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Da Argo il cieco a Shah-mat: il colore come farmaco contro l’ossificazione del mondo

2.2 I colori delle cose in Argo il cieco

2.4.1 Desiderata per Calende

Calende greche 238 è certamente un’autobiografia inventata, il cui titolo, come

più volte lo stesso Bufalino ha dichiarato, «vuole alludere a giorni non vissuti, o che, seppure siano stati vissuti, lo sono stati in modo diverso, con varianti, con deformazioni, che praticamente li rendono i giorni di un altro, non miei. […]. Più che a momenti autentici della mia parabola umana, il libro del resto vuole ispirarsi a quelle stampe popolari in cui si vede l’uomo nelle sue varie età procedere di gradino in gradino dalla culla al letto di morte»239; e ancora : «L’autore ha desunto il modello da taluna moralità secentesca; oppure dalle sequenze d’una stampa d’Épinal dove vedeva ragazzo, scandirsi lungo un saliscendi di pochi gradini la commovente carriera dell’uomo»240. Bufalino doveva essere particolarmente attratto dalle stampe popolari in cui le immagini descrivono le varie età dell’uomo: egli conservò, all’interno di una carpetta che raccoglieva il materiale iconografico con cui forse gli sarebbe piaciuto corredare la sua autobiografia inventata, modelli di stampe d’Épinal241. Il suo interesse non si fermava però solo sul piano squisitamente figurativo ma andava oltre: nel materiale conservato si trova la

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Numerose le tappe che segnano il percorso editoriale di Calende greche. Esce nel 1990 per l’edizione Clessidra di Napoli con tre brani e con incluso anche il testo di A. Sicoli L’armilla scita; nello stesso anno viene pubblicata L’arancia d’oro. Frammento di memoria (con un litografia di A. Ciarrocchi), Urbino, Montefeltro, che in ultimo confluirà in Calende greche; in seguito uscirà

Calende greche. Frammenti d’una vita immaginaria, Comiso, Edizione privata dell’Autore, 1990,

non venale. Il testo sarà poi ripubblicato nel 1992 da Bompiani col titolo Calende greche, ricordi

d’una vita immaginaria, con tagli, aggiunte e correzioni dell’Autore rispetto all’edizione privata;

sarà riedito, in ultimo, nella collana “Grandi Tascabili” Bompiani, 1995, con prefazione di G. Traina.

239

Gesualdo Bufalino, autoritratto con personaggio, cit., p. 29.

240 Dal XVII secolo le stampe d’Épinal sono state un fondamentale documento di comunicazione

di conoscenza della realtà, un mezzo di organizzazione del consenso, di divulgazione di scoperte scientifiche del XIX secolo e di diffusione di giochi popolari. A partire dal 1850 è stata stampata una grande quantità di materiali pedagogici, abbecedari, storie illustrate, storie di santi, burattini, etc. Cfr. Le stampe d’Épinal dal 1600 ai giorni nostri, Comune di Venezia - Assessorato alla Pubblica Istruzione - Comune di Épinal - Ecole de l’Imagerie (Ecole Municipale des Beaux Arts), Mirolo (Ve), Marsilio, 1980.

241 Bufalino, in più interviste dichiara che la “scintilla” per una nuova creazione letteraria «scocca

ora da un incipit o desinit» che gli appare «colmo di virtualità [...]; altre volte il seme sembra portato dai capricci del vento, quasi per un’impollinazione della memoria: una stampa d’Épinal, vista nell’infanzia, che scandiva per gradini le tappe della vita umana dalla culla alla bara, è l’innesco di Calende greche», cfr. G. Bufalino, In corpore vili (paragrafo dal titolo Formazione del

fotocopia di un saggio in lingua francese dove si spiega l’evoluzione del genere delle stampe popolari in Francia 242. Lo stesso Bufalino confessa, d’altronde come abbiamo visto: «Più che a momenti autentici della mia parabola umana, il libro del resto vuole ispirarsi a quelle stampe popolari in cui si vede l’uomo nelle sue varie età procedere di gradino in gradino dalla culla al letto di morte» 243.

242 Le pagine sono riprodotte in fotocopia e sono tratte dal testo di Jean Cuisenier, L’art populaire en France, Paris 1975. Autore e titolo del saggio sono trascritti a penna da una mano che non è

quella di Bufalino (con piccola svista, il luogo di edizione è Friburgo, non Parigi).

243 Gesualdo Bufalino, autoritratto con personaggio, cit., p. 29. Anche in Museo d’ombre,

Bufalino ricorda la sua passione per queste stampe: «Ma non per questo attesi con minore impazienza, nei giorni di fiera, l’apparizione di Don Ciaciò Pirricchitto, bancarellaro di libri e stampe, dove si conta in dieci stazioni la carriera dell’uomo, da neonato a morente», cfr.“ ʼU

Fig. 28 - Degrés des ages – Stampa d’Épinal – metà XX sec.

Dalle pagine di Calende greche nasce dunque la storia di un «eroe multiplo e indivisibile» 244. Il personaggio al centro della storia narrata – divisa in sezioni

(Nascita – Infanzia – Pubertà – Giovinezza – Maturità) - sfugge sì di continuo a qualsiasi identificazione con l’autore, tanto più, come sottolinea Bàrberi-Squarotti «che il libro si conclude sul capitolo dedicato alla vecchiaia e alla morte, che sono i momenti in cui più clamorosamente il verosimile prevarica sul vero» 245. Eppure, l’individuo «multiplo e indivisibile» è Bufalino, uomo e scrittore.

Nel settembre del 1988 così Tullio Pericoli scriveva a Bufalino: «Caro Bufalino, assolvo con ritardo il mio debito e ti mando il ritratto che ti avevo promesso a Roma. Con una proposta: che tu me ne mandi uno tuo in cambio. In sostanza che tu fai un piccolo disegno per me, un disegno qualsiasi o magari il disegno che hai sempre voluto fare» 246. Bufalino mandò un emblematico autoritratto a Pericoli: tanti profili, rivolti in ogni direzione quasi come un mostro dalle tante teste e un solo volto non di profilo ma rivolto in direzione di chi guarda il disegno, con un solo grande occhio: certamente un essere «multiplo e indivisibile». Il disegno fu presumibilmente realizzato da Bufalino nei mesi a venire e comunque nel tempo in cui Bufalino lavorava a Calende Greche, che uscirà sibi et paucis nel 1990. Può sembrare interessante osservare la sovraccoperta dell’edizione del 1992, testo definitivo e completo, con una riproduzione dell’Allegoria del Tempo governato dalla Prudenza (1565) di Tiziano: seppure tale soggetto rappresenti volti di diversi uomini e siano rappresentati anche animali, tuttavia l’autoritratto che Bufalino fece di sé ne ricalca indubbiamente la sagoma.

244 G. Bufalino, “Titolo, scelta del protagonista, problemi d’identità”, in Postilla a Calende greche,

cit., p. 195.

245 G. Bàrberi-Squarotti, L’uomo mascherato, in «Nuove Effemeridi», cit., p. 151.

246 Lettera scritta da Tullio Pericoli il 29/09/1988. Il carteggio di Pericoli è costituito da 4 unità ed

è consultabile presso la Fondazione. In una lettera del 18/06/1990, Pericoli scrive a Bufalino: «Fra poco cambierò casa e sto pensando alle cornici per i tuoi immaginari disegni».

Fig. 29 - Tiziano, Allegoria del Tempo governato dalla Prudenza, 1565, Londra, National Gallery.

Fig. 30 - Disegno (“Autoritratto”) eseguito da Gesualdo Bufalino per Tullio Pericoli.

Ciò che colpisce è il grande, unico occhio, che ricorda “l’occhio della mente ” di Platone, “legato all’intelletto e all’anima” e distinto dall’ “occhio corporeo” legato al mondo sensibile.

Forse però a Bufalino dovette restare impressa anche la bella lettera scrittagli da Fabrizio Clerici anni addietro, dove l’amico pittore gli scriveva:

Mio caro Bufalino, […]. È una curiosa sorte quella dei visionari, di aver guai con gli occhi, di vedere con altre antenne sensibili ed esattissime. Riesco a scriverti grazie a questo terzo occhio meccanico che da due anni ormai è ragione di vita, per me. Uno strumento senza il quale non potrei né leggere, né scrivere e, soprattutto, disegnare.247

La cultura occidentale ha certamente associato alla vista una ricchissima simbologia: «gli occhi sono da sempre considerati l’organo di senso più legato a valenze spirituali, emotive o intellettuali»248. La loro supremazia è già attestata nell’iconografia egizia – cui Clerici era particolarmente legato – che assimila il dio sole a un occhio onnivedente. Bufalino stesso, di Clerici, scrisse così:

Infine, per analoga forza d’omofonia, un coup d’oeil si promuove a coup

deuil, realizzando nel pungente calembour un’identità luce-lutto che, da

quando l’artista soffre agli occhi e si sente dalle tenebre minacciato, non finisce di commuovere come un presagio. Bugiardo, per fortuna. Clerici ha potuto salvare, mediante l’ausilio di ingegnose apparecchiature ortoscopiche, la propria capacità di lavoro. Ed è singolare che, nella sua verde vecchiezza, egli abbia dovuto affidarsi, per continuare a creare, a una scienza e a un illusionismo della vista che non sono senza qualche parentela con le sperimentazioni rinascimentali e barocche della prospettiva, dei punti di fuga,

247

Presso la Fondazione sono conservate, di Clerici, quattro lettere, un biglietto e una cartolina.

La lettera citata è scritta da Roma e datata 12 dicembre 1985. Le lettere di Fabrizio Clerici sono una commovente testimonianza della raffinata personalità di un pittore molto amato da Bufalino.

248

Cfr. A. Violi, Occhi in AA.VV., Dizionario dei temi letterari, vol. II, a cura di R. Ceserani, M. Domenichelli, G. Fasano, Torino, Utet, , pp. 1694-1699.

delle anamorfosi, delle sezioni e cifre d’oro che un compasso pitagorico misteriosamente governa.249

Con l’invenzione, nel Cinquecento, della “camera obscura”, «la metafora platonica dell’occhio intellettuale e razionale si trasforma infine in un vero e proprio meccanismo conoscitivo» 250: così Bufalino, col suo occhio della mente disegnato nel suo autoritratto (Pericoli gli aveva esplicitamente richiesto «un disegno qualsiasi o magari il disegno che hai sempre voluto fare») vuole guardare alla sua vita, vivendo «i minuti solo per tramutarli in cataloghi di visioni» 251 così come visioni sono le pitture di Clerici, a metà fra il sogno e l’indefinita ansia metafisica.

249 G. Bufalino, Latitudine Clerici, in Saldi d’autunno [1990] Milano, Bompiani, 2002, p. 177. 250

A. Violi, Occhi, cit., p. 1696.