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Anche il Codice penale ci offre una definizione di onore. In tema di ingiuria, la nozione di

onore è relativa alle qualità che concorrono a determinare il valore di un determinato

individuo, mentre quella di decoro si riferisce al rispetto o al riguardo di cui ciascuno, in quanto essere umano, è comunque degno. Le due nozioni vanno riferite al concetto di dignità della persona che trova fondamento nell’art. 2 della Costituzione. L’onore in

186 V. Elisabetta D’Amico, Strategie di manipolazione dei giurati: Enrico Ferri e la coscienza

popolare, in Franco Colao, Luigi Lacchè, Claudia Storti (a cura di), Processo penale …, op. cit.; v. anche Claudia Storti, Incredulità e “malsana curiosità” dell’opinione pubblica: la logica dell’istruttoria tra politica legislativa e giurisprudenza di cassazione (1898-1930), ibidem.

187 Piero Calamandrei, Il processo come giuoco, in Opere giuridiche, vol. I, Napoli, Morano, 1965,

p. 561.

188

Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, vol. III, quad. 21 (XVII), § (121), pp. 2128-9.

189 Glauco Giostra, L’opinione pubblica in tribunale e il tribunale dell’opinione pubblica, in Marco

Nicola Miletti (a cura di), Riti, tecniche …, op. cit., p. 529.

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Luigi Lacchè, Il prestigio del male, ovvero come sorge la letteratura dei processi, in Marco Nicola Miletti (a cura di), Riti, tecniche …, op. cit.

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senso soggettivo e ristretto si identifica col sentimento che ciascuno ha della propria dignità, e designa quella somma di valori morali che l’individuo attribuisce a se stesso; l’onore quindi si riferisce alla rettitudine, probità e lealtà e al carattere e in genere alle qualità morali, che sono comuni a ogni persona. Il decoro in senso soggettivo riguarda invece la dignità fisica, sociale o intellettuale dell’individuo, e anche per tale somma di beni immateriali è possibile una valutazione soggettiva costituita dall’apprezzamento che l’individuo fa di tali beni rispetto a se stesso. La tutela penale dell’onore deve limitarsi ad un minimum certo nel senso che, al fine di accertare se sia stato leso il bene giuridico protetto dalla norma, occorre basarsi su una media convenzionale in rapporto alla personalità dell’offeso e dell’offensore.191

Gli articoli del Codice che si riferiscono ai delitti contro l’onore sono sei, e riguardano l’ingiuria e la diffamazione.192

191 Alberto Crespi, Giuseppe Zuccalà, Gabrio Forti, Commentario breve al Codice penale, Padova,

CEDAM, 2010, p.2121.

192

Art. 594: ingiuria (chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 516. Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa. La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino a euro 1032, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato. Le pene sono aumentate qualora l’offesa sia commessa in presenza di più persone; art. 595: diffamazione. Chiunque, fuori dai casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1032. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2065. Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516. Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate; art. 596: esclusione della prova liberatoria. Il colpevole dei delitti preveduti dai due articoli precedenti non è ammesso a provare, a sua discolpa, la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona offesa. Tuttavia, quando l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la persona offesa e l’offensore possono, d’accordo, prima che sia pronunciata sentenza irrevocabile, deferire ad un giurì d’onore il giudizio sulla verità del fatto medesimo. Quando l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la prova della verità del fatto medesimo è però sempre ammessa nel procedimento penale: 1) se la persona offesa è un pubblico ufficiale ed il fatto ad esso attribuito si riferisce all’esercizio delle sue funzioni; 2) se per il fatto attribuito alla persona offesa è tuttora aperto o si inizia contro di essa un procedimento penale; 3) se il querelante domanda formalmente che il giudizio si estenda ad accertare la verità o la falsità del fatto ad esso attribuito. Se la verità del fatto è provata o se per esso la persona, a cui il fatto è attribuito, è condannata dopo l’attribuzione del fatto medesimo, l’autore dell’imputazione non è punibile, salvo che i modi usati non rendano per se stessi applicabili le disposizioni dell’articolo 594, comma 1, ovvero dell’articolo 595, comma 1; art. 596 bis: diffamazione col mezzo della stampa. Se il delitto di diffamazione è commesso col mezzo della stampa le disposizioni dell’articolo precedente si applicano anche al direttore e vice-direttore responsabile, all’editore e allo stampatore, per i reati preveduti negli articoli 57, 57 bis e 58; art. 597: querela della persona offesa ed estinzione del reato. I delitti preveduti dagli articoli 594 e 595 sono punibili su querela della persona offesa. Se la persona offesa e l’offensore hanno esercitato la facoltà indicata nel capoverso dell’articolo precedente, la querela si considera tacitamente rinunciata o rimessa. Se la persona offesa muore prima che sia decorso il termine

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Ma ciò che meglio ci preme considerare è il cosiddetto delitto d’onore.193

L’omicidio per causa d’onore era quello in cui un marito, un padre, un fratello, uccidevano per difendere l’onore proprio e della famiglia, scoprendo un rapporto sessuale illecito, nell’atto stesso in cui ne venivano a conoscenza. Data la necessità di perseguire gli scopi procreativi della sessualità nell’esclusivo contesto di un rapporto legittimo, in altre parole di avere la certezza di essere realmente il padre biologico dei propri figli, l’attività sessuale veniva delimitata da due incriminazioni fondamentali, l’adulterio e lo stupro. Perseguire l’adulterio significava reprimere le deviazioni sessuali delle donne sposate, perseguire lo stupro quelle delle donne nubili. La figura dello stupro nella sua forma “semplice”, infatti, non si identifica con il moderno concetto di violenza carnale, ma consiste “nel solo concubito con persona libera di onesta vita”. In esso “assume dunque rilevanza penale il mero rapporto sessuale, solo perché intrattenuto con donna soggetta a una potestà familiare e «vincolata» pertanto ad una futura «destinazione sessuale» legittima”.194

Il sistema delle incriminazioni è dunque concepito in termini gradualistici, con una “costante lesiva” e più “variabili di gravità”. La costante è costituita dal rapporto sessuale, la cui offensività dipende non già dalla volontà della donna, ma dalla sua condizione: se libera, si tratta di una violazione del vincolo potestativo cui essa è soggetta; se coniugata, si tratta di una violazione dell’autorità maritale. Dallo stupro “semplice” germina per un verso lo stupro “qualificato” da modalità idonee a sorprendere l’innocenza delle fanciulle, e per un altro verso lo stupro “violento”, che pone la donna nell’impossibilità di adempiere il dovere di difendere l’onore familiare di cui è portatrice. In ogni caso, il contenuto offensivo del fatto gravita sul rapporto sessuale illegittimo: la seduzione o la violenza possono accentuare la gravità dell’offesa,

per proporre la querela, o se si tratta di offesa alla memoria di un defunto, possono proporre querela i prossimi congiunti, l’adottante e l’adottato. In tali casi, e altresì in quello in cui la persona offesa muoia dopo aver proposto la querela, la facoltà indicata nel capoverso dell’articolo precedente spetta ai prossimi congiunti, all’adottante e all’adottato; art. 598: offese in scritti e discorsi pronunciati dinanzi alle Autorità giudiziarie o amministrative. Non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori nei procedimenti dinanzi all’Autorità giudiziaria, ovvero dinanzi a un’Autorità amministrativa, quando le offese concernono l’oggetto della causa o del ricorso amministrativo. Il giudice, pronunciando nella causa, può, oltre ai provvedimenti disciplinari, ordinare la soppressione o la cancellazione, in tutto o in parte, delle scritture offensive, e assegnare alla persona offesa una somma a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale. Qualora si tratti di scritture per le quali la soppressione o cancellazione non possa eseguirsi, è fatta sulle medesime annotazione della sentenza; art. 599: ritorsione e provocazione. Nei casi preveduti dall’articolo 594, se le offese sono reciproche, il giudice può dichiarare non punibili uno o entrambi gli offensori. Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 594 e 595 nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso. La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche all’offensore che non abbia proposto querela per le offese ricevute.

193

V. Tullio Padovani, I delitti nelle relazioni private, in Storia d’Italia. Annali, op. cit., vol. 12, pp. 219 - 244.

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ma non ne spostano i termini di base. In questa prospettiva, dunque, sulla donna non si focalizza alcuna tutela diretta; l’offesa sessuale che la vede coinvolta si dirige in realtà a un interesse “superiore”, per lo più di carattere superindividuale: il pudore, il buon costume o l’ordine delle famiglie, ai quali si riferiscono i codici penali preunitari e lo stesso Codice Zanardelli.195

Lo stupro ha diversi livelli di gravità a seconda del “vincolo di destinazione” cui soggiace la donna che ne è vittima: più il vincolo è forte, come nel caso di una donna sposata o di una monaca, più la violenza subita appare grave; viceversa, si dibatte fino all’inizio del secolo XX se sia possibile parlare di stupro nel caso di violenza esercitata su una prostituta. Analogamente, non può sussistere violenza carnale nei confronti della moglie, poiché il marito è titolare di un diritto alla “prestazione corporea per il soddisfacimento sessuale, e così se egli a ciò la costringe usa delle facoltà a lui giuridicamente riconosciute e giuridicamente protette”.196

Per quanto concerne adulterio e concubinato, nel Codice Zanardelli (art. 353) “la moglie adultera è punita con la detenzione da tre a trenta mesi”; per il marito (art. 354) “tenere una concubina nella casa coniugale, o notoriamente altrove” è reato punito come l’adulterio. Nella pratica, però, queste sanzioni penali risultano inutili, perché offensori ed offesi hanno un interesse comune ad occultare il delitto; la pena diventa così uno strumento del tutto inefficace “a dissuadere da condotte rispetto alle quali è massima la speranza dell’impunità, e in cui il colpevole deve spesso temere assai di più la reazione del coniuge offeso; la persecuzione giudiziale finisce con l’essere dannosa allo stesso querelante e alla famiglia tutta per lo scandalo che determina”.197

Il Codice Zanardelli prevede numerose ipotesi che si rifanno alla “causa d’onore”, nel caso cioè in cui i reati siano stati commessi per salvare l’onore proprio e della famiglia, compromesso da una trasgressione sessuale. La “causa d’onore” costituisce attenuante per i delitti di occultamento e di soppressione di stato, quando il colpevole agisce per salvare l’onore proprio, della moglie, della madre, della discendente, della figlia adottiva o della sorella (art. 363); è attenuante per i delitti di omicidio o lesioni personali, se si è coniuge, ascendente, fratello, sorella, nell’atto in cui sorprenda il/la familiare in flagrante adulterio od illegittimo concubito (art. 377); è attenuante nel caso di aborto procurato per salvare l’onore di mogli, madre, etc. (art. 385), nel caso di abbandono o omicidio di infante “non ancora iscritto nei registri dello stato civile ed entro i primi cinque giorni dalla nascita” (art. 369, art. 388).198 “In animo sensibile ed impressionabile l’idea del disonore, del talamo violato, si trasmuta in irresistibile ossessione di vendetta, in impulso reattivo sì veemente che non giovano a frenarlo né principî etici, né l’aborrimento del sangue, né il pericolo di incorrere in grave responsabilità penale … e

195

Tullio Padovani, I delitti nelle relazioni private …, op. cit., p. 223.

196

Filippo Manci, Reati sessuali, Torino, Fratelli Bocca, 1927.

197 Tullio Padovani, I delitti nelle relazioni private …, op. cit., p. 232. 198

A proposito dell’infanticidio, si vedano Alessandro Stoppato, Infanticidio e procurato aborto, Verona-Padova, Drucker e Tedeschi, 1887, e Lino Ferriani, La infanticida nel codice penale e nella vita sociale, Milano, Fratelli Dumolard, 1896.

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chi negherà, che nella compagine della umana personalità, prodotta dall’ambiente sociale, in che si viene organando, l’idea dell’onore, il sentimento della gelosia, sentinella avanzata di custodia della felicità coniugale, non siano davvero i fulcri di qualunque altro nostro pensiero di dignità, di rispetto verso noi stessi, ed i nostri simili?”199

“La lettura della pur copiosa «dottrina» sviluppatasi sull’omicidio per causa d’onore fornisce, nel suo complesso e salvo sporadiche eccezioni, un esempio singolare di dogmatismo acritico e di ottusità politico-criminale: divisa fra il panegirico reazionario e l’acribia esegetica, essa risulta impermeabile a qualsiasi stimolo di riflessione critica condotta secondo canoni razionali”.200

In realtà, nel delitto d’onore possiamo ravvisare una sorta di abdicazione dell’autorità dello Stato nei confronti di una sorta di giustizia feudale praticata dall’autorità familiare nei confronti dei responsabili di devianze sessuali rispetto ai valori morali del gruppo. La legge dello Stato si inchinava alla legge della tribù. Lo Stato prestava il suo benevolo assenso alla giustizia privata, purché applicata in materia sessuale. Tale stato di cose permase fino al 1981, quando fu approvata la Legge 5 agosto 1981, n° 442, “Abrogazione della rilevanza penale della causa d’onore”.

“Con legge emanata il 28 giugno 1999 n. 205 il Parlamento delegava al Governo il compito di approntare la «depenalizzazione dei reati minori», disponendo al tempo stesso l’abrogazione degli articoli compresi tra il 394 ed il 401 del codice penale, concernenti il duello ed i reati connessi.”201

199

Michele Longo, Commentario al codice penale, II, Torino, Fratelli Bocca, 1911, pp. 383 sgg.

200 Tullio Padovani, I delitti nelle relazioni private …, op. cit., p. 235. 201

Corrado Santoro, Il Duello …, op. cit., p. 13. Nel medesimo testo è citata un’ampia letteratura giuridica relativa al duello; segnalo, per l’epoca di nostra pertinenza, gli articoli 237 - 245 del Codice Zanardelli:

art. 237: Chiunque sfida altri a duello, ancorché la sfida, non sia accettata, è punito con la multa sino a lire cinquecento: ma se egli sia stato la causa ingiusta e determinante del fatto dal quale è derivata la sfida, la pena è della detenzione sino a due mesi. Va esente da pena chi sia stato indotto alla sfida da grave insulto o da grave onta. Chi accetta la sfida, qualora sia stato la causa ingiusta e determinante del fatto dal quale essa è derivata è punito con la multa da lire cento a millecinquecento.

Art. 238: Chiunque fa uso delle armi in duello è punito, se non cagioni all’avversario lesione personale, con la detenzione sino a due mesi. Se il colpevole sia stato la causa ingiusta e determinante del duello, la detenzione è da quindici giorni a quattro mesi.

Art. 239: Il duellante è punito con la detenzione: 1. Da sei mesi a cinque anni, se uccida l’avversario o gli cagioni una lesione personale da cui derivi la morte; 2. Da un mese a cinque anni se gli cagioni una lesione personale che produca alcuno degli effetti preveduti nel primo capoverso dell’art. 372; 3. Sino a quattro mesi, se gli cagioni qualsiasi altra lesione personale. Se il colpevole sia stato la causa ingiusta e determinante del duello, la detenzione è, nel primo caso, da due a sette anni; nel secondo, da tre mesi a tre anni, e, nel terzo, da uno a sei mesi.

Art. 240: Le pene stabilite nella prima parte dei due precedenti articoli sono diminuite da un sesto ad un terzo, se il colpevole sia stato indotto al duello da grave insulto o da grave onta. Art. 241: I portatori della sfida sono puniti con la multa sino a lire cinquecento, ma vanno esenti da pena, se impediscano il combattimento. I padrini o secondi sono puniti con la multa da lire

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cento a mille, se il duello non abbia per effetto alcuna lesione personale, e con la detenzione sino a diciotto mesi negli altri casi: ma vanno esenti da pena, se, prima del duello, abbiano fatto quanto dipendeva da loro per conciliare le parti, o se, per opera di essi, il combattimento abbia un esito meno grave di quello che altrimenti poteva avere.

Art. 242: Quando alcuno dei duellanti non abbia avuto parte alcuna nel fatto che cagionò il duello, e si batta invece di chi vi ha direttamente interesse, le pene stabilite nei precedenti articoli 238 e 239 sono aumentate della metà. Non si applica tale aumento di pena, se il duellante sia un prossimo congiunto della persona direttamente interessata, ovvero se sia uno dei padrini o secondi che si batta invece del suo primo assente.

Art. 243: In vece delle disposizioni degli articoli 239 e 242, si applicano, per l’omicidio e la lesione personale, seguiti in duello, quelle dei capi I e II del titolo IX: 1. Se le condizioni del combattimento non siano state precedentemente stabilite da padrini o secondi, ovvero se il combattimento non segua alla loro presenza; 2. Se le armi adoperate nel combattimento non siano eguali, e non siano spade, sciabole o pistole egualmente cariche, ovvero se siano armi di precisione o a più colpi; 3. Se nella scelta delle armi o nel combattimento vi sia frode o violazione delle condizioni stabilite; 4. Se sia stato espressamente convenuto ovvero se risulti dalla specie del duello, o dalla distanza fra i combattenti, o dalle altre condizioni stabilite, che uno dei duellanti dovesse rimanere ucciso. In ogni caso la pena è della reclusione; e, ove la condanna non abbia per effetto l’interdizione perpetua, è aggiunta l’interdizione temporanea dai pubblici uffici. Se la lesione personale importi una pena inferiore a quelle stabilite negli articoli 239 e 242, si applicano tali pene, aumentate di un terzo, sostituita la reclusione alla detenzione. I padrini o secondi, nel caso dei numeri 2., 3. e 4. soggiacciono alle stesse pene stabilite in questo articolo per i duellanti; le quali però possono essere diminuite di un terzo. La frode o la violazione delle condizioni stabilite quanto alla scelta delle armi o al combattimento è a carico non solo di chi ne sia l’autore, ma anche di quello fra i duellanti, padrini o secondi, che ne abbia avuto conoscenza prima o nell’atto del combattimento.

Art. 244: Chiunque pubblicamente offende una persona o la fa segno in qualsiasi modo a pubblico disprezzo perché essa o non abbia sfidato o abbia ricusato il duello, ovvero, dimostrando o minacciando disprezzo, incita altri al duello, è punito con la detenzione da un mese a un anno.

Art. 245: Quando colui che provoca o sfida a duello o minaccia di provocare o sfidare agisca con l’intento di carpire danaro o altra utilità si applicano, secondo i casi, le disposizioni dell’art. 407 o dell’art. 409.

54 4 I PROTAGONISTI

4.1 Riassunto

Perché il lettore si orienti meglio tra i dettagli dei fatti che verranno proposti alla sua attenzione, credo opportuno delineare per sommi capi quanto avvenne nel settembre 1907 a Venezia. Anche per ciò che concerne la biografia dei personaggi del dramma, intendo preliminarmente fornire soltanto qualche nota per favorire una migliore comprensione del quadro generale e degli eventi che verranno via via esposti; la loro personalità emergerà progressivamente attraverso i documenti e le testimonianze raccolte in istruttoria ed esposte in Assise.

I nostri protagonisti sono quattro: Maria Tarnowska, nobile russa, separata dal marito, che viaggia per l’Europa attingendo, dagli amanti numerosi e facoltosi che si procura con sorprendente facilità, i mezzi per una vita dissipata e dissoluta; Donat Prilukov, avvocato moscovita di successo, che lascia moglie e figli per la donna fatale, trascura la professione al punto da derubare i propri clienti per rifornire la borsa dell’amante, cova propositi suicidi quando è afflitto dai rimorsi, e talvolta si prova a metterli in atto; Pavel Komarovskij, ricco conte russo: rimasto recentemente vedovo, ha rivisto la Tarnowska, se ne è innamorato e l’ha chiesta in moglie; Nikolaj Naumov, giovane russo di buona famiglia ancora alla ricerca del suo posto nella vita; imbattutosi nella maliarda, se ne innamora perdutamente, e viene ricambiato. La Tarnowska mostra di apprezzare la ricchezza del fidanzato, ma è assai meno interessata alle sue altre qualità; l’idea di sposarlo non la attrae, né l’attrae il pensiero che quel matrimonio rappresenterebbe la fine del genere di vita che tanto le si confà. Cova allora il progetto di convincere il conte

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