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La pittura di David per Diceria: un’ipotesi.

Molte delle lettere scritte da Bufalino all’amico Romanò provengono dal sanatorio di Palermo dove lo scrittore di Comiso era ricoverato; da quel luogo e nella lentezza dei giorni della malattia, pare nascesse l’idea della Rocca e di

Diceria: «Abbiamo dinanzi il mare, tutto di vampe brulicanti e secche, e monti

scuri, dietro. Questa è quella che chiamano Conca d’oro, e scirocco la riempie come un mare, illumina i limoni intorno alle fontane»92. L’immagine del limone illuminato tornerà nella traduzione di un verso di Toulet: «In via Deux-Décadis brillava in mostra/ un limone di luce/ quale nemmeno l’Eden ne produce/ né la natura nostra»93. In quegli anni certamente Bufalino leggeva e forse traduceva già il suo amato poeta francese. O forse sarebbe venuto poco dopo. Di certo, ogni qualvolta c’è un’immagine di oscurità, quando sembra prevalere il buio, quando le atmosfere tendono a incupirsi, sembra quasi che in Bufalino si senta un’esigenza di luce, seppur piccola. Volendo creare un legame Toulet/Schiele/Bufalino - pur sempre restando sul piano delle immagini - se nei versi del poeta francese è un limone a sprigionare luce, in Schiele «un’arancia brillante» illumina lo squallore della sua cella. Così infatti il pittore scrive in una lettera dal carcere del 19 aprile 1912: «Ho dipinto il letto della mia cella. In mezzo al grigio sporco delle coperte un’arancia brillante che mi ha portato V. è l’unica luce che risplenda in questo spazio. La piccola macchia colorata mi ha fatto un bene indicibile»94 . Nell’atmosfera cupa di Diceria c’è spazio anche per un’apertura luminosa, un controcanto di luce, forse a presagire la salvezza del protagonista. Nella lettera alla Sellerio può lasciare perplessi la presenza del nome “David” nell’elenco dei pittori appuntati da Bufalino: la sua pittura non evoca, almeno all’apparenza, espressionistiche tensioni, spigolose e macerate presenze. È stato necessario dragare nel materiale appartenuto a Bufalino per tentare di trovare una chiave

92 A. Romanò - G. Bufalino, Carteggio di gioventù (1943-1950), cit., lettera del 18 agosto 1946, p.

136.

93 «Dans la rue-des-Deux-Décadis/ brillait en devanture/ un citron plus beau que nature/ ou même

au Paradis», P.- J. Toulet, Controrime, cit., p. 118.

94

E. Schiele, Diario dal carcere, a c. di A. Roessler, con postfazione di F. Armiraglio, Milano, Skira 2010 (edizione rifatta sull’originale del 1922), p. 17.

interpretativa convincente, o che perlomeno provasse a spiegare la “chiara” presenza del nome di Jacques-Louis David in mezzo ai ben più inquietanti Ensor, Schiele e altri mostri. Della pittura dell’artista francese è ben nota la bellezza classica, la chiarità di certe tinte, la levigata sobrietà dei colori, in genere chiari su fondo neutro; tuttavia le sue meditazioni e gli studi sulla statuaria antica e sui classici non gli impediscono di guardare, ad esempio, con vivo interesse Caravaggio e di copiare un quadro del Valentin: da questi studi sul realismo seicentesco nasce il San Rocco e gli appestati del 1780. Forse Bufalino, appuntando il nome «David» in margine alla lettera delle Sellerio immaginava l’appestato rappresentato ai piedi della Madonna: la freddezza dello scontro luce- ombra dà al corpo seminudo del malato una coloritura livida e spenta, quasi come fosse quella di un abitante della Rocca di Diceria. Inoltre l’uomo ha la tipica postura del malinconico: la testa è appoggiata al braccio in una posa tanto più dolente quanto più abbandonata, mentre l’altro braccio è del tutto lasciato andare sul panno che gli cinge il bacino, in una durezza di pietra. Anche Argan, nella sua analisi alla pittura di David, studia più che le idealizzazioni formali, il David che «raggiunge Caravaggio attraverso Poussin. Anche in Poussin è frequente il tema della morte: come trapasso dal presente ad un passato senza fine, dal dramma alla catarsi. […]. Per lui la morte non è che il bloccarsi del presente: le cose senza la vita. Non essendoci dramma, non c’è spazio né tempo»95. Forse era questo il David che piaceva a Bufalino perché in lui simile è l’idea della morte.

Del celebre dipinto La morte di Marat (1793), Gonzales-Palacios sottolinea ad esempio «l’intensità della natura morta formata da quelle mani-cose, veramente morte, dai pochi, umili oggetti, dalla cassetta, nuda e poverissima, di un surrealismo quasi larvale»96 . All’interno del fascicolo è conservato un ritaglio: è un articolo con immagini a colori che riporta il bellissimo dipinto di un nudo. Così

95

C. G. Argan, L’arte Moderna. Dall’Illuminismo ai movimenti contemporanei, cit., p. 38.

96 David, testo a c. di A. Gonzales-Palacios, Milano, Fabbri Editore, “I maestri del colore”, 1966,

[p. 3]. Anche questo fascicolo, come altri precedentemente citati, fa parte della collana appartenuta a Bufalino e oggi conservata presso la Fondazione Bufalino. All’interno della raccolta ci sono i più grandi maestri di tutte le epoche della pittura mondiale, i pittori di tutte le epoche; fra le pagine dei fascicoli, si trovano ritagli o articoli dell’artista in questione, conservati gelosamente dallo scrittore: colpisce, ad esempio, la cura nel ritaglio.

leggiamo all’interno dell’articolo «[…] ma come prova questo studio di nudo del Museo di Cherbourg, David è attratto in un primo tempo dal realismo degli studi anatomici, dalle opposizioni violente di luce e di ombra, dalla pittura più cruda di Valentin e di Caravaggio»97.

Fig. 15 - J.L. David, Patroclo, 1780, Cherbourg, Musée Henry.

97

Dall’articolo conservato da Bufalino purtroppo non è possibile dedurre la data di pubblicazione né la rivista da cui proviene.

Fig. 16 - J.L. David, San Rocco e gli appestati, 1780, Marsiglia.

Fig. 17 - J.L. David, La morte di Marat, (1793), Bruxelles, Musées Royaux des Beaux-Arts.