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1 Lo spazio in sociologia: rassegna dei principali contributi

1.9 La dimensione nascosta dei luoghi: il genius loci

Non può mancare un richiamo ad un tema che a partire dagli anni ’80 ha interessato il dibattito in architettura, offrendo un interessante spunto per la teoria spaziale nella sociologia urbana. Ci riferiamo al concetto di genius loci, un termine latino che nella tradizione culturale augustea indicava la connessione tra un luogo ed una divinità; secondo Servio, infatti, “nullus locus sine Genio” (Commentarii in Vergilii Aeneidos libros, 5, 95). A partire da queste premesse, è andato a diffondersi un approccio fenomenologico allo spazio, concentrandosi in particolare sulla dimensione fisico-architettonica quale canale di veicolazione di aspetti quali l’identità locale, gli stili di vita, ecc. Il luogo, con le dimensioni materiali e immateriali che lo compongono, viene studiato in chiave

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fenomenica, un approccio che si colloca in modo differente rispetto a quanto visto finora. L’opera di riferimento, che ha reinterpretato in chiave moderna il concetto di genius loci, è costituita dal lavoro di Christian Norberg-Schulz (1979), architetto molto attento alla dimensione dell’abitare i luoghi. Secondo l’autore l’architettura interagisce con gli esseri umani favorendo/sfavorendo determinati comportamenti; l’architettura e la dimensione fisica di un luogo trascendono dunque gli obiettivi funzionalisti ritenuti tipici dell’architettura e degli ambienti costruiti. Norberg-Schulz si interessa delle implicazioni psichiche dell’abitare i luoghi, trascurando la dimensione delle pratiche sociali. Conia il termine di “existential place”, ossia la relazione fondamentale tra la vita degli individui e il proprio ambiente di vita. L’architettura, nella sua ipotesi, è la reificazione di questo concetto che assume dunque forma fisica. Egli fonda le sue idee sulle premesse filosofiche di Heidegger (1971), tuttavia vuole andare oltre l’approccio filosofico, rivalutando il paradigma fenomenico nello studio tra spazio e individui. Norberg-Schulz non solo critica l’approccio scientifico al problema, ritenuto troppo superficiali per la giusta comprensione del fenomeno, ma critica anche la tendenza a ritenere che le condizioni socioeconomiche degli individui influenzano la qualità del vivere e dell’abitare. Secondo l’architetto, l’existential place non viene toccato dalle variabili sociali, in quanto questo è determinato da elementi più profondi, dal nostro “essere partecipi nel mondo” (dwellers). L’ambiente che viviamo e con cui interagiamo è il nostro luogo, e le caratteristiche di quell’ambiente sono dunque i caratteri del luogo. Nella sua concettualizzazione di luogo, Norberg-Schulz ritiene che esso non possa essere suddiviso nelle sue proprietà, ma debba sempre essere considerato come un elemento “totale”. Questo apre alla possibilità che ciascun luogo sia una entità specifica e particolare, non confrontabile con un’altra, casa, quartiere, o qualsiasi angolo di spazio esso sia. Pertanto l’approccio proposto da Norberg-Schulz per studiare questi oggetti deve essere di tipo fenomenologico. Egli auspica un ritorno allo studio delle “cose quotidiane” per comprendere il nostro abitare i luoghi della nostra normale esistenza; in definitiva ambisce ad un approccio all’architettura meno scientifico e più fenomenologico. La traduzione pratica di questo metodo, per Norberg-Schulz , è la tecnica dello story telling, il racconto, la narrazione dei luoghi attraverso la poesia, ecc. In questo si evince come l’architetto vada ad abbracciare perfettamente l’approccio postmodernista alle conoscenza. Come dicevamo in precedenza, Norberg-Schulz organizza lo spazio in “landscape” e “settlement”, analizzandolo nelle categorie di “space” (dimensione materiale) e “character” (dimensione immateriale simbolica). Norberg-Schulz specifica che il concetto di spazio (space) in architettura assume un significato molto pragmatico, legato alle azioni che concretamente l’uomo pone in essere nell’ambiente; a

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tal proposito cita il lavoro di Lynch (1960) con i suoi landmark territoriali (nodi, angoli, distretti, ecc.) che consentono alle persone di orientarsi nello spazio, rendendolo a lui famigliare e quindi luogo. Il carattere del luogo invece (character) è qualcosa di più dello spazio, è legato all’atmosfera percepita nel contesto, ma è anche ogni presenza inserita nello spazio che possiede un carattere particolare ed è in grado di suscitare una emozione o una percezione particolare e unica per quel luogo (ad esempio, certi edifici storici, chiese, luoghi dal significato storico particolare, ecc.). Questo carattere secondo Norberg-Schulz è determinato sia dalla fattura estetica dell’edificio, ma anche dalle ragioni e dalle condizioni che ne hanno guidato la creazione. Entra in gioco, dunque, la componente artistica e architettonica particolare, il modo con cui la struttura viene realizzata, decorata, abbellita. Il carico di oggetti materiali che su di essa vengono stratificati e composti, costituisce per Norberg-Schulz l’insieme di ingredienti che conferiscono un’anima, per così dire, all’elemento spaziale, una sua unicità e particolarità. Man mano che si scende nel dettaglio spaziale, si definisce sempre più la qualità e la sostanza contenuta nell’elemento stesso. Da questa qualità particolare assunta dai luoghi troviamo una diretta connessione con l’antica intuizione latina del genius loci, motivo per cui esiste il turismo di massa in determinati luoghi della Terra. Lo “spirito del luogo” è l’essenza che guida e motiva gruppi di individui anche grandi a desiderare di visitare e rimanere per un certo tempo in un luogo. In conclusione, l’idea di genius loci offerta da Norberg-Schulz è qualcosa che appartiene naturalmente ai luoghi e li costituisce fino al cuore della propria essenza. Si tratta di una dimensione del tutto immateriale e naturale, stratificata nel tempo, con cui residenti e visitatori si ritrovano ad averne a che fare, influenzando nei primi gli usi e i costumi, e nei secondi un forte potere attrattivo. In questo approccio al problema si può definire il genius loci come un elemento innato e in grado di guidare il comportamento sociale nel luogo.

Il lavoro di Norberg-Schulz , tuttavia, è stato criticato di essere troppo legato ad una idea di spazio strutturalista. Alcuni autori hanno preferito criticare questo approccio preferendo un modello interpretativo del genius loci di tipo post-strutturalista. Ci riferiamo qui al contributo di Jianhui (2006), il quale oppone al pensiero di Norberg-Schulz la dimensione del potere come fattore in grado di modificare la percezione dei luoghi. Criticando intensamente l’approccio fenomenico di Norberg-Schulz , Jianhui oppone una visione post-strutturalista in cui le componenti “non dette” e non esplicitate fisicamente dei luoghi siano maggiormente valorizzate nella relazione tra individui e spazio. Si sostiene che uno spazio non può essere considerato nella sua sola natura oggettiva e per ciò che è (ibidem, 49), come l’interpretazione fenomenica vuole, secondo cui “la conoscenza dello spazio è

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semplicemente un fatto esperienziale” (Lukermann, 1964). Lo stesso Harvey (1993)ragionando sul senso dello spazio e dei luoghi, ha ritenuto che un approccio fenomenico allo spazio dovesse necessariamente prevedere un approccio empirico allo stesso; l’esperienza tra persone e spazi si concretizza nell’esperienza materiale con esso. La critica a Norberg-Schulz e al suo approccio fenomenico-empirista allo spazio si muove partendo dal fatto che egli considera lo spazio in modo “essenzialista e internalista” (D. Massey & Jess, 1995). In questo senso, un luogo non è solo il risultato di un processo spontaneo e naturale, slegato dall’azione dell’uomo, ma il prodotto delle pratiche sociali degli individui. Lo spazio e i luoghi intesi all’interno di questa prospettiva sono dunque da interpretare come costruzioni sociali. Di conseguenza, lo stesso genius loci così come teorizzato da Norberg-Schulz perde la sua autonomia per divenire il prodotto di una serie di processi sociali intrecciati l’un l’altro. Di fatto, escludendo dall’orizzonte teorico la dimensione empirica dello spazio fenomenico, capace di veicolare mediante l’architettura la percezione dello “spirito” del luogo, il genius loci viene totalmente denaturato da una visione di questo tipo. Questo dibattito, in conclusione, vede opporsi un approccio più di stampo strutturalista verso uno di carattere più post-strutturalista. In ogni caso, questa modalità alternativa di concepire la natura dello spazio e dei luoghi, che per completezza abbiamo voluto offrire, costituisce certamente un ambito assai affascinante e una sfida grande verso le scienze sociali. Ragionando in termini di ricerca sociale, tuttavia, le teorie emerse da Norberg-Schulz e da chi invece oppone un paradigma differente, aprono una serie di scenari possibili e interessanti, ma che sono accompagnati da notevoli problemi di carattere sia epistemologico che empirico: come possiamo testare nella realtà queste affermazioni? È possibile studiare questa componente evanescente dei luoghi? Come tradurre operativamente il concetto di genius loci affinché possa essere problematizzato e studiato empiricamente in un’analisi di tipo sociologico?