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Komarovskij: la vittima, Naumov: l’assassino, Prilukov e Maria Tarnowska: i mandanti

Per riassumere efficacemente i fatti, mi avvalgo della corrispondenza dell’inviato della Stampa di Torino, Cini, che il 3 marzo 1910, il giorno precedente l’inizio del dibattimento, pubblicava ad uso dei lettori un riassunto degli eventi, corredato di qualche nota biografica.

“Il delitto al 4 settembre 1907. Il processo al 4 marzo 1910. Quattro gli accusati. Non faccio cabale. Cito le date con l’amaro proposito di ripetere ancora una volta la solita lamentela contro la lentezza lumachevole della nostra giustizia … Le persone del dramma. Gli accusati: Maria Nicolaiewna, seconda genita dei coniugi conti O’ Rurk Mitzltzglieh Nicola e Caterina Petrowna Seholzka - nata a Otrada di Poltava il 9 giugno 1877, sposata al conte Wassili Tarnowsky. L’accusa così la descrive: Di modi insinuanti, alteramente signorili, intelligente, gentile cogli amici, sprezzante fino all’inverosimile verso le persone di servizio; carattere energico, ferreo, impetuoso, risoluto: dominata dalle sue passioni, autoritaria, imperiosa, tiranna specialmente con i suoi adoratori. In Russia aveva la pessima fama di una cocotte, e d’una avventuriera. Amante dei viaggi, del lusso smodato, il denaro fondeva nelle sue mani; egoista, piena di sé, s’interessava solo di ciò che poteva contribuire a crescere quel fascino che costituiva per lei un successo; infallibile in società: affettando cultura ed amore all’arte amava il denaro non per sentimento d’economia, ma per prodigalità e vizio: la sua alcova era ospitale non per il piacere, ma per calcolo e per l’utile. Nicola Naumow di Alessandro, di nobile famiglia

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La grafia dei nomi russi, nei diversi testi presi in considerazione, varia alquanto. In uno stesso articolo di giornale, ad esempio, compaiono i nomi Kiev, Kiew, Kieff, riferiti alla medesima città. Nei brani virgolettati, riporto la grafia così come l’ho trovata. Nel rimanente dei casi, uso la grafia corretta: i protagonisti della vicenda sono Marija Tarnowskaja, Nikolaj Naumov, Pavel Komarovskij (quasi sempre nei testi si legge “Kamarowsky”), Donat Prilukov. Ho però scelto di scrivere anch’io “Tarnowska” perché è la grafia quasi universalmente adottata nei testi, e lei stessa l’usava per sé.

Nel riportare brani virgolettati, ho mantenuto comunque la grafia, corretta o meno; ho mantenuto, salvo i casi in cui avrebbero potuto dar adito ad equivoci, anche gli errori di ortografia e sintassi, talvolta indicandoli in nota.

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del XIV secolo, pronipote del celebre scrittore Turghenieff. Nato a Mosca il 1° settembre 1881, laureato in legge nel 1905, volontario in un reggimento della guardia imperiale, poi impiegato civile al governatorato di Orel, l’accusa così lo descrive: Ingegno pronto, memoria prodigiosa, estro poetico, scrittore facile e rimarchevole: giornalista di valore; il migliore traduttore russo di Baudelaire e Coppée. Franco, retto, cavalleresco, d’onestà scrupolosa e capace di qualsiasi violenza se qualcosa urtasse contro d’esso intollerante del minimo insulto. Ma carattere incompleto, debole, suggestionabile, nevrastenico, incline all’alcool, soggetto ipnotico per eccellenza, con caratteri degenerativi, masochista morale ed anche masochista fisico perché si sottoponeva per il capriccio della sua innamorata a tortura con spilloni o col fuoco203. Avv. Donato Prilukoff, di Demetrio e Sofia Vandeminnarowna Bary, nato il 6 marzo 1870 a Pietroburgo, residente a Mosca. L’accusa così lo descrive: valente, rispettato, un po’ debole e dato alla vita dissipatrice. Prima di conoscere la Tarnowsky era amante del lavoro e della famiglia, non pareva proclive a passioni torbide, menava vita modesta e d’irreprensibile onestà. Di carattere buono, condiscendente facilmente, subiva l’altrui influenza. Elisa Perrier di Giorgio Alfredo e di Jacoud Emma, d’anni 30, nata a St. Croix (Cantone di Vaud) il 29 settembre 1879, governante. L’accusa così la descrive: Astuta e fedele fino a qualunque bassezza e reità d’ufficio: pronta anche al sacrificio di sé e della sua rispettabilità quando ciò alla padrona potesse giovare. Scaltra e finta, abile cooperatrice nelle tresche della padrona, delle quali ella in qualche momento vuol far credere essersi completamente disinteressata. La vittima: Conte Paolo Ergrafovitschte Komarowsky, nato ad Orel nel 1868. A 17 anni entrò nell’esercito, diventò capitano dei cosacchi, prese parte alla guerra russo-giapponese rimanendo ferito. Fu iscritto alla riserva. Sposò una celebre violoncellista, Emilia Roeder, che lo seguì sui campi di battaglia, come infermiera e guadagnandosi una decorazione. Rimase vedovo, con un figlio. Aveva sostanza rilevante, ma gravata di debiti, a cagione della sua vita spendereccia. Di modi distinti, corretti, vero gentiluomo, intelligente ma ingenuo, soverchiamente ottimista e fiducioso: incline ad una innocente vanteria: un po’ vanitoso. Dedito alla vita nomade: poco amante della famiglia; avventuroso e quindi imprudente. Di lui è giusto ricordare come ultima pennellata al suo ritratto, la frase di una sua lettera alla contessa Tarnowsky: Per poterti chiamare mia per sempre sono disposto anche al delitto: essere tuo marito anche per poco tempo e poi andare all’ergastolo. La psiche della vittima non è dunque molto diversa da quella dei complici o dei correi della contessa. Prova questa dell’ineluttabile e malefico fascino di costei? o più profonda prova di una sentimentalità e passionalità ben diversa dalla nostra nell’anima di tutto un popolo? - IL PROLOGO - La contessa Maria Nicolaiewna O’ Rurk Tarnowsky ebbe un passato molto agitato. La sua ancor breve esistenza offrirebbe materia a più romanzi. Ora ella, in una intervista pubblicata per mezzo degli avvocati suoi, perché in nessun altro modo ella avrebbe potuto far sentire la sua voce oltre le mura della Giudecca, sfronda il racconto curioso (?) che delle sue gesta ha fatto l’Accusa. Si piange vittima, e della sua vittima non ha molto rimpianto e per i

203 Il termine masochismo era diventato comune a partire dal 1870, anno di pubblicazione di

Venere in pelliccia, di Sacher-Masoch. Anche dai resoconti della stampa traspare spesso quanto fosse divenuta profonda l’influenza di questo libro. V. Leopold von Sacher-Masoch, Venus im Pelz, trad. it. G. De Angelis e M.T. Ferrari, Venere in pelliccia, Milano, Mnodadori, 2010.

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suoi complici non ha che parole livide e accusatrici. Tutte le grandi eroine di celebri processi hanno assunto sempre quell’atteggiamento ora di doloranti, se fingono ripiegarsi su sé stesse o se di sé stesse parlano; ora di alterezza quasi arrogante quando devono parlare delle loro vittime o dei loro complici. Per ora la parola è ancora soltanto all’Accusa, e questa senza misericordia leva le cortine dell’alcova della maliarda contessa. Giovinetta, sposò in modo romantico, di notte, nella chiesetta d’un villaggio perduto nell’aperta campagna, il conte Paolo204Tarnowsky. Breve periodo di felicità; quello immancabile in ogni unione dove ci sia una donna bella ed un uomo ricco. Poi la donna bella trova degli amanti, e l’uomo ricco ha sperperato il patrimonio per i capricci della moglie. La contessa Tarnowsky di amanti ne ebbe parecchi. I suoi amori sono stati sempre torbidi e fortunosi, quasi sempre resi acri da uno speciale pervertimento di martoriare gli innamorati, non dimenticando di arroventare la gelosia del marito. L’Accusa, forse con un po’ d’eccessività di giudizio, la dice una sadista. Certo ella ha lasciato sempre dietro di sé una scia di sangue. Fatalità o maliarde arti di Circe? Il suo cuore, che ha stregati molti amori, non ha trasalito ai colpi di rivoltella che spappolavano i cervelli che non avevano pensato che a lei, che perforavano i cuori che non avevano battuto che per lei. Dannunzianamente incestuosa la vuole l’Accusa. Ella avrebbe spinto pure il cognato, folle di lei, al suicidio. Il conte Tolstoj ha una partita d’armi col marito della contessa e lo ferisce non l’uccide come avrebbe desiderato la contessa stessa, la quale spingeva i suoi amanti a sfidare il marito, sperando che una volta o l’altra questi avrebbe finito di liberarla dalla sua incomoda presenza, come già aveva fatto il giudice Stalk, che, per farle cosa grata, si era fatto saltare le cervella. Ma il marito un giorno, spazientito finì di ucciderle l’amante del cuore, quel Borgewsky che, per darle diletto, un giorno s’era traforata una mano con un colpo di moschetto. Questo romanzo vissuto non rintrona che di colpi di rivoltella e di fucile. Ci fa la sua comparsa anche il veleno, ma solo in un episodio relativamente secondario ormai e cioè quando la contessa - si dice - aveva tentato di avvelenare il marito con una coppa di champagne dove aveva versato non so quale tossico. Maria Nicolaiewna Tarnowsky aveva sperato che se pure gli amanti non gliel’avevano ucciso, almeno la giustizia relegasse il marito in Siberia per l’inattesa sua violenta reazione contro Borgewsky. Ma, mentre ella, in Crimea, curava il morente, la giustizia russa mandava assolto il conte Tarnowsky così come avrebbe fatto la giustizia italiana. Borgewsky morì, la contessa assistette alla sua autopsia, poi ritornò in patria coll’intento di separarsi dal marito. Le pratiche furono lunghe e laboriose. Il Sacro Sinodo, ritenendo tutti e due i coniugi adulteri, li condannò a portare per sempre la catena della loro insopportabile unione. Per la causa la contessa era ricorsa al patrocinio dell’avv. Donato Prilukoff, valentissimo professionista. Non è cosa molto rara che la cliente diventi l’amante dell’avvocato. Per il carattere di Prilukoff e per le consuetudini della contessa tale mutamento di rapporti fu tra i due più facile del solito. Caduto in mano dell’affascinatrice, l’avvocato Prilukoff fu rovinato nella professione, nel patrimonio, nella pace famigliare. Volendo egli resistere alla malia distruggitrice, Maria Nicolaiewna gli mette nell’animo tanta disperazione che tenta di suicidarsi. La contessa va al suo capezzale e ne discaccia la moglie e lo righermisce, facendolo sua preda fino al

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punto di diventare ladro. Donato Prilukoff ruba circa 80.000 rubli che i clienti gli avevano lasciato in deposito e fugge dalla Russia assillato dai suoi rimorsi, impazzito pel suo amore. La contessa e l’avvocato girano mezza Europa conducendo vita equivoca d’avventurieri, fino al giorno in cui cominciano a mancare i denari. La Tarnowsky aveva dieci anni prima conosciuto a Nizza il conte Komarowsky e la sua signora; poi li aveva perduti di vista. In quel tempo in cui appunto incominciarono per i due amanti i disagi per difetto di denaro, la contessa ebbe notizia della morte della contessa Komarowsky. Ella da Parigi, dov si trovava, corre a Dresda ai funerali dell’amica e si fa notare dal conte per la sua squisita gentilezza, e tanto si fa notare, che un mese dopo riceve da costui invito di fare insieme un viaggio fino a Varsavia. Ad Orel il Komarowsky presentò alla contessa Nicola Naumow. Alla sera stessa ella si faceva da questi accompagnare nella sua camera all’albergo. Tutti i personaggi del terribile dramma, che dovrà precipitare tra poco, sono dunque già raccolti nell’orbita del fascino invincibile della fatalissima donna. Anche Elisa Perrier ormai è diventata lo strumento cieco della volontà della padrona. «Nonostante la condotta immorale della Tarnowsky - spiegherà poi al giudice - io ho continuato a servirla perché avevo giurato al letto di morte di Borgewsky che non l’avrei abbandonata se non quando essa si sarebbe rimaritata od avrebbe dimenticato il Borgewsky, e la Tarnowsky non l’aveva mai dimenticato perché aveva trovato nel Prilukoff e nel Naumow tratti fisionomici dell’amante ucciso!» Maria Nicolaiewna intanto pensava alla necessità di rimpinguare le sue sostanze. Il denaro (e molto denaro) le occorreva per la sua vita avventurosa. E tramò l’infame delitto. Ella passa dall’uno all’altro uomo, facendo loro larga copia di favori, assillando negli uni la gelosia, nell’altro la passione, nel terzo la disperazione della sua ormai vergognosa posizione. Ad Orel è con Naumow, a Berlino è con Komarowsky, e lo fa delirare d’amore, tanto ch’egli la chiede in sposa. Ella promette a condizione d’ottenere il divorzio dal marito, condizione ch’ella sa non si avvererà mai perché il divorzio le è stato rifiutato dalla sapienza (ahimè poco psicologa!) del sacro Sinodo. Ma a Berlino fa anche venire Prilukof, col pretesto di restituirgli il suo denaro. Quivi gli avvelena l’animo colla confessione dell’amore di Komarowsky: cinicamente gli propone il suicidio. Ella continua nel suo infernale ordimento e conoscendo a fondo l’animo degli uomini e la psiche speciale dei suoi innamorati, abilmente insinua nel cuore degli uni l’odio per gli altri. La coscienza, dapprima esitante di Prilukof, è finalmente vinta. Egli stringe colla tragica contessa il patto indegno. A Venezia si ritrovano ancora riuniti Komarowsky e Prilukof e la contessa, ma Prilukof si tiene prudentemente nell’ombra, non rinunciando però ai suoi diritti sulla donna, la quale intanto ha accettato di fidanzarsi ufficialmente con l’incauto conte. Un mese dopo quegli veniva ucciso e la sua sentenza era stata decretata dalla femmina, che egli adorava. In quel giorno stesso in cui, cedendo alle sue lusinghe, dopo aver fatto testamento in suo favore, firmava un contratto di assicurazione per mezzo milione, che in caso di sua morte doveva essere pagato alla contessa. - IL DRAMMA - Ma troppo avida di denaro Maria Nicolaiewna precipitò imprudentemente gli avvenimenti e più ancora sarebbe stata rapida la fine del disgraziato conte se Prilukof avesse accettato senza esitazione il mandato di ucciderlo. Sono caratteristiche nei grandi delinquenti, dotati di raffinata astuzia, queste imprevidenze o ingenuità, che costituiscono la fortuna delle polizie. Prilukof s’esercitò a tirare alla pistola, pensò d’adoprare sigarette avvelenate ed

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avvelenati pugnali, ma la contessa s’accorse che non era egli uomo sul quale nell’ora suprema si potesse con fermezza contare. Allora si ricordò di Naumow e, colla complicità di Prilukof e della Perrier, dopo esserlo andata a ricercare e dopo averlo nuovamente infervorato del suo amore colle arti più scaltre della seduzione, incominciò ad esacerbargli l’animo, ferendolo nell’onore con apocrifi telegrammi del Komarowsky e spingendolo col ricordo degli altri amanti morti per lei, a trarre atroce vendetta del rivale. Naunow resiste. Non si sente di uccidere un uomo inerme, un amico. La contessa lo inebria dei suoi baci, lo trascina dietro sé in lunghi viaggi, durante i quali gli si concede, si fa accompagnare sulla tomba dello Stalk, gli fa giurare la completa incondizionata dedizione ai suoi voleri, lo benedice, gli pone gli amuleti al collo, gli dà i consigli per la fuga dopo il delitto, e lo manda a Venezia, col sapore dei suoi ardenti baci sulle labbra, a commettere la strage, mentre Elisa Perrier, che avrà certamente coadiuvata la padrona nell’opera di persuasione, gli augurerà, con un dolce sospiro: buona fortuna! Komarowsky intanto attende a Venezia la fidanzata, e sogna di lei, e non pensa che a colei che ogni giorno gli inviava per telegrafo il suo saluto ardente: «inquietami essere senza tue notizie: sono terminati affari (ella aveva detto al conte che doveva liquidare una contabilità con un suo debitore) verrò, caro, presso di te. Sii tranquillo: carezze dalla casta fidanzata». A Venezia giunge invece Naumow: scende all’Hotel Danieli. Per un giorno sta in agguato invano. Ritorna all’albergo, beve vodka: rimanda al domani la terribile esecuzione. Intanto la prudente Maria Nicolaiewna aveva pensato che, ucciso il conte, un altro uomo le dava inutile imbarazzo: Naumow. Ed allora organizza con Prilukof, e per mezzo di detectives, un appostamento a Venezia, allo scopo di far arrestare il Naumow non appena questi avesse compiuto il delitto. I tre uomini che ella aveva attratti fatalmente per diversi intenti, ma con un mezzo solo, nell’orbita del suo fascino, il 4 settembre si trovavano riuniti a Venezia. L’ora fatale era scoccata. Naumow si recò a casa del Komarowsky: ammesso nella saletta, non appena il conte apparve gli sparò contro tutti i colpi della sua rivoltella. L’infelice stramazzò in terra: ma si rialzò subito in uno sforzo vigoroso, e volgendosi al suo feritore, quasi in dolce rimprovero gli dice:

- Perché mi hai voluto uccidere? Che ti ho fatto? Naumow, ancora tutto fremente, risponde imperioso: - Non dovevate fidanzarvi con Maria.

Ed il ferito, con voce tremante di commozione:

- Non hai tu pensato che ho un figlio: e che egli resterà solo?

Allora Naumow scroscia in disperato pianto, bacia la mano al rivale ed implora da lui pietà e perdono.

- Va a chiedere un dottore, e fuggi - consiglia il conte.

Naumow nella sua fuga però commette una imprudenza. Eccita il gondoliere a remare gagliardamente, ed ogni esortazione accompagna coll’offerta di cento lire. L’onesto gondoliere, insospettito, indica lo strano viaggiatore alla guardia che è allo scalo della

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ferrovia. Questi riesce ancora a prendere il numero dello scompartimento di prima classe in cui era salito il Naumow. Lo telegrafa alla Polizia di Verona. Quando Naumow giunge a questa stazione è accolto dagli agenti di Questura, che rimangono sorpresi di vederlo in tranquillo e galante colloquio con una bella viaggiatrice, cui aveva offerto un magnifico mazzo di garofani rossi. - L’EPILOGO - Questa la traccia del dramma, che i lettori dovranno ricordare per seguire meglio lo svolgersi del dibattimento. Moribondo, il conte Komarowsky invocava la sua adorata, la quale a Vienna205, sconvolta dalla notizia che lo sciagurato non era morto sul colpo, continuava a chiedere a Prilukof notizie. Andata a Vienna, dove sperava di incontrarsi con costui, fu arrestata”.206

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