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Detecting lies e procedimento penale: una revisione critica

SOMMARIO: 1. La “critica della dichiarazione”. – 2. Le problematicità dei paradigmi sperimentali nella rilevazione dell’“inganno”. – 3. Detecting lies e valore probatorio nei tribunali. – 4. L’attuale contributo della prova neuroscientifica nel procedimento penale. – 5. La difficile compatibilità con le regole di esclusione probatoria. – 6. I presidi di matrice costituzionale nel procedimento penale italiano. – 7. Lie detection e salvaguardia dei fundamental rights nell’ordinamento statunitense.

1. La “critica della dichiarazione”

La diagnostica dell’attendibilità dichiarativa richiede di concepire l’“apporto testimoniale” come un complesso di elementi passibile di valutazione scientifica.

Ebbene, questo genere di approccio suscita prima facie sensazioni alquanto destabilizzanti. È chiaro che il ricorso ai più recenti e innovativi ausili tecnici o metodologici per l’apprezzamento dell’attendibilità del dichiarante, è potenzialmente in grado di privare il giudice e le prove dichiarative del loro “tradizionale” rapporto duale, perché mediatore nell’iter valutativo diventa una terza figura soggettiva: l’esperto.

Eppure, già a partire dai primi anni Settanta, qualche autore auspicava un ampliamento dell’intervento legislativo «per tutte quelle ipotesi in cui collaudate massime d’esperienza suggeriscono di non lasciare nelle mani del solo giudice la chiave per decifrare il valore di verità degli enunciati del testimone»1.

Quanto al peso probatorio, poi, si è chiarito che una volta superato il vaglio della verifica, sia la prova storica (o rappresentativa) sia la prova critica (o logica) hanno la

1 In tal senso, si esprimeva E. AMODIO, Libertà e legalità della prova nella disciplina della testimonianza,

in Riv. it. dir. proc. pen., 1973, 326, secondo il quale la rivalutazione delle massime d’esperienza era un

chiaro sintomo dell’avvertita necessità di recuperare un apparato di stabili e razionali parametri nell’apprezzamento della prova penale, in particolare quella di natura testimoniale. Anche V.DENTI,

Scientificità della prova e libera valutazione del giudice, in Riv. dir. proc., 1972, 421, sperava che il

mondo della testimonianza potesse in una certa misura essere razionalizzato da tecniche attendibili di controllo della sua formazione ed acquisizione. Non si trattava della scienza come portatrice di nuovi mezzi di prova, ma della applicazione di metodi scientifici nella acquisizione della prova al processo, e soprattutto del controllo della sua veridicità.

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stessa attitudine alla dimostrazione2. La distinzione tra queste due classi3, quindi, non può essere invocata per esprimere valutazioni di maggiore o minore attendibilità. Indubbiamente, anche chi ritenesse eccessivamente enfatica l’affermazione in base alla quale alla “prova scientifica” – quindi critica – è ricollegabile una “pretesa di verità” in assoluto più elevata rispetto a quella scaturente dalla prova testimoniale4, dovrebbe riconoscere che molto spesso essa si rivela comunque maggiormente affidabile, in quanto non condizionata dai fattori perturbanti che incidono sulle dichiarazioni dei testi5.

Accade sovente, però, – ed è questo il punto – che la prova logica serva a verificare quella rappresentativa, sicché prove di un tipo finiscono per essere inestricabilmente intrecciate con prove di altro tipo.

Come osserva attenta dottrina, pare significativo il fatto che la “prova scientifica” s’insinui anche nel contesto della testimonianza. Sotto questo aspetto va tenuto conto non solo dell’art. 196, comma 2, c.p.p., in base al quale il perito può essere chiamato a prestare la propria opera al fine di permettere la verificazione dell’idoneità di un determinato soggetto a rendere testimonianza, ma anche dell’art. 498, comma 4, c.p.p., concernente l’apporto che l’esperto di psicologia infantile può fornire al giudice nel corso dell’esame testimoniale nel minore6.

Ma sono queste le uniche ipotesi configurabili di quella che possiamo definire – atecnicamente – “critica della dichiarazione”7?

Un autorevole processualpenalista ha affermato che «una dichiarazione […] in sé non costituisce una prova del fatto riferito, e qui sta l’aporia della testimonianza, la

2 Cfr. E.FASSONE, La valutazione della prova, in AA.VV., Manuale pratico dell’inchiesta penale, a cura di L. Violante, Milano, 1986, 139. La scelta di definire “rappresentativa” la prova storica e “logica” la prova critica è di V.GREVI, Prove, in Compendio di procedura penale, a cura di G. Conso – V. Grevi – M. Bargis, 7a

ed., Padova, 2014, 325.

3 Sulle diverse versioni della distinzione tra prova storica e prova critica, si veda M.TARUFFO, La prova

dei fatti giuridici. Nozioni generali, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da A. Cicu – F.

Messineo, continuato da L. Mengoni, III, 2, I, Milano, 1992, 433 ss. Sulla rilevanza epistemologica della distinzione tra le due classi di prova, cfr. altresì G.UBERTIS, Profili di epistemologia giudiziaria, Milano, 2015, 98 ss.

4 P.ZANGANI, Diritti della persona e prelievi biologici: aspetti medico-legali, in Giust. pen., 1988, I, 541.

5 In questi termini, C.CARINI, La testimonianza, in La prova penale, diretto da A. Gaito, II, Le dinamiche

probatorie e gli strumenti per l’accertamento giudiziale, Torino, 2008, 423. F.R.DINACCI, Neuroscienze e

processo penale: il ragionamento probatorio tra chimica valutativa e logica razionale, in Processo penale e giustizia, 2016, 2, 2, avverte il pericolo di una marginalizzazione della prova dichiarativa a vantaggio

della prova scientifica.

6 Così, P.P.RIVELLO, La prova scientifica, in Trattato di procedura penale, diretto da G. Ubertis – G.P. Voena, XVIII, Milano, 2014, 88.

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quale serve a provare in quanto sia provata; se cercassimo di provarla con altre testimonianze, il problema si riprodurrebbe nei medesimi termini; quando poi fossimo riusciti a verificarla sulla base di dati oggettivi […] diventerebbe una premessa superflua ai fini del decidere: o non è verificata o lo è con argomenti sufficienti da soli a risolvere la questione di fatto, e allora il racconto del testimone appare inutile»8.

In ogni caso, quel che si vuole rimarcare è che le conoscenze attinte dalla ricerca scientifica possono migliorare mezzi di prova non tipicamente scientifici9. E, in effetti, per saggiare la “veridicità” del testimone, al giudice non rimane altro che servirsi di argomenti tratti dall’esperienza: «la reputazione, i precedenti, il carattere del testimonio, i suoi rapporti con le parti e così seguitando: ciascuna di queste circostanze entra nella premessa minore di un sillogismo, la cui premessa maggiore è una massima di esperienza concernente la casistica degli avvenimenti umani anziché la fenomenologia della natura e, quindi, più facilmente controvertibile»10.

In ultima analisi, le prove critiche, nel nostro caso quelle le cui regole-ponte si sostanziano in leggi di copertura ottenute con il metodo della sperimentazione ripetuta, potrebbero costituire uno strumento utile – forsanche necessario ove ne venisse comprovata l’affidabilità – a verificare il dato storiografico: insomma, «anche in una prova affidata alla memoria di un dichiarante il contributo scientifico deve oggi entrare»11.

Certo è che, con il superamento del principio di tassatività delle prove e la conseguente adozione di un “sistema probatorio a struttura flessibile”12, si è legittimata una discreta gamma di ibridi probatori13: così, talvolta, ci si trova di fronte a una prova tipica – ad esempio l’esame del testimone – sulla quale «si vuole

8 Testualmente, F.CORDERO, Procedura penale, cit., 955.

9 In tal senso, G.GENNARI, La scienza in Corte, in AA.VV., L’uso della prova scientifica nel processo penale, a cura di M. Cucci – G. Gennari – A. Gentilomo, Rimini, 2012, 14. Analogamente, C.BRUSCO, La valutazione

della prova scientifica, in AA.VV., La prova scientifica nel processo penale, a cura di L. De Cataldo Neuburger, Padova, 2007, 36, secondo il quale spesso le indagini scientifiche possono essere utili anche per verificare la genuinità di altri mezzi di prova.

10 F.CORDERO, Procedura penale, cit., 956.

11 Così, G. GENNARI, La scienza in Corte, cit., 10, il quale non nega che talvolta l’approccio scientifico rimane comunque improduttivo di risultati confortanti. Amplius sul tema, A.PAGLIANO, La formazione e

le nuove frontiere della valutazione della prova dichiarativa, Napoli, 2012.

12 E.AMODIO, Libero convincimento e tassatività dei mezzi di prova: un approccio comparativo, in Riv. it.

dir. proc. pen., 1999, 6.

13 Si pensi agli esempi tipici della registrazione fonografica di colloqui tra presenti realizzata ad opera di soggetti privati, o della individuazione di persona eseguita all’udienza dibattimentale.

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innestare l’intervento di un esperto per la fruizione di un certo strumento scientifico-tecnico»14.

Il codice di rito ha riconosciuto la fenomenologia della prova atipica. Il perno attorno al quale ruota una simile scelta è duplice: da un lato, “etico”, dal momento che il metodo prescelto non deve recare pregiudizio alla libertà morale della persona; dall’altro lato, “gnoseologico”, perché deve essere assicurato l’accertamento dei fatti.

Ebbene, i presupposti legali anzidetti costituiranno oggetto di attenta riflessione, posto che la materia probatoria – soprattutto in fase di valutazione giudiziale – è frutto di una delicata commistione tra legalità e libertà15.

2. Le problematicità dei paradigmi sperimentali nella rilevazione dell’“inganno”

A questo punto, è necessaria una “costruzione giuridica della scienza”16: considerare esistenti strumenti in grado di rilevare indici di attendibilità o inattendibilità dichiarativa, in primis, significa chiedere al diritto di riconoscere se il sapere che ne deriva è scientifico.

Merita ribadire che il giudice, per poter svolgere in modo appropriato il suo compito, non ha bisogno di essere egli stesso un esperto, ma è opportuno, ai fini di un razionale adempimento motivazionale, che egli conosca quali condizioni occorrono perché un’informazione sia dotata di validità scientifica. Quello che si deve evitare è che l’esperto introduca nel processo elementi di giudizio o valutazioni che sono frutto di personali percorsi di conoscenza, ipotesi non verificate, strumenti di indagine non appropriati o criteri non scientificamente testati.

Ci muoviamo su un terreno in cui le riflessioni dei giuristi segnalano orizzonti ancora problematici: rileva attenta dottrina che «il collegamento ˈepistemologicoˈ del diritto col sapere scientifico comporta l’esigenza che nelle istituzioni del law

enforcement filtri una cultura adeguata a comprendere il discorso scientifico che

14 Cfr. S. MAFFEI, Ipnosi, poligrafo, narcoanalisi, risonanza magnetica: sincerità e verità nel processo

penale, in Ind. pen., 2006, 731, il quale accoglie la prospettazione formulata da O.DOMINIONI, La prova

penale scientifica. Gli strumenti scientifico-tecnici nuovi e controversi e di elevata specializzazione,

Milano, 2005, 214.

15 Riteneva che il regime di valutazione della prova risultasse in pratica dalla “commistione” tra legalità e libertà, F.CARNELUTTI, Prove civili e prove penali, in Studi di diritto processuale, I, Padova, 1925, 216.

16 In tal senso, v. D.PULITANÒ, Il diritto penale fra vincoli di realtà e sapere scientifico, in Riv. it. dir. proc.

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interessa il diritto»17. Ad ogni modo, si riconferma una non indispensabile corrispondenza culturale tra esperto e giudice: quest’ultimo deve essere in grado di comprendere se la tecnica probatoria sia effettivamente scientifica e, se del caso, di rifiutare la c.d. “scienza spazzatura”18.

Ciò detto, è arrivato il momento di affrontare – più nello specifico – l’interrogativo posto a base del presente elaborato, ovvero se si possa contare su un impiego processualmente affidabile degli strumenti di detecting lies. Per quanto riguarda le procedure di analisi del linguaggio verbale e non verbale da intendersi, più propriamente, come tecniche di diagnostica dell’attendibilità dichiarativa.

Fornire una risposta esaustiva al quesito in esame richiede, anzitutto, di considerare i limiti metodologici della ricerca scientifica in questo campo. Da un punto di vista sperimentale, infatti, ciascuno dei differenti approcci alla deception

detection soffre un significativo ostacolo: la difficoltà di collezionare dati adeguati per

lo studio del fenomeno. In un contesto di vita reale (real-life field), l’accuratezza di un qualsiasi strumento di rilevazione dell’“inganno” è difficilmente testabile. Si ritiene, infatti, virtualmente impossibile determinare con certezza quando una persona sta mentendo e quando sta dicendo la verità19.

L’indagine empirica utilizza solitamente due paradigmi di ricerca: uno in laboratorio, l’altro sul campo.

Negli studi di laboratorio un ricercatore istruisce i partecipanti (spesso studenti universitari, sobri, fisicamente e mentalmente in salute) a dire la verità o a mentire nell’esclusivo interesse dell’esperimento, il più delle volte con l’incentivo di una ricompensa monetaria. L’impossibilità di “fotocopiare” in un setting sperimentale tutti quei fattori emotivi e contestuali unici della realtà, si traduce in un significativo problema di validità ecologica del metodo20. È evidente che la validità esterna

17 Così, D.PULITANÒ, Il diritto penale fra vincoli di realtà e sapere scientifico, cit., 814.

18 M. TARUFFO, La prova scientifica nel processo civile, Relazione al Convegno su “Scienze e diritto. Il

giudice di fronte alle controversie tecnico-scientifiche”, Firenze, 7-8 maggio 2004, dattil., 22 ss.

19 A. VRIJ,B.VERSCHUERE, Lie Detection in a Forensic Context, in Oxford Bibliographies in Psychology, a cura di D.S. Dunn, New York, 2013; U. UNDEUTSCH, Courtroom Evaluation of Eyewitness Testimony, in 33

Intern. Rev. Appl. Psychol., 1984, 64.

20 In tal senso, M.G. FRANK, E. SVETIEVA, Deception, in Nonverbal Communication: Science and

Applications, a cura di D. Matsumoto – M.G. Frank – H. Hwang, Los Angeles, 2013, 127; G.SARTORI,S. AGOSTA,C.ZOGMAISTER,S.D.FERRARA,U.CASTIELLO, How to Accurately Detect Autobiographical Events, in 19 Psychol. Sci., 2008, 778; R. VOLBERT,M.STELLER, Is This Testimony Truthful, Fabricated, or Based on

False Memory?, in 19 Eur. Psychologist, 2014, 217. Sui limiti degli studi di laboratorio nell’analisi del

comportamento non verbale, v. A.VRIJ, Detecting Lies and Deceit: Pitfalls and Opportunities, Wiley Series in Psychology of Crime, Policing and Law, 2nd ed., Chichester, 2008, 50 ss.

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(external validity) di questo paradigma di ricerca è limitata, in quanto la partecipazione emotiva che contraddistingue la vita reale quando si è coinvolti a diverso titolo in un procedimento penale è di natura, qualità e intensità del tutto diversa21.

In sostanza, la persona che si determina a fornire una dichiarazione falsa, potenzialmente idonea a produrre conseguenze negative per gli altri, può comportarsi, comunicare, emozionarsi e così via, in modo ben diverso rispetto a colui che si limita ad assecondare un’istruzione impartita ai fini di un esperimento in laboratorio: in questo caso, ad essere compromessa è la “construct validity” del metodo22.

Per comprendere appieno la problematica in esame si prenda, ad esempio, la risonanza magnetica funzionale (fMRI) con finalità di lie detection. I più critici ritengono che i partecipanti non mentano per davvero quando è l’esaminatore a chiedere loro di mentire. Ciò si sostanzia nel rischio concreto che la risonanza evidenzi l’area del cervello che si è attivata per eseguire l’istruzione: in definitiva, gli esiti del test neuroscientifico potrebbero dire poco – se non nulla – dell’area effettivamente coinvolta nell’atto di mentire. Si consideri, quindi, che in termini di risultati prodotti dal test, la menzogna istruita differisce da quella spontanea23. Non solo, poiché la menzogna – come rilevato – non consta di un singolo processo o funzione mentale24, è importante sottolineare che le scansioni cerebrali possono produrre diverse images a seconda del tipo di bugia coinvolta25.

21 Così, L.DE CATALDO NEUBURGER,G.GULOTTA, Trattato della menzogna e dell’inganno, Milano, 1996, 244.

22 V. F.SCHAUER, Neuroscience, Lie-detection, and the Law, in 14 Trends in Cognitive Sciences, 2010, 102, il quale ritiene, tuttavia, che «if the ease of telling an instructed lie in the laboratory correlates with the

ease of telling a real lie outside the laboratory, research on instructed lies is no longer irrelevant to detecting real lies. With any positive correlation between instructed and real lies, experiments on the former will tell us something about the latter, and whether that ˈsomethingˈ is enough depends on the uses for which the research is employed».

23 H.GREELY,J.ILLES, Neuroscience-Based Lie Detection: The Urgent Need for Regulation, in 33 Am. J. L. &

Med., 2007, 402 ss., secondo i quali «additional doubts stem from the size and nature of the samples, potential confounding variables (e.g. whether subjects are left- or right-handed)».

24 S’intende dire che le regioni del cervello implicate nel processo di inganno sono coinvolte anche in altri processi cognitivi, e ciò rappresenta un grosso limite (in tal senso, v. L.SAMMICHELI,A.FORZA,L.DE

CATALDO NEUBURGER, Libertà morale e ricerca processuale della verità: metodiche neuroscientifiche, in AA.VV., Manuale di neuroscienze forensi, a cura di A. Bianchi – G. Gulotta – G. Sartori, Milano, 2009, 233).

25 G.GANIS,S.KOSSLYN,S.STOSE,W.THOMPSON,D.YURGELUN-TODD, Neural Correlates of Different Types of

Deception: An fMRI Investigation, in 13 Cereb. Cortex, 2003, 833. T.BULLER, Can We Scan for Truth in a

Society of Liars?, in 5 Am. J. Bioeth., 2005, 59, osserva che «what counts as a lie is in part, if not in whole, a matter of social convention. [I]t is not implausible to claim that these social conventions are culturally determined, and hence what counts as a lie in one culture would not count as one another». È plausibile,

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Merita notare, infine, che il cambiamento dell’afflusso ematico nelle diverse zone del cervello potrebbe dipendere anche da processi neurologici che niente hanno a che vedere con il tentativo di nascondere la verità: malattie cerebrali o sistemiche (come il diabete o l’ipertensione), l’assunzione di farmaci o droghe possono alterare il

pattern di flusso ematico cerebrale alla base delle misurazioni di risonanza magnetica

funzionale. Esistono inoltre una serie di criteri di esclusione per l’esame di risonanza magnetica, come la presenza di pace-maker o di clip chirurgiche, impianti cocleari, frammenti di metallo nel corpo. V’è da dire poi che soggetti claustrofobici o ansiosi difficilmente tollerano l’esame che richiede di rimanere confinati in uno spazio relativamente ristretto con la testa immobilizzata26.

Alla luce di queste criticità, anche uno dei più noti neuroscienziati ritiene che «the data offer no compelling evidence that fMRI will work for lie detection in the real

world»27.

Alcune problematicità si riscontrano, d’altra parte, anche nel caso in cui i metodi in esame dovessero essere applicati in contesti fattuali caratterizzati dal rilievo significativo dei beni protetti e dei valori in gioco, come ad esempio il procedimento penale. Negli studi sul campo la “veridicità” delle affermazioni viene stimata in base ad altri elementi a disposizione nel caso concreto. Generalmente, le confessioni o le decisioni giudiziarie definitive vengono utilizzate come parametri di verità effettiva (c.d. ground truth)28. Questo secondo paradigma di ricerca è certamente dotato di un maggiore realismo sperimentale. Ad ogni modo, alcuni studiosi mettono in guardia dai pericoli che incombono sull'uso della confessione come parametro per testare l’accuratezza di un qualsiasi metodo di lie detection29.

quindi, che le bugie subiscano anche l’influenza delle “convenzioni sociali”: ciò che è qualificabile come bugia in una cultura, potrebbe non esserlo in un’altra.

26 In tal senso, P.PIETRINI, La macchina della verità alla luce delle recenti acquisizioni delle neuroscienze, in Cass. pen., 2008, 411, nt. 8.

27 N. KANWISHER, The Use of fMRI Lie Detection: What Has Been Shown and What Has Not, in Using

Imaging to Identify Deceit: Scientific and Ethical Questions, Cambridge (MA), 2009, 12.

28 Nozione usata in diversi contesti per riferirsi alla assoluta verità di qualcosa. V. C.RUBY,J.BRIGHAM,

The Usefulness of the Criteria-based Content Analysis Technique in Distinguishing Between Truthful and Fabricated Allegations, in 3 Psychol. Pub. Pol’y & L., 1997, 709, i quali segnalano che in due studi «the final court decision was one of the standards used to classify the statement. In particular, if the judge dismissed the charges, the allegation was classified as doubtful». L. CASO, A. VRIJ, L’interrogatorio

giudiziario e l’intervista investigativa, Bologna, 2009, 139.

29 Così, L.CASO,A.VRIJ, L’interrogatorio giudiziario, cit., 45; C.PATRICK,W.IACONO, Validity of the Control

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Per un verso, quindi, i risultati della ricerca in laboratorio, nonostante i tentativi di renderla più realistica30, non sono indicatori ottimali del livello di affidabilità processuale del metodo o del presidio tecnologico che l’esperto intende adottare. Per altro verso, per quanto riguarda gli studi sul campo si deve fare i conti, talvolta, con la difficoltà di stabilire la ground truth31.

Studi di quest’ultima species sono rari o impossibili da allestire, e quando ciò è possibile, gli esperti devono evitare – in ogni caso – di incappare in falsi positivi o falsi negativi. È evidente che gli esperimenti di laboratorio differiscono dalle applicazioni in real-life field, in cui i partecipanti potrebbero non essere collaborativi ovvero essere messi sotto pressione da contesti ad alto impatto emotivo (high-stake contexts) produttivi di sensazioni ansiogene legate alle conseguenze delle loro performance32. Ciò a dire che condizioni personali e situazionali, relative al caso concreto, devono sempre essere prese in considerazione dagli esperti per ottenere un più alto tasso di accuratezza.

30 Si vedano, fra le tante, le ricerche condotte da M.G. FRANK,P.EKMAN, The Ability to Detect Deceit

Generalizes Across Different Types of High-Stake Lies, in 72 J. Pers. & Soc. Psychol., 1997, 1429 ss.; M.

RUSSANO, C.MEISSNER, F.NARCHET,S. KASSIN, Investigating True and False Confessions Within a Novel

Experimental Paradigm, in 16 Psychological Sci., 2005, 481 ss. A.VRIJ,S.MANN, Telling and Detecting Lies

in a High-Stake Situation: The Case of a Convicted Murderer, in 15 Appl. Cognit. Psychol., 2001, 187 ss.

Recentemente, L. TEN BRINKE,S.PORTER, Cry Me A River: Identifying the Behavioural Consequences of

Extremely High-Stake Interpersonal Deception, in 36 Law & Hum. Behav., 2012, 469 ss., i quali hanno