• Non ci sono risultati.

Dentro il “laboratorio”: la struttura dell’opera.

Prima di “addentrarci” all’interno del testo, è utile soffermarci sul titolo del romanzo. Esso segna una “frattura” con i due precedenti, in quanto non si riferisce a una fase “biologico-anagrafica” del personaggio, ma alla stagione estiva. Non sono chiari i motivi che hanno spinto Coetzee ad adottare tale titolo, ma esso potrebbe essere riconducibile ugualmente, forse in modo più dissimulato, al periodo della vita dell’artista che è oggetto del romanzo, ossia la fase “adulta”, nonché quella della raggiunta maturità intellettuale. Questa argomentazione potrebbe essere avallata dal confronto con Youth, dove John era “tormentato” dal freddo londinese, che sembrava anch’esso rendere sterili i suoi tentativi di diventare un artista, e provava nostalgia per le estati sudafricane. La “summertime” potrebbe essere quindi una metafora legata al fiorire della formazione dell’artista, ormai adulto e consapevole del suo talento di scrittore. In realtà, però, si evince dal testo che John non è ancora divenuto uno scrittore affermato, anche se è riuscito a pubblicare il suo primo romanzo, Dusklands, ma che

da Justin Neuman, “Unexpected Cosmopolitans: Media and Diaspora in J.M. Coetzee’s

anzi sta ancora cercando una posizione stabile. Il titolo potrebbe, in questo senso, avere pure una sfumatura ironica; visto anche che il biografato è ormai putativamente deceduto.

Il testo è preceduto da un sommario, nel quale sono elencate le sette sezioni in cui è suddiviso, di cui cinque recano il nome delle persone intervistate (nell’ordine Julia, Margot, Adriana, Martin, Sophie), mentre le altre due sono quelle relative ai diari (i primi, in apertura dell’opera, datati 1972-75, i secondi in chiusura, indicati come “undated fragments”); ogni sezione può essere letta indipendentemente dalle altre84, poiché l’opera non segue una vera e propria trama. Si potrebbe parlare di una struttura “a cornice”, in cui ogni personaggio racconta la propria versione di Coetzee, e le varie voci sono “orchestrate” dal biografo, Mr. Vincent.

Nel testo - se si escludono le parti relative ai “notebooks”, che presentano le stesse tecniche narrative messe in atto in Boyhood e Youth – non pare esserci traccia del narratore eterodiegetico (la sua “voce” serpeggia tuttavia tra i commenti degli intervistati). Le varie sezioni sono infatti scritte sotto forma di interviste che non lasciano spazio ai commenti del narratore; vediamo per esempio un breve estratto dell’intervista condotta da Mr. Vincent a Sophie, una collega e amante di John Coetzee:

Did he get on well with students?

That I can’t say. Perhaps if you track down old students of his they will be able to help you.

And yourself? Compared with him, did you get on well with students?

[Laughs.] What is it you want me to say? Yes, I suppose I was the more popular one, the more enthusiastic. I was young, remember, and it was a pleasure form me

84

Anche in Diary of a Bad Year, Coetzee aveva adottato un procedimento simile: in quel caso, quasi ogni pagina era suddivisa in tre sezioni relative ai personaggi principali, che si potevano leggere separatamente, ma che comunque presentavano delle interrelazioni. L’intento dell’autore era quello di creare una sorta di “polifonia” analoga a quella registrata in uno spartito musicale. Sull’argomento, si rimanda a Giuliana Iannaccaro, J.M. Coetzee, cit., pp. 243-253.

to be talking about books for a change, after all the language classes. We made a good pair, I thought, he more serious, more reserved, I more open, more flamboyant.

He was considerably older than you. Ten years. He was ten years older than me. [Silence] (224)

Dal passo citato si può vedere come vengano scrupolosamente rispettate le norme per la trascrizione delle interviste: separazione dei turni di parola, stesura delle pause, inclusione di segnali non verbali tra parentesi quadre, ecc.

Alla fine dei colloqui sono riportati la data e il luogo in cui si sono svolti, e apprendiamo che nel testo essi non sono disposti in ordine cronologico:

Julia: Kingston, Ontario, May 2008.

Margot: Somerset West, South Africa, December 2007 and June 2008. Adriana: São Paulo, Brazil, December 2007.

Martin: Sheffield, England, September 2007. Sophie: Paris, January 2008.

Come si può osservare, ci sono stati due incontri con Margot, la cugina del protagonista, ma quello riportato nel testo è il secondo, avvenuto nel 2008, che non consiste in una vera e propria intervista, ma in un rimaneggiamento editoriale da parte del biografo:

Let me tell you, Mrs Jonker, what I have been doing since we met last December. After I got back to England I transcribed the tapes of our conversations. I asked a colleague from South Africa to check that I had the Afrikaans words right. Then I did something fairly radical. I cut out my prompts and questions and fixed up the prose to read as an uninterrupted narrative spoken in your voice.

What I would like to do today, if you are agreeable, is to read through the new text with you. (87; corsivi miei)

Il paragrafo, che apre la sezione, indica pertanto che il secondo dialogo con la donna servirà per confermare quanto discusso nell’intervista precedente; ma non solo: in queste poche righe viene condensata la descrizione del metodo seguito dal biografo, il quale ha, a questo punto, raccolto tutte le interviste e si appresta alla stesura del libro. E difatti Summertime è anche questo: un libro sulla scrittura di un libro, precisamente di una biografia e, in senso metafinzionale, di un’autobiografia.

L’intento di Mr. Vincent rievoca inoltre le strategie “consumate” dell’omonima figura autoriale in Foe, volgendo l’occhio ai destinatari e alla necessità di accattivarli o interessarli. Egli spiega a Margot che, “because the story you [Margot] told was so long I dramatized it here and there, letting people speak in their own voices” (ibidem; corsivo mio). Inoltre, si possono qui cogliere analogie con l’esperimento condotto da Coetzee in Boyhood e Youth, ma in un modo forse più complesso: riportare la testimonianza di Margot come se lei stessa la raccontasse in terza persona, con ulteriori interpolazioni eterodiegetiche. La donna è pertanto confusa dal metodo del biografo, e mostra le sue perplessità - I don’t understand. Why do you call me she? (89) - a cui egli replica: “the she I use is like I but is not I”85 (ibidem).

Nel corso del dialogo tra i due, apprendiamo che l’operazione di “adattamento” della testimonianza comporta anche l’aggiunta di dettagli non completamente corrispondenti al vero: “Did I say all that? I don’t remember / I added a detail or two to bring the scene to life” (105). Questo

85

Da notare inoltre come il rovesciamento di prospettiva sia esplicitato anche graficamente: abbiamo visto come, nell’estratto dell’intervista a Sophie, la “voce” di Vincent sia trascritta in corsivo, mentre quella di lei in stampatello. Nel colloquio con Margot avviene il contrario: si potrebbe ipotizzare che, oltre al fatto che in questo caso è il biografo ad agire da narratore, qui Coetzee abbia voluto assegnare un ruolo predominante alla donna rispetto al biografo. E’ infatti lei che, sovente, pone le domande, a cui egli risponde mostrando incertezza.

aspetto evoca il problema dell’autenticità, non solo all’interno del romanzo, ma anche dal punto di vista meta-narrativo: infatti, è come se Coetzee voglia in qualche modo sviare il lettore dal considerare come “verità assoluta” quanto di lui viene riportato nell’opera. Inoltre, come egli spiegava già in Doubling the Point, il processo di scrittura innesca un meccanismo insito nel linguaggio stesso, ovvero

the tendency of words to call up other words, to fall into patterns that keep propagating themselves. Out of that interplay there emerges, if you are lucky, what you recognize or hope to recognize as the true. I don’t see that “straight” autobiographical writing is any different in kind from what I have been describing. Truth is something that comes in the process of writing, or comes from the process of writing.86

Come si è visto, quindi, il biografo non si limita a raccogliere le informazioni, ma tende a modificarle in maniera più o meno tendenziosa. Un altro problema, che è indirettamente collegato, è relativo al fatto che le interviste si sono svolte diversi decenni dopo gli eventi narrati, per cui l’autenticità delle testimonianze è ulteriormente messa in discussione. Non è solo Mr. Vincent a “inventare” alcuni dettagli, ma gli stessi intervistati partecipano a un’operazione apocrifa, come nel caso di Julia, un’altra amante di John, le cui parole riconfermano quanto espresso da Coetzee in Doubling the Point:

So let me be candid: as far as the dialogue is concerned, I am making it up as I go along. Which I presume is permitted, since we are talking about a writer. What I am telling you may not be true to the letter, but it is true to the spirit, be assured of that. (32)

Queste parole, attribuite a Julia, possono essere interpretate come una sorta di “ammissione” a tutto campo: l’autore reale (quindi Coetzee stesso)

86

sembra infatti dire che, sebbene molte delle storie narrate non corrispondano al vero87, ciò che conta è che l’“essenza” del Coetzee di quegli anni risulti, essa sì, coerente con la realtà.

Questo estratto ci consente inoltre di “udire” la voce dell’autore reale celata dietro le affermazioni dei personaggi. Nell’intervista che Vincent sottopone a un collega del protagonista, Martin (tra l’altro la prima in ordine cronologico), si parla anche del metodo che il biografo, ancora al primo stadio della sua ricerca, vuole adottare. Martin si mostra scettico sul procedimento, che non esita a definire “peculiar” (217): Vincent ha infatti selezionato le persone in base a “clues he [Coetzee] dropped in his notebooks – clues as to who was important to him at the time” (ibidem); essendo molte di loro ormai decedute, la lista si è ridotta a cinque.

Martin ha inoltre il sospetto che il lavoro di Vincent possa essere “slanted toward the personal and the intimate at the expense of the man’s actual achievements as a writer” (218), soprattutto perché egli non ha intenzione di prendere in considerazione le opere del biografato. E’ a questo punto, nelle parole di Martin, che si può cogliere distintamente la voce dell’autore reale (ovvero Coetzee stesso): “it seems to me strange to be doing the biography of a writer while ignoring his writing. But perhaps I am wrong. Perhaps I am out of date” (ibidem). Dal punto di vista dialettico, se è vero che per Coetzee “all writing is autobiography”88

, si può leggere da una parte una critica a Vincent e, dall’altra, una forma di autocensura

87

Jonathan Dee è ancora più severo quando afferma che, nonostante “even the most faithful and exacting memoir contains an element of invention, […] much of Coetzee’s self-portrait in

Summertime is substantially falsified”. Jonathan Dee, review of Summertime: “J.M. Coetzee, a

Disembodied Man”, The New York Times, 24 December 2009.

88

J.M. Coetzee, Doubling the Point: Essays and Interviews, cit., p. 17. Al tempo stesso, e qui la matassa si aggroviglia, Vincent opera in un certo senso nella direzione della seconda parte del sillogismo di Coetzee, secondo il quale “all writing is autobiography”, ma “all autobiography is storytelling”.

attraverso la messa in dubbio dell’affermazione di Martin (“perhaps I am out of date”).

In una sorta di controcanto rispetto alle voci degli intervistati, il testo si apre e si chiude con la testimonianza dello stesso autore: il primo “notebook”, datato 22 agosto 1972, esordisce con il resoconto di un avvenimento di sangue in Sudafrica. Lo stile è del tutto impersonale, ed anzi colpisce il tono “giornalistico” con cui si riportano i fatti. Quasi tutti i frammenti (sia quelli datati che gli “undated”) sono accompagnati alla fine da un commento in corsivo. Di seguito alcuni esempi:

To be expanded on: his father’s response to the times as compared to his own; their differences, their (overriding) similarities. (6)

Question: How would he react if his father were to grip his arm like that? (9) To be developed: his own, home-grown theory of education, its roots in (a) Plato and (b) Freud [...] (255)

A una prima lettura, si potrebbe pensare che tali commenti siano stati inseriti dal biografo, ma, come egli stesso rivela a Julia, sono stati scritti dallo stesso Coetzee nel 1999 o 2000, “when he was thinking of adapting those particular entries for a book” (20). I notebooks sono disposti in ordine cronologico, anche se ci sono diverse lacune tra un diario e l’altro; per esempio, non c’è nessun frammento relativo al 197489.

La particolare struttura dell’opera che, come abbiamo visto, prevede anche una commistione di generi, per cui si potrebbe dire che Coetzee “conii” un nuovo modello di scrittura autobiografica rifratta e metasoggettiva, genera una sensazione di “displacement”: infatti, le testimonianze sono disposte in ordine casuale, accentuando le zone d’ombra e la visione frammentata del protagonista. Il fatto poi che i

89

notebooks siano collocati all’inizio e alla fine dell’opera sembra quasi un modo per comunicare che, con buona pace dei racconti degli intervistati, è il referente principale ad avere l’“autorità”, la prima e l’ultima parola.

Infine, un commento sul ruolo di Mr. Vincent: a dispetto del nome, evocante un senso di vittoria, l’immagine che affiora dall’opera non è affatto positiva. Egli non ha mai scritto una biografia, per cui, come abbiamo visto, ha molte incertezze sul metodo, criticato dagli stessi intervistati; senza considerare che non ha mai conosciuto Coetzee in vita e si deve basare sul racconto di un piccolo gruppo di persone. Inoltre, egli si mostra “an untrustworthy custodian”90

delle testimonianze su Coetzee, pronto a manipolare il materiale raccolto.

Tuttavia, il suo è un ruolo importante all’interno dell’opera perché funge da “framing device”91

, al fine di conferire una pur minima organicità all’immagine dello scrittore defunto. Per fare ciò, egli deve fare viaggi in diverse parti del mondo. Nel paragrafo seguente si affronterà proprio il tema della frammentazione anche geografica del personaggio di Coetzee.

Documenti correlati