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Defixio contro Tiberius Claudius Adiutor

La tavoletta n. 111,5395si distingue dalla maggior parte degli altri testi rinvenuti nel santuario di

Magonza per una presenza piuttosto importante di tratti appartenenti ad un registro linguistico meno colto e più lontano dalla codificazione della lingua scritta, sebbene il tono dell'invocazione rimanga quasi costantemente solenne.

Da un'analisi paleografica, avvenuta in seguito allo srotolamento della laminetta, si è giunti alla conclusione che essa era stata incisa da due manus differenti. La parte interna (figg. 1-2) presentava una maiuscola piuttosto rozza, alternante lettere maiuscole e corsive. E' il caso della lettera E che accanto alla sua variante “lineare”costituita da due tractus verticali presenteva il suo modello “nor- male”, secondo la definizione in auge presso la letteratura paleografica96, vale a dire quello noto at-

traverso i papiri. La medesima alternanza di varianti che si può osservare anche per la lettera R pro- spetta quella compresenza di due filoni grafici diversi, l'uno impiegato nella tradizione a inchiostro, l'altro in quello a sgraffio, che caratterizzava il sistema di scrittura delle tavolette più antiche.

Al contrario la parte esterna della lamina (figg. 3-4) mostra un ductus corsivo elegante e armonioso con una spiccata tendenza a progredire verso destra tipica delle defixiones della secondà metà del I sec. d. C. e conforme ad una configurazione grafica sempre più coincidente con il modo di scrivere sui papiri.

Se riferimenti testuali corroborano con certezza assoluta che i diversi autori hanno lavorato per la medesima occasione votiva (si noti il pronome illum che nella seconda parte del testo richiama il nome della vitima posto in incipit della defixio) con altrettanta certezza non siamo in grado di asse- rire se il rito stesso sia stato realizzato dai defigentes in un'azione esecratoria cooperante in un' uni- ca circostanza, in considerazione delle radicali differenze riscontrabili nel modus scribendi dei due. Dall'altra parte, invece, questa difformità di manus può risultare come un ulteriore elemento proban- te che questo testo, come la maggior parte di quelli rinvenuti qui, sono autografi e non opera di un mago di professione o di un suo scriba pronti ad adattare le loro formule fisse all'intento della defi-

xio.

95 La numerazone fa riferimento alla classificazione dell'inventario archeologico.

96 Si veda G., Bartoletti, art. cit. in Scrittura e Civiltà, XIV, 1990; R. Garrucci, Graffiti de Pompéi, Paris, Dupret, 1856².

Figura 1

Figura 2

Figura 4

Vorrei preliminarmente esaminare la struttura del testo per poter passare in un secondo momento ad commento ad versum di esso.

La maggior parte delle defixiones a noi pervenute da Roma, da Caragine e da tutte le località del- l'Impero si caratterizza per mezzo di un modello strutturale facilmente identificabile denominato da- gli studiosi moderni97 “binding formula” secondo il quale la maledizione è realizzata da un nucleo

centrale costituito dal vero e proprio verbo defigendi (defigo, ligo, alligo, devoveo, depono, mando,

commendo...) seguito a ruota, seguendo un procedimento quasi meccanico, dal nome o dai nomi

delle vittime predestinate contro le quali si vule far ricadere l'intento esecratorio di colui che scrive. Il successivo e sempre maggiore coinvolgimento delle divinità e dei demoni all'interno dell'impre- cazione non implica automaticamente una ridefinizione della defixio e un conseguente avvicina- mento a quei generi letterari più sacri e solenni come quello della preghiera.

A questo proposito da un'analisi del materiale epigrafico proveniente da ogni parte dell'Impero ri- sulta evidente il fatto che almeno per quanto riguarda i testi più antichi le forze sovrannaturali sono “costrette” (o comunque fortemente esortate) più che “supplicate” a realizzare le intenzioni e i desi- deri nocivi del defigens. In questi testi tali potenze sono chiamate in causa attraverso un tono impe- rativo che è espressione di un metodo persuasivo di comuncazione uomo-dio in grado di vincolare ad una serie di dirette istruzioni queste divinità infernali e questi demoni affinchè possano garantire il raggiungimento dell'esito positivo della defixio.

Una serie di esempi testimoniano una modalità costrittiva nel rapporto comunicativo tra il defigens e il soprannaturale: DT 22, 5: Δέμονες ... παραλάβετε τοῦ ᾿Αρίστωνος τὸν θυμὸν (“Demoni... rice- vete la vita di Aristone); DT 50, 1-2: ῾Ερμῆ κάτοχε κα[ὶ Φερσεφόνη κατέχετε Μυρρίνης τῆς ῾Αγνο]θέο(υ) γυναικὸς σῶ[μα καὶ ψυχὴν καὶ γλῶτταν... (“Hermes trattieni e Persefone trattenete il corpo e l'anima e la lingua di Mirrina la moglie di Agnoteo...”); DT 250 b 17-18: cito depremite de-

figite perfigite consumite... Maurussum quem peperit Felicitas (“rapidamente affondate inchiodate

trafiggete distruggete Maurussus che Felicitas generò”); DT 230, a 2-5, 7, 11-12: [il testo è rivolto ad alcuni demoni] aufer illae somnum...adduc amantem aestuantem amoris et desideri mei

cusa...urgue coge illam venire ad me... coge illa me amare, mihi conferre ad meum desiderium. (“

togli a lei il sonno... conduci l'amante ardente d'amore per me... spingi costringi ella a giungere da me... costringi ella ad amarmi, ad essere utile al mio desiderio”); DT 140, 4-5: tere contere confrin-

ge et trade morti filium Aselles Praeseticium pristinarium... (logora tritura rompi e consegna alla

morte il fornaio Praeseticius, figlio di Asella...”).

Parallelamente alla presenza di queste forme di invocazione esplicitamente iussive, confacenti an-

97 Si menzionano tra gli altri Christopher A. Faraone e H. S. Versnel nei loro contributi in Magika Hiera, Ancient

Greek Magic and Religion, Christopher A. Faraone-Dirk Obbink eds., New York Oxford, Oxford University press,

che ad una sintassi non troppo articolata e refrattaria al sistema della subordinazione secondo quelli che sono i dettami tipici del repertorio linguistico popolare (e in generale della magia) registriamo un campione di testi nei quali una serie di fattori contribuisce in modo indistinto ad esprimere l'idea di una vera implorazione alla divinità: la presenza di verba rogandi come rogo, oro, peto, obsecro per il latino, ἐπικαλοῦμαι e ἀξιῶ per il greco, epiclesis solenni (exempli gratia dominus del notro te- sto), aretalogie, richieste di assistenza divina molto spesso nella forma di una ritorsione per un'in- giustizia subita (“prayer for justice”). Tutti questi elementi presenti sulle tavolette di maledizione rendono senza dubbio il tessuto sintattico più complesso e alzano allo stesso tempo la solennità del tono.

In altre parole almeno sul piano della retorica e del linguaggio, pur tenendo sempre in mente la dif- ferenza dei destinatari e delle intenzioni votive dalle quali ne è scaturita la stesura, leggendo questi testi si assiste alla rottura della tradizionale dicotomia che oppone la religione alla magia e ad un av- vicinamento dei sistemi comunicativi propri di ciascun campo: la preghiera e l'imprecazione.

Vorrei riportare una serie di esempi significativi. Proprio dal santuario di Magonza è stata rinvenuta tra le altre defixiones quella che è considerata la più antica preghiera rivolta ad Attis. Ecco il testo (DTM n. 5):

Bone sancte Attis tyranne adsis, advenias Liberali iratus. Per omnia te rogo, domine, per tuum Ca- storem, Pollucem, per cistas penetrales, des ei malam mentem, malum exitum, quamdiu vita vixerit et omni corpore videat se emori praeter oculos neque se possit redimere nulla pecunia nullaque re neque abs te neque ab ullo deo nisi ut exitum malum. Hoc praesta, rogo te per maiestatem tuam.

(“Buono santo Attis signore, assistimi, giungi irato conto Liberalis. Io ti prego per tutto, per il tuo Castore, per il tuo Polluce, per le cistae nel tuo santuario, affinchè tu dia una mente malata a lui, una morte terribile, fino a quando egli è in vita e possa vedere morire se stesso in ogni parte del cor- po, eccetto che nei suoi occhi. E non possa redimersi con nessun denaro, né con altro mezzo, né da te né da nessun altro dio se non con una morte terribile. Garantisci questo, ti prego per la tua poten- za”).

In un secondo testo proveniente dalla provincia della Lusitania l'intervento di Proserpina è richiesto al fine di ottenere giustizia contro colui che ha commesso un furto ai danni dell'autore della defixio (DT 122):

mihi furti factum est; quisquis mihi immutavit, involavit, minusve fecit eas res, quae infrascriptae sunt: tunicas VI, paenula lintea II, indusium I. Cuius nomen ignoro …

(“Dea Ataecina Tubrigensis Proserpina, per la tua potenza ti prego, ti supplico pechè tu possa ven- dicare il furto che mi è stato fatto; chiunque mi ha derubato, mi ha portato via, mi ha sottratto quei beni che sono scritti in basso: tuniche VI, mantelli di lino II, sopravveste I. Io non conosco il suo nome...”).

La stessa Proserpina accanto ad Hermes, Plutone e Demetra è così invocata in una laminetta prove- niente da Alessandria d'Egitto (DT 38, vv. 10-11):

᾿Επικαλοῦμαί σε τὴν πάντων ἀνθρώπων δυνάστειραν (“Io invoco te, signora di tutti gli uomini”).

Simile alla precedente invocazione è quella riferita ad un demone in una defixio da Cartagine (DT 252, v. 25): ἐπικαλοῦμέ σε ὁ μέγας καὶ ἰσχυρὸς

(“Io invoco te o grande e forte”).

Registriamo un ultimo caso annoverato tra le Sethianorum Tabellae in cui ad una serie di divinità infernali e demoni viene affidato un tale di nome Adeodatus, figlio di Cresconia. In più di un passo del testo le potenze ctonie sono implorate con il medesimo verbo ἀξιῶ che denota l'idea di un'in- giunzione supplichevole. Ecco un passaggio della defixio (DT 156, 10-13):

ἀξιῶ ὑμᾶς εἵνα κατὰ κράβατον τιμορίας τιμωρήσητε ᾿Αδευδᾶτον τὸν υἱὸν Κρησκονίας (“Io vi prego affinchè punite con la vendetta sul letto Adeodatus, fglio di Cresconia”).

Il testo della nostra tavoletta, in special modo nella prima parte, quella corrispondente al lato inter- no di essa, riflette una commistione di topoi espressivi caratteristici tanto del linguaggio religioso che di quello magico.

Così l'autore in questo frammento iniziale si conforma ad un tono di ingiunzione supplichevole ri- volgendosi alle divinità mediante l'alternanza di due verba rogandi (al rogo del v. 2 corrisponde il

precor del verso 5) e facendo ricorso alla medesima epiclesis solenne (domine al v. 4 è riferito ad

Attis, domina al verso 8 è l'appellativo con cui si invoca la Mater Magna).

Il defigens attraverso un rito di devotio o consecratio chiede alle divinità di poter ricevere la vittima come una offerta nel loro santuario (… in megaro eum rogo te recipias … te precor ut hunc hostiam

acceptum habiatis) servendosi di formule che ritornano in alcune “prayer for justice”, una su tutti la

già menzionata defixio proveniente da Salacia, significativa, come abbiamo evidenziato, anche per il fatto che coinvolge lo stesso Attis (AE 2001, 1135):

nas / supstulit qui me compilavit / de domo Hispani. Illius corpus / tibi et anima(m) do dono ut meas / res invenvia(m).Tunc tibi ostia(m) // quadripede(m), Do(mi)ne Attis, voveo, /si eiu(m) fure(m) invenero. Dom(i)ne / Attis, te rogo per tu(u)m Nocturnum / ut me quam primu(m) compote(m) facias.

Un ulteriore ponte tra religione e magia può essere stabilito dal fatto che queste formule trovano re- miniscnze negli inni liturgici dell' antica Roma o elementi di continuità con invocazioni di altri cul- ti. Si consideri exempli gratia la nota preghiera dal Mitreo di Santa Crusca a Roma relativa agli ini- ziati al grado di leones (AE 1960, 211)98:

Accipe thuricremos, Pater, accipe, Sancte, Leones per quos thura damos, per quos consumimur ipsi.

Tutti questi richiami ad una retorica intrisa di elementi religiosi si inseriscono in una cornice testua- le, quello della defixio, destinata in primo luogo a danneggiare l'avversario mediante l'esecrazione: in una prospettiva totalmente nuova si fissano e, a mio avviso, ne risultano in un certo qual modo enfatizzati, tutti quei topoi appartenenti all' “altro mondo”, quello della magia.

Sulla nostra tavoletta possiamo individuare senza esitazione almeno un paio di fattori comuni al linguaggio della maledizione.

Innanzitutto la posizione incipitaria a mo' di titolo del nome del defixus che ottiene sulla nostra ta- voletta la precedenza sul nome delle divinità e sulla loro invocazione. Moltissime defixiones prove- nienti da ogni parte dell'Impero risultano costituite esclusivamente dal nome (o dall'elenco di nomi) di coloro che sono vittima dell'esecrazione. Con ogni probabilità nel nostro caso l'ordine secondo il quale sono nominate le parti chiamate in cause si confoma ad un criterio di importanza concepito dalla mente di colui che scrive: per qust'ultimo sarà dunque primariamente necessario incidere il nome della persona dalla quale ritiene di essere stato danneggiato per una ragione che non è esplici- tata nel testo, a motivo del fatto che fissata sul piombo fin da subito l'identità dell'avversario, costui sia rivelato alle divinità garanti del rituale. Solo a questo punto, l'autore reso noto il suo obiettivo, menzionerà Attis e la Mater Magna che saranno liberi di soddisfare o meno la richiesta di aiuto da parte del defigens.

Il secondo topos del linguaggio magico riscontrabile nella tavoletta di Magonza è ancor più signifi- cativo del primo in quanto rappresenta la modalità stessa attraverso la quale si realizza la defixio: l'augurio che alla vittima possa andar storto tutto quanto compia è costruito per mezzo dell'analogia pesuasiva del sale sciolto nell'acqua (vv. 6-7 et quit aget aginat, sal et aqua illi fiat), un artificio re-

98 Si veda Turcan, 1993 Mithra et le Mithriacisme, Les Belles lettres, Paris, p. 88; Francisco Marco Simón, 2004, art. cit. in MHNH.

torico che, come vedremo, è ben attestato dalle tavole ritrovate nello stesso santuario e non scono- sciuto a quelle proveniente da altre località dell'Impero romano.

Sarebbe riduttivo considerare questa compresenza di elementi magici e religiosi come una semplice giustapposizione di due opposti: credo piuttosto ad un effetto di complementarità degli uni con gli altri, in funzione di una sublimazione spirituale del tono tesa a suscitare ed enfatizzare l'effetto per- suasivo della rogatio al cospetto di divinità e demoni che si desiderano invocare come garanti della

defixio.

Alla luce di tale riflessione emerge con maggiore nettezza come la seconda parte del nostro testo, corrispondente al lato esteriore della laminetta e affidata ad una seconda manus, faccia invece da contraltare alla prima: tutto quello che sul piano linguistico-stilistico coesisteva armoniosamente in una zona di confine tra il “magico” e il “religioso” è abbandonato e il testo nelle ultime righe sem- bra ritornare bruscamente all'interno del recinto canonico della defixio e chiudere qualsiasi accesso ad influenze e contaminazioni provenienti da livelli retorici esterni.

Solo l'epilogo del testo si prospetta come una veria e propria defixio attraverso il quale tornano a condensarsi tutti i topoi delle “binding curse”: una sintassi estremamente semplice e paratattica, l'u- so e l'abuso dell'asindeto come elemento di coordinazione, la presenza di coppie allitterative creano un linguaggio immediato e aggressivo all'interno del quale l'invocazione finale alle divinità passa quasi sotto silenzio.

2.3

Il testo

99

Lato interno

1. Tiberius Claudius Adiutor: 2. in megaro eum rogo te, M<a> 3. t<e>r Magna, megaro tuo re- 4. cipias. et Attis domine, te

5. precor, hu(n)c (h)ostiam accep-

6. tum (h)abiatis, et quit aget agi- 7. nat, sal et aqua illi fiat. ita tu

8. facias, domna, it quid cor eoconora 9. c(a?)edat

Lato esterno

10. Devotum defictum 11. illum menbra,

12. medullas, A A (?)

13. nullum aliud sit,

14. Attis, Mater Magn<a>.

99 La trascrizione si attiene fedelmente alla decifrazione di J. Blänsdorf : The defixiones from the sanctuary of Isis and

Mater Magna in Mainz, in Magical Practice in the Latin West. Papers from the international Conference held at the University of Zaragoza, 30 Sept.- 1 Oct. 2005 (Religions in the Graeco-Roman World 168.), Richard L. Gordon-

Francisco Marco Simón (edd.), Leiden-Boston: Brill, 2010, pp. 141-189. In sede di commento laddove necessario saranno prese in considerazione eventuali varianti. A questo proposito si segnalano altre pubblicazioni del testo da parte dello stesso autore: Blänsdorf 2005, Cybèle et Attis dans les tablettes de defixio inédites de Mayence, CRAI 2005, pp. 669-692; ibid. 2005, The curse tablets from the Sanctuary of Isis and Mater Magna in Mainz, MHNH 2005 5, 11-26. Non saranno trascurate le varianti più significative proposte dall'emendatio della studiosa A. Kropp nel suo Defixiones. Ein aktuelles Corpus lateinischer Fluchtafeln, Speyer 2008.

Traduzione

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