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I destinatari, gli obiettivi e i “postulati” per la redazione del piano I Princìpi chiariscono quali debbano essere la natura e gli obiettivi del piano Quest’ul-

esterna prededucibile: un binomio indissolubile

9 I PRINCìPI DI REDAZIONE DEI PIANI DI RIsANAmENtO Patrizia Riva [124]

9.2 I destinatari, gli obiettivi e i “postulati” per la redazione del piano I Princìpi chiariscono quali debbano essere la natura e gli obiettivi del piano Quest’ul-

timo è definito come un documento redatto dall’organo delegato e dal management con il possibile supporto di advisor specializzati, e approvato dall’organo amministra- tivo ai sensi dell’art. 2381, terzo comma, C.C. È chiarito che la responsabilità del piano rimane in capo all’organo amministrativo, anche qualora il piano sia stato redatto con il supporto di consulenti, non solo in merito ai contenuti, ma anche al rispetto delle tecniche di redazione eventualmente imposte e dei relativi obblighi di comunicazione. Nel piano devono essere specificate le azioni strategiche e operative, nonché i connessi impatti economici e finanziari, mediante i quali un’azienda intende affrontare lo stato di crisi, ripristinando le condizioni di equilibrio economico, finanziario e patrimonia- le [126]. Il piano può collocarsi sia come autonoma determinazione dell’organo ammini-

strativo, sia nell’ambito di un percorso di risanamento disciplinato a livello giuridico. In quest’ultimo caso sarà richiesta l’attestazione di veridicità della base dati e della fat-

125 Sia concesso rinviare per approfondimenti a: Riva. P. “Piani che prevedono la continunità del business”, in Danovi A.,

Panizza A., “Piani di risanamento”, 2017 Wolters Kluver; Riva P. “La relazione di attestazione: struttura e contenuto”, in “Gestire la crisi di impresa. Processi e strumenti di risanamento”, in Danovi A., Quagli A., Wolters Kluver, 2015; Riva P. “L’attestazione dei piani delle aziende in crisi. Princìpi e documenti di riferimento a confronto. Analisi empirica.” Giuffré, 2009; Riva P., Provasi R., “Crisis and controls: the italian model”. Corporate ownership & control. Volume 11, 2013, p. 423-434; Riva P., Provasi R., “An overview Italian companies and the financial and economic crisis: a cultural revolu-

tion.”, Int. J. Economics and Business Research, Vol. 7, No. 4, 2014; Danovi A., Riva P., Azzola M. “PAC (Preventive Arran- gement with Creditors): a tool to safeguard the enterprise value”. International journal of business research, Volume 16,

Number 2, 2016, p. 117-134; Danovi A., Riva P., Azzola M. “Avoiding bankruptcy in Italy: preventive arrangement with

creditors.”, in Grima S., Bezzina F., Ramãnova I., Rupeika-Apoga R. editors, Contemporary Issues in Fanance: Current Challenges from Across Europe, Volume 98, 2017, p. 77-94.

126 Riva P. Provasi R. The ability of the turnaround index to assess going concern assumptions: evidence from its applica- tion to Italian listed companies. Global Business and Economics Review, Vol. 18, No. 1, 2016, p. 54-81.

tibilità delle azioni previste da parte di un professionista indipendente e, in alcuni casi, anche l’omologa da parte del tribunale. Affinché possa essere qualificato come “piano

di risanamento”, è richiesta dai Princìpi “l’esistenza di uno stato attuale di crisi e la vo-

lontà del management di ripristinare le fisiologiche condizioni di attività aziendale”. Il piano si sostanzia infatti in un documento che si rivolge sia verso l’ambiente inter- no, che verso soggetti esterni, richiedendo la necessaria attenzione per gli aspetti di completezza, comprensibilità e chiarezza. I destinatari dei Princìpi sono identificati: nei soci non coinvolti nella gestione, per avere informativa sulle prospettive e sul fab- bisogno eventuale di mezzi propri; negli organi di controllo societario e nelle autorità di vigilanza cui è sottoposta la società; nei dipendenti, che devono essere posti nelle condizioni di poter correttamente applicare e portare a buon fine quanto indicato nel piano; nei creditori e nei terzi sui quali incida il piano; nei clienti; nel professionista attestatore, quando il piano deve essere oggetto di attestazione; nelle banche e negli intermediari finanziari, in merito ai finanziamenti già concessi e per la nuova finanza. Il fine principale del piano è far sì che tutti i soggetti interessati aderiscano al progetto di risanamento, contribuendo con idonee risorse finanziarie ed operative o accettando i sacrifici richiesti. Per questa ragione il piano deve permettere agli stakeholder di con- frontare gli andamenti attesi con i risultati raggiunti, affinché sia possibile apportare cambiamenti nel piano stesso. A seconda della gravità dello stato di crisi, degli obiet- tivi che si vuole raggiungere e degli strumenti utilizzati, il piano di risanamento deve presentare sviluppi differenti. Se si prevede la continuità dell’attività aziendale, il pia- no deve essere redatto in modo da fornire soluzioni per il ripristino delle fisiologiche condizioni di attività. Nel caso in cui sia impossibile ritornare alla redditività, il piano deve prevedere invece la liquidazione del business. I contenuti effettivi del piano di- penderanno dunque da elementi quali la strategia alla base del risanamento, il tempo, le risorse manageriali a disposizione, le informazioni disponibili, la tipologia dell’at- tività aziendale e gli effetti fiscali possibili per debitori e creditori. Dovendo il piano adattarsi ai differenti scenari di crisi, i Princìpi non devono essere intesi come precetti assoluti ma come indicazione delle migliori pratiche di redazione da utilizzare. Un pia- no di risanamento deve essere redatto nel rispetto di alcuni princìpi generali riguar- danti il metodo e le tecniche impiegati, i contenuti e la forma. Un piano deve risultare

in primo luogo tempestivo in relazione alla gravità della crisi, dal momento che solo una tale tipologia di intervento permette di aumentare il raggio delle opzioni di risa- namento e di avere maggiore potere contrattuale con i soggetti coinvolti. La redazione di un piano è il frutto di un processo iterativo che richiede una disponibilità di tempo adeguata e un coinvolgimento dei vari stakeholder.

I princìpi enunciano una serie di “postulati” per la determinazione del contenuto mi- nimo del piano e la conseguente strutturazione dello stesso. Deve essere: sistematico, ovvero deve descrivere la situazione attuale e quella obiettivo al termine del piano, ri- ferendosi sia all’azienda a livello globale che alle sue principali aree di attività, ai pro- cessi operativi più importanti, alla struttura organizzativa e manageriale, alle risorse disponibili e alle obbligazioni assunte; coerente, ovvero deve basarsi su un sistema di ipotesi logicamente connesse; attendibile, ovvero l’andamento ipotizzato delle va- riabili considerate deve essere ragionevole e dimostrabile. Non esistendo un modello vincolante di riferimento, il redattore di un piano di risanamento può strutturarne il contenuto come meglio ritiene. Tuttavia, sebbene le singole realtà impongano carat- teristiche non uniformabili, i Princìpi suggeriscono una struttura di massima, con in- dicazioni sul contenuto delle diverse parti da sviluppare nel piano, da adattarsi poi alle singole esigenze. In particolare affermano che esso si sostanzia in un documento avente forma scritta e redatto per esteso, non potendo essere costituito da un semplice assieme di slide senza contenuto analitico. Il piano deve essere sviluppato seguendo una sequenza logica nella definizione delle ipotesi e delle strategie di intervento e de- ve mettere in evidenza in particolare una serie di elementi specifici ossia: l’oggetto del piano; l’intervallo temporale coperto; la data di redazione; la data di riferimento con- tabile; l’approvazione del piano da parte dell’organo amministrativo; l’eventuale stru- mento giuridico di composizione della crisi per il quale il piano è redatto; se si tratta di una sua prima versione o di un successivo aggiornamento; eventuali limitazioni nella circolazione del documento. Il piano deve rappresentare i nessi causali che legano le variabili tecnico-operative a quelle economico, finanziarie e patrimoniali, affinché es- se siano comprensibili anche ai soggetti esterni con scarsa conoscenza della società. Le descrizioni devono essere esaurienti e permettere la comparazione tra i risultati ot- tenuti e quelli attesi.

Per elaborare un piano sono necessarie differenti competenze, disponibilità a livello temporale e risorse umane che possono essere apportate anche da consulenti esterni. Il piano è generalmente composto da una parte industriale e una economico-finan- ziaria e patrimoniale. Quando nel piano è prevista la continuità aziendale, i risultati industriali devono essere assunti come basi per le proiezioni economico-finanziarie e patrimoniali. Nell’ambito del piano, il “modello economico-finanziario e patrimoniale” rappresenta la formalizzazione quantitativa delle prospettive economiche, finanzia- rie e patrimoniali in un foglio di calcolo elettronico. I princìpi suddividono il processo di sviluppo del modello economico-finanziario e patrimoniale in sei fasi sequenziali: “scopo”, fase in cui si ha la definizione della natura, della complessità e della struttura del modello; “specifiche”, fase in cui avviene l’analisi e la definizione dei flussi di in- formazione; “formalizzazione”, fase in cui si ha l’ufficializzazione delle assunzioni di base; “costruzione”, fase in cui vengono elaborati i dati contabili prospettici; “test”, fa- se in cui viene verificata la correttezza matematica del modello; “utilizzo”, fase carat- terizzata dall’analisi di sensitività, dalla valutazione e dalla pianificazione strategica.