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Definizione tecnica dei singoli aspetti inerenti le dinamiche del fine vita Osservazioni preliminari su eventuali riflessi della problematica sul sistema

Nel documento Fine vita e diritto penale (pagine 64-68)

Capitolo II: LE NORME DEL SISTEMA PENALE NEI TRATTAMENTI DI FINE VITA NEL RAPPORTO DI TESIONE TRA AUTORITA’

2.1. Definizione tecnica dei singoli aspetti inerenti le dinamiche del fine vita Osservazioni preliminari su eventuali riflessi della problematica sul sistema

penale.

Posto il generale principio di consensualità che deve governare il rapporto tra medico e paziente, resta da definire cosa si intenda per momenti di fine vita.

Come si cercherà di evidenziare, il progresso della scienza e della tecnica medica ha fatto mutare i termini della storica e consueta relazione tra l'individuo e la morte185: attualmente, l'aspettativa di vita si è allungata a dismisura e, frequentemente, l'epilogo dell'esperienza terrena è preceduto da un periodo di ospedalizzazione186.

Dunque, il fenomeno sembra oggi meritare un’attenzione particolare, poiché riguarda l’interezza della società e non, come si potrebbe ritenere, casi isolati. La scienza medica è, ad oggi, in grado di tenere in vita soggetti per i quali la morte, fino a soli dieci anni fa, era esito inevitabile. Queste straordinarie conquiste del sapere scientifico comportano, come altra faccia della stessa medaglia, la possibilità di tenere

185

L’argomento è stato ampiamente trattato da F. G. PIZZETTI, Diritto di morire?

Considerazioni cit., p. 21: «Appare, infatti, profonda la differenza che passa tra un apparato

tecnologico, quale quello del passato, prevalentemente costituito da macchine “utensili”, progettate, costruite ed impiegate al fine di ampliare le potenzialità “fattuali” dell’essere umano, da uno scenario, quale quello di oggi, in cui sono disponibili sofisticatissimi macchinari – che si potrebbero definire “simbionti” – in grado di rianimare e sostenere in vita corpi altrimenti “naturalmente” ormai prossimi al passaggio alla morte, per un tempo anche assai lungo.»

186

Sulla scienza e sulla tecnica medica come cause delle crescenti questioni bioetiche, v. M. L. VERDUCCI, Scelte di fine vita, cit., p. 31.

biologicamente in vita soggetti, la cui esperienza relazionale e sensoriale è ormai definitivamente compromessa187.

Inoltre, sono aumentati esponenzialmente i casi di decesso preceduti da ricovero in strutture sanitarie, visto l’allungarsi della vita media, ed il conseguente moltiplicarsi di malattie che possono essere inguaribili e dar luogo a lunghe e pietose agonie ospedaliere. La morte, quindi, ha perso il suo carattere istantaneo, per divenire un processo diluito sul piano temporale, tanto che si può affermare, senza timore di smentite, che, in questi casi, il problema di fondo non è più tanto “quando” morire, quanto il “come” morire188.

Come è stato osservato, «La medicalizzazione della società ha posto fine all’epoca della morte naturale. L’uomo occidentale ha perso il diritto di presiedere all’atto di morire. La salute, cioè il potere di reagire autonomamente, è stata espropriata fino all’ultimo respiro. La morte tecnica ha prevalso sul morire. La morte meccanica ha vinto e distrutto tutte le altre morti189.»

Di questi cambiamenti il diritto non può non prendere atto. Si rendono, ormai, necessari strumenti nuovi per problematiche emerse negli ultimi anni, e ciò anche in ragione del fenomeno crescente delle soluzioni tacite e sommerse, espressioni della fuga del diritto, che, potenzialmente, crea molte incertezze sia in capo ai professionisti delle scienze mediche e paramediche, sia in capo ai familiari dei soggetti che richiedono tale, indolore, conclusione della vita190.

Una qualche modifica dei confini della tutela del bene vita sembra pertanto necessaria ad evitare che, all’aumento di poteri (scientifico-medici) rispetto alla vita, corrisponda, paradossalmente, una perdita di facoltà dell'interessato rispetto alla

187

Sul tema si veda: S. H. KADISH, Consenso a morire e pazienti incapaci, in Vivere: diritto

o dovere, cit., p. 189 e ss. Il dato più significativo pare essere l’altissima percentuale dei

decessi in ospedale, l’80% dei decessi totali negli Stati Uniti.

188

Lo spunto è di M. B. MAGRO, in Diritto penale e eutanasia, Torino, 2001, p. 28.

189

Così I. ILLICH, Nemesi medica. L’espropriazione della salute, Milano, 2004, p. 222-223, sul tema anche G. ORRÙ che parla di «tecnocrazia medica, per indicare quanto la tecnologia abbia fagocitato settori tradizionalmente affidati a religiosi o a medici di famiglia che si limitavano ad assistere i morenti.», La tutela della dignità umana del morente, in Vivere:

diritto o dovere?, cit., p. 96.

190

morte191. Nell’andare incontro a tale necessità il diritto (e non solo il diritto penale) non deve perdere l’occasione per porre al centro dell’attenzione l’individuo che si avvicina alla morte, tenendo conto della conformazione plurale della società contemporanea: specie per i soggetti in stato vegetativo permanente, i quali, come noto, non vivono alcuna dimensione psichica e relazionale dell’esistenza, il valore socialmente attribuito al bene vita si abbassa considerevolmente, tanto da divenire bilanciabile con gli altri diritti costituzionali dell’individuo192.

In definitiva, nell'ottica del presente lavoro, i momenti di fine vita sono da ravvisarsi nelle situazioni di quei soggetti che, per le più varie ragioni cliniche, non possono avere speranze di recupero e si trovino, dunque, nell'impossibilità di intraprendere percorsi terapeutici finalizzati alla guarigione193; ancor più specificamente, nelle varie ipotesi concrete caratterizzate da diagnosi irrimediabilmente negative, nel silenzio della legge, il “fine vita” di cui si tratterà di seguito, riguarda i soggetti (coscienti o incoscienti)194 dipendenti da presidi salvavita: la situazione giuridica di costoro sembra destinataria di valutazioni, già oggi, permissive, a differenza di coloro che invocano la morte, attraverso mezzi casualmente

191

A. ESER Possibilità e limiti dell’eutanasia dal punto di vista giuridico, in Vivere: diritto

o dovere?, cit., p. 71 e ss.

192

Si vedano, sul punto le considerazioni sullo SVP della giurisprudenza di merito: C. App. Milano, I sez. civile, decreto del 9 luglio 2008 e Cass. Civ, sez. I, 16 ottobre 2008, 21, in P. BECCHI, La giustizia, cit., p. 253 e ss.

193

S. AMATO, Eutanasie, cit., p.105, parla di condizione di dipendenza dalle macchine, individuando correttamente un'estrema gamma di situazioni soggettive differenti, che si raggruppano nel fine vita: si tratta dei soggetti che si avvicinano alla morte emotivamente, più che cronologicamente, in quanto è la prognosi infausta a segnare la malattia come terminale e non il tempo che rimane da vivere. Sarà, in questi casi, la tecnologia a stabilire il perdurare della condizione.

194

In questo senso, F. VIOLA, La disponibilità della vita umana, in Diritto di morire,

decisioni senza legge, leggi sulla decisione. Profili giuridici del caso Englaro, a cura di S.

BOCCAGNA, Roma, 2014, p. 13. L’A. identifica il momento di fine vita con il “caso estremo”. «Possiamo immaginare che il caso estremo si presenterà secondo due possibili modalità. Nella prima di esse il soggetto morente conserva un’accettabile lucidità di giudizio e un grado sufficiente di coscienza. Nella seconda, invece, non è più in grado di decidere da sé e la sua vita è nelle mani di altri soggetti, quali i parenti, gli amici e i medici.»

efficienti a determinare, ex se, l’esito195. La distinzione, pertanto, vuole rientrante nel fine vita chi chiede di essere lasciato morire e non coloro che chiedono di essere, attivamente, uccisi196. Fuori dallo spettro della definizione tecnica di fine vita si pone, quindi, anche la cd. terapia del dolore, a partire dal principio del ventunesimo secolo permessa e disciplinata dalla legge per i casi terminali di malattie oncologiche197.

Il diritto penale e, vista la sua funzione sussidiaria, l'ordinamento giuridico deve tenere in considerazione l'accezione che della morte fornisce la legge198, al fine di porre un oggettivo limite negativo al dovere di tutela della vita: esso ha valore oggettivo ma non immutabile, essendo invece destinato a mutare a seconda dei progressi scientifici, che potrebbero dar corpo a differenti concezioni di morte, alcune delle quali scientifiche già introdotte, pur se non recepite normativamente: si pensi, ad esempio, alle situazioni di cd. morte corticale199 e, in generale di stato vegetativo permanente, nelle quali mancano stimoli encefalici ed è assente la vita relazionale, meritano di essere affrontate con strumenti giuridici adeguati200. Sarebbe

195

Si veda, l’osservazione di F.G.PIZZETTI, Diritto di morire? ult. cit., 48: «Sulla scorta di questo ragionamento è lo stesso rapporto fra autodeterminazione del paziente rispetto ai trattamenti sanitari anche di sostegno vitale e in condizioni di “fine-vita”, da una parte, ed eutanasia “attiva”, dall’altra, che viene a “scomporsi” e “ricomporsi”. (…) si può sostenere, come è stato fatto – solo a prima vista in modo paradossale – che l’area critica della bioetica di fine-vita si è ristretta.» L’A. riconduce a detta area il rifiuto di cure, escludendo le forme di suicidio assistito.

196

Per un’affascinante, anche se non sempre univoca, disamina sulle situazioni di “aiuto a morire” e le terapie approntabili scientificamente e sovente illecite, v. F. RAMACCI,

Premesse, cit., p. 214. Per la differenza tra letting die e killing, v. infra, cap. III, i casi

Welby ed Englaro (per il primo concetto) ed il caso Pretty vs. Inghilterra (per il secondo).

197

Il riferimento è alla l. 8 febbraio 2001, n. 12. (Norme per agevolare l’impiego dei

farmaci analgesici oppiacei nella terapia del dolore). Per una panoramica sulle terapie

palliative, v. F.GIUNTA, Il morire, cit., p. 559 e ss.

198

L'art. 1 della l. 29 dicembre 1993, definisce la morte come la cessazione di tutte le funzioni dell'encefalo.

199

Sul punto, v. F. MANTOVANI, Umanità e razionalità nel diritto penale, Padova, 2008, p. 1252. L'A. indica le differenza tra tre gradi di intensità della morte biologica: la morte relativa, la morte intermedia e la morte assoluta. La morte clinica deve essere sovrapposta a quest'ultimo paradigma in cui vengono meno le funzioni respiratoria, cardiocircolatoria e cerebrale.

200

Per una panoramica sulla diverse concezioni di morte ed una critica, v., M. L. VERDUCCI,

Scelte, cit., p. 21 e ss., e, soprattutto, S. SEMINARA, Riflessioni in tema di suicidio, cit., 678 e ss., cfr. per la “Proposta di risoluzione sull’assistenza ai malati terminali” del 1991 proveniente dalla Commissione per la protezione dell’ambiente, la sanità pubblica e la tutela

imperdonabile ed avrebbe conseguenze effettivamente paradossali un atteggiamento statuale che, preso atto della possibilità scientifica e tecnologica di far perdurare artificialmente le situazioni di fine vita, non predisponesse un adeguato sistema di limiti per l'attività medica e non prevedesse un ampliato ventaglio di scelte per i pazienti in stato vegetativo, in grado anche di scriminare comportamenti tradizionalmente ricondotti a fattispecie criminose (579 c.p., in primis), in nome del valore (condiviso, ma multiforme) della dignità umana201.

A questo fine, nei passaggi che seguono si tratterà brevemente dei tradizionali strumenti repressivi per la morte inflitta al consenziente e l’istigazione al suicidio, al fine di valutarne l’efficienza in relazione alle tematiche del fine vita.

2.2 L’omicidio del consenziente e il superamento del dogma circa la punibilità del

Nel documento Fine vita e diritto penale (pagine 64-68)

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