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3 Il quartiere e la community participation

3.6 Definire la community participation

Prima di offrire una panoramica sui concetti emersi in sociologia legati al termine di community participation è necessario introdurre il concetto generico di “partecipazione”.

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Si tratta di una operazione tutt’altro che facile, dal momento che è molto difficile scorgere una posizione stabile, all’interno della sociologia e delle scienze politiche, rispetto ad un concetto che pare modificarsi in base alle tendenze del tempo. Può essere utile, per dare ragione di questo problema, riportare quanto Paolo Ceri ha definito alla voce “partecipazione sociale” per l’Enciclopedia Treccani:

“[…] alla considerevole estensione del concetto (di partecipazione) corrispondono una chiarezza e una rilevanza sistematica limitate. Un indicatore di tale squilibrio è da scorgersi nell'ampio scarto che sussiste tra la frequenza con cui la locuzione 'partecipazione sociale' ricorre nei lavori degli scienziati sociali - sociologi e politologi, in particolare - e la sua assenza pressoché completa nei dizionari e negli indici analitici della letteratura socioscientifica. Un fatto, questo, che indica a sua volta come lo squilibrio sia da imputare a una limitata differenziazione del concetto analitico dalle rappresentazioni di senso comune. Siffatta situazione espone il concetto, come pochi altri, alle oscillazioni che la rilevanza del problema corrispondente assume nelle diverse congiunture storiche. Accade così che analisi condotte intenzionalmente sul tema della partecipazione fioriscano quasi esclusivamente in periodi di sviluppo di istanze e ideologie partecipative, sebbene il problema della partecipazione si prospetti - sia pure in mutate forme - in modo permanente. E infatti il riferimento pubblico, in forma di appello o di denuncia da parte di governanti, politici e

opinion makers, al difetto o all'eccesso di partecipazione è diffuso e ricorrente. Esso rivela attese o

timori, a seconda della congiuntura e dell'orientamento autocratico o democratico dei governi, pubblici o privati. Concretamente, il riferimento va di volta in volta alla partecipazione politica, alla partecipazione sindacale, alla partecipazione religiosa, alla partecipazione culturale, ecc. Dal momento che la partecipazione sociale interessa virtualmente tutte le sfere della vita associata, nelle rappresentazioni di senso comune essa assume i tratti di un fenomeno pervasivo e proteiforme, che nella sostanza consiste […] nell'adoprarsi per qualcosa che trascende i propri diretti e immediati interessi. Già a questo livello si coglie come la nozione corrente di partecipazione sociale sia carica di connotazioni valutative, che variano a seconda degli orientamenti ideologici e degli interessi. Valuterà positivamente la partecipazione chi voglia limitare il potere dispotico, mentre sarà di opposto avviso chi sia interessato al suo uso monopolistico o privato. Parimenti vi sarà chi vede nella partecipazione una minaccia all'ordine, e chi la considera il mezzo atto a garantire il consenso indispensabile a una società pacificata. In campo scientifico a queste e altre valutazioni non può essere riconosciuta cittadinanza. Se opportunamente interpretate, tuttavia, esse gettano luce sulla natura del problema storico e strutturale sotteso al concetto di partecipazione sociale, nonché sul suo carattere multidimensionale”10

10 La voce è consultabile al link http://www.treccani.it/enciclopedia/partecipazione-sociale_(Enciclopedia-delle-scienze-sociali)/.

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Ci troviamo dunque di fronte, ancora una volta, ad un concetto assai complesso e articolato su cui è però necessario compiere uno sforzo di traduzione operativa. Ciò che emerge dalla letteratura è una doppia tendenza a trattare la partecipazione sociale come partecipazione politica, proposta dai sistemi democratici e destinata ad includere gli individui nei processi decisionali, oppure come partecipazione su base sociale, che ha natura informale e spontanea e nasce per la libera iniziativa di singoli cittadini. Nel primo caso, Milbrath & Goel (1965) definiscono la partecipazione politica in base al graduale coinvolgimento del cittadino: essere sollecitato dalle notizie di politica, andare a votare, avviare una discussione pubblica, convincere un’altra persona a votare in un determinato modo e indossare segni identificativi dell’appartenenza ad un gruppo politico. Gli anni Settanta, ad esempio, hanno rappresentato un periodo di massima espressione dell’attivismo politico collettivo. Le pratiche di questo tipo di partecipazione raggiungevano anche modalità violente e di forte impatto mediatico, di cui tutti siamo a conoscenza. L’incapacità statale di poter far fronte a tutte le esigenze della collettività ha condotto alla decentralizzazione di parte delle funzioni pubbliche, localizzando gli enti istituzionali su vari livelli territoriali. A partire dagli anni Novanta, è andata diffondendosi, tra la pubblica amministrazione, una cultura di inclusione dei cittadini nell’ambito degli interventi di pianificazione urbanistica tramite l’ascolto e il confronto sulle esigenze che provengono dal campo. L’obiettivo teorico è quello di ridurre le possibilità di conflitto e aumentare l’estensione dell’esercizio della democrazia. Questo ha fatto in modo che venissero introdotte forme di partecipazione dei cittadini, formale e informale, che con il governo locale per partecipare alle questioni specifiche legate al territorio; in questo senso si identifica un modello top-down, dove il ruolo del cittadino è piuttosto passivo, e un partnership model, in cui cittadini e autorità locale collaborano per raggiungere il migliore risultato (Narayana Reddy, 2002). Se da una parte questo ha significato un maggiore coinvolgimento della cittadinanza nel decision making, dall’altro lato l’esperienza insegna che chi presiede la governance locale tende a perseguire i propri obiettivi programmatici anziché mettersi veramente in ascolto del cittadino. Questo fenomeno diviene molto chiaro quando l’oggetto della contesa riguarda interventi sostanziali di modifica del territorio nella sua fisicità. Si evince dunque l’importanza della dimensione ambientale nel catalizzare processi partecipativi dal basso: il territorio, infatti, rappresenta il punto in cui convergono aspettative opportunità e tensioni di una pluralità di attori. Su questa tematica non si può pretendere di agire attraverso azioni politico-amministrative tradizionali data la complessità sociale che la tematica riflette (elementi simbolici, interessi, funzioni) (Bulsei, 2005). Il legame con i luoghi sembra dunque essere uno dei motivi che più di altri

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sanno attivare processi partecipativi dal basso, e scaturire partecipazione su base sociale. È a questo livello che la partecipazione dei cittadini assume una dimensione anche informale e del tutto indipendente dai canoni previsti dalla partecipazione politica formale. Questo tipo di partecipazione è stata decostruita da Ciaffi e Mela (2006), identificando quattro fondamentali azioni: comunicare, animare, consultare e potenziare la capacità di azione dei cittadini. La relazione tra spazio e partecipazione si esprime a livelli differenti. In primo luogo perché un processo partecipativo possa svilupparsi in modo efficace occorre che si dia una qualche forma di appartenenza degli attori ad un contesto comune; benché non si escluda che tale contesto possa essere a-spaziale, è comunque molto probabile che la condivisione di un territorio in qualità di abitanti o anche unicamente di fruitori dei suoi servizi rappresenti uno stimolo particolarmente forte al coinvolgimento di un ampio numero di soggetti sociali nelle decisioni di forte rilevanza collettiva. La comune appartenenza ad un contesto spaziale implica il riferimento ad un insieme di conoscenze implicite o esplicite del territorio, la parziale condivisione di mappe mentali che consentono di orientarsi su di esso; implica, insomma, il potenziale accesso ad un sapere locale che può rappresentare una fondamentale risorsa per l’azione e la decisione collettiva (Calafati, 2004; Mela, 2004).

La partecipazione sociale che nasce dal basso per ragioni legate all’ambiente di vita, costituisce il tipo di partecipazione cui intendiamo rivolgere la nostra attenzione. È infatti a partire da questo background che va delineandosi il concetto di community participation nell’ambito degli studi di comunità. Con questo termine, la letteratura è solita riferirsi ad una forma di partecipazione sociale che ha luogo specificamente nei quartieri; lo stesso concetto viene anche espresso mediante altri termini quali “civic participation” o “citizen participation” oppure “civic engagement”. Raccogliere una definizione stabile appare, come si è già detto, pressoché impossibile. Sanchez (2000) ha definito la community participation come un processo che prende luogo a diversi livelli nell’attività della comunità quando questa cerca di raggiungere degli obiettivi importanti per i suoi membri; Abrams (Abrams, 1970) la definisce come “la teoria per cui una comunità dovrebbe possedere un ruolo attivo nei programmi di miglioramento che la coinvolgono direttamente”; Hamdi (1995) invece definisce la community participation come un’idea che si riferisce a quei processi per cui professionisti, famiglie, gruppi sociali, membri del governo locale e altri attori lavorano assieme per un obiettivo comune, preferibilmente in una partnership formale e informale. Se da una parte queste poche definizioni inquadrano un concetto generale di community participation, che possiamo ascrivere ad una attività svolta da un gruppo di individui in un territorio circoscritto (quartiere) per raggiungere

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determinati obiettivi di interesse collettivo, non possiamo riconoscerne l’utilità ai fini di una definizione che vada a cogliere operativamente la tipologia di partecipazione cui questa ricerca intende guardare. Per i nostri scopi, infatti, è più indicato riferirsi al contributo di Ehrlic (1997), dove viene data maggior enfasi al coinvolgimento attivo dell’individuo (engagement): la partecipazione è qui intesa come ciò che un individuo “può fare” e “dovrebbe fare” per migliorare il proprio ambiente di vita. Questo inquadramento consente di tradurre operativamente il concetto di partecipazione alla vita di quartiere focalizzandosi sulla doppia dimensione di “civic attitude” e “civic behavior” (Doolittle & Faul, 2013); la prima dimensione definisce i sentimenti e le idee sulla partecipazione, mentre la seconda racchiude la dimensione attiva, ossia ciò che il cittadino realmente pone in essere per la comunità. In questo modo, la nostra ricerca presenterà due variabili dipendenti, in quanto gli indici che verranno costruiti (attitudine e comportamento partecipativo) verranno trattati separatamente, indagando gli effetti del milieu spaziale di Bovisa e Isola su ogni singola dimensione partecipativa.

3.7 La traduzione empirica e i predittori della community