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CAPITOLO 3 La cultura organizzativa

3.1 Definizione di cultura organizzativa

In letteratura ci sono molteplici definizioni del concetto di “cultura organizzativa”: a volte però le enunciazioni sono poco chiare e non c’è accordo tra quanto proposto dai vari autori (Brown e Payne, 1990; Alvesson, 2002; Carr e Beaver, 2002; Hofstede, 2001; Huczynski e Buchanan, 2001).

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Tabella 3 - Definizioni di cultura organizzativa - Adattato da Marzo 2011, pg. 14

Si può notare però che quante più variabili vengono prese in considerazione, tanto più appare soddisfacente e completa la definizione proposta.

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 I comportamenti regolarmente osservati nel rapporto tra gli individui, come ad esempio il linguaggio e i riti connessi al rispetto e alla condotta (Goffman, 2002, Van Maanen, 1979b);

 Le norme che migliorano i gruppi di lavoro (Homans, 1950);

 I valori dominanti accettati dall’organizzazione (Peters e Waterman, 1982, Deal e Kennedy, 1982; Tepeci e Bartlett, 2002; Wallace et al. 1999; Buenger et al. 1996; Norburn et al., 1990; O’Reilly, 1989; Davis, 1984; Tichy, 1982);

 La filosofia che guida le azioni di una organizzazione nei confronti dei propri dipendenti e / o clienti (Ouchi, 1981; Pascale e Athos, 1981);

 Le regole del gioco che tutte le persone appena arrivate devono conoscere e apprendere per essere accettate come membri dell’organizzazione (Schein, 1985; Van Maanen, 1976);

 L’ambiente o clima dell'organizzazione, che deriva sia dalla distribuzione fisica dei suoi membri sia dalle relazioni con i clienti o con terzi (Tagiuri y Litwin, 1968);  Le credenze di base, ovvero le forme di pensiero condivise dai membri

dell’organizzazione (Schein, 1989; Thévenet, 1986; Kotter e Heskett, 1992; Denison, 1992);

 I simboli, le metafore e i significati condivisi, i miti, le leggende, gli eroi e i tabù (Robbins, 1998; Ouchi, 1981; Trice e Beyer, 1984; Deal e Kennedy, 1982; Sapienza, 1985; Connolly, 1981).

I vari aspetti che definiscono la cultura organizzativa devono essere considerati complementari, quindi è opportuno definire questo concetto fornendo una visione globale e sintetica dello stesso, con l'aiuto delle quattro variabili fondamentali: l'ambiente; gli elementi interni; la forma storica della costituzione e le funzioni svolte.

Un autore di riferimento per delineare i confini della cultura organizzativa è Schein (1990), il cui contributo conferisce un carattere integrativo, sistemico e operativo alla realtà culturale. Schein (1990) descrive la cultura come un insieme di forze, evidenti o

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latenti, che hanno una diretta influenza nel comportamento individuale e collettivo, nella percezione dell’esistente, negli schemi di pensiero e nei valori. Da questo si evince il ruolo centrale della cultura organizzativa, perché gli elementi culturali hanno un diretto impatto nella determinazione delle strategie, degli obiettivi e dei modi di agire. Ne consegue che studiare lo schema di pensiero e i valori della leardership di un’organizzazione rappresenta la premessa fondamentale per muovere verso il raggiungimento di nuovi obiettivi strategici di efficacia ed efficienza. Questo, seppur descritto in maniera semplicistica, rappresenta un assunto iniziale per definire la cultura organizzativa.

Schein (1985; 1990) nei suoi lavori fondamentali afferma che per capire l’organizzazione è necessario analizzarne la cultura, elemento essenziale per studiarne la struttura, le scelte strategiche, le assunzioni del personale e il comportamento dei singoli individui. Esiste una diretta connessione tra cultura organizzativa e direzione aziendale: per capire la prima è necessario analizzare la seconda. Secondo Schein (1990) “l’unico compito realmente importante” dei quadri aziendali è quello di creare la cultura e possedere le giuste competenze per dirigerla.

Schein definisce la cultura come (Schein, 1990: 35):

“[…] un insieme di assunti di base – inventati, scoperti o sviluppati da un gruppo determinato quando impara ad affrontare i propri problemi di adattamento con il mondo esterno e di integrazione al suo interno – che si è rivelato così funzionale da essere considerato valido e, quindi, da essere indicato a quanti entrano nell’organizzazione come il modo corretto di percepire, pensare e sentire in relazione a quei problemi”.

Schein non esplicita una definizione formale di cultura organizzativa che includa schemi di “comportamento aperto”, egli ritiene che il comportamento aperto sia sempre determinato sia dalla predisposizione culturale (gli assunti, le percezioni, i pensieri e le sensazioni che seguono gli schemi), sia dalle situazioni contingenti derivanti dall’ambiente circostante (Schein, 1990: 35). Osservare le norme comportamentali non permette di capire se si abbia

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o meno a che fare con gli artefatti, ovvero il livello più esplicito della cultura. Sempre secondo l’autore è necessario scoprire i livelli più profondi e reconditi della cultura per capire cosa sia o non sia un artefatto che riflette la cultura.

Falcón e Cabrera (1994) definiscono la cultura di una organizzazione come un insieme di elementi intangibili (presunzioni, postulati basici, valori, credenze, supposizioni, aspettative…) condivisi dai suoi membri che:

a. costituiscono tradizioni che si trasmettono di generazione in generazione e incoscientemente da alcuni membri ad altri;

b. rappresentano un fattore vincolante e una forza invisibile della natura che permettono di garantire la sua unità interna;

c. forniscono un orientamento, una leadership, una sorta di potere sociale che determina il successo o il fallimento;

d. consentono di interpretare gli eventi, prendere decisioni e realizzare determinate azioni che si concretizzano in una forma ben specifica;

e. determinano le norme che regolano il comportamento interno, differenti metodi di fare la cose sia a livello individuale che di gruppo;

f. condizionano l’adattamento che è necessario ai contesti mutati dell’ambiente competitivo nel quale opera;

g. definiscono un certo stile, un carattere, una forma di essere che distinguono la sua identità o personalità dell’organizzazione come collettiva, di fronte alle altre organizzazioni.

Infine, la definizione che Alabart e Portuondo (2001) offrono nel contesto appena descritto, risponde anche ad un approccio sistemico che integra le variabili socio – politico – culturali, denominate soft, con le variabili di gestione tecnico – economiche, denominate hard. Alabart e Portuondo (2001) sottolineano le interazioni che esistono tra i membri dell’organizzazione, e quelle che questi hanno con tutte le variabili che intervengono a livello organizzativo. In questo modo la cultura organizzativa viene concepita come un “insieme di paradigmi, che si formano durante la vita dell'organizzazione e hanno come risultato le interazioni tra i suoi

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membri, di questi con le strutture, con le strategie, con i sistemi, con i processi e dell’organizzazione con l'ambiente, a partire dalle quali si costituisce un insieme di riferimenti, che sono validi nella misura in cui garantiscono l'efficienza, l'efficacia e l’effettività dell’organizzazione"(Alabart e Portuondo, 2001). La Figura 2 mostra le relazioni incluse nella definizione di cui sopra.

Figura 2 – Relazioni Cultura organizzativa, Interazioni Sociali e BPM. Elaborazione a partire da vom Brocke and Sinnl (2011)

Da questa introduzione alle definizioni della cultura organizzativa si evince che numerose sono le discipline scientifiche coinvolte (Antropologia, Psicologia, Economia, Sociologia, …), a volte in maniera controversa. Senza dubbio, si arriva ad un ampio consenso nel considerare la cultura organizzativa come uno strumento per capire la vita dell’organizzazione in tutta la sua ricchezza e nelle sue diversificazioni (Hofstede, 2001), e come un mezzo utile a spiegare quel che succede nell’impresa (Besseyre Des Horts 1989: 87); posto che la cultura sta all’organizzazione come la personalità sta all’individuo (Noordin et al., 2002).

Pur essendo una realtà complessa, è importante avere un approccio olistico verso la cultura organizzativa, in quanto il suo funzionamento dipende dall’integrazione di tutti suoi componenti in un insieme funzionale, che interagisce con tutte le variabili organizzative, a

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tutti i livelli, all'interno e all'esterno dei confini che compongono l'organizzazione. Questo bisogno di vedere la cultura come "un fenomeno integrativo olistico" (Gertsen, 1987:21) connette con le necessità di integrazione, in un senso ampio, che la domanda di integrazione e il multiculturalismo impongono al mondo attualmente.