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Magia e latino popolare: analisi di alcune Tabellae Defixionum

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INDICE GENERALE

Abbreviazioni

Introduzione

Capitolo I

Le defixiones dalla fontana di Anna Perenna a Roma

Defixio con serpenti

1.2 Il testo

1.3 Commento

Capitolo II

Defixiones da Mogontiacum

2.2 Defixio contro Tiberius Claudius Adiutor

2.3 Il testo

2.4 Commento

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Abbreviazioni

AE Année épigraphique

AJP The American Journal of Philology CIL Corpus Inscrptionum Latinarum CGL Corpus glossariorum latinorum

CRAI Comptes rendus de l'Académie des Inscrptions te Belles-Lettres DT Defixionum Tabellae Audollent

DTA Defixionum Tabellae Atticae

DTM Die Defixionum Tabellae des Mainzer Isis- und Mater Magna-Heiligtums, Mainz

2012

G. L. Grammatici Latini IG Inscrptiones Graecae

ILI Inscriptiones Latinae quae in Iugoslavia repertae et editae sunt

MHNH Revista internacional de investigación sobre magia y astrología antiguas RE Real-Encyclopädie der classichen Altertumswissenchatf

RIB Roman Inscriptions of Britain RIU Die römischen Inschriften Ungarns

RPLH Revue de philologie de littérature et d'histoire anciennes PGM Papyri Graece Magicae: Die griechischen Zauberpapyri

SEBarc Sylloge Epigraphica Barcinonensis

TLL Thesaurus Linguae Latinae

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Introduzione

Lo studio del latino popolare non deve essere affrontato da una prospettiva esclusivamente sociale, entro i limiti di un obiettivo finalizzato a portare alla luce i differenti livelli di penetrazione culturale che possano raggiungere le stratificazioni sociali. A questo proposito si pensi a come Cicerone, il massimo rappresentante della prosa latina d'arte dell'età aurea, si compiaccia di portare nella sua corrispondenza privata una serie di costruzioni popolari, o al linguaggio colorito messo in bocca da Petronio ai liberti nella cena di Trimalcione o infine alla sintassi paratattica, asindetica, all'uso di espressioni “vive” che si scaglionano nelle commedie plautine. E dall'altra parte creerebbero confusione nella definizione del genere “popolare” gli eccessi di correttezza ricercati dagli autori di testi poco colti.

L'emegere di un latino popolare, e dunque della possibilità che esso diventi oggetto di studio, credo debbano essere concepiti essenzialmente in modo parallelo alla normativizzazione della lingua operata dai grammatici in tarda epoca arcaica, che porta con sé la prima coscienza nel popolo romano di una distinzione tra una forma codificata secondo le convenzioni della lingua scritta e un'altra che da essa tende a prendere la distanza. Contemporaneamente a tale distinzione l'attività dei grammatici porta alla luce l'emergere di una libertà di scelta tra un registro più o meno formale: è in questo modo che si spiega il fatto che autori come Cicerone, Petronio, Plauto, pur tenendo conto della difformità temporale in cui essi redigono i loro testi e quindi di un distinto sviluppo diacronico raggiunto o meno della lingua, possono “scegliere” varianti basse, popolari, più lontane dal linguaggio codificato.

Tuttavia sarebbe riduttivo esaminare il latino popolare come l'esito di una volontaria presa di distanza dalle convenzioni grammaticali. Se gli autori sovra menzionati non si fanno scrupoli nell'utilizzo di certe libertà stilistiche, essi tuttavia agiscono all'interno di una consapevolezza netta di una fruizione divulgativa della loro opera, che coinvolgerà il destinatario nella sua capacità di individuare quel codice caratteristico di questo o quel registro.

Esiste però un repertorio di scritti maggiormente legato ad una funzione pragmatica dove emerge “con costanza” un'inabilità di scelta tra una minore o maggiore codificazione linguistica: tanto più fortemente una tale incapacità propenderà per una lontanza da essa quanto più dovremo rilevare in questi documenti la natura essenzialmente “popolare” che li caratterizza.

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Una serie di testi di contenuto magico ricettacolo di vere e proprie maledizioni scritte su lamine di piombo incise a graffio presentava una straordinaria abbondanza di aberrazioni linguistiche dal latino normativizzato che interessava tanto la fonetica, che la sintassi, la morfologia, come il lessico così che gli studiosi concordano unanimamente nell'attribuire loro la natura di fonte “popolare”. Questi documenti erano chiamati defixiones dal latino defigere (inchiodare, immobilizzare), in greco κατάδεσμοι da καταδεῖν, nome con cui si voleva alludere alla volontà del

defigens di immobilizzare le capacità fisiche-mentali della persona oggetto della maledizione,

nonché all'atto pratico di trafiggere il supporto scrittorio con chiodi attuando così un effetto simpatetico tra l'atto fisico della trafittura e l'invocazione del castigo divino. La diffusione di questi testi nell'occidente latino deve essere collegata in primo luogo al contatto avvenuto a partire dal VI sec. a.C. attraverso le rotte di colonizzazione tra i greci e gli osci popolo che diffonderà questa pratica ai Romani i quali a loro volta la divulgherranno per tutto l'Impero nel processo di “romanizzazione” del territorio.1

Le tabulae defixionum venivano depositate nei luoghi più vincolati alle divinità infernali come tombe, necropoli, pozzi, sorgenti e in numero minore in santuari legati alle potenze invocate nella

defixio.

In base al loro contenuto una prima classificazione fu stabilita nel 1904 da Audollent2. Lo studioso

individuava quattro categorie principali:

1) Tabellae iudiciariae redatte al fine di rendere gli avversari di un processo inabili a comparire e a testimoniare davanti ad un giudice.

2) Tabellae in fures, calumniatores et maledicos conversae incise contro calunniatoori e ladri normalmente a causa di un furto si prefiggono il recupero dei beni sottratti e l'eventuale punizione del colpevole.

3) Tabellae amatorie destinate a distruggere un rapporto amoroso o ad attrarre la persona amata. 4) Tabellae in agitatores et venatores immissae sono una sorta di scongiuri contro la fazione rivale nella competizione sportiva, principalmente spectacula come ludi gladatorii e venationes.

Nel mondo latino latino troviamo diverse attestazioni di questa pratica magica. Tacito narrando la malattia e la morte di Germanico afferma (Ann. 2, 69):

…et reperiebantur solo ac parietibus erutae humanorum corporum reliquiae, carmina et devotiones et nomen Germanici plumbeis tabulis insculptum, semusti cineres ac tabo obliti aliaque malefica quis creditur animas numinibus infernis sacrari. simul missi a Pisone incusabantur ut

1 Su questo aspetto storico si confronti P. Poccetti 1993, Aspetti e problemi della diffusione del latino in area italica, in E. Campanile 1993 Caratteri e diffusione del latino in età arcaica, Pisa 1993, pp. 73-96.

2 A. Audollent, Defixionum Tabellae. Quotquot innotuerunt tam in grecis orientis quem in totius occidentis partibus

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valetudinis adversa rimantes.

(“inoltre si erano trovati a terra o sui muri resti umani dissepolti, formule magiche, incantesimie il nome di Germanico inciso su tavolette di piombo, ossa mezzo bruciate e impastate a grumi di sangue e malefici del genere ,con cui si crede di poter consacrare le anime agli dei infernali. E ai messi inviati da Pisone si addossava l'accusa di spiare il peggioramento della malattia”).

Seneca, De Benef. VI, 35, 4

Exsecraris enim illum et caput sanctum tibi dira imprecatione defigis. Nemo, ut existimo, de immanitate animi tui dubitaret, si aperte illi paupertatem, si captivitatem, si famem ac metum imprecareris. Aliquid interest utrum vox ista voti sit tui?

(“Maledici quello e immobilizzi per te la testa santa. Nessuno, come io penso, potrebbe dubitare della crudeltà della tua anima, se apertamente imprecherai per lui la povertà, la prigionia, la fame e la paura. Forse interessa qualcosa questa voce al tuo voto?”).

Tuttavia le prime raccolte di questo genere di materiale epigrafico furono pubblicate in tempi recenti e parallelamente ai rinvenimenti archeologici che portavano alla luce un numero via via crescente di tavolette dai luoghi più disparati del mondo antico e, per quanto concerne il materiale latino, condensate soprattutto nei primi quattro secoli dell'Impero romano. Un primo corpus fu redatto nel 1897 da Wünsch come appendice al volume III delle Inscrptiones Graecae contenente le

defixiones provenienti dall'Attica3. Di lì a poco il rinvenimento intorno alla metà dell'800 di un

nuovo corpus di 48 laminette nel colombario nei pressi di Porta San Sebastiano indusse lo stesso studioso alla pubbilcazione delle cosiddette Sethianorum Tabellae4 che sarebbero state inglobate nel

1904 nella fondamentale raccolta edita da Audollent che conteneva le defixiones greche osche etrusche e fenicie pubblicate tra il 1897 e il 19045. Contributi recenti allo studio delle tavolette sono

stati offerti da Blänsdorf il cui volume si concentra esclusivamente sulle scoperte avvenute sul finire del secolo scorso nel santuario di Isis e della Mater Magna a Mainz6 mentre un corpus

completo di defixiones latine corredato di una ricca bibliografia è stato redatto dalla studiosa A. Kropp.7

3 R. Wünsch, Defixionum Tabellae Atticae (DTA), in AA.VV., Inscriptiones Graecae, III 3, Berlino 1897 4 R. Wünsch, Sethianische Verfluchungstafeln aus Rom, Leipzig 1898.

5 A. Audollent, op. cit., 1904, Paris.

6 J. Blänsdorf, Die defixionum tabellae des mainzer Isis- und Mater Magna- Heiligtums. Defixionum Tabellae

Mogontiacenses (DTM), “Mainzer Archäologische Schriften” 9, Mainz 2012.

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L'obiettivo prefissato dell'indagine è stato quello di analizzare due lamine di maledizione, la prima proveniente dal nemus sacro di Anna Perenna a Roma, la seconda dal santuario di Isis e della Mater

Magna a Magonza, nel tentativo di confermare la natura popolare di questi testi, attraverso una

focalizzazione dell'attenzione su quelli aspetti fonetici, morfo-sintattici e lessicali che prendono maggior distanza dalla codificazione della lingua scritta.

Lo scopo ha fissato di conseguenza il metodo, per cui si è cercato di avvvicinare sul piano linguistico il mondo della magia a quello delle altre fonti che la tradizione definisce popolari.

Anzitutto per la nostra indagine comparativa è risultato impossibile prescindere dalle iscrizioni pompeiane dove si concentrano una quantità infinita di grafie devianti dalla norma e più conformi alla consuetudine in cui il latino era pronunciato dai suoi locutori. Il contributo alla finalità della ricerca fornito da Pompei è risultato decisivo soprattutto in relazione ad alcuni esiti vocalici e consonantici prospettati analogamente anche sulle nostre tavolette, oltre al fatto di aver lasciato aperta la porta alla possibilità di leggere in alcune grafie l'influenza di certi sostrati dialettali, in

primis dell'osco e dell'umbro.

Non sono state certamente trascurate le testimonianze dei poeti che in certi casi confermavano quegli sviluppi che erano già in atto nel latino popolare. Un poeta tardo-antico come Commodiano che non si farà scrupolo a costruire finali esametriche come perspicere possit, indizi di una metrica accentuativa, portava alla luce un fenomeno linguistico che già si era riscontrato nella lingua parlata qualche secolo prima, vale a dire il cambiamento del ritmo latino che non si baserà più sull'opposizione fonologica tra le quantità delle vocali, ma vedrà emergere e avere la meglio sulla vecchia un'opposizione qualitativa basata essenzialmente sulla distinzione dei timbri vocalici. Di questo cambiamento di ritmo saranno da rintracciare i primi segni nelle grafie inverse di ae per e breve con timbro aperto registrate sia a Pompei che sui testi di maledizine.

Viveversa la sinizesi dei primi poeti dattilici anticiperà quello che è un fenomeno assai diffuso nella grafia popolare dei testi presi in esame, ossia la consonantizzazione della vocale i in iato davanti ad un'altra vocale dotata di un'apertura più grande.

La nostra attenzione inoltre non poteva non finire sui glossari, sui retori e sui grammatici latini che non nascondevano una viva esigenza di regolare certe grafie errate rispetto alle varianti corrette, evidenziando ad esempio casi di ipercorrettismo, di sincope, anomalie fonetiche, morfologiche e lessicali.

Con la dovuta cautela si è tentato di gettare un ponte tra il latino popolare dei nostri testi e alcune fonti letterarie. A questo proposito si è constatato che le defixiones o la maggior parte di esse ostentano uno stile volutamente emotivo, costruito su una sintassi parattatica ricca di alliterazioni, di asindeti, di iterazioni che molto ha in comune con la lingua d'uso delle commedie plautine. Allo

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stesso modo non sarà un caso che l'unica attestazione in letteratura del verbo aginare presente nella tavoletta di Magonza si troverà in un passo di Petronio.

In ultimo nel nostro tentativo di individuare i tratti del latino parlato è stato utile affacciarsi sul mondo delle lingue romanze, studiarne, fin dove l'analisi comparativa tra di esse lo ha consentito, tutti quegli sviluppi in grado di rivelare le trasformazioni in atto avvenute sulla lingua da cui derivano.

A questo punto, per concludere, sarebbe legittimo domandarsi, data la non elevatura del livello linguistico di questi testi, il motivo per cui il cittadino ricorreva ad un mago o ad un suo scriba8 per

redarre sul piombo il suo testo. Credo che questo fatto possa essere spiegato attraverso due motivi: il primo è che il mago è un professionista della magia e quindi, indipendentemente dallo strato sociale da cui egli provenga, sarebbe riduttivo giudicare la sua competenza in materia dal modo più o meno corretto in cui scrive. Egli è colui che più di tutti è in grado di mettersi in contatto con la divinità da invocare per soddisfare le esigenze del defigens, magari è colui che è iniziato presso questo o quel rito. Tuttavia in molte tabellae defixionum ad un basso livello linguistico fa da contralatare un livello grafico armonioso: questo induce a pensare che egli non solo conosca le formule magiche, ma sappia anche come esse devono essere collocate sul testo perchè il rito abbia un esito positivo.

Il secondo motivo del ricorso ad un esperto di magia credo sia dovuto ad un fatto di sicurezza: il diritto romano proibiva la pratica di queste maledizioni e con il tempo si è andato via via inasprendosi contro la magia e chi ne deteneva il monopolio.

Alla fine dell'epoca repubblicana infatti i romani non percepivano una seria distinzione tra religione e magia, essendo la magia punita non in sé ma in virtù degli effetti negativi. Ad esempio già nella legge delle XII Tavole non si puniva il carattere magico dell'azione qui fruges incantassit ma il delitto contro la proprietà che in una società agraria come quella romana poteva comprettere l'equilibrio sociale. L'unica differenza tra le pratiche magiche e quelle religiose era la subordinazione al mos maiorum delle seconde.

Dalla dinastia giulio-claudio si assiste ad una concezione nuova e peggiorativa della magia percepita come un sistema di alterità minaccioso tanto per le tradizioni romane che per l'imperatore. In questo periodo essa è concepita dal punto di vista legislativo come un crimen ed è proprio Augusto che estende l'accusa di lesa maestà alla magia. In quest'ottica per quanto riguardo il principato di Tiberio, Tacito rappresenterà una ricca fonte di notizie concernenti il sempre crescente numero di processi contro persone accusate di aver fatto ricorso ad artifici magici allo scopo di ricevere informazioni sopra il destino dell'imperatore. Sarà Plinio il Vecchio nel libro XXX della

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Naturalis Historia a dare una giustificazione ideologica all'idea negativa di magia, percependola

come qualcosa di straniero, di incivile, che trova la sua culla d'origine nel popolo dei Parti, quindi in continuità con quella concezione greca che vedeva nel barbaro persiano l'uomo regredito per antonomasia9.

Il mago diventa colui che inverte l'ordine naturale della realtà, minaccia le strutture sociali e di conseguenza si trova relegato ai margini. E chi non è inserito in un contesto sociale può anche tentare di infrangere la legge calcolando la probabilità di pagarne le conseguenze al posto del

defigens.

9 Sul rapporto tra stato, magia e mago si confrontino Francisco Marco Simón 2001, Sobre la emergencia de la magia

como sistema de alteridad en la Roma augústea y julio-claudia in Revista internacional de investigación sobre

magia y astrología antiguas (MHNH) 1, pp. 105-132; Fritz Graf La magie dans l'antiquité gréco-romaine : idéologie

et pratique, Paris: Les Belles Lettres, 1994, trad. it. La magia nel mondo antico, Roma: Laterza, 1995.

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CAPITOLO I

Le defixiones dalla fontana di Anna Perenna a Roma

Defixio con serpenti

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La laminetta di piombo proveniente dalla cisterna della fontana di Anna Perenna fu presentata per la prima volta al pubblico da Marina Piranomonte nel 2004 in occasione del congresso tenutosi a Roma sulla magia professionale organizzato da Christopher A. Faraone dal titolo << Professional Sorceress and their Wares in the Imperial Rome >>11 e successivamente riproposta all'attenzione

del lettore dallo studio del filologo dell'Università di Mainz Jürgen Blänsdorf in due congressi e pubblicazioni12 e dall'ulteriore analisi del testo e del disegno incisi sulla tavoletta offerta nel

conve-gno romano della Sapienza del 2009 dal medesimo studioso americano Ch. A. Faraone13.

Come per la maggior parte delle defixiones del mondo greco-romano anche in questa lamina tutti gli elementi incisi sulla tavoletta, siano essi più o meno inseriti all'interno di un riconosciuto sistema di codificazione grafica, in virtù del forte potere comunicativo-evocativo che li caratterizza, creano, una volta realizzati, un'evidente interdipendenza gli uni con gli altri in grado di costituire un'unità significativa funzionale a definire l'atto rituale della defixio. Per questo prima di commentare il testo latino occorre descrivere tutto quello che riusciamo a vedere sulla tavoletta (disegno, characteres magici) che non rappresenta solo il semplice contesto magico della maledizione scritta ma ne è par-te inpar-tegranpar-te e fondamentale in relazione al contributo offerto ad una maggiore inpar-telligibilità e inpar-ter- inter-pretazione del testo stesso.

10 Inv. no. 475567

11 Per la relazione dell'archeologa italiana si veda M. Piranomonte, La fontana sacra di Anna Perenna a Piazza

Euclide tra religione e magia, Proceedings of the Symposium, Professional Sorcerers and their Wares in Imperial Rome: an Archeology of magical practices, Rome 12th November 2004, American Academy of Rome, in

<<MHNH>> 5(2005), pp. 87–104.

12 J. Blänsdorf, 2010, Dal segno alla scrittura. Le defixiones dalla fontana di Anna Perenna, in La fattura scritta.

Tecnica grafica e rituali magici nel mondo antico, Atti del Convegno, Roma, La Sapienza, 3 febbraio 2009, “Studi e

materiali di storia delle religioni” 76/1, pp. 35-64; idem 2010, The texts from the Fons Annae Perennae, in R.Gordon, M. Simon (eds), Magical Practice in the Latine West, Atti del Convegno, Zaragoza, 30 settembre-1 ottobre 2005, Leiden, pp. 215-244.

13 Ch. Faraone 2010, A Blinding Curse from the Fountain of Anna Perenna in Rome, in La Fattura scritta, Tecnica

grafica e rituali magici nel mondo antico, Atti del Convegno, Roma, La Sapienza, 3 febbraio 2009, “Studi e

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Al centro della lamina (figura 1) si osserva una figura antropomorfa con la testa rozza, quattro ca-pelli ritti, il corpo a forma di viola senza arti superiori e inferiori. Il fatto che la figura si trovi incor-niciata all'interno di un romboide14 e abbia una forma vagamente assimilabile al corpo di una donna

ha fatto propendere senza esitazione Marina Piranomonte ad identificarla con una divinità femmini-le, proprio con Anna Perenna ninfa dedicataria del santuario, sebbene di essa nel testo non si faccia alcuna menzione e l'autore della defixio invochi sempre una pluralità di demoni.15

Figura 1, inv. no. SAR 475567. Museo Nazionale Romano delle Terme, Dipartimento Epigrafico.

14 Nelle tavole “Sethiane” edite da Richard Wünsch in Sethianische Verfluchungstafelln aus Rom, Teubner, Leipzig 1898 sono riscontrabili figure antropomorfe assimilabili ad essa, tutte però circondate da un quadrato o un romboide. 15 Si veda M.Piranomonte, Religion and magic at Rome: the fountain of Anna Perenna, in R.Gordon, M. Simon (eds),

Magical Practice in the Latine West, Atti del Convegno, Zaragoza, 30 settembre-1 ottobre 2005, Leiden,

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Alla sinistra e alla destra del rombo si dispongono in posizioni simmetriche quattro animali dagli occhi grandi, probabilmente degli uccelli o dei serpenti che simboleggiano forze demoniache. I ser-penti-uccelli superiori volgono i loro becchi l'uno verso l'altro; quello a sinistra, crestato, presenta sul ventre le lettere X e Θ, mentre le creature posto nella parte inferiore fissano lo sguardo verso il basso, entrambe squamate lungo il dorso. A completare la sacralità della matrice vi sono dodici let-tere magiche, cinque incise sulla parte alta della lamina e sette sul fondo, che sebbene prive di valo-re letterale nondimeno contribuiscono alla valo-realizzazione del rito nella loro natura di “segno” evoca-tivo di una o più divinità che si vogliono chiamare in causa. Significativa è la netta presa di distanza di autori cristiani dell'epoca da queste pratiche rituali e in particolare dai medesimi ἅγιοι χαρακτῆρες, filtrati attraverso una tradizione antipagana intesa a sottolinearne in modo più radicale il confine tra religione e superstizione. Ecco a questo proposito quanto riporta Sant'Agostino nel De Doctrina Christiana: “Superstitiosum est quidquid institutum est ab hominibus ad facienda et

colen-da idola pertinens vel ad colencolen-dam sicut Deum creaturam partemve ullam creaturae vel ad consul-tationes et pacta quaedam significationum cum daemonibus placita atque foederata, qualia sunt molimina magicarum artium, quae quidem commemorare potius quam docere assolent poetae. Ex quo genere sunt, sed quasi licentiore vanitate, haruspicum et augurum libri. Ad hoc genus pertinent omnes etiam ligaturae atque remedia, quae medicorum quoque disciplina condemnat, sive in prae-cantationibus sive in quibusdam notis quos caracteres vocant ...16”. (“È superstizioso tutto ciò che è

stato inventato dagli uomini per fabbricarsi o prestare culto agli idoli e mira a venerare come dio la creatura o singoli esseri del mondo creato. Inoltre lo è tutto ciò che fanno per consultare i demoni e federarsi con loro stipulando patti convenzionati sulla base di segni, come sarebbero gli artifizi della magia: cose che i poeti sono soliti ricordare piuttosto che insegnare. Del medesimo genere sono i li-bri degli aruspici e degli àuguri, distinguendosene per una, diciamo cosi, più libera vacuità. In que-sto genere rientrano ancora gli amuleti e le fattucchierie, riprovati dalla stessa scienza medica e con-sistenti in incantesimi o in certi segni chiamati sigilli …”).

Prima di trascrivere e commentare il testo latino occorre soffermarsi un attimo sui simboli che sono incisi ai lati della figura centrale che si presentano molto simili a due occhi trafitti da frecce aventi il loro punto di partenza negli angoli destro e sinistro del rombo. Ora, a decifrare questi sim-boli ci arriva in aiuto il testo latino (una corsiva minuscola del IV-Vsec.d. C.)17 nel quale si riferisce

16 Sant'Agostino, De Doctrina Christiana, II, 20, 30.

17 Dagli articuli di certe lettere risulta evidente il superamento della compresenza di varianti grafiche proprie del filone a sgraffio e di quelle proprie del filone a inchiostro a vantaggio delle seconde, compresenza che aveva caratterizzato l'ortografia delle tavolette più antiche. Si notino un ductus posato e la presenza costante di legature segno distintivo di un'azione di currenti calamo all'interno della catena grafica del nostro testo. Su un interesse paleografico per le

tabellae defixionum si veda in generale lo studio di Guglielmo Bartoletti La scrittura romana nelle Tabellae Defixionum (secc. I a. C. - IV d. C.). Note paleografiche in Scrittura e civiltà 14 (1990), pp. 7-47.

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che l'obiettivo della maledizione è quello di togliere la vista ad un personaggio di nome Sura:

...tol-latis pertol...tol-latis oculus sive dextrum et sinesterum.... Chi è questo Sura di cui si fa menzione nel

te-sto come obiettivo dichiarato della defixio? Costui viene designato dal termine indicante la sua pro-fessione, ovvero arbiter, non più come in età repubblicana “il giudice provvisorio che gli avversari sceglievano senza rivolgersi ad una corte regolare, ma … l'assistente del giudice ufficiale, incaricato dell'inchiesta istruttoria e dell'esecuzione della sentenza”18. Risulta pertanto chiaro al fine della sua

performance l'importanza della vista nello svolgere scrupolosamente gli obblighi che la sua funzio-ne di arbiter richiede e proprio per questo l'autore della defixio, sentendosi evidentemente minaccia-to da qualcosa che Sura avrebbe visminaccia-to o sarebbe staminaccia-to in procinminaccia-to di vedere a danno stesso della sua persona, nell'intenzione di stornare il pericolo colpisce il rivale nella parte del corpo da cui dipende più di ogni altra la bontà (la virtus) del suo lavoro: gli occhi. In considerazione di quanto detto otte-niamo quindi elementi probanti per sostenere una più certa identificazione della natura di “occhi” mascherata dai disegni stilizzati ai lati del rombo, identificazione suffragata anche dalle parole scrit-te in prossimità di essi: dextrum sopra l'occhio sinistro, sinistrum sopra quello destro sono infatti i termini che ricorrono allo stesso modo nel testo latino della maledizione. A rendere più interessante il contesto magico della matrice contribuiscono infine due parole che si distendono a caratteri capi-tali sotto gli occhi di quella che con ogni probabilità tende ad assumere le sembianze di un'enorme faccia ovale: a destra Blobes, a sinistra Irilesus. Con l'ausilio di alcuni egittologi gli studiosi di que-sta defixio sono giunti alla conoscenza e quindi ad una più o meno unanime convinzione del fatto che i due lemmi appartengono alla lingua copta sebbene sia Blänsdorf che Faraone non trascurino di analizzare altre proposte ispirate da matrici linguistiche differenti da quella copta19. Blobes significa

“l'occhio di Bes”20, un demone già adorato come caritatevole nella religione egiziana e in seguito

nel panteismo ellenistico oggetto di culto come come potente divinità in grado di fornire oracoli;

irilesus contiene le radici di “occhio” e “lingua”.

Il testo della maledizione dove la vittima è un giudice, Sura, sospettato di aver visto qualcosa di sfavorevole nei confronti di colui che scrive incoraggia dunque l'interpretazione “coptica” delle due parole che evocano o hanno a che fare con queste antiche divinità della vista e del discorso. Il fatto che sulla matrice si trovino incisi due occhi colpiti da una freccia e il nome di una divinità egizia ha indotto lo studioso Faraone21 ad ipotizzare una relazione tra la matrice di questa tavoletta e alcuni

18 J. Blänsdorf, 2010, art. cit., pag. 41.

19 In particolare Faraone congettura “Blobes” come corruzione del greco Βλάβη (danno) partendo dalla formula fissa

μετà Βλάβης τοῦ σώματος di alcune tavolette defixionum provenienti da Cartagine. Lo stesso Faraone propone di

interpretare “Irilesus” come forma latina volgare e corrotta per iride laesus (danneggiato all'iride). Meno possibilista nei confronti di quest'ultima ipotesi si dimostra il Blänsdorf il quale rileva in nota al suo articolo (cit. Bl. 2010, p.42) che la parola iris nel latino antico designa esclusivamente il fiore e la dea Iride, mai la parte dell'occhio.

20 “Blo” è probabilmente una corruzione del coptico “bal” o “bel” per occhio. Cfr. Faraone 2010, art. cit., pag. 68. 21 Faraone 2010, art. cit. pp. 71-75.

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frammenti papiracei che contenevano una sorta di ricettario illustrato appartenente ad una tradizione di maledizioni greco-romana di cattura di ladri: su queste pagine si trovava disegnato un occhio col-pito da un martello22 o altrove irritato da succo di cipolla23: la finalità di questi incantesimi “a

scaffa-le aperto” consisteva nel costringere il ladro, la cui identità sarebbe rimasta sconosciuta, se non fos-se stata smascherata proptrio attraverso i fos-segni recati dal danneggiamento o dal bruciore oculare, a rivelare alla luce del sole la sua colpevolezza davanti alla comunità. Ed è interessante notare che an-che in questi testi greci sono presenti parole an-che hanno un nesso con la lingua copta: infatti la parola greca οὐάτιον che di per sé ha il significato semplice di “occhio” nella lingua egiziana, nei papiri magici assume un valore semantico più specifico in quanto designa “l'occhio di Horus”, la divinità egizia che ha la sua ipostasi nel falco. Non credo rilevante tentare di conferire una identità precisa agli occhi che si vedono incisi sulla tavoletta di Anna Perenna: penso sia opportuno registrare sol-tanto che siano essi gli occhi di Bes24 o quelli di qualsiasi altra divinità, incisi in una lamina di

piombo o disegnati in un testo di magia, in virtù del loro status di essere compromessi, siano capaci per analogia di arrecare un danno all'occhio umano, vittima “reale” della defixio. Se da una parte la matrice potrebbe essere stata ispirata da questo ricettario magico di maledizioni, dall'altra il testo la-tino vero e proprio, aggiunto in una seconda fase con poca cura e costipato tra i disegni e i simboli magici, deriverebbe, sempre secondo Faraone, da una tradizione di maledizioni in uso durante l'im-pero romano chiamata dagli studiosi moderni Prayers for justice25. Esse sono delle invocazioni a

di-vinità garanti di giustizia contro torti subiti ad opera del nemico o del rivale dell'autore26.

In conclusione il mago (o la maga) scriba che avrebbe operato nel santuario di Anna Perenna si sa-rebbe servito di quel formulario di rituali di cattura di ladri, testimoniato dalle fonti papiracee citate in precedenza, con l'intento di trarre una serie di illustrazioni di “occhi” utili ad incidere la sua lami-netta plumbea e adattarvi il testo romano della defixio: ecco allora che l'occhio del ladro colpito su papiro trova, pur tenendo conto della differente identità delle vittime, la sua corrispondenza analogi-ca nell'occhio dell'arbiter Sura, inciso sulla nostra tavoletta.

22 Si veda PGM V 70-95. 23 Si veda Pap. Oxy SM 86.

24 Così la pensa Blänsdorf, 2010, art. cit., pag. 43.

25 Si veda H.S. Versnel, Beyond Cursing: The Appeal to Justice in Judicial Prayers in C.A. Faraone and Obbink (eds.),

Magika Hiera: Ancient Greek Magic and Religion, Oxford UP, Oxford and New York 1991, pp. 60-106.

26 Simili nella struttura compositiva sono le cosiddette Tabulae Iudiciariae di Audollent: si vedano exempli gratia le

defixiones dall'Africa DT (Defixionum Tabellae Audollent) nn. 216-226. Tuttavia dalla raccolta di Audollent emerge

con una regolarità quasi assoluta il fatto che nelle maledizioni lanciate contro il rivale in una contesa giudiziaria la parte del corpo che si vuole defigere e obligare attraverso l'invocazione della divinità è la lingua più degli occhi, in quanto essa compromette in modo diretto la capacità oratoria.

(14)

1.2

Il testo

27

1. sacras san(c)tas [f] a supteris et angilis a[...] quod 2. rogo et peto magnam virtutem vestram:

3. tollatis pertolla{e}tis 4. oculus sive dextrum et

5. sinesteru(m) Surae, qui nat(us) 6. maledicta modo ets de vulva. 7. fiat rogo et peto

8. magnam virtu-9. tem vestra(m). 10. tollite oculus 11. dextru(m) sinesteru(m), 12. ne possit dura-13. re virtus arbitri 14. Surae, qui natu(s) 15. est de vulva 16. maledicta.

27 La trascrizione del testo riprende fedelmente le decifrazioni operate da J. Blänsford La tecnica e l’arte della

scrittura su piombo e rame. Le iscrizioni magiche della Fontana di Anna Perenna (Roma )e la tipologia dei caratteri tardo-antichi in Sylloge Epigraphica Barcinonensis (SEBarc) x, 2012, pp. 17-39.

(15)

Traduzione

O sacre e sante (Ninfe), io prego voi e chiedo in nome della vostra grande potenza alle divinità in-fernali e agli angeli messaggeri (questo):

che possiate togliere e strappare completamente gli occhi destro e sinistro di Sura, che è nato da una vulva maledetta.

Prego e chiedo che ciò possa accadere in nome della vostra grande potenza. Togliete gli occhi

destro e sinistro

affinchè non possa perdurare la virtù del giudice arbitrale Sura, che è nato

(16)

1.3

Commento

LL. 1-2 Le prime due righe del testo rappresentano senza dubbio le più difficili da emendare sia per la difficoltà con la quale il materiale pervenutoci si presta ad una lettura comprensibile sia per la sintassi alquanto articolata dell'intero periodo. In primo luogo occorre domandarci a chi siano attri-buiti i due aggettivi femminili all'inizio del testo e se essi costituiscano o meno degli accusativi iso-lati rispetto al resto della frase. Partendo da questo secondo interrogativo si potrebbe ipotizzare un uso particolare dell'accusativo, una sorta di accusativo esclamativo caratteristico della lingua d'uso e indice di forte affettività28. Già a Pompei si riscontrano esempi di simili accusativi all'inizio dell'

epigrafe, come in CIL 4, 844 Lares propitios, 4999 M. Casellium Marcellum aedilem bonum et

mu-nerarium magnum29. Da citare un altro paio di iscrizioni provenienti dalla provincia della Pannonia

Superiore dato che in esse sono menzionate divinità e ninfe: RIU30393 Iovem Iunonem Minervam.

Septimius Su[...]e CIL 3 10893 Nymphas Salutares. Una tale costruzione assoluta degli accusativi

nella nostra tavoletta, prescindendo per un momento dai referenti cui essi andrebbero indirizzati, permetterebbe una semplificazione sintattica non indifferente, sebbene come vedremo poco realisti-ca, dal momento che nella reggente non sarebbe più necessario presupporre la difficile costruzione dell'accusativo e di a con ablativo entrambi dipendenti da rogo et peto. Seguendo questo filo logico si potrebbe congetturare una traduzione del tipo: “Sacre e sante (Ninfe), io prego e chiedo a voi di-vinità infernali e angeli messaggeri in nome della vostra grande potenza che …”, la quale consenti-rebbe unità sintattica ai due verba rogandi con la possibilità di convogliare nella medesima formula i destinatari dell'invocazione, ossia i soli subteris et angilis. Ne consegue pertanto una traslazione semantica dell'intera frase ancor più forte se si pensa che secondo questa analisi testuale la magna

virtus in nome della quale si scomodavano ed evocavano le Ninfe in soccorso al defigens non

sareb-be più ora una prerogativa di Anna Perenna e delle sue “sorelle” ma di questo insieme di divinità e

28 Si veda a questo proposito J. B. Hofmann, 1985. La lingua d'uso latina, ed. italiana a cura di Licinia Ricottilli, Pàtron, Bologna.

29 Le iscrizioni da Pompei sono segnalate da Väänänen, Veikko, 1966. Le latine vulgaire des inscriptions pompéiennes (III éd.). Akademie-Verlag, Berlin.

(17)

demoni, che diventano così i primi o almeno i più diretti garanti dell'intera defixio.

Tuttavia una simile ipotesi mal si adatterebbe al contesto votivo dell'intero santuario: è difficile ipo-tizzare infatti che vi siano altre potenze in grado di oscurare quella di Anna Perenna e delle Ninfe, almeno qui nel locus sacro dove sono le indiscusse padrone di casa. E questo anche e soprattutto alla luce dei riferimenti testuali ivi pervenuti e di altri provenienti da diversi siti. Tutto il materiale epigrafico, locale e non, è infatti in grado di dirimere ogni dubbio sull'identità da attribuire ad Anna Perenna e alle Ninfe come divinità femminili invocate dagli aggettivi all'inizio della nostra tavoletta e come detentrici della magna virtus attraverso la quale si vuole portare a termine con esito positivo la maledizione. Nella parte anteriore della fontana infatti si possono leggere tre iscrizioni incise su un'ara e due basi marmoree di donario. La prima dedicata dal liberto Eutyches alle ninfe di Anna Perenna per la vittoria del suo patrono Caius Acilius Eutyches in occasione di qualche agone31

con-nesso alla festa della dea è in senari giambici. Nel testo (AE 2003: 251) si fa un esplicito riferimento alle Ninfe che sono definite “... sacratis … et sanctas …”, ossia alle Ninfe “consacrate e sante”. Le restanti due iscrizioni (testi AE 2003: 252; AE 2003: 253) non devono essere considerate separata-mente poiché appartengono alla medesima occasione votiva nella quale compaiono gli stessi perso-naggi dedicanti: Svetonius Germanus e la moglie Licinia. Nel testo inciso sull'ara marmorea i coniu-gi proclamati vincitori per la seconda volta (denuo) sciolgono il voto ad Anna Perenna di un'ara marmorea se fossero stati giudicati vincitori. Si legge qui: “Nymphis sacratis Svetonius Germanus

cum Licinia coniuge Annae Perennae votum … solvimus …”. Nell'ultimo testo sulla base di donario

alla destra dell'ara troviamo incisa la seguente dedica: “C. Svetonius Germ[anu]s Nymphis

sacra[tis] Annae Perennae d(ono) d(edit)”.Si tratta quindi di un epiteto quasi formulare per le ninfe

che sono “consacrate ad Anna Perenna”, una sottile variante del “Sacras santas” che è scritto sulla nostra tavoletta di cui l'autore probabilmente avrebbe percepito come pleonastico lo specificarne il soggetto. A buon diritto le nostre Ninfe ed Anna Perenna si riappropriano anche della loro magna

virtus che a questo punto conquista una duplice valenza: da una parte è garanzia effettiva dell'intera defixio, dall'altra prerogativa di una ulteriore rogatio esplicitata dal “solo” verbo peto e indirizzata

alle altre divinità al fine di ottenerne a vantaggio del richiedente un'azione coadiuvante all'opera per la quale sono state sollecitate le Ninfe. Questo nuovo contesto semantico provoca un'evidente riper-cussione sintattica nella frase principale. Infatti, seppur messi uno accanto all'altro, i verbi della ri-chiesta rogo et peto devono spezzare la loro unità d'invocazione e accettare che si indirizzino a due destinatari differenti: rogo si riferisce alle sacras santas (Ninfe) mentre l'oggetto di peto è da

identi-31 Alla luce dei ritrovamenti archeologici risultano attendibili le testimonianze letterarie delle fonti antiche, in particolare quella di Ovidio (Fasti, III, 523-696) dove si allude al fatto che per la ricorrenza della festa di Anna Perenna nel giorno delle Idi di Marzo i devoti partecipavano ad una gara a bere più coppe di vino o tenevano agoni di canto o di mimo e poesia.

(18)

ficarsi nei supteri et angeli. Con una tale soluzione verrebbe meno il problema di una sintassi arti-colata non più costruita su verba rogandi forzati a reggere un accusativo e ablativi preceduti dalla preposizione a.32

Inoltre l'attendibilità di questa seconda costruzione sintattica è corroborata, come detto, da alcune testimonianze epigrafiche che, sebbene in differenti contesti cultuali, riportano invocazioni alle Nin-fe esclusivamente in nome della loro magna virtus. Nella lamina di rame (inv. n. 475564) ritrovata nella fontana del santuario romano di Anna Perenna arrotolata e infilata in una lucerna l'autore della

defixio si presenta come mediatore di un comando di Abraxas, divinità straniera, indirizzato alle

Ninfe locali affinchè possano portare a termine la maledizione della vittima, un penuarius, la cui punizione sembra essere la morte nel fuoco. Nelle righe 7-9 di questo testo lacunoso possiamo leg-gere l'invocazione finale alle Ninfe: “[h]oc pˉcor vestra(m) virtutem [ ] ut eum [ pe]ssime)

p(er)datis iam iam cit[o cito ] …”: “per questo chiedo in nome della vostra potenza che lo

rovinia-te in modo cattivo, allora, allora, subito, subito …”.

Non molto distante dal locus sacro di Anna Perenna all'interno di un colombario nei pressi di Porta San Sebastiano a Roma sono state rinvenute circa cinquanta laminette plumbee contenenti delle

de-fixiones di invocazione a Seth33 risalenti tutte alla fine del IV sec. d.C., lo stesso periodo a cui si

deve la composizione della lamina di Sura. In alcune di esse vi sono riferimenti alle Ninfe acquati-che acquati-che sono chiamate in causa con una formula di imprecazione piuttosto fissa e collocata quasi sempre in incipit ai relativi testi in una modalità corrispondente a quella della defixio di Anna Peren-na. Si confrontino a questo proposito DT 155 B ll.1-3: “῾Υμις δέ[ε Φρυ]για δέε Νυμφεε Εἰδωεα

νεοικουσε κατακουσε, ἐξορκίζο υμᾶς κατὰ τῆς δυνάμεως τῆς ὑμετ[έρ]ας καὶ κατὰ τῶν ἁγίων ἐνφερνίων ὑμῶν ...” : “Scongiuro voi, dio Phrigia, dio Nympheus Eidoneus, che abita il luogo, in

nome della vostra forza [si ricordi la magnam virtutem vestram di Anna Perenna e delle sue Ninfe] e dei vostri santi inferni [il nostro supteris] …” ; DT 158 ll. 4-7 “Λό(γος). ὑμις δ]έε Φρυγια δέε [Νυμ]φεε Εἰδωvεα νεενκωρω [κατ]οικουσε, κατὰ τῆς ὑμε[τέ]ρας ὑμῶν δυνάμεως …” con pressapoco il medesimo significato della precedente; infine DT 163 ll. 9-13: … “ἐξορκίζο υμᾶς [le Ninfe] κατὰ

τῆς ὑμετέρας ὑμῶν δυνάμεως ἕνα κατήσχητε [affinchè voi lo tratteniate] …”.

Potremmo notare un'ulteriore affinità fra il testo della defixio contro Sura e alcune tavole setaniche.

32 Costrutti simili a quello del testo della nostra tavoletta non mancano in letteratura. Si veda exempli gratia Cic, Ep.

ad familiares, lib. XIII, 29, 5: “Te, Plance, … rogo et a te ita peto ut …” dove sebbene il destinatario della richiesta

non cambi (Plance) esso è esplicitato dall'accusativo del pronome personale in incipit (te) e richiamato a distanza nel testo dal suo ablativo preceduto dalla preposizione a in modo tale da conformarsi alle corrette norme sintattiche del latino classico. Si noti dunque come la distanza tra rogo e il suo oggetto sia maggiore di quella tra peto e il suo referente e, per contro, la prossimità dei due verbi: allo stesso modo possiamo leggere sintatticamente l'inizio della

defixio contro Sura, fermo restando, come già evidenziato, la pluralità di destinatari più o meno (Ninfe) sottintesi.

33 Queste tavolette sono state edite da R. Wünsch, Sethianische Verfluchungstafeln aus Rom, Leipzig, 1898, e in seguito raccolte da A. Audollent, Defixionum tabellae, Paris, 1904, nr. 140-187.

(19)

In queste ultime proprio come nella prima troviamo angeli invocati insieme alle Ninfe, da una parte ad Anna Perenna e alle sue “sorelle”, dall'altra alle divinità acquatiche legate al demone egizio Seth. Del materiale proveniente da Porta San Sebastiano possiamo citare i testi D T 155 ll. 44-46: “... καὶ

ὑμᾶς ὁρκίζω ἁγίους ἀνγέλους καὶ ἀρχ[ανγέ]λους τῶ καταχθονίω …” : … “e scongiuro voi, santi

an-geli e arcanan-geli del Katachtonios …” e il successivo DT 156 ll. 39-40: … “ἅγιοι ἅνγελοι” … rima-nendo entrambi i testi fedeli allo schema di una invocazione iniziale alle Ninfe e alle divinità acqua-tiche sostenuta, in un secondo momento, da quella rivolta agli angeli. Ci troviamo dunque di fronte a dei veri e propri demoni, una sorta di messaggeri tra l'uomo e le divinità sotterranee (Seth Anna Perenna, le Ninfe …) ben lungi dall'essere assimilabili alla tradizione degli angeli cristiani. Ad ulte-riore conferma di quanto bene essi si integrino nei contesti magici e nelle occasioni demoniache delle defixiones consideriamo quest'ultimo significativo parallelo proveniente dalla Roma del perio-do tarperio-do-antico (AE 1941:138): “deprecor vos, sancti angeli, ut, quomoperio-do haec anima intus inclusa

tenetur et angustiatur et non vede neque lumine ne aliquem refrigerium non habet, sic ut anima mentes corpos Collecticii, quem peperet Agnella, teneatur ardeat detabescat, usque ad infernum sempre ducite Collecticium, quem peperet Agnella”(Supplico voi, santi angeli, [ὑμᾶς ὁρκίζω ἁγίους ἀνγέλους] che, come questa anima è tenuta chiusa dentro e non vede luce e non ha un qualche

refri-gerio, allo stesso modo l'anima la mente il corpo di Collecticius, che Agnella partorì, siano trattenuti brucino si liquefacciano, conducete sempre fino all'inferno Collecticius, che Agnella partorì).

Su una corretta lettura sintattica e contenutistica delle prime due linee del testo della defixio contro

Sura viene a pesare anche la corruzione di alcuni passi: se nella prima linea la presenza sospetta di

una F isolata (o di una B) inficia ogni tentativo di congettura prospettandosi quindi come locus

de-speratus, potremmo valutare la possibilità di integrare la seconda lacuna in fine dello stesso verso

con un [hoc] pur nella consapevolezza di una decifrazione piuttosto approssimativa dei caratteri in-cisi sulla laminetta di piombo. Alla luce di questa ricostruzione testuale il pronome dimostrativo

hoc assume un valore prolettico, con sfumatura di relazione, finalizzato nel nostro caso ad

anticipa-re il contenuto della proposizione epesegetica espanticipa-ressa con la completiva volitiva introdotta dal suc-cessivo quod. Una simile ipotesi si concilia con la tendenza della lingua parlata latina del Basso Im-pero a preferire gradualmente la congiunzione quod ad ut nelle completive al congiuntivo (volitive o dichiarative che siano)34 o ad alternare con maggior frequenza accanto ad essi costrutti paratattici

spesso asindetici, come fiat rogo et peto del verso 7: da una parte, infatti, queste seconde varianti sintattiche lasciano all'intonazione, al contesto, alla situazione il compito di definire le relazioni lo-giche tra le singole frasi, dall'altra ben si adattano al carattere soggettivo-affettivo della lingua d'uso,

34 Si consulti Väänänen, 1982 Introduzione al latino volgare, III ed. a cura di Limentani A., Pàtron, Bologna; Hofmann 1985, op. cit., par. 100 e ss.

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poco conciliabile con una rigida concentrazione mentale dei pensieri e adeguato alla difettosa capa-cità di astrazione del parlante comune. E partendo da certi esempi tratti dal latino arcaico presentati da Hofmann35: Pl. Capt. 557: viden tu hunc: quam inimico vultu intuetur!; Pl. Asin. 598 audin hunc

opera ut largus est nocturna? riusciamo a risalire alla natura originariamente paratattica

dell'accusa-tivo prolettico, espresso nella nostra tavoletta dal pronome dimostradell'accusa-tivo integrato, la cui legittima-zione è certificata inoltre dalla norma della sintassi latina: quest'ultima infatti contempla in presenza di verba rogandi (rogo et peto) la costruzione con il doppio accusativo solo quando l'oggetto della richiesta si trova espresso con un pronome neutro (hoc). Si veda e. g. Cic., Fam., 13, 43, 2: Hoc te

vehementer … rogo.

L. 1: santas per sanctas. Nella pronuncia volgare una occlusiva gutturale collocata tra n e una oc-clusiva dentale cadeva secondo il seguente sviluppo fonetico: ŋkt > ŋt > nt. Ecco alcuni esempi di tale fenomeno: da Pompei, CIL IV 4563: Queintus per Quinctus; da Roma DT 141: Auricinta per

Auricincta. La grafia volgare santus è attestata da alcune lingue romanze come lo spagnolo e il

por-toghese “santo” nonché dal nostro italiano “santo”. Per istinto etimologico la lingua letteraria latina ha ristabilito il gruppo -nct- in parole del tipo iunctus, unctus, vinctus e talvolta anche in quinctus doppione di quintus in particolar modo nei nomi propri Quinctus, Quinctius, Quinctilius36. Tuttavia

la riduzione di un gruppo consonantico costituito da una nasale implosiva seguito da una occlusiva potrebbe essere messa in correlazione con un'influenza osco-umbra. Se infatti consideriamo l'osq. saahtúm, rispetto al suo corrispettivo lat. sanctum la maggiore apertura e rilassatezza dell'elemento velo-palatale davanti all'occlusiva ha provocato il passaggio fonetico da kt a ht che sta alla base di alcune grafie assimilate registrate a Pompei: fata (tabulae ceratae XXVI); CIL IV 4870 Otavus;

Vi-torius (Della Corte, Villa Iulia Felix) dove la fricativa velare sorda dell'osco è scomparsa in latino

senza lasciare traccia. Allo stesso tempo grafie umbre come “ustetu” a fianco di “ustentu” (lat.

ostendito) attestano che la caduta della nasale non deve essere stata totale ma piuttosto si deve

esse-re verificato un allentamento dell'occlusione, alla luce anche degli esiti testimoniati dalle lingue neolatine che, come segnalato da precedenti esempi, mantengono intatta la nasale davanti l'occlusi-va o, come si registra in Gallia, ne estendono la nasalizzazione alla vocale precedente. Resta co-munque il fatto che nel linguaggio popolare la nasale implosiva davanti ad una occlusiva risulta de-bolmente articolata. Si vedano da una defixio proveniente da Minturno (DT 190, 1-2; DT 190, 15) le grafie sactitates per sanctitatis e sactu per sanctum.

35 Hofmann, 1985, op. cit, par. 105.

36 Si veda per questi esempi M. Niedermann, Elementi di fonetica storica del latino, III ed. a cura di Carlo Passerini Tosi, Bergamo: Istituto Ital. d'Arti Graf., 1948, pp.151-152.

(21)

supteris: secondo J. Blänsdorf37la parola non attestata è da collegare per via analogica a superi e

non è da escludere che una soluzione ipercorretta di supteri sia quella più plausibile. Tuttavia po-tremmo essere semplicemente difronte ad un caso di grafia fonetica supteris in loco di subteris, frut-to di assimilazione regressiva influente sulla sonorità delle prima occlusiva labiale. Del resfrut-to queste grafie, sebbene rifiutate dall'insegnamento scolastico, non mancano di essere attestate in virtù di una loro maggiore percezione uditiva. Si consideri il passo di Quint., Inst. Orat. I. 7, 7: … “quaeri solet

in scribendo praepositiones, sonum quem junctae efficiunt an quem separatae observare conveniat, ut cum dico optinuit (secundum enim b litteram ratio poscit, aures magis audiunt p) …”.(“Ci si

chiede spesso se nello scrivere le preposizioni convenga lasciarsi guidare dal modo in cui esse sono pronunciate nei composti o da quello in cui sono pronunciate isolatamente. Prendiamo una parola come optinuit: qui la ratio richiede come una seconda lettera una b, ma l'orecchio percepisce piutto-sto una p”). A quepiutto-sto proposito non si trascurino le seguenti testimonianze epigrafiche: CIL I 1570:

opsequentes, optinui, apstulit; CIL VI 9707: suptilissima; CIL VI 909, 910: pleps. Il nominativo subterreus38 avrebbe subito il cambiamento di timbro di e in i in iato caratteristico del latino parlato

e, per conseguenza, il passaggio dalle desinenze in -eus -ea -eum a quelle in -ius -ia -ium. Väänänen segnala una serie di esempi provenienti da Pompei: CIL IV 5380 casium; CIL IV 4299 Herclanio; CIL IV 8821 argentiam etc... ma non individua in questo fenomeno il segno di un'evoluzione foneti-ca quanto piuttosto una semplice confusione tra le desinenze dei temi in -eo- (-eā-) e quelle dei temi in -io- (-iā-). Questo perchè, argomenta lo studioso, … “on rencontre des échanges entre -eus - -ius avant l'apparition en quantité du changement e (voy) > i (voy) par ailleurs …”39. Sull'iscrizione

ar-caica CIL I² 1853 leggiamo infatti vinias e vinieis. Da notare inoltre che la lingua osca ha realizzato un esito analogo di e > i in iato per il quale si considerino i seguenti esempi: pútíad = *poteat =

pos-sit; íúk = ea40. Tuttavia non abbiamo sufficiente materiale per certificare la presenza di un sostrato

osco nel vocalismo attestato a Pompei e dunque si preferisce restare dell'idea di uno sviluppo con-vergente del fenomeno all'interno del dialetto osco e nel latino volgare.

Infine la desinenza -is dell'ablativo supteris è il risultato della contrazione tra la i del radicale e quella della desinenza vera e propria: -iī > -ī soluzione evitata nel latino arcaico ma frequente nella lingua parlata: CIL IV 670 iudicis; CIL IV 7851 latruncularis; CIL IV 6877 operaris; CIL IV 4411:

socis vicesumaris; CIL. IV 9108: iulis.

angilis per angelis: in linea generale l'e breve del latino classico tende a mantenersi inalterata in

37 J. Blänsford 2010, The texts from the Fons Annae Perennae, op. cit., p. 239.

38 Il termine è mutuato con medesima sfumatura semantica anche da autori cristiani. Lo troviamo attestato ad esempio in Arn., Advers. nationes 7, 19: divi subterrei (gli dèi degli Inferi).

39 Väänänen 1966, op. cit. p. 37.

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virtù del suo timbro fortemente aperto. Laddove a Pompei si trovano casi di i per ĕ Väänänen si di-mostra piuttosto cauto a classificarli come fenomeni di ordine fonetico. Si confrontino CIL IV 1789

ocilli segnalato come semplice errore di scrittura; CIL IV 3691 de marmori in cui la sostituzione di

I per II è resa necessaria da una mancanza di spazio; infine CIL IV 1994 milis per miles denota in-vece un fatto di natura morfologica con il nominativo del tema consonantico nato per analogia dai temi in -i-.41Sembra tuttavia lecito supporre che nella nostra parola proparossitona la presenza di un

i interna nella sillaba post-tonica rappresenti un caso di apofonia. Solo verso la fine dell'Impero i

grammatici latini offrono le prime testimonianze di un nuovo accento, quello di intensità, che via via prende il posto dell'accento di altezza o musicale. Si confronti ad esempio il passo di Pompeo, G. L. V, p. 126, 31 e sg: “illa syllaba plus sonat in toto verbo, quae accentum habet …”. Tuttavia questa evoluzione pare essere precocemente realizzata nella pronuncia popolare come attestano casi di sincope provenienti dalle iscrizioni murali di Pompei risalenti fino al I sec.d. C. non giustificabili se non postulando l'intensità della sillaba iniziale. Si vedano exempli gratia: CIL IV 1391

exmuc-caut per exmuccavit; CIL IV 2048 pedicaud per pedicavit; CIL IV 2445 maldixit per maledixit. Alla

luce delle definizioni dei grammatici e delle attestazioni epigrafiche siamo in grado di sostenere che un tale accento intensivo che nel Basso Impero andò a rimpiazzare l'accento musicale abbia prodot-to effetti analoghi a quelli provocati dall'intensità della sillaba iniziale nel latino preletterario,ossia l'alterazione del timbro delle vocali breve interne (come nel nostro caso) e la sincope. La nostra tesi acquista maggiore attendibilità per il fatto che in angilis non solo il rafforzamento della prima silla-ba trasforma il timbro della vocale post-tonica e > i ma la natura palatale della l contribuisce a que-sto vocalismo. Si veda a queque-sto proposito l'esempio riportato dal Niedermann exilium ma exulans.42

Si consideri comunque che tale evoluzione fonetica è raramente attestata nelle nostre Tabulae

Defi-xionum. In una laminetta da Cartagine del II sec. d. C. DT 233, 12 leggiamo Euginis per Eugenes,

caso evidenziato e preso in esame da Maurice Jeanneret.43In ultima analisi occorre ricordare che

vo-caboli mutuati dal greco come angelus hanno caratteristiche incompatibili con la fonologia latina. Osserva infatti lo studioso C. Battisti44 che la vocale ε del greco può avere esito diverso a seconda

dei dialetti: fu pronunziato e chiuso nell'attico-ionico per cui nel vocalismo del latino volgare abbia-mo pĭper o cĭtrus da πέπερι e κέρδος; e aperto nei dialetti dell'Elide come nel latino petroselinum da

πετροσέλινον. Secondo questi mutamenti fonetici si rileva la fusione di ε con i breve del latino, il cui

timbro, come risulta anche dalle grafie pompeiane45, si confondeva con ē. Tuttavia risulta difficile

41 Väänänen 1966, op. cit. p. 20. 42 M. Niedermann, op. cit. p. 23.

43 M. Jeanneret 1916, La langue des tablettes d'exécration latines: introduction, phonétique (vocalisme) in Revue de

philologie de littérature et d'histoire anciennes (RPLH). Éditions Klincksieck, 1845 ss., vol. 40, p. 242.

44 Carlo Battisti 1949, Avviamento allo studio del latino volgare, Leonardo da Vinci editrice, Bari, par. 67. 45 Väänänen 1966, op. cit. 21.

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risalire al dialetto di appartenenza di angelus in relazione al contesto spazio temporale della nostra

defixio e in secondo luogo gli esempi riportati da Battisti interessano esclusivamente cambiamenti

vocalici avvenuti in sillaba tonica, fatto questo che li allontana dal caso di angelis.

L. 3: tollatis pertollatis. L'intensificazione del verbo in questo testo trova alcuni paralleli in altre maledizioni, e. g. DT 15, 4 λύσατε ἀναλύσατε, ibid. 42 στρέψον κατάστρεψον e riflette un modo di parlare essenzialmente affettivo proprio dell'uomo privo di una grande cultura46. L'insistenza della

richieste contenute nelle tavolette si manifesta attraverso uno stile costruito su ripetizioni e anafore sia di singole parole che di intere frasi: DT 250, 11-14 … “perducas ad domus tartareas intra dies

septe perducas ad domus tartareas Maurussun quem peperit Felicitas intra dies septe …”; DT 229,

14-15, ibid. 247, 19-20 iam iam cito cito; su pleonasmi, ridondanze lessicali ed eccessi di termini si-nonimici che lo avvicinano per certi aspetti al registro linguistico della commedia plautina47: Plaut.

Amph. 551 sequor, subsequor; Trin. 1091 fidelis et fido et cum magna fide; Pseud. 882 suavi suavi-tate; ibid. 940 memor meminit. Sui testi delle defixiones leggiamo allo stesso modo: DT 129, b. 1-4 demando devoveo desacrifico; ibid. 9-11: uti vos eum interemates interficiates; DT 139, 2-3 nec lo-qui nec sermonare; DT 250 b. 4 mextum tristem etc ….

Nel nostro testo vi sono elementi lessicali che si ripetono e si richiamano (oculus dextrum

sineste-rum ai vv. 4-5 e 10-11; natus est de vulva maledicta ai vv. 5-6 e 14-16 e rogo et peto magnam virtu-tem vestram dei vv.2 e 8-9) creando di fatto, ad eccezione del primo verso dove sono esplicitati i

de-stinatari garanti della defixio una struttura speculare costruita, seppur con la sottile variante morfo-sintattica (tollatis pertollatis … tollite) sulla giustapposizione di due medesime invocazioni. Certa-mente da una parte, come abbiamo sottolineato in precedenza, in questo gioco di rimandi testuali af-fiora l'intenzione di richiamare un rafforzamento affettivo dell'espressione volto a recuperare con più energia l'elemento essenziale in un contesto dominato da forte pathos. Dall'altra, tali ripetizioni, in virtù della intrinseca sovrabbondanza con cui si prospettano nel testo, non dovranno essere sem-pre giustificate dalla scarsa concentrazione mentale del non dotto (?) scrivente ma nel nostro tipo rispondono meglio ad una precisa volontà di dar luogo a delle “Ringstruktur”, ossia strutture circo-lari mutuate non esclusivamente dalla lingua d'uso ma piuttosto affini a tratti pertinenti a differenti registri linguistici, come quello della lingua giuridica e della lingua sacrale. Lo stesso J.Blänsford ha preso in esame questo fenomeno sulla base di alcuni esempi rilevati in Plauto48: Pl.Amph. 904 ss.

“...si sis sanus aut sapias satis..., cum ea tu sermonem nec ioco nec serio tibi habeas, nisi sis

stul-46 Sulla lingua e lo stile delle Tabulae Defixionum si consulti M. Jeanneret, art. cit. in RPLH 40, pp. 237-239. 47 Si veda a questo proposito Hofmann, op. cit. in particolare pp. 195-243.

48 Si vedano in particolare J. Blänsdorf 1967, Archaische Gedankengänge in den Komödien des Plautus, Wiesbaden, p. 30e la nota n.1 di Licinia Ricottilli a Hofmann, op. cit., p.233.

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tior stultissimo...”; Pl. Pseud. 373 ss. “nisi mi hodie attulerit miles..., si id non adfert …”.

In ultima analisi l'anafora del verbo tollere è un'espressione linguistica funzionale ad intensificare l'affettività del parlante ed è in grado di cogliere ogni sfumatura affettiva solo se inserirla nel conte-sto di una macro-struttura (“Ringstruktur”). Un'affettività, qui, divisa tra la ferma convinzione nella personale rogatio di colui che scrive e l'eccitazione della fretta con cui egli implora le divinità di essere garanti fino in fondo della preghiera loro indirizzata. Questi stati d'animo dominanti influi-scono del resto sulla modalità con cui il testo si realizza: se al verso 3 troviamo il congiuntivo come

modus quaerendi dove il soggetto implorante non si pone sullo stesso piano di chi è implorato, il

passaggio all'imperativo tollite del verso 10 concede una libertà, quasi uno sfogo al sentimento di insistenza di colui che scrive: credo che proprio il passaggio da un livello di subordinazione interro-gativo-volitivo all'immediatezza paratattica dell'imperativo rappresenti il punto di pathos più eleva-to dell'intera defixio. Segnale di queseleva-to cambiameneleva-to di registro si intuisce già al verso 7 dove lo stesso congiuntivo fiat all'interno del costrutto asindetico privo della particella quod (o ut) si adegua ad una maggiore semplificazione sintattica.

L 4: oculus per oculos. Inizialmente il ritmo latino consisteva in un'alternanza tra sillabe lunghe e sillabe brevi senza l'intervento dell'accento tonico. Durante il III sec. d. C. i grammatici ci testimo-niano una rivoluzione nel sistema fonico che porta all'abolizione delle suddette differenze quantita-tive a vantaggio di un'opposizione qualitativa, ossia subentra un mutamento per cui le vocali brevi sono pronunciate aperte e abbassano il loro timbro. Sembra però che il popolo abbia preso coscien-za di questi sviluppi linguistici assai prima delle normativizcoscien-zazioni definite dai grammatici. A Pom-pei, ad esempio, vi sono dei graffiti che testimoniano una confusione nella pronuncia tra ae ed ĕ come le grafie inverse advaentu (iscrizioni inedite pubblicate da M. Della Corte) per adventu o

vici-nae per il vocativo vicine (CIL IV 7517): esse denunciano un superamento già in atto del ritmo

quantitativo dal momento che l'antico dittongo ae una volta monottonghizzato ha avuto come esito una e breve e aperta piuttosto che una e lunga e chiusa.49

Alla luce di quanto detto il vocalismo del latino volgare come quello delle lingue romanze, rispec-chia, salvo eccezioni, queste differenze qualitative, per cui le quantità classiche delle vocali ŏ ō ŭ ū convergono rispettivamente nei timbri [ɔ], [o] (esito di ō ed ŭ) e [u]. A maggior ragione si può spie-gare in oculus la confusione tra i due timbri in quanto nel vocalismo della sillaba atona finale c'è la spiccata tendenza alla riduzione del timbro e al dileguo. Un esempio frequentissimo riscontrabile nelle iscrizioni di tutte le province imperiali è quello di annus per annos. Tuttavia gli studiosi si sono divisi su questi accusativi proponendo chi una spiegazione di tipo fonetico chi una di natura

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analogica. La soluzione fonetica è stata avallata dal Gaeng il quale afferma che “there is a clear im-plication … of an [u]-colored pronunciation of the accusative ending … brought about, we believ, by the general merger of Lain /ō/ and /ŭ/ in unstressed syllable”50. Altri studiosi come Diehl e

Car-noy51, hanno sostenuto una tesi analogica del fenomeno secondo la quale il vocalismo u deriverebbe

da un'influenza dell'accusativo singolare e in particolar modo dal fatto che gli accusativi plurale e singolare delle altre declinazione condividono la vocale tematica sulla base della corrispondenza

rosa(m): rosas = annu(m): annus. In ultima analisi B. Löfsted52 ha cercato di superare queste

diffi-coltà ammettendo che la s finale del nominativo di questi temi eserciterebbe un'azione conservativa nei confronti della vocale tematica, con la tendenza ad estendere il suo influsso anche all'accusativo plurale e giustificando la sua teoria prendendo in esame alcuni testi dove al cambiamento -us per -os si accompagna quello di -is per -es.53

Stando ad una scarsità di riscontri epigrafici, tale che ne impedisca da parte nostra una convincente presa di posizione in favore di una o dell'altra congettura, si preferisce, dunque, per quanto riguarda

oculus, rimanere fedeli all'ipotesi di una evoluzione di tipo fonetico, ossia la chiusura del timbro ō

in ŭ senza peraltro escludere la compresenza di un fatto di apofonia provocato dall'intensità iniziale della sillaba tonica.

L 5: sinesteru per sinistrum. Per analizzare il trattamento di m in posizione finale e determinarne il suo valore fonetico gli studiosi moderni si sono serviti delle informazioni derivanti dai grammatici romani, dall'ortografia delle iscrizioni, dalla metrica e dalla testimonianza delle lingue romanze. E' alla luce di queste fonti informative che nel suo studio sul materiale proveniente da Pompei Väänä-nen può sentenziare che “... il n'y a pas de phénomène “vulgaire” qui soit plus répandu dans les in-scriptions latines que la chute de m final...”54e non è un caso se allo stesso modo Jeanneret

occupan-dosi della lingua delle defixiones asserisca che “... il n'y a pas, dans nos tablettes,de phénomène plus fréquemment attesté que la chute d'm finale...”55. Tuttavia le analisi dei dati non hanno portato

fino-ra ad individuare la chiave per trovare un unanime punto di partenza sulla natufino-ra fonetica del feno-meno, sebbene tutti, più o feno-meno, ne riconoscano l'enorme estensione nella storia della lingua latina. Riguardo ad una lenizione o ad una incertezza della pronuncia di m ci ragguagliano prima di tutto

50 Gaeng Paul, 1977 A study of nominal inflection in Latin inscriptions: a morphosyntactic analysis. University of North Carolina Studies in the Romance Languages and Literatures, Chapel Hill, p. 112.

51 Si confrontino Diehl, Inscrptiones Latinae Christianae veteres. Berlin 1925-1931, 3, 485; Carnoy, Albert J. 1906, Le

latin d'Espagne d'après les inscriptons. Misch & Thron, Bruxelles, p. 50.

52 Löfstedt Bengt 1961 Studien über die Sprache der langobardischen Gesetze. Almqvist & Wiksell, Stockholm Göteborg-Uppsala, p.50.

53 Si confronti oltre a Löfstedt, loc. cit., C. Battisti 1949, op. cit., par. 53. 54 Väänänen 1966, op. cit., p. 71.

55 M. Jeanneret 1917 La langue des tablettes d'exécration latines: phonétique (consonantisme), morphologie,

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alcuni passi di grammatici antichi. Occorre citare Quint., Instit. Orat., IX 4, 40: “Atqui eadem illa

littera, quoties ultima est et vocalem verbi sequentis ita contigit, ut in eam transire possit, etiam si scribitur, tamen parum exprimitur, ut multum ille et quantum erat, adeo ut paene cujusdam novae litterae sonum reddat: neque enim eximitur, sed obscuratur et tantum in hoc aliqua inter duas voca-les velut nota est, ne ipsae coëant.” (“Tutte le volte che questa stessa lettera si trova alla fine di una

parola ed entra in contatto con una vocale che inizi la parola seguente in modo che si possa unire ad essa nella pronuncia, la m finale viene pronunciata appena, anche se viene conservata nella scrittura, per esempio in multum ille e quantum erat, in modo che dà quasi l'impressione di suono di una qualche lettera nuova. Infatti non viene soppresso ma reso indistinto, e non rappresenta quasi che una specie di segno destinato ad impedire che due vocali si fondano insieme”). E' quanto si verifica nella prosodia metrica nel fenomeno della sinalefe oppure nella formazione arcaica di composti del tipo animadverto da animum adverto o circuitus da circum-itus. Sembra addirittura, da una testimo-nianza di Velio Longo (G. L. VII, p. 80, 17 e sg. ) che Verrio Flacco (e probabilmente anche Catone il Censore sulla base di due passi incerti di Quintiliano) si servisse di un segno speciale per annotare il suono della m in posizione finale davanti a parola iniziante per vocale, ossia, in caso di sinalefe, che egli scrivesse “... M non tota, sed pars illis prior tantum…, ut apparet exprimi non debere …” (“non una M intera, ma soltanto la prima parte, perchè si veda che non bisogna pronunciarla”). Da citare in ultimo luogo quanto ci riferisce Prisciano, G. L. II, p. 29, 15 sg: “m obscurum in

extre-mitate dictionum sonat, ut templum, apertum in principio, ut magnus; mediŏcre in mediis, ut um-bra” (“Alla fine delle parole m ha un suono indistinto, per esempio in templum; all'inizio è netto,

per esempio in magnus, all'interno è netto a metà, per esempio in umbra”).

Da quanto possiamo attingere dal materiale epigrafico, risulta che le iscrizioni arcaiche sopprimono la nasale -m in posizione finale senza alcun riguardo per l'inizio della parola successiva. Nell'epitaf-fio di Lucio Cornelio Scipione del III a. C. (CIL I² 9) si leggono le grafie oino per unum, duonoro per buonorum, Corsica per Corsicam etc.... Nei secoli successivi sotto l'influsso della normalizza-zione della lingua ad opera dei poeti e grammatici si ottiene una maggiore coerenza nell'espressione grafica che si riflette nella tendenza a restituire nelle iscrizioni, in particolar modo in quelle ufficiali, la grafia -m (si veda la correttezza ortografica del Senatoconsulto dei Baccanali del 186 a. C. in pa-role come senatum, aedem, exdeicendum, eorum) fino ad arrivare in epoca classica ad una sua defi-nitiva stabilità almeno nella parlata delle classi colte. L'omissione della -m perdura costantemente nel materiale epigrafico di registro volgare. Da Pompei ad esempio si segnalano le seguenti testimo-nianze: CIL IV 1847 haec nave pinxset; CIL IV 4007 Venere Pompeianam; CIL IV 5666 caru · flos; CIL IV 8259 Successus amat ancilla. Le tabulae defixionum rappresentano a questo proposito un documento eccezionale della caducità della -m soprattutto in relazione all'estensione del fenomeno

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