3.1. Rivelazione predibattimentale delle prove.
Il “deposito delle liste testimoniali” si presenta come l’atto maggiormente rappresentativo dell’esercizio del diritto alla prova sancito dall’art. 190 c.p.p. Le parti che prevedono di presentare propri testi al dibattimento hanno l’onere di depositarne la lista nei tempi e nelle forme previste. Infatti, l’articolo 468, comma 1 c.p.p., rubricato “Citazione testimoni, periti e consulenti tecnici”, prescrive alle parti <<che intendono chiedere l’esame di testimoni, periti o consulenti tecnici nonché delle persone indicate all’art. 210>> di <<a pena di inammissibilità, depositare in cancelleria, almeno sette giorni prima della data fissata per il dibattimento, la lista con l’indicazione delle circostanze su cui deve vertere l’esame>>.
Questa attività, che si colloca tra gli atti preliminari al dibattimento, costituisce il presupposto e la preparazione per l’introduzione delle testimonianze sia dell’accusa che della difesa. <<Il procedimento introduttivo delle prove ha, infatti, carattere complesso ed implica un’attività della parte (presentazione della lista), una del presidente (autorizzazione alla citazione) e un giudizio definitivo di ammissibilità demandato al collegio giudicante84>>.
Le liste testimoniali hanno una prevalente funzione di discovery intesa come possibilità concessa a ciascuna parte di interloquire e difendersi sulle richieste della controparte. Segue il principio di par
condicio tra le parti, pubbliche e private, anche per la materia
84 G. Bonetto, Sub art. 468, in Commento al nuovo codice di procedura penale, coord. Da M. Chiavario, vol. V, Utet, Torino, 1991. pag. 45.
probatoria, infatti è volta a garantire un effettivo e corretto contraddittorio evitando l’introduzione di prove a sorpresa.
Indicative di questa ratio sono le previsioni dell’art. 468 c.p.p., secondo cui le liste debbono contenere non solo l’elenco delle persone da esaminare ma anche le circostanze e devono essere depositate almeno sette giorni prima del dibattimento.
La dottrina non è unanime, c’è chi sostiene che la norma in esame <<ha funzione di preselezione ed organizzazione del materiale probatorio, piuttosto che una funzione di discovery>>85, più nello
specifico << che l’art. 468 regola i diritti delle parti alla prova e gli obblighi reciproci di lealtà.>>
Tali perplessità discenderebbero anche dal fatto che per il PM la scoperta è solo formale: dall’introduzione nel nostro ordinamento dell’art. 415 bis c.p.p. l’organo dell’accusa svela alla controparte prima della presentazione della lista i propri elementi di prova. Soltanto con il deposito della lista vengono rivelate alla parte antagonista le eventuali indagini integrative compiute a norma dell’art. 430 c.p.p.
Il concetto di discovery così definito può apparire vago ed indefinito per cui è necessario disegnarne i contorni in maniera puntuale.
Attraverso il meccanismo previsto nell’art. 468 c.p.p., recuperiamo la sequenza di fattori atta a caratterizzare il procedimento di “rivelazione”.
Il primo a dover essere reso noto è l’elemento, <<ciò che può essere utilizzato dal giudice come fondamento della sua successiva attività inferenziale86>>.
85 F.M. Iacoviello, Cass. Pen., 1993, p. 289.
Il secondo è quello che si usa al fine di provare i <<precisi riscontri di ordine formale87>> attraverso gli strumenti predisposti dal
legislatore.
Il riferimento è alla fonte di prova, al soggetto o all’oggetto che individua almeno un elemento di prova per il procedimento: si fa strada nel procedimento attraverso il mezzo di prova sulla base del quale prenderà avvio la valutazione del giudice il cui esito sarà rappresentato da una proposizione costituente il vero e proprio risultato di prova.
Rimane immune dall’effetto discovery l’elemento di prova, ovvero il contenuto della dichiarazione testimoniale, il quale presuppone l’esame della fonte sull’oggetto indicato nella lista.
Escluso dal predibattimento, vedrà la luce all’esito dell’assunzione, cioè quando si verifica la c.d. prova riuscita: l’oggetto di prova, anticipato negli atti preliminari con l’indicazione delle circostanze, specificato nel corso degli atti introduttivi, con l’indicazione dei fatti da provare, si potrà considerare provato se vi è piena coincidenza tra l’affermazione probatoria e il risultato di prova.
Nell'ipotesi, invece, di non coincidenza tra risultato di prova ed affermazione probatoria, ci si esprimerà affermando che "la prova è mancata, fallita”: la prova vi è stata ma ha dato esito negativo, non ha conferito nulla di fruibile per la ricostruzione fattuale.
Proprio il ritenere esperita la prova indipendentemente dalla constatazione di (non) coincidenza tra oggetto e risultato di prova ha consentito, sul piano della teoria generale, il riconoscimento, per quanto concerne i dati impiegabili in sede di giudizio, del principio di acquisizione processuale, secondo cui <<il giudice può utilizzare le risultanze probatorie anche per scopi differenti da quelli cui miravano le parti producenti88>>.
87 Idem.
A questo punto è doveroso operare un distinguo tra gli elementi probatori dell’accusa e della difesa.
Dal punto di vista cronologico, ai primi non può riconoscersi un effetto di discovery originario: fin dalla conclusione delle indagini preliminari, i contributi testimoniali vengono resi noti alla difesa. Un simile effetto di scoperta non è riscontrabile per gli elementi in possesso della difesa. Il difensore non ha alcun obbligo, il deposito della lista costituisce effettivamente il primo momento in cui la difesa rivelerà alle altre parti i propri elementi probatori.
Nel caso in cui la difesa abbia optato per la formazione di un proprio fascicolo, la facoltatività della discovery si arresta alle soglie del giudizio. L’art. 391 octies c.p.p. prevede infatti che <<Nel corso delle indagini preliminari e nell’udienza preliminare, quando il giudice deve adottare una decisione con l’intervento della parte privata, il difensore può presentargli direttamente gli elementi di prova a favore del proprio assistito. […] La documentazione è inserita nel fascicolo del difensore, che è formato e conservato presso l’ufficio del giudice per le indagini preliminari. […] Dopo la chiusura delle indagini preliminari il fascicolo del difensore è inserito nel fascicolo di cui all’art. 433>>.
Di conseguenza, al contrario delle parti private, quella pubblica potrebbe giungere al predibattimento completamente all’oscuro degli elementi in mano alla difesa.
L’art. 468 c.p.p. risulta caratterizzato da una bilateralità piena89, volta
a realizzare in maniera effettiva la par condicio tra parti processuali, parità da cui il modello costituzionale non consente di prescindere nell’ambito del diritto alla prova.
89 R. Bonsignori, voce Dibattimento II) Atti preliminari al dibattimento, in Enc. Giur., X, 2001, p. 7.
Accanto alla finalità di discovery, il deposito della lista assolve alla funzione di fornire alle parti lo strumento legale per ottenere la presentazione del testimone o della persona dedotta.
Il deposito delle liste, obbligatorio anche se la parte deducente non intende chiedere l’autorizzazione alla citazione, è attività logicamente distinta da quella della richiesta, che può mancare quando la parte si propone di presentare direttamente al dibattimento le persone da sentire.
La lista, pur non essendo destinata a sollecitare direttamente un provvedimento di ammissione delle prove configura la prima fase del complesso procedimento introduttivo delle prove che implica <<un’attività della parte (deduzione della lista), una del presidente (autorizzazione alla citazione), un’altra ancora della parte (citazione o presentazione diretta del testimone, perito o consulente) e un giudizio definitivo di ammissibilità demandato al collegio giudicante>>90.
In linea con il rito accusatorio, la presentazione della lista corredata delle circostanze su cui deve vertere l’esame deve avvenire, a pena di inammissibilità, almeno sette giorni prima dell’udienza dibattimentale; questa costituisce un “onere imperfetto91” per la parte
in quanto sono previsti due rimedi per ovviare all’inosservanza di tale disposto: l’acquisizione ex officio delle prove assolutamente necessarie ai sensi dell’art. 507 c.p.p. nonché la deducibilità direttamente al dibattimento di quelle che le parti dimostrino di non aver potuto indicare tempestivamente ex art. 493 comma 2 c.p.p. Rileva nella materia de qua anche l’art. 430 bis c.p.p. - introdotto dalla legge 479/1999 e modificato in senso estensivo della legge 7 dicembre 2000, n. 397 - che vieta al PM, alla p.g. e al difensore, nel compimento dell’attività investigativa di assumere informazioni dalle
90 G. Bonetto, Art. 468, in Chiavario, Commento, V, p. 45. 91 F. Cordero, Tre studi sulle prove penali, Giuffrè, 1963, p. 919.
persone indicate nella lista, quanto meno sino a che l’esame non abbia avuto luogo ovvero la prova non sia stata dichiarata l’inammissibile, e rende inutilizzabili le informazioni ugualmente assunte.
<<Tale preclusione, muovendo dall’esigenza di porre un limite all’attività investigativa, in modo da evitare che essa orienti il contenuto di dichiarazioni da assumere in dibattimento, ha un effetto di “immunizzazione” dei soggetti indicati nella lista nei confronti del PM, della p.g. e del difensore>>92. Questo divieto <<non mira tanto
ad evitare una discovery intrusiva quanto a preservare la fonte, edita o inedita che sia, da possibili perturbamenti alle soglie del giudizio>>93.
Peraltro, il divieto di ascolto e l’inutilizzabilità delle informazioni assunte in violazione dello stesso divieto si estende anche agli imputati in procedimento connesso o collegato nonché al consulente tecnico, benché il secondo comma dell’art. 430 bis c.p.p. faccia espresso riferimento alla testimonianza.
Per quanto riguarda l’ambito di operatività, l’art. 468 c.p.p. trova applicazione oltre che negli atti preliminari al dibattimento di primo grado, nelle ipotesi di nuove contestazioni ex artt. 516, 517, 518 c.p.p., dopo la sospensione del dibattimento, a seguito della richiesta dell’imputato del termine a difesa: casi in cui viene a configurarsi uno spazio analogo a quello predibattimentale, con funzione preparatoria al contraddittorio, per cui le parti hanno l’onere di depositare la lista a garanzia del diritto alla prova rispetto a nuovi fatti emersi con la contestazione suppletiva.
92 G. Garuti, La nuova fisionomia dell’udienza preliminare, in Il processo penale dopo la riforma del giudice unico a cura di F. Peroni, Cedam, 2000, pag. 353 – 420.
93 E. Fassone, Il giudizio, in E. Fortuna- S.Dragone - E. Fassone - R. Giustozzi, Nuovo manuale pratico del processo penale, Padova, 2002, p. 876.
L’art. 468 c.p.p. inoltre prevede che l’onere per le parti di depositare la lista con l’indicazione di testimoni non sussista nel caso del giudizio direttissimo, sia per ragioni di semplicità e celerità del rito, sia perché l’art. 451 c.p.p. non richiama questa norma. In questo caso il diritto di difesa è assicurato dalla possibilità di presentazione diretta e quindi “a sorpresa” dei testimoni.
Il deposito delle liste non può essere invocato ai sensi dell’art. 598 c.p.p. nel giudizio di appello dal momento che in questa sede l’acquisizione delle prove è contraddistinta dall’eccezionalità ed è regolata in modo autonomo dall’art. 603 c.p.p.
3.2. Contenuto della lista.
Riprendendo l’analisi dell’art. 468 c.p.p. analizziamo i due contenuti della lista dalla cui mancanza deriva la sanzione di inammissibilità della futura richiesta di audizione dibattimentale: nominativo del dichiarante e indicazione delle circostanze.
3.2.1. Le circostanze.
Rivolgiamo l’attenzione, in prima battuta, al requisito oggettivo delle circostanze in quanto, dalla sua configurazione dipende l’effettività delle garanzie connesse alla discovery predibattimentale e quindi l’efficace formulazione delle domande in sede di controesame e il diritto alla deduzione della prova contraria.
Con il termine “circostanza” individuiamo una specifica situazione riferibile ad un fatto determinato. Il concetto di “fatto” non corrisponde ad una nozione unitaria ma può ricondursi all’ambito dei fatti che si riferiscono all’imputazione elevati ad oggetto di prova,
nonché dei fatti che le parti intendono provare. La scelta dell’uso del termine circostanza è indicativa della volontà di avere un’indicazione analitica e articolata non un semplice riferimento alla regiudicanda. Le circostanze contenute nelle liste devono comprendere i singoli fatti primari, cioè, dal punto di vista difensivo, quei fatti che portano alla neutralizzazione dell’accusa, i fatti secondari, cioè quelli <<corrispondenti ai vari casi della vita posti a fondamento delle ricostruzioni delle parti94>> dalla cui disamina <<emerge il grado di
attendibilità della fonte e/o del mezzo di prova95>>.
Molto controverso è il significato concreto da attribuire alla previsione della necessità dell’indicazione delle circostanze su cui deve vertere l’esame dei testimoni, periti, consulenti e soggetti di cui all’art. 210 c.p.p. indicati in lista. Per quanto riguarda il grado di specificità dell’indicazione delle circostanze occorre fare una premessa: la norma in esame non richiede un’indicazione dettagliata di persone e fatti. Se le parti fossero costrette a presentare una sorta di griglia delle domande da formulare nell’esame orale, l’esame stesso si trasformerebbe <<in una sorta di recita le cui battute sono a priori scontate>>96. La dettagliata indicazione delle circostanze di
prova si risolverebbe nell’indicazione in lista di una serie di domande specifiche, come tali certamente suggestive, che nuocerebbero alla genuinità dei testimoni. A tal proposito la giurisprudenza97 ha
94 G. Ubertis, voce Prova (in generale), cit, p.300. 95 Op. ult. Cit., p. 329.
96 P. P. Riviello, Liste testimoniali ed indicazione di circostanze per l’esame, in Giust. Pen., Parte terza, p. 178.
97 In questo senso, Cass. Pen., Sez. I, 25 febbraio 1992, in Giur. it., 993, II, p. 126 secondo cui anche il divieto di domande suggestive sarebbe sanzionato da inutilizzabilità, in quanto <<l’art. 191 c.p.p. esclude in via generale che si possano utilizzare, ai fini della decisione, prove acquisite in violazione di uno specifico divieto e ciò anche se la norma specificatamente violata non preveda alcuna sanzione>>. Contra invece, per l’esclusione dell’inutilizzabilità e della nullità nel caso di domande suggestive, F. Cimei, Cass. Pen., 31 maggio 1995, in Dir., pen. Proc., 1995, p. 1054 in cui si sostiene che la sanzione tipica degli atti probatori scatterebbe solo in presenza di <<prove in sé e di per sé illegittime perché vietate>>, mentre <<la mancata osservanza delle formalità
osservato che << la formulazione di domande tramite il capitolato di prova si risolve in una mera ripetizione di una testimonianza predisposta nel suo complesso e rende, pertanto, agevole ed unilaterale la risposta, ponendosi, così, in contrasto con l’art. 499 comma 3, c.p.p. che vieta di porre domande che tendano a suggerire le risposte>>. Si è anche osservato che <<il thema probandum, anche con riguardo alla controprova, è quello fissato, a priori, con la capitolazione, implicita o esplicita, delle circostanze su cui dovrà vertere l’esame, e non può perciò essere definito, a posteriori, dalle domande in concreto poste dalla parte richiedente, che potrebbe artatamente cambiare la tematica probatoria o limitare l’ambito del controesame>>98.
Possiamo sintetizzare affermando che le circostanze rappresentano i singoli frammenti di un’esperienza storica più ampia che il teste sarà chiamato a ricostruire nel corso dell’escussione dibattimentale. Ciascuna parte intrecciandosi con le altre contribuisce a disegnare l’oggetto della testimonianza che sarà compiutamente definibile solo nel contesto degli atti introduttivi del dibattimento, ovviamente all’interno della cornice delineata dall’art.187 c.p.p.: solo da questo momento si può ritenere instradato un discorso organico sulle
di acquisizione delle prove [potrebbe] porsi, eventualmente sul piano della nullità sancito dall’art. 177 c.p.p.>>.
98 Cass. Pen., sez. II, 19 ottobre 2000, n. 192/01, Cangelosi ed altri, C.E.D., n. 217878, nello specifico, essendo intervenuto l’annullamento nella sentenza di merito con rinvio ad altra corte di appello perché procedesse, a richiesta delle parti interessate, alla citazione delle persone indicate dall’art. 210 c.p.p. per risentire le stesse sulle dichiarazioni rese in precedenza in ordine alla responsabilità penale degli imputati, nel giudizio di rinvio era stata richiesta l’audizione di tali persone senza specifica indicazione delle circostanze sulle quali doveva vertere l’esame. La Corte ha ritenuto che esse fossero implicitamente desumibili dalle indicazioni contenute nella sentenza rescindente e che, pertanto, il thema probandum concernesse proprio la responsabilità penale degli imputati e, per questa ragione, ha ritenuto ammissibili domande su tale argomento poste dal p.m. in sede di controesame, a nulla rilevando che la parte richiedente si fosse limitata a domande genericamente concernenti la credibilità dei dichiaranti e, perciò, non coinvolgenti il contenuto degli addebiti mossi agli imputati.
testimonianze, svelandone le connessioni con ulteriori dati cognitivi e con altri mezzi di prova richiesti.
Abbiamo visto che lo snodo centrale è però il requisito della specificità delle circostanze indicate nelle liste. L’articolo in esame non ne fa espressamente menzione per cui occorrerà verificare preliminarmente come esso si renda indispensabile per garantire una corretta discovery predibattimentale delle prove costitunde. Il trait
d’union è rappresentato dalla previsione dell’art. 499 c.p.p. il quale
prescrive che l’esame testimoniale si debba svolgere mediante domande su fatti specifici. La presenza di questo inciso è funzionalmente orientato a far emergere la necessità che le circostanze non siano formulate in senso generico.
L’eventuale carenza di specificità delle circostanze indicate nelle liste non è risolvibile in sede di atti introduttivi del dibattimento: se alle parti fosse concesso di presentare le circostanze in modo generico, con la possibilità di specificarle nel successivo contesto di ammissione della testimonianza, verrebbe compromessa l’effettività delle controdeduzioni probatorie e del controesame.
Il passo successivo è stabilire dei criteri di massima che consentano di verificare la presenza del requisito di specificità. Si potrebbe sostenere che le circostanze indicate nelle liste dovrebbero sempre possedere un livello di specificità tale da assicurare una chiara percezione del contenuto della futura deposizione permettendo alla parte interessata di dedurre controprove e di formulare, nell’ambito del controesame, domande mirate, suscettibili di generare risposte precise.
Il legame tra l’art. 468 c.p.p. e il 499 comma 1 c.p.p. sembrerebbe costituire anche il limite fisiologico all’esigenza di specificità delle circostanze indicate nelle liste. Parrebbe eccessivo pretendere un meticoloso frazionamento di tutti gli elementi attinenti al contenuto
della deposizione testimoniale. Così come è richiesto un livello minimo di specificità delle circostanze indicate nella lista, allo stesso modo bisognerebbe fissare anche una soglia massima oltre la quale sarebbe non solo inutile ma anche controproducente spingersi, pena il rischio di pregiudicare l’efficacia maieutica dell’escussione dibattimentale, che si sostanzia anche nella possibilità, per le parti, di condurre l’esame ed il controesame al di fuori di schemi troppo rigidi. D’altro canto, un esasperato rigore nel valutare l’adempimento di cui all’art. 468 comma 1 c.p.p. potrebbe incrementare il ricorso ad espedienti poco ortodossi e addirittura nocivi per una sana dialettica processuale.
Bisogna convenire che l’esigenza di specificità delle circostanze non implica il configurarsi di un dovere delle parti di presentare anticipatamente l’elenco dei quesiti da formulare, anzi l’eventuale indicazione delle domande all’interno delle liste potrebbe costituire un fattore di suggestione, un pregiudizio per la genuinità delle risposte del teste, una sorta di percorso già segnato che porta la testimonianza resa ad un esito prevedibile.
In considerazione delle finalità del deposito della lista, che, come detto, consistono nel tutelare le parti del processo contro l’introduzione di eventuali prove a sorpresa e di consentire loro una tempestiva predisposizione di proprie controdeduzioni, si ritiene che l’obbligo dell’indicazione delle circostanze si possa ritenere soddisfatto anche se il fatto venga richiamato così come descritto in atti noti al giudice ed alle altre parti e quindi, non soltanto quando le circostanze siano indicate con richiamo diretto al capo di imputazione contestato ma anche quando sia possibile dedurre per
relationem che la persona indicata è tra i protagonisti e/o soggetti,
anche passivi, dei fatti specificati articolatamente nel capo di imputazione, e le circostanze sulle quali è chiamata a deporre siano
in esso o in altri atti noti ricomprese, avendo costituito oggetto di esami ritualmente depositati99.
Un orientamento giurisprudenziale100 ha ritenuto che l’indicazione
del capitolo di prova per relationem debba ritenersi consentita solo con riferimento ad atti noti non solo alle parti ma anche al giudice, cioè inseriti nel fascicolo per il dibattimento. L’orientamento opposto trascura di considerare che <<non può validamente ritenersi conosciuto dalle parti e dal giudice un atto il cui inserimento nel fascicolo per il dibattimento è stato dichiarato illegittimo, in ossequio al principio dell’istruzione dibattimentale, e nessun provvedimento può essere basato per relationem su un atto inutilizzabile: senza contare che, in ogni caso, l’atto non sarebbe stato inserito nel