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Metodo intergovernativo e teoria dei controlimiti

2. Sovranità nazionale – Costituzione economica

2.1. Il Fiscal Compact e la sovranità nazionale

2.1.2. Metodo intergovernativo e teoria dei controlimiti

Una volta individuato il problema del deficit democratico, a livello comunitario si può notare sia avvenuto un passaggio ad una tecnica di cooperazione intergovernativa, comportando in tale maniera un calo della sovranazionalità decisionale «proprio mentre non soltanto nel sistema comunitario, ma da parte di tutti gli Stati, si riconosceva la superiorità ed il primato (oltre che la diretta applicabilità) del diritto comunitario: mentre quindi si affermava la sovranazionalità normativa».128

Il metodo intercomunitario può prevedere tre alternative azioni in base alle quali l‘Unione europea perseguirà determinate politiche: 1) verranno condivisi i diritti di iniziativa e decisionali tra la Commissione europea e gli Stati membri; 2) verranno coinvolte nel processo decisionale aree di attività specifiche interessate; 3) avranno un ruolo rilevante tutte e tre le istituzioni sopra citate, Commissione europea, Stati membri e aree di attività specifiche. In particolare, la Commissione europea ha il compito di identificare l‘interesse generale europeo, azione possibile solo a seguito di un‘attenta analisi delle vigenti legislazioni nazionali e, quindi, della conseguente posizione degli Stati membri, tutto ciò, inoltre, può essere fatto solo dopo aver individuato se sono presenti altri agenti che si potrebbero trovare coinvolti in una eventuale decisione al riguardo. Tuttavia, questo interesse potrebbe non rispondere alla somma di tali posizioni, né ad una soluzione condivisa da tutte le parti. Partendo da tale presupposto, la Commissione europea non dovrà prendere decisioni a discapito della scelta ottimale

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per evitare di prendere una posizione a difesa dell‘interesse generale europeo, piuttosto – considerati tutti i fattori in campo – dovrà capire quale sia la legislazione nazionale più avanzata o la soluzione migliore da adottare. Ci potranno sicuramente essere aspetti che sfuggiranno alle valutazioni attuate dalla Commissione europea, e proprio per appurare ciò ed eventualmente modificare la proposta, sarà il Consiglio dei ministri a deliberare all‘unanimità, o/e il Parlamento europeo a decidere a maggioranza.

Nella sua accezione originale, il metodo intergovernativo è caratterizzato dal ricorso a tre elementi procedurali che divergono diametralmente da quelli su cui si basa il metodo comunitario, vale a dire:

 le proposte di soluzione ad un determinato problema sono presentate dagli Stati membri individualmente oppure, in alcuni casi, da un organo amministrativo (per esempio il segretariato del Consiglio dei Ministri) il quale, essendo al corrente delle diverse posizioni nazionali, cerca di identificare il comune denominatore che consentirà agli Stati membri di raggiungere più facilmente un accordo unanime. Pertanto, manca nel metodo intergovernativo la definizione preliminare di un interesse generale che sia diverso dalla somma degli interessi degli Stati che partecipano al negoziato. Quest‘ultimo si svolge a partire da proposte ―nazionali‖ oppure da soluzioni che rappresentano il minimo comune denominatore fra gli interessi nazionali in presenza;

 le decisioni sono prese in base alla regola dell‘unanimità degli Stati partecipanti al negoziato: l‘esperienza ha mostrato che la necessità di ottenere il consenso unanime degli Stati membri attribuisce ai paesi più popolati un peso preponderante nel negoziato, mentre nella procedura di decisione maggioritaria tutti gli Stati sono posti su un piano di uguaglianza (con il loro peso demografico diverso) e possono essere messi in minoranza vicendevolmente se non fanno in tempo utile le concessioni necessarie per arrivare a un accordo unanime. Le statistiche sulle decisioni del Consiglio mostrano che i paesi più popolati sono messi in minoranza (o accettano dei compromessi formalmente unanimi) altrettanto spesso, se non di più, che i paesi demograficamente più piccoli;

 il Parlamento europeo non è in grado di esercitare una reale influenza sul contenuto delle decisioni prese in base al metodo intergovernativo. La scarsa influenza dell‘istituzione parlamentare europea, combinata con l‘assenza di una proposta della Commissione europea, ha per conseguenza la riduzione, come

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regola generale, del livello di ambizione della soluzione decisa all‘unanimità dagli Stati membri.129

L‘obiettivo principe nel gestire la crisi economica degli Stati membri dell‘Unione europea è il tentativo di salvataggio, che può essere efficace solo se si applica il metodo intergovernativo al posto di quello comunitario130. Tale tipologia prevede la conclusione di accordi internazionali e l‘istituzione di organismi pensati per il contesto e lo spazio temporale in cui vanno ad operare: il Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (MESF), il Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF) e il Meccanismo europeo di stabilità (MES). Di pari passi passo con l‘istituzione di tali organismi si è proceduto a rafforzare il ruolo della Banca centrale europea perché avesse la possibilità di intervenire a favore degli Stati più in difficoltà a causa della crisi, permettendone l‘ampliamento degli strumenti di politica monetaria. In un primo momento, nel 2010, la BCE, in seguito all‘approvazione da parte del suo Consiglio direttivo, adottò il

Securities Market Program; lo scopo del programma risiedeva nell‘acquistare titoli di

debito pubblico dei Paesi dell‘Eurozona sul mercato secondario. I dati riportano che il valore delle obbligazioni acquistate così fu di circa 210 milioni di euro. In seguito, grazie all‘annuncio del Presidente della BCE Mario Draghi il 6 settembre 2012, la BCE si servì di operazioni definitive monetarie (ODM). È un meccanismo che rende possibili, sul mercato secondario, acquisti illimitati da parte della BCE degli stessi debiti pubblici, pur tuttavia imponendo allo Stato interessato di attenersi ad un programma del FESF o del MES e di adottare quelle misure atte al risanamento finanziario.

Queste soluzioni, ideate per essere tempestive ed efficaci, tralasciano un elemento caro agli Stati democratici che fanno parte dell‘Unione europea: il coinvolgimento del Parlamento europeo. Si pensi ad esempio all‘art. 3 del Fiscal Compact in cui è espressamente previsto che l‘unico compito del PE sia quello di organizzare e

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http://europa.univr.it/rivista12013.pdf [consultato il 06/10/2016].

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«quel processo di progressiva integrazione che una minoranza (ora in calo) di europeisti entusiasti aveva a lungo sognato si è improvvisamente trasformato in un‘urgente operazione di salvataggio che rende obbligato il rafforzamento dei poteri fiscali ed economici dell‘Ue. Ma poiché a questa operazione di salvataggio manca il sostegno dei partiti politici (e quindi degli elettori) sia nei paesi ancora prosperi sia nei paesi in declino, è improbabile che essa abbia successo, in particolare perché è gestita in un modo non democratico, depoliticizzato e tecnocratico contrastante con i canoni della responsabilità democratica che le opinioni pubbliche degli Stati membri hanno (fortunatamente) imparato a considerare elementi essenziali non negoziabili della vita politica». OFFE C., L’Europa in trappola. Riuscirà l’Ue a superare

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promuovere una conferenza composta dai rappresentanti delle sue commissioni create per affrontare situazioni peculiari, e dai Parlamenti nazionali.

A proposito del ruolo dei parlamenti nazionali, se ne fa menzione solo nell‘art.3, par.2 in riferimento ai compiti a loro attribuiti in relazione ai meccanismi automatici di correzione dei disavanzi pubblici. L‘assenza del coinvolgimento del PE ha comportato la creazione di situazioni in cui alcuni Stati membri hanno assunto posizioni economicamente talmente più forti di altri da poter imporre le proprie scelte ed esercitare un potere sia di controllo sia sanzionatorio verso gli Stati più deboli. Inevitabili conseguenze negative si riversano sugli Stati più deboli che si sono ritrovati a dover applicare alle abitudini dei propri cittadini restrizioni a volte troppo drastiche. Il metodo intergovernativo ha il pregio, o probabilmente si può dire la pretesa, di chiamare in causa la sovranità degli Stati membri, tramite una valorizzazione del ruolo dei Parlamenti nazionali e tendendo al ridimensionamento del ruolo del Parlamento europeo.

«Tale esperienza segnala così almeno due problemi aperti. Anzitutto che nelle fasi di emergenza economica e finanziaria le articolate procedure di revisione dei Trattati non si prestano all‘esigenza di rapidità delle decisioni, ma soprattutto che le decisioni che incidono sul potere di spesa e di bilancio non possono non vedere il sostanziale coinvolgimento dei parlamenti che, è inutile dire,sono i custodi della democrazia rappresentativa».131

2.1.2.1. Organismi anticrisi: MESF, FESF e MES

In base all‘art. 122, par. 2, TFUE132

e in seguito al regolamento (UE) n. 407/2010 del Consiglio, è stato fondato il Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (MESF).

In seguito a questo, il 9 maggio 2010, è stato creato, come strumento provvisorio, il Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF) 133.

131 DE MARTINO F.R., Revisione dei Trattati europei, Fiscal Compact e Costituzione Italiana, in

MAURO M.R., cit., p. 99.

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Art. 122, par.2, TFUE «Qualora uno Stato membro si trovi in difficoltà o sia seriamente minacciato da gravi difficoltà a causa di calamità naturali o di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo, il Consiglio, su proposta della Commissione, può concedere a determinate condizioni un'assistenza finanziaria dell'Unione allo Stato membro interessato. Il presidente del Consiglio informa il Parlamento europeo in merito alla decisione presa».

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Il FESF è il Fondo salva-Stati, fondo che nasce da una decisione presa a livello intergovernativo dagli Stati membri dell‘Eurozona con cui è stata istituita una società di diritto lussemburghese operante sul mercato primario con obbligazioni e strumenti di mercato finalizzati al reperimento di capitali sul mercato i cui azionisti sono 17 Stati di zona euro.

Il Meccanismo europeo di stabilità (MES), istituito con la firma del Trattato di Lisbona il 2 febbraio 2012, è l‘organismo anticrisi per eccellenza che è andato a sostituire, in maniera definitiva, i due precedenti, MESF e FESF. Proponendosi come sostegno finanziario per garantire la stabilità finanziaria di tutta la zona euro, è stato introdotto in maniera graduale. Sono state messe in atto, infatti, disposizioni transitorie che hanno permesso un passaggio non traumatico dal FESF al MES, consentendo la non interruzione dei programmi di finanziamento precedentemente attivati.

Costituisce il nuovo Fondo salva-Stati permanente; da chiarire fin da subito come non si tratti di una istituzione dell‘Unione europea, bensì di un‘istituzione finanziaria internazionale, che ha sede a Lussemburgo ed è operativa da luglio 2012. Invitati a farne parte sono, in primis, tutti i Paesi della zona Euro e fino ad estendersi successivamente anche a Paesi esterni. Il Meccanismo può utilizzare diversi strumenti, quali: concessione di prestiti agli Stati firmatari, assistenza finanziaria precauzionale, acquisto di obbligazioni su mercati sia primari sia secondari degli stessi Stati, concessione di prestiti per la ricapitalizzazione di istituzioni finanziarie. Gli Stati che hanno aderito a tale meccanismo potranno avvalersene, qualora si trovassero in stato di bisogno, a patto che rispettino le raccomandazioni specifiche che saranno loro fornite e mantengano la parola data rispetto ai calendari fissati per quanto riguarda il patto di stabilità e crescita e le procedure per gli squilibri eccessivi. Si tratta di un elenco di obblighi che sono necessari per permettere di perseguire le finalità in base alle quali è stato costituito questo meccanismo, cioè: rassicurare i mercati, mettere un freno alla speculazione e ridare stabilità alla moneta unica.

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MAURO M.R.-PERNAZZA F.(a cura di), Il debito sovrano. Tra tutela del credito e salvaguardia

della funzione dello stato, Napoli, 2014, p.33«Si è ritenuto opportuno affrontare il problema del debito sovrano ricorrendo a una strategia più organica, che ha comportato la creazione di due strumenti temporanei di assistenza per gli Stati membri della zone euro in condizioni finanziarie particolarmente gravi. Il Consiglio ha, infatti, istituito il Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (MESF), cui ha fatto seguito la creazione del Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF)».

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Bini Smaghi critica134 a più riprese la decisione di creare un Fondo salva Stati in uno spazio geografico e temporale caratterizzato da uno stadio di crisi. Questo per due motivi principali:

 «la violazione della norma del Trattato dell‘Unione che vieta ai paesi di farsi carico dei debiti altrui (no-bail out)».

Problema a cui si è trovata legittimazione dichiarando come il Trattato vieti solo di ripianare i debiti dei Paesi e non di concedere loro prestiti. Ma la vera difficoltà, in realtà, è scaturita in un secondo momento e cioè quando si è dovuto trovare questi prestiti. Infatti, «modificare il Fondo salva Stati, per dotarlo di uno statuto preferenziale simile a quello del Fondo monetario internazionale, nonostante l‘opposizione di quest‘ultimo. L‘evoluzione della crisi ha tuttavia mostrato che tale privilegio può diventare un problema. In effetti, se la crisi peggiora e un paese non è in grado di far fronte ai propri debiti, e deve ristrutturarli per ridurne il valore, il ―taglio‖ effettuato sui prestiti dei creditori non privilegiati è tanto più ampio quanto più alta è la quota di creditori privilegiati». Conseguenza inevitabile è stata quella del venirsi a creare un «paradosso che, senza il trattamento privilegiato, i creditori ufficiali sono riluttanti a intervenire; ma l‘aiuto dei creditori ufficiali, che beneficia del trattamento privilegiato, tende a scoraggiare i creditori privati».

 «il coinvolgimento dei creditori privati nella risoluzione delle crisi finanziarie». La ristrutturazione dei debiti è sì «in linea con il principio di equità. Maggiore è la perdita inflitta agli investitori privati in occasione di una ristrutturazione, minori sono gli aiuti che il settore pubblico – ossia i contribuenti degli altri paesi – deve fornire. Tuttavia, nel mezzo di una crisi finanziaria, questo tipo di proposta non può che destabilizzare i mercati internazionali». Perché ciò non avvenga, o per lo meno gli effetti siano limitati, la ristrutturazione dovrebbe essere effettuata «in parallelo con l‘erogazione degli aiuti da parte del Fondo salva Stati, indipendentemente dalla sostenibilità o meno del debito, e incoraggiare gli operatori privati a disinvestire da qualsiasi paese ai primi segnali di difficoltà». Questo il motivo principale per cui nelle conclusioni del

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Consiglio europeo del dicembre 2010 si può leggere come «la norma sul coinvolgimento del settore privato nelle crisi finanziarie venne diluita. Fu inserito un esplicito riferimento al fatto che il Fondo salva Stati avrebbe seguito le stesse procedure del Fmi, per cui il coinvolgimento del settore privato era previsto solo per i casi estremi di insolvenza e non in modo automatico».