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Definizione e inquadramento del fenomeno Cross Listing

2.3 CESSAZIONE DEL CROSS-LISTING

2.3.1 Definizione e inquadramento del fenomeno Cross Listing

Il cross listing è l’operazione finanziaria in cui una società, già quotata sul mercato domestico, primary listing, decide di quotarsi anche su una seconda piazza finanziaria, secondary listing. In questa situazione ci troveremo di fronte alle stesse azioni, ma quotate in due diversi mercati. Soprattutto gli anni Novanta sono stati caratterizzati da grandi ondate di cross listing, con l’obiettivo delle

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società di espandere la propria presenza nei mercati internazionali e dare uno slancio importante al proprio processo di crescita. Con l’avvento del XXI secolo, svariate motivazioni, fra cui il progressivo deterioramento del trade off tra costi e benefici della quotazione e la crisi che ha coinvolto i principali listini internazionali, hanno portato un numero sempre crescente di queste società all’abbandono delle contrattazioni nei mercati regolamentati stranieri, sia volontariamente, sia come conseguenza della decisione dello Stock Exchange. Proprio per la notevole espansione che il cross listing ha evidenziato, è doveroso identificare i benefici potenzialmente perseguibili, la cui mancata realizzazione, parziale o totale, può costituire i presupposti per la cancellazione di quotazioni secondarie. Attraverso i contributi presenti in dottrina cercheremo di valutare gli effetti provocati da un tale evento sul prezzo, la liquidità e il rischio caratterizzante il titolo nel mercato domestico.

E’ doveroso, prima di tutto, fare una distinzione fra cross listing e dual listing: il primo dei due fenomeni sottintende la contemporanea presenza dello stesso titolo su due diversi mercati, il secondo, invece vede la presenza di due differenti compagnie presenti in due diversi mercati che, contrattualmente, si accordano per operare sui rispettivi business come se fossero una singola impresa, mentre però mantengono due distinte e separate entità legali. L’operazione di dual listing di conseguenza porta le due società ad unificare le loro attività, ad avere un uguale cashflow e a distribuire uguali dividendi. Questo fa sì che, teoricamente, sui due distinti mercati, i titoli delle due società in questione dovrebbero essere due perfetti sostituti. Però, va sottolineato che, proprio per la loro distinta natura giuridica, le rispettive azioni non possono essere trasformate l’una con l’altra. Mentre invece, nel cross listing, si è in presenza della stessa azione, quotata e venduta in due diversi mercati. Nel dual listing quindi, avendo le azioni delle due compagnie lo stesso cashflow, in un mercato finanziario efficiente, i valori azionari delle due compagnie, teoricamente, dovrebbero muoversi in concomitanza. Ma nella realtà i prezzi dei due titoli possono presentare oscillazioni sino al 40% del loro valore, questo avviene per motivi attinenti al rischio di cambio, alle strutture governative, al rischio paese, alla liquidità, ai sistemi di tassazione. Al momento il dual listing non è una pratica molto utilizzata in quanto porta con sé numerosi svantaggi: complessità delle operazioni, oneri di trasparenza e contabilità da ottemperare in entrambe le quotazioni con regolamenti spesso diversi e diffidenza da parte degli investitori per questo tipo di operazioni (Serra, 1999).

Tornando adesso al fenomeno cross listing, You (2008) , in uno dei più significativi contributi dottrinali in grado di realizzare un’analisi trasversale dei fenomeni di foreign listing e foreign delisting in una dimensione internazionale, dal 1964 al 2008, sottolinea il fatto che una società che decide di accedere ad un

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listino estero, presenta una precedente esperienza di quotazione nel proprio Paese di provenienza e quindi considera il cross listing come un importante step per espletare il suo graduale processo di crescita. Evidenzia, inoltre, come questo fenomeno abbia conosciuto una significativa espansione a partire dalla fine degli anni Ottanta, contribuendo alla progressiva integrazione dei mercati regolamentati mondiali. Dal suo studio, emerge che ben il 76% dei 45.783 cross listing che hanno interessato i vari listini mondiali dal 1964 al 2008, si sia manifestato dopo il 1990, ovvero a partire dagli anni in cui sempre più imprese cominciarono ad assumere consapevolezza degli importanti vantaggi realizzabili con il going public, quindi a maggior ragione con il cross listing.

Uno dei principali mercati target delle strategie di quotazione secondaria implementate dalle imprese, è quello statunitense, a causa soprattutto dell’elevato livello di efficienza e competitività che lo caratterizza. Esso dimostra un elevato grado di attrattività sia per le imprese domestiche sia per quelle straniere che cercano di completare il loro processo di espansione. A sostegno di quanto asserito, nell’intervallo di tempo che va dal 1962 al 2006, nei principali mercati azionari statunitensi ci sono stati 1344 foreign listings e 724 foreign delistings, cioè ammissioni e revoche realizzate da imprese straniere (Chaplinsky e Ramchand, 2012). Il NASDAQ è il mercato borsistico dove si sono registrati il maggior numero di foreign listing, questo dato pare essere giustificato dal fatto che da sempre questo listino presenta standard di quotazione relativamente meno stringenti rispetto agli altri due mercati, soprattutto in tema di size e market capitalization, spesso punti di debolezza per le imprese provenienti dall’Europa. Il NASDAQ, a fronte di un maggior numero di quotazioni di imprese straniere, presenta anche un numero superiore di revoche.

Il fatto che gli USA siano il principale mercato in cui le imprese straniere approdano è confermato anche dalle ricerche di Karolyi (2006) e Pfister e Von Wyss (2010), i quali rimarcano che anche le imprese statunitensi sono quelle che più spesso tendono ad attuare una strategia di cross listing e come gran parte di esse scelgano come target market quello tedesco che, in Europa, accoglie il più elevato numero di società straniere. Daugherty e Georgieva (2011), sottolineano che tale evidenza può essere spiegata proprio dall’introduzione della SOX, che ha reso molto più restrittivi gli standard di quotazione e gli obblighi informativi nei principali listini d’oltreoceano ed ha impedito a molte società estere, soprattutto del Vecchio Continente, di entrare in questi mercati azionari, costringendole a ripiegare sullo Stock Exchange tedesco, che rappresenta il mercato regolamentato più sviluppato in Europa. You (2008) confronta le dinamiche assunte dai foreign listings con quelle dei domestic listings, ovvero delle IPOs effettuate dalle società nei relativi mercati nazionali. Di 152.613 listings realizzatesi nei vari mercati regolamentati mondiali, tra il 1964 e il 2008,

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circa il 70% ha riguardato ammissioni di società al proprio mercato domestico, i restanti sono stati foreign listings. I mercati che hanno registrato un più alto numero di imprese domestiche quotate sono: quello statunitense e quello canadese, in percentuale il 40% dei domestic listings totali. Un altro aspetto che è stato studiato è il tempo di permanenza sui listini, che risulta nettamente superiore per i domestic listings, che registrano una durata media di 9 anni rispetto ai 5 anni per le quotazioni di imprese straniere.

Questi dati possono essere spiegati dal fatto che la realizzazione di benefici teorici associati al going public, in un mercato estero, risulta molto più complicata rispetto alla quotazione in un mercato domestico; questo è conseguenza del fatto che i mercati di destinazione del cross listing, sono altamente competitivi e selettivi, lontani sia geograficamente che culturalmente dal mercato di provenienza dell’impresa. Emerge quindi una palese difficoltà ad attirare analisti ed investitori che manifestano un senso di “disagio” nel possedere titoli esteri; inoltre, da non sottovalutare è il fatto che le imprese che realizzano un cross listing sono già quotate nel proprio mercato domestico e teoricamente dovrebbero aver già goduto dei benefici dello status di impresa quotata, ciò rende così difficile una loro ulteriore realizzazione (Daugherty e Georgieva, 2011). Per quanto riguarda le caratteristiche delle imprese che tendono ad adottare una strategia di cross listing, emerge una rilevante eterogeneità tra di esse, che rende impossibile tracciare un profilo ideale tipico di un’impresa che effettua questa operazione. Lo studio di Chaplinksy e Ramchand (2012), che indaga sui connotati delle imprese straniere quotatesi in uno dei principali mercati statunitensi dal 1962 al 2006 evidenzia una differenza sostanziale tra le imprese provenienti dal Vecchio Continente e quelle, invece, originarie dei Paesi emergenti del Sud Est asiatico, che rappresentano i due principali luoghi di provenienza dei foreign listing diretti nei mercati statunitensi. Le imprese Europee, presentano una struttura economico- finanziaria consolidata, con precedenti esperienze di quotazione. Le società asiatiche, spesso sono molto giovani, in fase di start up e mirano ad espandersi e crescere in un mercato competitivo come quello degli USA. Chaplinsky e Ramchand (2012) hanno anche sottolineato che c’è una notevole differenza nella size delle imprese straniere quotatesi nel mercato USA dopo il 2000 rispetto a quelle quotatesi precedentemente, inoltre, hanno livelli di redditività più bassi, ma possibilità di crescita maggiori. Quindi queste società, avendo grandi difficoltà nel finanziare la crescita con il reddito generato internamente, manifestano la necessità di reperire capitali sui mercati regolamentati, questo le spinge a realizzare operazioni di cross listing, visto che il proprio mercato domestico non sembra essere sufficiente alla concretizzazione dei piani di espansione e sviluppo che vorrebbero perseguire.

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