interamente coerente con nessuna dei due tradizionali canali di legittimazione in cui consiste la menzionata logica dualista. il canale della legittimazione ―per popoli‖ di tipo democratico-rappresentativo affidato ad un organo di estrazione ―sovranazionale‖, il PE, e il canale di legittimazione ―per Stati‖ di tipo diplomatico-intergovernativo affidato ad organi o processi (si pensi alla composizione del Consiglio dell‘Unione) espressi dai governi». GUZZETTA G., cit., p. 85. Relativamente alla questione del deficit democratico Claus Offe osserva l‘esistenza di tre categorie di deficit (commerciale, di bilancio e democratico) e come «questi tre deficit [siano] strettamente legati tra loro: l‘ultimo, il deficit democratico, è un fulcro strategico per ogni tentativo di affrontare gli altri due. Per compiere significativi passi avanti in termini di integrazione, patto fiscale e supervisione permanente della Commissione; per rendere stabile (e non una misura di emergenza
ad hoc adottata a porte chiuse) il regime di controllo delle banche e dei bilanci; ma, soprattutto, per
realizzare la redistribuzione su larga scala (tra paesi e classi sociali) che questo regime comporterebbe, è impossibile fare a meno del sostegno politico di cittadini europei che esprimano la propria volontà, formata e orientata dai partiti politici, nelle elezioni e nei referendum». OFFE C., cit., pp. 85-86.
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europea, la domanda sarebbe certamente respinta per assoluta mancanza di democrazia», riguardante la condizione non rosea in cui l‘Unione si trova ad operare. La situazione attuale critica può essere letta come conseguenza non di disposizioni in materia date erroneamente, ma proprio di una mancanza di previsione della necessità di provvedere a dare disposizioni che permettessero al sistema UE di agire entro i canoni della democrazia, quasi fosse implicito che ciò si sarebbe realizzato.
L‘integrazione tra gli Stati dell‘UE può essere di due tipi: negativa e positiva. Nel caso dell‘integrazione negativa si era tentato fossero presenti organi decisionali, non di rappresentanza democratica, quasi che le decisioni da prendere dipendessero da precisi ordini scientifico-economici e la politica non avesse voce in capitolo, escludendo così la necessità di richiederne legittimità politica.
Linea guida che venne ben precisata nell‘art. 2 del Trattato istitutivo della Comunità economica europea: «la Comunità ha il compito di promuovere, mediante l‘instaurazione di un mercato comune e il graduale ravvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri, uno sviluppo armonioso delle attività economiche nell‘insieme della Comunità, un‘espansione continua ed equilibrata , una stabilità accresciuta, un miglioramento sempre più rapido del tenore di vita e più strette relazioni fra gli Stati che ad essa partecipano». In tale occasione il legislatore intendeva dare voce agli interessi sia europei che nazionali, ma dando consistenza ai soli organi della Commissione e del Consiglio, tralasciando il Parlamento che più avrebbe difeso il concetto di democrazia. Strumenti di questa integrazione negativa nel corso degli anni furono molteplici, tra cui si può ricordare l‘abbandonato progetto di Costituzione elaborato a Laeken nel 2001 e l‘aspirazione ad un movimento di riforma democratica da Amsterdam, 1997, a Lisbona, 2007.
Il progetto di una Costituzione per l‘Europa non è andato a buon fine anche a causa delle diverse idee che gli agenti comunitari avevano a tal proposito: si voleva redarre una costituzione economica, politica o di base come intesa da un qualsiasi Stato membro? Come osserva Gian Luigi Tosato, «Non si può evidentemente parlare di costituzione ―economica‖ se non in contrapposto ad una costituzione ―politica‖ e in un contesto che comprenda l‘una e l‘altra. Così, in ambito europeo, riferirsi ad una
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costituzione economica presuppone che esista una costituzione politica e, prima ancora, una costituzione tout court dell‘Unione europea».210
La consapevolezza di una crisi della legittimazione democratica nel sistema può essere nata dalla constatazione, da parte degli Stati membri, di una situazione di distribuzione diseguale degli oneri e dei diritti delle manovre politiche attuate, portando a domandarsi se e per quale motivo esistano dei vuoti di democrazia così forti da permettere che vengano considerate prioritarie le esigenze solo di taluni Stati, aggravando magari il già presente divario geografico tra Est e Ovest.
Finché si procedeva alla costruzione di un mercato comune le soluzioni potevano risultare tecnicamente più semplici e condivisibili, prevedendo norme commerciali quali l‘eliminazione delle dogane o dei dazi; con il passare degli anni e con l‘evolversi del sistema comunitario si aspira a regolare questioni di interesse pubblico che fino al momento del confronto si sono sempre trovate di gestione prettamente nazionale, richiedendo, quindi, una sempre nuova cessione di sovranità da parte degli Stati membri verso l‘UE. Per questo è necessario passare ad una fase di integrazione positiva che agisce solo una volta che la sola maggioranza abbia deciso in tal senso; perché tale maggioranza avesse il credito e la forza sufficiente per poter valere da legittimazione a successive azioni si è dovuto intervenire al fine di allargare la base di legittimazione democratica. Ciò fu reso possibile dando sempre maggior rilievo e potere al Parlamento. Dapprima nel 1999 ad Amsterdam venne ampliato l‘uso della procedura di codecisione e, in seguito nel 2007 a Lisbona, si specificarono le regole del governo rappresentativo. Tuttavia il programma di integrazione europea continua a non essere ottimale, e rimane una questione aperta, analizzata e studiata alla ricerca di soluzioni nuove e condivise. Spesso però si torna a valutare un‘ipotesi già scartata: la redazione di un documento costituzionale europeo. Sembra, questo, essere l‘unico strumento che permetta la costruzione di un ordine pubblico solido sulle cui basi poter rilevare effetti economici redistributivi. Nonostante che le voci che si levano in favore di tale progetto siano molteplici, non mancano le repliche, in particolare pare non piacere l‘ipotesi di sganciamento della costituzione dallo Stato.
210 TOSATO G.L., Osservazioni in tema di costituzione economica dell’Unione europea, in PANUZIO
S.P.-SCISO E. (a cura di), Le riforme istituzionali e la partecipazione dell’Italia all’Unione europea, Milano, 2002, p.57.
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Come sostiene Majone, «la difficoltà di perseguire gli obiettivi d‘integrazione con i metodi della democrazia parlamentare ha cause profonde che non possono essere corrette mediante semplici riforme istituzionali: da un lato, la mancanza di un demos europeo […]; dall‘altro il fatto che il principio maggioritario, e lo stesso democratico, presuppongono l‘esistenza di una comunità abbastanza omogenea e solidale perché la minoranza riconosca la legittimità delle decisioni della maggioranza, e la minoranza sia disposta a finanziare misure di sostegno di gruppi bisognosi di aiuto».211
Definitivamente nel 2007, con il Trattato di Lisbona, viene abbandonata l‘illusione di una possibile costituzione europea212 anche per motivi di flessibilità e snellezza di organi amministrativi europei, per agevolarne anche il funzionamento. Le considerazioni fin qui riportate vanno però contestualizzate e, in tal senso, va specificato che «misurare il livello e la qualità democratica di un sistema istituzionale è cosa complessa e diventa velleitaria se si limita l‘esame al testo di un Trattato organizzativo delle relazioni istituzionali».213
Osserva Fernanda Bruno, riguardo la questione se sia possibile incrementare il livello di democrazia grazie all‘aumento di poteri attribuiti al PE, «se identificare la democrazia con il parlamentarismo è inammissibile, sarebbe anche inimmaginabile una democrazia senza un Parlamento e soprattutto senza un Parlamento adeguato alle nuove sfide internazionali e comunitarie».214
Il Deficit può essere inteso su due piani:
211 MAJONE G., Deficit democratico, istituzioni non-maggioritarie ed il paradosso dell’integrazione
europea, in Stato e mercato, 2003, p. 31.
212 Ancora in discussione se sia veramente stata abbandonata l‘idea di una Costituzione europea, infatti
Giovanni Guzzanti, in un testo recente, del 2015, riconosce l‘attualità di allusioni a questa Costituzione, tuttavia ne definisce le coordinate: «sembra […] che il riferimento alla Costituzione si collochi – nel quadro dell‘ordinamento comunitario – a mezza strada tra il significato forte derivato dalla tradizione del diritto costituzionale statuale ed una lettura meramente simbolica o allusiva. E si potrebbe a questo proposito parlare di un uso mimetico ed evocativo dell‘espressione. La quale contribuisce cioè ad affermare e confermare tre novità rilevanti sul piano qualitativo. La prima è quella di segnare la ormai completa transizione da una struttura fondamentale di tipo economico verso una ―politicizzazione‖ dell‘esperienza comunitaria. […] In secondo luogo, l‘insistenza sul riferimento ad una Costituzione europea, arricchita – per giunta- di un Bill of Rights significa postulare la pretesa di un‘equiordinazione assiologica e di status rispetto alle Costituzioni nazionali. […] In terzo luogo, appare evidente che l‘uso del termine, piuttosto che rappresentare schmittianamente solo la sanzione formale di un processo di unificazione raggiunta (―la decisione politica fondamentale sulla forma dell‘unità politica‖), si candida ad essere, viceversa, un fattore di ulteriore propulsione verso tale unità ». GUZZETTA G., cit., pp. 60-61.
213 DELLA MORTE M.- GLIATTA M.A., La resistibile ascesa della democrazia partecipativa in
Europa, in MAURO M.R., cit., p. 71.
214 BRUNO F., Stati membri e Unione Europea. Il difficile cammino dell’integrazione, Torino, 2012,
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comunitario: Il Parlamento europeo non ha il potere decisionale;
nazionale: Il Parlamento nazionale non può controllare le decisioni comunitarie, vertendo esse su materie sottratte alle sue competenze.
Il vero problema che può essere creato da un deficit democratico si verifica quando questo va a colpire «nel punto più valorizzante per un sistema democratico, allora l‘incremento dei luoghi della partecipazione dovrebbe sortire l‘esito sperato della necessaria riduzione della distanza tra eletti ed elettori».215
Se si decidesse di dar credito alla tesi secondo la quale il dilemma europeo sia dato da un governo senza popolo, è difficile possano trovare fondamento richieste di legittimazioni democratiche, quando potrebbe essere rilevata in ogni momento l‘inesistenza di una comunità politica europea, delle relative sedi, nonché del diritto inerente. E ancora, se l‘iniziativa popolare diretta viene temuta a causa della possibilità che alle istanze presentate dai singoli si mescolino interessi di categoria o corporativi, per quale ragione bisognerebbe incentivare l‘aumento della democrazia se saranno poi solo i microinteressi a prevalere?
Il giusto compromesso «tra l‘interesse generale alla stabilità finanziaria e la tutela dei diritti economici e sociali dei singoli può essere diretto a rafforzare, insomma, tanto la rilevanza delle procedure con cui è perseguita la disciplina di bilancio quanto la congruenza e la coerenza di questa con le politiche sull‘occupazione e sulla crescita».216