• Non ci sono risultati.

Defixiones da Mogontiacum

Nel corso dei lavori per la costruzione di una galleria commerciale nel centro della città di Mainz alla fine degli anni '90 del secolo scorso è stato portato alla luce il Santuario di Iside e della Mater

Magna importantissimo ricettacolo di una serie di ritrovamenti che hanno potuto ampliare l'orizzon-

te della nostra conoscenza in ambito magico nel periodo dell'Alto Impero romano.

Il santuario si ergeva nell'antica fortezza legionaria romana denominata Mogontiacum, toponimo attribuito dai Romani derivante dal nome della divinità celtica Mogon e inizialmente fondata come semplice castrum per l'esercito di Druso Maggiore impegnato nella campagna di conquista della Germania. La posizione strategica del castrum, costruito su un'altura, permetteva ai romani il con- trollo militare dell'area di confluenza del Reno e del Meno. E' sotto la dinastia flavia che Mogontia-

cum accrebbe notevolmente la sua importanza, divenendo, prima, colonia romana e negli anni 85-90

d. C. la capitale della nuova provincia imperiale della Germania Superior.

Determinanti evidenze archeologiche, prima, e, storiche, in secondo luogo, permettono di datare la fondazione del Santuario di Iside e della Mater Magna in epoca flavia negli anni tra 70 e 80 d.C e di stabilire una connessione tra il culto di queste due divinità orientali e i membri della famiglia impe- riale.

Si consideri innanzitutto che i marchi rinvenuti sui blocchi di pietra utilizzati per la costruzione portano il segno della Legio XIV Gemina, una delle due guarnigioni che insieme alla Legio I Adiu-

trix si trovavano stanziate all'epoca in città, fatto questo da cui possiamo dedurre una volontà impe-

riale di promuovere e diffondere tale culto orientale anche nelle province nord-occidentali dell'Im- pero romano. E il santuario di Isis- MaterMagna fu infatti il primo e quindi il più antico luogo di culto congiunto di queste due divinità. Inoltre le tre iscrizioni votive trovate al suo interno permetto- no meglio di circoscrivere la data di fondazione del tempio. Le prime due sono sostanzialmente identiche e dedicate da una liberta di nome Icmas e da Vitulus uno schiavo imperiale alla divinità Iside e alla Mater Magna per la salvezza dell'imperatore, del senato e dell'esercito romano. Con ogni probabilità Vitulus in entrambi i testi viene menzionato dopo la donna per evidenziare la diffe- rente classe di appartenenza dei dedicanti e mantenere la gerarchia sociale: AE 2004, 1015 = Pro

salute Augustorum / s(enatus) p(opuli)q(ue) R(omani) et exercitus / Matri Magnae Claudia Aug(usti) l(iberta) Icmas / et Vitulus Caes(aris servus) sacer(dote) Cla(udio) Attico li(berto); AE

2004, 1016 = Pro salute Augustorum et / s(enatus) p(opuli)q(ue) R(omani) et exercitus / Isidi Pan-

theae Claudia Aug(usti) l(iberta) Icmas / et Vitulus Caes(aris servus) sacer(dote) Claud(io) Attico lib(erto).

Una terza iscrizione votiva incisa da un tesoriere (arcarius) del procuratore dell'imperatore Vespa- siano completa il quadro dei ritrovamenti archeologici utili a fissare la data d'istituzione del tempio: AE 2004, 1014 = [Primi]genius [[...]] / [Imp(eratoris) Ve]spasiani Aug(usti) / [procur]atoris

a[r]carius / [Matri ] deum ex im[p]erio / [eius ] posuit.

Da un centinaio di fosse destinate al fuoco delle offerte e da una quindicina di ampie aree sacrifica- li a forma circolare sparse in diversi punti del sito sono state recuperate circa otto tonnellate di detri- ti ben preservati grazie ad alcuni strati di piastrelle recanti i marchi appartenenti alla tarda epoca fla- via e a quella degli imperatori Traiano e Adriano. In virtù di quest'ultimo indizio possiamo dedurre che tutte le scoperte devono necessariamente risalire ad un periodo non precedente alla seconda metà del I sec. d. C. e non posteriore alla seconda metà del II sec. d. C. Di notevole interesse per il nostro studio sulla magia e la lingua d'esecrazione, oltre ad una serie di frammenti organici di ani- mali e di cibi offerti (ossa di uccelli, resti carbonizzati di focacce, fichi, grappoli d'uva, pigne e uova) e tre esemplari di moderne bambole voodoo, è stato il ritrovamento di 34 lamine di piombo appartenenti al genere delle defixiones alcune delle quali si sono presentate agli studiosi moderni in discreto grado di intelligibilità grazie probabilmente all'azione conservativa delle ceneri che hanno svolto la funzione di isolante termico per il metallo delle tavolette facilmente fusibile.

Da un'analisi linguistica delle defixiones magonziane possiamo asserire che per un una serie di ra- gioni esse appaiono come un unicum nel loro genere. Sebbene infatti utilizzino i modelli di impre- cazione più comuni esse presentano un'evidente mancanza di standardizzazione, parallela all'assen- za quasi totale di determinati clichés caratteristici dei testi provenienti da Roma, da Cartagine, ap- partenenti ad un'epoca tarda. Innanzitutto esse preferiscono l'intelligibillità del testo alle voces ma-

gicae o ai charakteres che rimangono il monopolio dei maghi di professione o dei loro scribi. Gli

autori delle laminette si affidono invece al loro sorprendente livello di immaginazione che trova ter- reno fertile nel campo delle analogie persuasive, avvicinano il loro stile a quello delle preghiere ro- mane, alludono alla terninologia e a costrutti del linguaggio legale (dolus malus, la particelle encliti- ca -ve), fanno uso di elementi stilistici propri della retorica artificiale e popolare (si vedano ad esempio le coppie alliterative asindetiche, la successione di dicola o tricola all' interno del tessuto narrativo).

testi che gli autori si rivolgevano ad esse attraverso un linguaggio piuttosto semplice e diretto senza la necessità di ricorrere al supporto di libri magici o a formule complicate che esigevano di essere imparate a memoria.

Da tutti questi aspetti, oltre che dallo studio paleografico delle tavolette, scritte da manus ora ele- ganti ora piuottosto sgraziate, possiamo giungere alla conclusione che esse, molto probabilmente, furono concepite e incise non da stregoni professionisti o da loro scribi ma da privati cittadini che si servivorono delle loro parole per esprimere le personali maledizioni in segreto, per ragioni di sicu- rezza, contro le vittime predestinate. La ragione di questa libertà linguistica non può infine prescin- dere dalla data remota in cui vennero redatti questi testi che anticipò di circa un secolo quella stan- dardizzazione che portò allo sviluppo di modelli più elaborati impiegati in seguito dai professionisti di tutto l'Impero.

Il fatto inoltre che soltanto tre tavolette su trentaquattro sono scritte in una lingua che si allontana, sebbene non in maniera così netta come il latino che leggiamo nelle defixiones di età posteriore, dal- la codificazione della lingua scritta, parallelamente alla grande ricchezza di immaginazione e allo stile elabolarato che si prospettano nella maggior parte dei testi di Magonza, nonché agli indizi ono- mastici riscontrabili in essi e nelle iscrizioni votive del santuario, ci inducono a pensare che gli scrittori appartenessero alle classi medie e alte della società imperiale.

Quello che si pone di più sotto la luce dei nostri riflettori è il fatto che non si trovano su queste la- minette invocazioni alle divinità tradizionali della religione romana, né alle divinità ctonie né ai de- moni che sono generalmente chiamati in cause nella maggior parte dei testi di questo tipo.

Le potenze sovrannaturali garanti delle defixiones sono esclusivamnete la Mater Magna e il suo πάρεδρος Attis, rispettivamente invocate otto volte in sei tavolette e cinque volte in quattro tavolet- te. Questo dato appare ancor più sorprendente alla luce del fatto che, dopo aver passato in rassegna l'intero corpus epigrafico, non troviamo mai (o quasi) attestazioni delle due divinità in contesti di questo genere.

Per la Mater Magna fa eccezione un'iscrizione greca di bronzo proveniente dalla Asia Minore con- servata al museo di Ginevra:80

ἀνατίθημι μητρί σε Θεῶν χρυσᾶ ἁπ‹ω›λεσ‹α› πάντα ὥ- στε ἀναζητησ‹α›ι αὐτ- ὴν καὶ ἐς μέσον ἐνε-

80 Per un'analisi più dettagliata della lamina si veda C. Dunant, “Sus aux voleurs! Une tablette en bronze à inscription

κκεῖν πάντα καὶ τοὺς ἔχοντες κολάσεσθα- ι ἀξίως τῆς αὐτῆς δυνά- με‹ω›ς καὶ μήτε αὐτ[ὴν] καταγέλαστον ἔσεσθ[αι.]

(“Io ti consegno alla Madre degli dei, affinchè ella ricerchi tutto l'oro che io ho perduto, in modo tale che ella lo rialzi in pubblico e punisca coloro che lo detengono in una maniera degna della sua potenza e che non sia voltata in derisione”).

Oltre a questo documento su una laminetta plumbea molto mutila databile al VI sec. a. C. prove- niente da Locri Epizefiri possiamo leggere il nome della dea nella sua variante dorica Κ<υ>βαβα, mentre una defixio dall'Attica (DT 72) menziona il nome di Μ[η]τέρα Θεῶν (v. 17) accanto quello di Hermes ctonio, Hecate e Gea.81

La penuria di documenti nel mondo delle defixiones riguardante la Mater Magna colpisce in modo analogo il suo πάρεδρος Attis, fatto questo che mette ancor più in risalto la costanza con cui trovia- mo la divinità invocata nel santuario di Magonza.

Potrebbe tuttavia attenuare la sorpresa dello studioso il recente ritrovamento di due testi in entram- bi i quali si fa appello ad Attis con l'intenzione che la divinità possa riparare presunti torti.

Abbiamo a che fare con due “prayer for justice”. Il primo documento proviene dal deposito votivo del santuario di Salacia, l'odierna Setúbal ed è databile alla secondà metà del I secolo d.C. (AE 2001, 1135)82:

Domine Megare / Invicte! Tu, qui Attidis / corpus accepisti, accipias cor/pus eius qui meas sarcinas / supstulit qui me compilavit / de domo Hispani. Illius corpus / tibi et anima(m) do dono ut meas / res invenvia(m).Tunc tibi ostia(m) // quadripede(m), Do(mi)ne Attis, voveo, /si eiu(m) fure(m) invenero. Dom(i)ne / Attis, te rogo per tu(u)m Nocturnum / ut me quam primu(m) compote(m) facias

(“Signore Megarum Invincibile! Tu che accogliesti il corpo di Attis, accogli il corpo di colui che mi ha portato via i miei bagagli che mi ha saccheggiato la mia casa spagnola. Ti do in dono il suo corpo e la sua anima perchè possa trovare i miei beni. Allora ti dedico come offerta il quadrupede, se tro- verò quel ladro. Signore, Attis, ti prego per il tuo demone Nocturnus, di rendermi quanto prima pa-

81 Per ulteriori infomazioni riguardanti la menzione della Mater Magna nelle tabulae defixionum rimandiamo a Francisco Marco Simón, 2004 Magia y cultos orientales: Acerca de una defixio de Alcácer do Sal (Setúbal) con

mención de Attis, MHNH 4, pp.79-94. Si veda in particolare p. 85.

drone dei miei beni”).

Sul finire degli anni '90 del secolo scorso presso Groß-Gerau, un piccolo centro abitato non lontano da Magonza, fu rinvenuta una defixio risalente al I-II sec. d. C. In essa il numen di Attis era invoca- to accanto a quello della Mater Deum e alle altre divinità femminili per vendicare un tradimento perpetrato da una donna di nome Priscilla (AE 2004, 1006)83:

Lato A

Deum maxsime Atthis Tyranne/totumque duodecatheum comme/ndo deabus iniurium fas ut me vindic/etis a Priscilla Caranti, quae nubere erra/vit. Per Matrem deum vestrae ut/ vindicate sacra

Paterni/ Priscilla/ pereat.

Lato B

Per Matrem deum intra dies C (?) cito/ vindicate numen vestrum magnum/ a Priscilla quae detegit sacra, Pris/cillam usquam nullam numero nup/sit gente tremente Priscilla/ quam/ errante.

Lato A

(“Attis, Signore, il piu grande degli dei e di tutti i Dodici Dei, affido un'ingiustizia alle divinità come un diritto, affinchè possiate punire per me Priscilla, la figlia di Carantus, che fece l'errore di sposarsi. Per la vostra Madre degli Dei, che possiate vendicare i riti del Padre. Priscilla muoia”).

Lato B

(“Per la Madre degli dei entro X giorni, punite rapidamente Priscilla che tradisce i riti sacri. Io con- sidero Priscilla di nessun valore. Priscilla si sposò da una stirpe debole e indecisa”).

Sembrerebbe anomalo il fatto che nel santuario a lei dedicato non troviamo nessuna laminetta che invochi il nome di Isis né in modo esplicito o né mediante qualche allusione: probabilmente il per- corso degli scavi archeologici non è terminato e un eventuale rilevamento di nuove fosse, veri e propri ricettacoli di laminette magiche, potrebbe rivelarci ancora delle sorprese in questo senso. L'o- pinione comune che la divinità egizia non potesse trovare una sua dimensione all'interno di questi testi è stata, se non smentita, perlomeno riveduta alla luce del ritrovamento di un paio di testi su piombo recentemente pubblicati. Il primo proveniente dalla provincia della Baetica presso Baelo

83 Per una corretta interpretazione testuale si vedano i contributi di Scholz, M. and Kropp A., 2004: “Priscilla, die

Verraterin”: Eine Fluchtafel mit Rachegebet aus Gross-Gerau, in Brodersen and Kropp 2004, pp.33-40; Richard

Gordon 2012, “Ut me vindices”: Mater Magna and Attis in some new Latin defixiones, in A. Mastrocinque e C. Giuffrè Scibona (eds), Demeter, Isis, Vesta and Cybele (Stuttgart 2012), pp.195-212.

Claudia, l'odierna Cadice (AE 1988, 728):

Isis Muromem / tibi conmendo / furtu(m) meu(m) mi fac / tuto numini ma(i)es/tati exsemplaria(!) / ut tu evide(s) immedi/o qui fecit autulit / aut (h)eres opertoru(m) / albu(m) nov(um) stragulu(m) / nov(um) lodices duas me(o) / uso rogo domina / per maiestate(m) tua(m) / ut (h)oc furtu(m) repri/ndas

Nella seconda laminetta rinvenuta ad Augusta Treverorum ritorna l'epiclesis solenne domina ad Isis che si confoma con quelle trovate sui testi di Magonza attribuite alla Mater Magna ed Attis:84

Tiberium Claudium, Trevirum, natione Germanum, libertum Claudii Similis. Rogo te, domina Isis, ut illi profluvium mittas et quidquid in bonis habet in morbum megarum.

Un tratto significativo che interessa tutte le defixiones che chiamano in causa queste divinità orien- tali, tanto quelle provenienti da Magonza che quelle provenienti da tutte le province dell'Impero ro- mano, è la modalità attraverso la quale esse sono invocate: l'aspetto esotico, sanguinario e orgiastico del loro culto passa in secondo piano e parallelamente si assiste ad una caratterizzazione divina che le mette in stretta relazione con gli dei del Pantheon romano. Vorrei soffermarmi su Attis: egli è chiamato in causa con l'appellativo di dominus e tyrannus a Salacia, a Gross-Gerau come a Magon- za; qui egli è bone e sancte ed invocato in nome di Castor e Pollux (DTM n. 5) mentre a Gross-Ge- rau come Deum maxsime e totum duodecatheum una doppia allusione che sembra giustificare l'ele- vazione di Attis al rango di Iupiter. Il processo di divinizzazione del “pastore frigio”85 e del suo cul-

to prospettato dalle nostre tavolette plumbee trova una corrispondenza nell'evoluzione della sua rappresentazione iconografica: la testa di Attis del II sec. d. C. dedicata al dio da Cartilius Euplus e ritrovata nel campus di Ostia (figura n. 1) sembra portare ai massimi livelli quella dimensione divi- na di carattere cosmico che già dall'epoca tiberiana cominciava a distinguersi anche in ambito ar- cheologico.

84 Per la pubblicazione della tavoletta si veda Schwinden, in Beitrag Kolloquium “Antiker Schadenzauber: Neue

Funde and neue Deutungen”, Mannheim 17-18/12/2003.

85 Si consideri anche la seguente iscrizione: CIL VIII 7956: Sancto Attidi sacrum, genio dendrofororum; inoltre a Magonza si invoca il suo intervento ausiliare per maiestatem tuam analogamente a quanto avviene per Proserpina a

Figura n. 1

Se Attis appare non più o meglio non solo come il compagno di Cibele, capace di elevarsi sullo stesso livello linguistico-iconografico delle maggori e univerali divinità dell'Impero, non è immune da un simile sincretismo la Mater Magna. Una lamina da Magonza (DTM n. 2) mostra come ella non è più venerata per le sue qualità pubbliche di signora della natura, degli animali e dei luoghi selvatici. Attraverso l'iniziale aretalogia tipica degli inni sacri (tu persequeris per terras, per maria,

per locos aridos et umidos, per benedictum tuum) si evince che nel culto privato ella ha assunto una

dimensione universale che sconfina dal particolarismo geografico di partenza verso una tendenza ad abbracciare tutta quella serie di virtus appartenenti alle divinità del mondo romano. Ad esempio nel

Metroon di Ostia il ritrovamento di una serie di terracotte dove la dea è raffigurata insieme ai leoni

veleggiante sulla sua nave deve indurre a considerare più che gli aspetti esotici (i leoni), l'immagine di un potere garante di una giustizia assoluta alla quale ogni cittadino ha libertà di fare appello, come le nostre tavolette testimoniano.

A questo punto occorre porsi il problema se la propagazione di tali culti orientali, che interessò via via tutti gli strati della società, dagli schiavi, ai liberti fino alle classi più nobili, e il conseguente

sconvolgimento religioso di quelli romani siano avvenuti per un cambiamento cultuarale suscitato e alimentato dalla curiosità “entusiastica” di alcuni cittadini (soprattutto quelli dell'elite romana) nei confronti del “nuovo” o piuttosto siano il risultato di un adeguamento ad una trasfomazione sociale in atto che toccava ogni aspetto della vita quotidiana, non risparmiando quello religioso che senza dubbio non era secondario per il singolo uomo romano.

Volendo analizzare la questione dal punto di vista storico si deve partire dalla constatazione del fat- to che durante la dinastia giulio-claudia si comincia ad accogliere con maggiore sensibilità religiosa quei culti orientali che prima avevano trovato terreno fertile esclusivamente nella venerazione pri- vata sempre minacciata dalla politica restrittiva del senato. Fu proprio Claudio infatti, stando ad una notizia riportata da Iohannes Lidus86 ad amettere nel calendario ufficiale le dendrophoria, una festa

in onore di Cibele permettendo ai cittadini romani di assumere il sacerdozio. Un santuario dedicato ad Iside fu costruito sotto l'impero di Caligola presso il Campus Martius.

All'epoca di Tiberio nell'hypogaeum romano della Via Prenestina vicino a Porta maggiore, risale la raffigurazione della volta con Attis alato che da una nave consegna al pastore frigio Ganimede una torcia fiammeggiante87, una iconografia che anticipa quella dimensione universale della divinità di

Attis che emergerà con chiarezza dai richiami testuali precedentemente evidenziati nelle nostre de-

fixiones.

E' indubbio comunque che la popolarità di questi culti non solo a Roma ma in tutte le province oc- cidentali dell'Impero subisce una forte spinta propulsiva sotto la dinastia flavia ed è con ogni proba- bilità legata alle vicende personali della famiglia imperiale documentate, tra l'atro, da fonti storiche ed epigrafiche contemporanee. Tacito exempli gratia ci offre nelle Historiae la notizia che nell'anno d. C. 69 Vespasiano fu informato dall'oracolo di Serapide ad Alessandria, il cui culto era associato a quello di Isis, del fatto che sarebbe divenuto imperatore88: Altior inde Vespasiano cupido adeundi

sacram sedem ut super rebus imperii consuleret: arceri templo cunctos iubet. atque ingressus inten- tusque numini respexit pone tergum e primoribus Aegyptiorum nomine Basiliden, quem procul Ale- xandria plurium dierum itinere et aegro corpore detineri haud ignorabat. percontatur sacerdotes num illo die Basilides templum inisset, percontatur obvios num in urbe visus sit; denique missis equitibus explorat illo temporis momento octoginta milibus passuum afuisse: tunc divinam speciem et vim responsi ex nomine Basilidis interpretatus est. (“Si accese allora in Vespasiano un più vivo desiderio di visitare la sacra sede del dio, per consultarlo sulla sorte dell'impero. Vuole che tutti si allontanino dal tempio. Entrato, tutto preso dal pensiero del dio, scorge alle sue spalle uno dei più

86 De mensibus IV, 59.

87 Si veda Vermaseren, M. J. 1977 Cybele an Attis. The Myth and the Cult, London, p. 123, fig. 40. 88 Tac. Hist. IV, 82.

autorevoli cittadini egiziani di nome Basilide, che sapeva trattenuto da malattia in luogo distante parecchie giornate di cammino da Alessandria. Interroga i sacerdoti, se quel giorno Basilide fosse entrato nel tempio, interroga i passanti, se l'avessero visto in città, infine, inviati messi a cavallo, si accerta che in quel momento egli stava a una distanza di ottanta miglia: allora concluse che era una visione soprannaturale e dal nome di Basilide ricavò il senso del responso”).89

Un passo di Svetonio ci informa che nello stesso anno il figlio di Vespasiano, Domiziano, sfuggì ai partigiani di Vitellio nascondendosi in mezzo ai sacerdoti della dea Isis90:Bello Vitelliano confugit in

Capitolium cum patruo Sabino ac parte praesentium copiarum sed irrumpentibus adversariis et ar- dente templo apud aedituum clam pernoctavit ac mane Isiaci celatus habituinterque sacrificulos va- riae superstitioniscum se trans Tiberim adcondiscipuli sui matrem comite uno contulisset ita latuit ut scrutantibus qui vestigia subsecuti erant deprehendi non potuerit. (“ Durante la guerra contro Vi-

tellio, egli si rifugiò sul Campidoglio con suo zio Sabino e con una parte delle truppe flaviane che si trovavano a Roma, ma quando le truppe avversarie vi fecero irruzione e il tempio fu incendiato, egli si nascose e passò la notte presso il guardiano; il giorno dopo, travestito da sacerdote di Iside, si confuse con i sacrificatori dei diversi riti e, portatosi oltre il Tevere, con un solo compagno, presso

Documenti correlati