Nel corso del decennio cinquanta si riscontra una centralità mai più ripetuta del personaggio femminile: “il meccanismo narrativo di molti film si impernia sulla figura della donna: motore che divinamente tutto muove, essa polarizza l’intreccio con la sua pregnanza, disponendo intorno a sé, a raggiera, gli altri elementi del racconto”16. Questo avviene in
particolare nei film con un’unica protagonista femminile, dove la centralità visiva e narrativa è riservata al personaggio femminile. Motore dell’azione in questi film è il desiderio della donna: non si può certo parlare di woman’s film17 ma va rilevata una inedita attenzione ai
desideri femminili. Desiderio di un buon matrimonio, ma anche desiderio di migliorarsi e di emanciparsi, attraverso lo studio oppure una carriera nel campo della moda o del cinema.
Molti sono i film in cui le ragazze cercano di migliorare la propria posizione sociale e culturale: in Terza liceo (1954) una delle ragazze dopo la maturità progetta di iscriversi a medicina e un’altra è tra i promotori del giornale della scuola; Anna in Ragazze d’oggi (1955) studia le lingue e forse dopo sposata prenderà anche una laurea; Donatella (1956) segue un corso di stenodattilografia per trovare un impiego migliore del precedente come commessa; Carmela insegue la carriera di avvocato in Carmela è una bambola (1958). In questo senso la città offre ovviamente maggiori opportunità alle giovani donne: ne Lo scapolo (1955) Katina, che frequenta il liceo artistico, abita in un piccolo paese vicino Roma e dice: “Ci si sente soffocare da questa vita di paese, è una vita troppo ristretta”; vorrebbe andare nella grande città. Infatti, come dice Paolo (Alberto Sordi) nello stesso film, “in città la donna è diversa, è indipendente perché esce, lavora, va negli uffici, nelle fabbriche”. Anche la giovane ed ingenua Esterina, nel film omonimo di Carlo Lizzani del 1959, decide di andare in città con la
16 Luciano De Giusti, Disseminazione dell’esperienza neorealista, in Id. (a cura di), Storia del cinema italiano,
vol. VIII 1949/1953, Marsilio, Venezia, Edizioni di Bianco & Nero, Roma, 2003, pp. 15-16.
17 Nell’accezione di Mary Ann Doane in The Desire to Desire. The Woman’s Film of the ‘40s, Bloomington, Indiana University Press, 1987 si possono considerare woman’s film quei film in cui il desiderio del soggetto femminile si manifesta in forme socialmente trasgressive e in cui la donna cerca una traiettoria di emancipazione e ridefinizione del proprio ruolo sia nel contesto familiare che in quello pubblico. Questo desiderio comunque è, almeno in parte, destinato allo scacco (vedi il capitolo dedicato al woman’s film in Veronica Pravadelli, La
speranza di trovare un lavoro e dice: “c’ho preso gusto a girare il mondo, non mi ero mai mossa dal mattone”. Molti sono poi i personaggi delle domestiche venete che emigrano a Roma in cerca di un lavoro e magari di un marito.
Ma forse i desideri più comuni sono quelli di una carriera nel campo artistico, che in questi anni sembra essere la via più facile per uscire dalla povertà e per emergere. Tra Le
ragazze di San Frediano (1954) c’è chi vuole fare la ballerina e chi l’attrice; la maestra di Scuola elementare (1954) è attratta dal mondo dei concorsi di bellezza; una delle lettere che
arrivano a Franca Valeri, la Lady Eva che consiglia i lettori in Piccola posta (1955), è quella di una ragazza di provincia che vuole fare l’attrice; ne La fortuna di essere donna (1955) Antonietta desidera e ottiene dei provini per recitare nei film; la protagonista di La ragazza di
via Veneto (1955) insegue il cinematografo come pure quella di Domenica è sempre domenica (1958) che vuole partecipare al Musichiere per farsi notare da registi e produttori
(ma nel frattempo studia anche lei le lingue). In particolare c’è un proliferare di concorsi di bellezza che si trovano in tantissimi film, sia come storia principale che come dettaglio di contorno: Miss Italia, Totò al giro d’Italia, I vitelloni, Un eroe dei nostri tempi, Peccato di
castità.
Certo questi desideri femminili sono sempre ostacolati dai vari padri, fidanzati o fratelli: sempre figure maschili. Spesso invece le madri sono le prime sostenitrici delle ambizioni delle figlie, forse perché ne ebbero a loro volta in gioventù e magari dovettero rinunciarvi. Questo rapporto solidale madre/figlia lo vediamo in film come Le ragazze di
piazza di Spagna (1952) e Le ambiziose (1960). Nel primo di questi film Ave Ninchi è la
madre di Marisa (Lucia Bosè), una sartina che è stata scelta per sfilare come indossatrice. Il suo fidanzato Augusto (Renato Salvatori) non approva questa decisione, come pure suo padre. In una sequenza, ambientata nella cucina della casa di Marisa, madre e figlia discutono:
MADRE: Tu sei una stupida perché non dovevi dire niente… Augusto ha un cervelletto piccolo così, proprio come tuo padre.
MARISA: Quelli… parlano sempre di rivoluzione e in casa ‘so peggio de li turchi… MADRE: Lo sai che io sto al museo?
MARISA: Dove?
MADRE: Proprio al museo… Quando ero fidanzata con tuo padre un pittore mi domandò de faje da modella… ma per 10 mila lire l’ora, sai al tempo erano tanti soldi… Lo dissi subito a tuo padre, non l’avessi mai fatto! M’ha fatto una litigata che… beh, mejo lassà perde… Insomma io il giorno dopo non gli dico più niente…
MARISA: Ma poi ci sei andata dal pittore?
Ne Le ambiziose molte concorrenti sono accompagnate al concorso per l’elezione de “La bella dell’anno” dalle madri che le incoraggiano e le consigliano nella speranza che almeno alle loro figlie sia riservato un futuro più roseo: “Vuoi fare la vita che ho fatto io? Vuoi innamorarti come una stupida di un uomo qualunque che ti rinchiude in casa a fare la sepolta viva?”18 dice la madre di Miss Lombardia alla figlia.
Ma a volte le madri (e in generale i genitori o chi ne fa le veci) pensano che la migliore carriera sia quella di trovare un marito ricco. Proprio su questo aspetto si articola la recensione di Ragazze d’oggi (1955) su “Cinema nuovo” che si appropria del tema sostenuto dal film per criticare una certa cultura che guarda ancora al matrimonio come a un impiego: queste ragazze “si mettono alla finestra ad aspettare il marito, prestando fede ai loro ammonimenti interiori o, peggio, a quelli dei genitori – che studi a fare, che lavori a fare, stai per i fatti tuoi, cioè mantieniti onesta – e sperano, se sono belle, di acchiappare il professionista”19. Nel film infatti questa è l’opinione della zia (la madre delle tre sorelle
protagoniste è morta, come accade molto di frequente in questi film), ma le ragazze dimostreranno di ragionare in altro modo: quello che conta non è la ricchezza ma sono i sentimenti.
Inoltre, anche se l’obiettivo delle ragazze è sempre il matrimonio, è evidente il tema dell’emancipazione femminile che si realizza attraverso lo studio e il lavoro fuori dalla famiglia. Anna (Marisa Allasio) è una ragazza che unisce gli aspetti rassicuranti della femminilità tradizionale – espressi attraverso un corpo prosperoso e la scelta della castità prematrimoniale – con caratteristiche “moderne” come il desiderio di studiare e di sposarsi per amore e non per calcolo. La presenza di Mike Bongiorno nel ruolo del fidanzato “progressista” non è casuale: egli viene dalla televisione ed è americano ma di origine italiana e dunque il suo personaggio veicola una versione rassicurante della modernizzazione. In un dialogo con il padre della sua fidanzata viene messo in scena lo scontro tra due mentalità: quella più “moderna” dello sposo e quella tradizionale del padre. Questa contrapposizione è espressa anche visivamente, in una scena ambientata in un Luna Park, tramite un campo/controcampo in cui i due giovani sono inquadrati insieme mentre il padre della ragazza è inquadrato da solo. In ogni caso va sottolineato che il discorso dell’emancipazione femminile sembra essere argomento esclusivo dei due uomini, Anna infatti non proferisce parola e si limita ad annuire.
Come ha ben sottolineato Enrica Capussotti, in Ragazze d’oggi ci troviamo di fronte a quella “modernità conservatrice” che può essere rintracciata in tutti i settori della società del
18 La sepolta viva è un melodramma di Guido Brignone del 1949 che ebbe un grandissimo successo (secondo posto negli incassi della stagione 1948-1949) e che infatti viene citato in vari film degli anni cinquanta (Giorni
d’amore; Un simpatico mascalzone).
periodo: “Anna è innalzata a figura positiva che contiene in sé passato e presente, valori tradizionali e aspirazioni legate alla contemporaneità. Nel film la storia di tre sorelle ventenni in cerca di marito è l’espediente per educare spettatori e spettatrici alla figura di una «donna nuova»: spigliata, interessata al lavoro e allo studio, desiderosa di essere compagna del proprio sposo, disposta a seguire i sentimenti piuttosto che il calcolo e la ricchezza, e nonostante ciò pura, che rifiuta i rapporti sessuali prima del matrimonio ed è pronta al sacrificio in nome dei propri nobili principi”20.
La distanza tra le generazioni si può notare distintamente in una frase del film Le
ambiziose dove una miss aspirante al titolo di “La più bella dell’anno” dice a sua madre: “Ma
cosa vuoi capire tu, che hai subito tutta la vita? Io no, io ho altri ideali”. Ne La ragazza di via
Veneto la protagonista Anita (Anna Maria Moneta Caglio) manifestando al fidanzato il
desiderio di diventare qualcosa di meglio di una semplice stiratrice, diventando magari attrice, dice: “Io non voglio fare la fine di mia madre che sta tutto il giorno in fontana a lavare i panni sporchi del quartiere”.
Un altro film in cui si scontrano due mentalità, quella della generazione delle madri e quella delle figlie, riguardo al tema del matrimonio, è Ragazze da marito (1952) in cui una madre accompagna, a prezzo di grandi sacrifici, le tre figlie a Capri per trovare loro un marito ricco21. Ma non tutto andrà come previsto: la figlia più grande, Gina (Lianella Carell), rimane
incinta di un uomo che è già sposato con figlie, la più piccola, Anna Maria (Anna Maria Ferrero) sposerà un giornalista squattrinato e solo l’altra figlia, Gabriella (Delia Scala) seguirà i consigli della madre sposando il figlio di un grande imprenditore. Gabriella però sarà costretta a trasferirsi a Milano e a non rivedere più la famiglia perché di origini troppo modeste e non gradita ai suoceri.
Ne Le diciottenni (1955) di Mario Mattoli la protagonista è Anna (Marisa Allasio) intraprendente e battagliera ragazza di un collegio femminile. Il padre, industriale del nord, esplicita quello che era forse il pensiero di molti genitori negli anni cinquanta: ciò che conta per una donna non è lo studio ma un buon marito. A colloquio con la direttrice del collegio infatti dice: “Ma a cosa serve ‘sto latino?”, e subito dopo: “Sa quale sarebbe l’ideale proprio? Un marito bello e pronto, di destra o di sinistra che sia, che l’aspetta là al cancello”. L’austera direttrice risponde che questo non fa parte del programma del loro collegio ma in effetti alla fine Anna sposerà il suo giovane professore di cui è sempre stata innamorata.
Ancora in Madri pericolose (1960), e dunque in un film della fine del decennio, le madri di ragazze in età da marito sono presentate ironicamente dalla voice over come “veri e
20 Enrica Capussotti, Gioventù perduta. Gli anni cinquanta dei giovani e del cinema in Italia, Firenze, Giunti, 2004, p. 181.
21 Curiosamente sia in Ragazze d’oggi che Ragazze da marito, oltre che in altri film, è la figura paterna che sembra meglio comprendere le ragioni del cuore.
propri reparti d’assalto” capaci di un “capolavoro di strategia e di tattica: il piano per la conquista di uno sposo”. Ma i tempi sono decisamente cambiati: Nicky (Mina) si sposa in comune senza il consenso dei genitori. “Ma non potete decidere da soli” dice la madre “Ma con sindaco si” risponde la figlia e un’altra ragazza aggiunge: “Anche Margareth d’Inghilterra si è sposata secondo il cuore!”. Ecco dunque che il desiderio viene prima di ogni altra cosa, e se ci si è sbagliati si comincia a parlare di divorzio all’estero.
Negli anni cinquanta le pulsioni sessuali femminili iniziano ad entrare nelle strategie produttive nazionali. Questa non è una novità assoluta ma l’esplicitazione del desiderio femminile diventa “un elemento importante per la strutturazione di una soggettività femminile più libera ed emancipata”22. Nelle riviste infatti comincia ad esserci spazio per un divismo
maschile basato proprio sull’attrazione erotica che questi attori esercitavano nei confronti del pubblico femminile. Si inizia a parlare di “bisessualizzare il divismo italiano, propagandare i fusti nazionali, valorizzarne le strutture muscolari, scrivere articoli sulla loro fascia toracica, esaltarne i bicipiti. […] Il film italiano ne acquisterà maggiore attrattiva per il pubblico femminile” 23.
La novità di un film come Poveri ma belli è la collocazione dei loro protagonisti maschili come oggetti dello sguardo e del desiderio femminile. Maurizio Arena, Renato Salvatori, e in altri film anche Antonio Cifariello, spesso in canottiera o camicia con le maniche arrotolate e jeans, a volte a torso nudo, sono portatori del modello dei “giovani bulli” di ispirazione americana che si inscrive nello stesso filone delle “maggiorate”. In alcuni film il desiderio femminile è messo in scena più esplicitamente: in Giovani mariti (1958) Mara (Sylva Koscina) guarda Ettore (Antonio Cifariello), che si è messo in costume da bagno e si butta in piscina, con una delle rare soggettive delle commedie anni cinquanta. Il desiderio si concretizzerà con il matrimonio tra i due giovani. In Tempo di villeggiatura (1956) Dolores guarda più volte con esplicito desiderio Checco (Maurizio Arena), cercando di conquistarlo in ogni modo. L’attrazione viene esplicitata con prolungati primi piani di Dolores che guarda Checco, il quale a volte restituisce lo sguardo (con un tradizionale campo/controcampo che mette in scena l’innamoramento), ma a volte non si accorge di essere guardato.
Anche in altri film il corpo maschile viene esplicitamente esibito: Maurizio Arena si pavoneggia a torso nudo di fronte allo specchio girandosi e rigirandosi e mostrando i muscoli in Marinai, donne e guai (1958); ne La nonna Sabella (1957) vediamo Raffaele (Renato Salvatori) in canottiera mentre si fa la barba. In un’altra sequenza viene mostrato mentre fa il bagno al fiume e qui l’esibizione del corpo maschile avviene a favore dello sguardo femminile: Evelina (Rossella Como) con l’anziana cameriera, nascoste dietro ai cespugli,
22 Enrica Capussotti, Gioventù perduta. Gli anni cinquanta dei giovani e del cinema in Italia, cit., p. 119. 23 Leo Penna, Donne e fusti, in “Cinema Nuovo”, n. 70, 10 novembre 1955, p. 324.
guardano ripetutamente Raffaele che nel frattempo, ignaro della presenza delle due donne, si tuffa, scherzosamente mette in mostra i muscoli e fa finta di tirare di boxe. Le inquadrature delle due donne che guardano (inizialmente solo la cameriera guarda, mentre Evelina imbarazzata si nasconde il viso con il vestito) sono alternate a quelle di Raffaele, alcune più da lontano, e dunque soggettive femminili, altre più ravvicinate che possiamo definire soggettive desideranti. La cameriera fa ripetuti commenti sul suo fisico: “Bello, bello, bello… beata chi se lo piglia! Guardate, guardate che muscoli”, e alla fine anche Evelina, dapprima vergognosa, si scioglie e dice: “Hai visto come è ben fatto l’ingegnere? Pare l’americano di
Picnic”. La citazione è davvero pertinente: Picnic è un film del 1956 di Joshua Logan che
ebbe molto successo anche in Italia (quarto posto nella stagione 1956 - 1957) e in cui il personaggio maschile, interpretato da William Holden, è oggetto del desiderio (e degli sguardi) di varie donne24.
Dunque iniziano a trovare spazio nei film i desideri sia dei personaggi femminili che quelli delle spettatrici. Vedremo più in dettaglio nelle analisi dei prossimi capitoli che sempre più spesso nel corso del decennio nelle commedie ciò che muoverà l’azione, che sia un desiderio di emancipazione o un desiderio sessuale, sarà comunque un desiderio femminile.