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Tre sono gli appellativi che ebbero i poeti neoterici: cantores Euphorionis, poetae novi e neoteroi; tutti furono attribuiti loro da Cicerone. Nel terzo libro delle Tusculanae, Cicerone, ricordando Ennio come fa spesso nelle sue opere, lo chiama con ammirazione poetam egregium e si lamenta del fatto che non sia stimato e rispettato come dovrebbe dai poeti contemporanei, anzi che venga da loro di- sprezzato:

O poetam egregium, quamquam ab his cantoribus Euphorionis contemnitur.

(Cic. Tusculanae disputationesIII, 45)

O grande poeta, benché sia disprezzato da questi imitatori di Euforione.

Tenuto conto che Euforione fu il più oscuro e cerebrale dei poeti alessandrini, è evidente che nel- l’espressione è insita la critica di Cicerone verso i neoterici, definiti addirittura «maldestri imitatori» di uno che certo più che imitato andrebbe dimenticato.

Che Cicerone non avesse in gran simpatia questa cerchia di poeti si può notare anche dagli altri due epiteti che egli affibbia loro, entrambi accomunati da un tono ironico e sarcastico. Il primo, poetae novi, si trova nell’Orator (48, 161). Mentre discorre delle trasformazioni che avvengono nelle parole per ra- gioni eufoniche, Cicerone accenna al fenomeno dell’obtruncatio, cioè dell’elisione della s davanti a pa- role inizianti per consonante, e afferma che quest’uso ha un che di contadinesco, ma che era frequente negli autori arcaici come Ennio, a differenza di quanto avvenga oggi presso i neoterici:

Quin etiam, quod iam subrusticum videtur, olim autem politius, eorum verborum, quorum eaedem erant postremae duae litterae, quae sunt in “optumus”, postremam litteram detrahebant, nisi vocalis insequebatur. Ita non erat ea of- fensio in versibus, quam nunc fugiunt poetae novi.

LA POESIA NEOTERICA

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testo che segue (fr. 2 Morel) viene esaltata in modo elegante e dipendente da fa- mosi modelli greci la bellezza del giovane Roscio (metro: distico elegiaco):

Constiteram exorientem Auroram forte salutans, cum subito a laeva Roscius exoritur.

Pace mihi liceat, caelestes, dicere vestra: mortalis visus pulchrior esse deo.

Mi ero fermato per caso a salutare l’Aurora che sorgeva, quando improvvisamente, a si- nistra, sorge Roscio. Con vostra pace mi sia lecito dirlo, o dèi: il mortale mi sembrò più bello di un dio.

Molto poco si sa di Valerio Edituo, che probabilmente faceva parte del cosiddetto “circolo” di Lutazio Catulo. Fu attivo tra la fine del IIe gli inizi del Isecolo a.C. Re- stano di lui due epigrammi erotici, dallo stile estremamente raffinato. In quello che riportiamo qui di seguito (fr. 1 Morel) si fa riferimento al tema della sofferenza d’amore che ha per modello la poetessa greca Saffo e che verrà ripreso anche da Catullo (metro: distico elegiaco):

Dicere cum conor curam tibi, Pamphila, cordis, quid mi abs te quaeram, verba labris abeunt, per pectus manat subito subido mihi sudor; sic tacitus, subidus, dum pudeo, pereo.

Quando mi sforzo di esprimerti, o Panfila, la pena del mio cuore, e che cosa io de- sideri da te, le parole fuggono via dalle labbra, gronda un sudore improvviso nel petto, avvampando; così muto, stordito, mentre mi vergogno, muoio.

Ed anzi, cosa che ora sembra un po’ contadinesca, mentre una volta era piuttosto elegante, toglievano l’ultima lettera di quelle parole le cui ul- time due lettere erano le stesse che ci sono in optumus, se non seguiva una vocale. Così nei versi non c’era quell’inciampo che ora i poetae novi evitano.

Nel 50 a.C. Cicerone, scrivendo ad Attico (Ad Atticum VII, 2), non perde

occasione di criticare l’abuso del verso spondaico fatto dai neoteroi; anche in questo caso il tono con cui parla dei poeti neoterici è sarcastico:

Brundisium venimus VIIKal. Dec.[...] ita belle nobis “flavit ab Epiro lenissimus

Onchesmites” (hunc σπονδεια′ζονταsi cui voles τω˜ν νεωτε´ρωνpro tuo vendito).

Siamo arrivati a Brindisi il 25 novembre [...] tanto opportunamente per noi “soffiò dall’Epiro mitissimo il vento Onchesmite” (questo verso spondaico vendilo pure come tuo a chi vuoi tra i neoterici).

Il termine neoteroi qui usato da Cicerone per indicare i poeti della nuova generazione era già noto presso gli Alessandrini, dove denotava tecnicamente i poeti omerici che imitarono maldestramente l’autore dell’Iliade. Successivamente passò a indicare poeti di cattivo gusto.

In tutti e tre i casi, dunque, Cicerone vuole esprimere la sua avversione verso questo movimento poe- tico. Il motivo di ciò va ricercato nel fatto che i neoterici rappresentavano un ideale artistico opposto a quello ciceroniano: Cicerone è difensore delle vecchie tradizioni letterarie romane e accorda la sua preferenza all’epica e alla tragedia. La tendenza dei neoteroi è invece lirica e risponde al gusto del ri- piegamento su se stessi, teso ad affermare il proprio io, il proprio mondo interiore con i suoi affetti (amore, amicizia, gioia, dolore, cruccio, odio) e concretizzato in una poesia lontana dall’impegno civile e politico, in cui si riflette la nuova cultura epicurea che stava prendendo piede in Roma.

Valerio Edituo

Ritratto di Paquio Proculo, Isecolo a.C., Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

L’età di Cesare

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Volcacio Sedigito è ricordato per il suo Liber de poetis, una sorta di storia della lette- ratura di cui è rimasto un frammento contenente il canone dei poeti comici latini (si veda l’Approfondimento a p. 130).

Levio è il più importante degli autori di questo gruppo, da identificare forse con il Levio Melisso citato da Svetonio (De Grammaticis 3,5). Poeta raffinato, compose al- meno sei libri di carmi dal titolo Erotopaegnia («Scherzi d’amore»), in cui si ispirava ai miti della tradizione epica e tragica greca, come Alcesti, Adone, Ino, Elena, Pro- tesilao e Laodamia, le sirene e Circe, i Centauri. Le caratteristiche di Levio sono ap- punto la scelta di argomenti particolarmente toccanti e patetici trattati con estrema eleganza, e la varietà dei metri, che secondo alcuni studiosi deriva dalla polimetria dei cantica plautini e secondo altri, invece, direttamente dai moduli alessandrini. Questo gusto per il virtuosismo metrico è evidente anche nei carmina figurata.

I neoterici

Levio può considerarsi il più immediato predecessore dei poeti neoterici veri e propri, tra i quali occupa un posto importante Valerio Catone. Nato nella Gallia Cisalpina, venne a Roma e si dedicò agli studi prima in condizioni di agia- tezza e poi, in vecchiaia, in estrema povertà in seguito a un dissesto finanziario. Fu grammaticus, ossia filologo, maestro di letteratura, come lo definisce Svetonio che ci dà sue notizie, e poeta, autore di due opere, una intitolata Lydia, una raccolta di poe- sie d’amore, e l’altra Díctynna, un epillio che narrava la leggenda della ninfa Díc- tinna, che per sfuggire all’inseguimento di Minosse si gettò in mare e venne catturata dalla rete di alcuni pescatori. Il nome è collegato con il termine greco díktyon, «rete». G. Elvio Cinna fu una delle figure più significative del cenacolo neoterico. Nativo della Gallia Cisalpina, venne presto a Roma. Partecipò alle campagne mitridatiche, che si conclusero nel 63 a.C., e durante la permanenza in Bitinia conobbe il poeta Partenio di Nicea, che condusse con sé a Roma, probabilmente come prigioniero di guerra. Partenio ebbe poi un ruolo fondamentale nella diffusione a Roma della poetica ellenistica. Un ruolo altrettanto importante ebbe la copia dei Fenomeni di

Volcacio Sedigito

Levio

Valerio Catone

LA POESIA NEOTERICA

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Arato di Soli, che Cinna recò con sé dall’Oriente e che costituiva un esempio della nuova poesia. Compose Ludicra ed Epigrammata. La fama di Cinna è legata a un epil- lio, Zmyrna, in cui si narra l’amore incestuoso di Zmyrna (o Mirra) per il padre Ci- nira, re di Cipro. La fanciulla verrà poi trasformata in mirra. L’argomento, già trat- tato in ambito ellenistico, verrà rielaborato da Ovidio nelle Metamorfosi e da Vittorio Alfieri, che comporrà sulla vicenda una tragedia delicata e potente.

La nascita di quest’opera fu celebrata da Catullo nel c. 95 (vv. 1 sgg. «La Zmyrna del mio Cinna dopo nove estati e nove inverni da che fu iniziata, finalmente è stata pubblicata [...] Le età future incanutiranno sfogliando il volume della Zmyrna»), in cui il poeta mise in evidenza la lunga elaborazione dell’opera, segno di un accuratissimo labor limae. Alla Zmyrna avrebbe fatto riferimento anche Ora- zio nell’Ars Poetica (v. 386 sgg.), quando consigliava di tenere nel cassetto un’opera per nove anni prima di pubblicarla. L’epillio fu subito oggetto di com- menti e critiche: Svetonio, ad esempio, tramanda un epigramma anonimo in cui con ironia e con doppi sensi si allude alla necessità di decifrare la Zmyrna, impresa ardua in cui riuscì solo il grammatico Crassicio. Il testo di Cinna è composto nel rispetto dei canoni della poetica neoterica: l’argomento è erotico, il labor limae raffinato, la doctrina evidente, l’espressione ricercata, a partire dal titolo, in cui Cinna usa il prezioso Zmyrna in luogo del più comune Mirra. Dell’opera restano solo due frammenti.

Nel frammento che segue (fr. 6 Morel) è rappresentato forse il triste girovagare di Mirra espulsa dalla casa paterna dopo l’incesto: si rilevi la preziosità stilistica confe- rita dal grecismo Eous e dal più raro e raffinato Hesperus in luogo di Vesper, nonché dall’iterazione di flentem (metro: esametro dattilico):

Te matutinus flentem conspexit Eous et flentem paulo vidit post Hesperus idem.

Te vide piangere al mattino Eoo, l’astro del mattino, te vide piangere poco dopo il me- desimo, diventato Espero.

Fregio del porticato del tempio di Iside, con animali esotici, Isecolo a.C., Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

L’età di Cesare

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Varrone Atacino, originario di Atax, nella Gallia Narbonense, compose opere tradi- zionali, come il poema storico Bellum Sequanicum, che trattava della campagna di Cesare del 58 a.C., e un libro di Saturae sul modello di Lucilio, ma si cimentò anche nei nuovi moduli poetici in una raccolta di elegie amorose intitolata Leucadia dal nome della donna amata. Di notevole rilievo è la sua traduzione delle Argonautiche di Apollonio Rodio, in cui si evidenzia la preferenza per storie d’amore tormentate, che consentono l’introspezione psicologica dei personaggi. Da ricordare anche una Ephemeris, che conteneva una descrizione poetica dei segni premonitori della piog- gia e che sarà riecheggiata da Virgilio nelle Georgiche.

Nato a Roma, figlio di un importante uomo politico, Licinio Macro Calvo fu un grande oratore di tendenza atticista, arguto e mordace, citato da Cicerone nel Bru- tus, da Seneca Retore nelle Suasoriae e nelle Controversiae, e nel Dialogus de oratoribus attribuito a Tacito. Fu inoltre caro amico di Catullo, che a lui si rivolge nel carme 14 e nel carme 96. La sua attività poetica si lega ad alcuni epigrammi politici contro Ce- sare e Pompeo, ai Ludicra, a epitalami non privi di raffinatezza, a un epicedio per la morte della moglie Quintilia e soprattutto a un epillio, Io, di argomento erotico-mi- tologico. Esso narra la storia della giovane figlia di Inaco, re di Argo, amata da Giove e per questo perseguitata da Era, che la trasforma in giovenca e la fa sorvegliare da Argo. Quando Argo è ucciso da Ermes inviato da Zeus e la sfortunata ragazza riesce a fuggire, la dea Era la fa inseguire da una furia che la costringe a errare per il mondo, finché, giunta in Egitto, riacquista le sembianze umane e dà alla luce Epafo, che diventerà re e fonderà Menfi.

Il frammento che segue (fr. 10 Morel) si riferisce al presentimento delle sventure di Io, successive alla metamorfosi imposta da Era.

Si noti l’estrema raffinatezza propria dello stile di Calvo, che è ottenuta mediante la disposizione perfettamente simmetrica delle parole e il gioco degli iperbati: a mens mea (in cui si può rilevare anche un’allitterazione) corrisponde vaecors, a dira corri- sponde omnia; al centro del verso è collocato il verbo, in forma di participio, con va- lore concessivo (metro è l’esametro dattilico):

Mens mea dira sibi praedicens omnia vaecors.

Stolta la mia mente, pur presagendo ogni sorta di sventura.

Varrone Atacino

Licinio Macro Calvo

Io e Argo, Isecolo a.C., Roma, Casa di Livia, Sopraintendenza Archeologica.

LA POESIA NEOTERICA

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Nel Isecolo a.C. si verifica a Roma la nascita di un genere letterario nuovo per il mondo romano, la lirica, espressione di una mutata sensibilità. Tale genere si manifesta attraverso la poesia neoterica, che rivoluziona la tradizione letteraria latina e si lega a fenomeni di ordine sociale, politico e culturale. I contrasti in campo sociale favorirono l’indivi- dualismo, che si diffuse nelle classi elevate e spinse il singolo individuo ad allontanarsi dal nego- tiumper rivolgersi all’otium, assimilando le teorie provenienti dalla Grecia.

Cambia anche il tipo di intellettuale che si de- dica alla poesia: non più il civis soldato impegnato nella vita politica, ma l’uomo libero di dedicarsi al- l’otium, ossia allo studio delle lettere e alla soddi- sfazione dei piaceri individuali. In questo si avverte l’influsso della filosofia epicurea, da cui i neoterici si discostano nel fare dell’amore il centro della loro poesia e, spesso, della loro vita.

I neoteroi sono «disimpegnati» dal punto di vista politico e instaurano fra loro legami di amicizia. Quella neoterica è infatti una poesia di circolo, de-

stinata alla cerchia di amici poeti che gareggiano fra loro e sono essi stessi committenti e fruitori della loro poesia.

La poesia neoterica assume come modello fon- damentale la poetica callimachea, fondata su que- sti principi:

1) la brevitas dei componimenti; 2) il labor limae;

3) la doctrina; 4) l’individualismo.

A ciò si aggiunge l’introduzione di forme poetiche e forme metriche nuove di origine greca.

Anche il linguaggio poetico deve modificarsi in relazione alle innovazioni: nasce così un sermo lyri- cus che attinge alla lingua colloquiale.

I poeti neoterici si possono suddividere in due gruppi:

1) i preneoterici, tra cui ricordiamo Lutazio Catulo, Valerio Edituo, Volcacio Sedigito e Levio;

2) i neoterici, tra cui ricordiamo Valerio Catone, G. Elvio Cinna, Varrone Atacino, Licinio Macro Calvo e soprattutto Catullo.

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