SOMMARIO: 1. Approcci scientifici per il rilevamento dell’“inganno”. – 2. Strumenti di valutazione basati sulla comunicazione verbale: Statement Validity Assessment &
Criteria-Based Content Analysis. – 3. L’analisi del comportamento non verbale: Facial Expression of Emotions. – 4. (segue) Il metodo SVA/CBCA e l’interpretazione
dell’espressività non verbale sono strumenti di “lie detection”? – 5. Le tecniche di
neuroimaging. – 6. Autobiographical Implicit Association Test.
1. Approcci scientifici per il rilevamento dell’“inganno”
Come anticipato, il nostro è un focus analitico di settore. Ci occuperemo, da un punto di vista metodologico e, successivamente, processualpenalistico, delle più recenti e innovative risposte tecnico-scientifiche a uno fra i dilemmi più diffusi dell’era contemporanea: fino a che punto siamo in grado di renderci conto se l’altro ci sta mentendo?
Posto che inganno ed errore non sono l’eccezione, bensì la norma della comunicazione umana1, nel corso della storia gli esseri umani hanno cercato di sviluppare strumenti e tecniche di rilevamento della menzogna2 ovvero di accertamento della verità sempre più efficaci, nella convinzione che ciò potesse servire anzitutto per capire meglio i loro rapporti3.
1 Per una più ampia trattazione, cfr. F.SIDOTI, Errore e inganno nell’ingiusto processo, in Investigazione
pubblica e privata nel giusto processo, a cura di F. Sidoti – F. Donato, Napoli, 2000, 91 ss. SecondoL.DE
CATALDO NEUBURGER,G.GULOTTA, Trattato della menzogna e dell’inganno, Milano, 1996, 36, mentire può
essere considerato come un utile strumento del processo di adattamento individuale; in altre parole, un aspetto dell’“intelligenza sociale”. Anche A.VRIJ, Detecting Lies and Deceit: Pitfalls and Opportunities, Wiley Series in Psychology of Crime, Policing and Law, 2nd ed., Chichester, 2008, 12, rimarca come esso serva spesso da “lubrificante sociale”: «lying is an important phenomenon in interpersonal relationships
and we often like the company of people who lie frequently».
2 La menzogna è un «atto comunicativo consapevole e deliberato [volto a] trasmettere una conoscenza non vera ad un altro in modo che quest’ultimo assuma credenze false sulla realtà dei fatti», ed è necessario distinguerla dalla finzione o dall’errore (v. L. ANOLLI, Mentire. Tutti lo fanno, anche gli
animali, Bologna, 2003, 12). La maggior parte degli studiosi individuano due modi principali di
mentire: dissimulare e falsificare. Nella dissimulazione chi mente nasconde certe informazioni senza dire effettivamente nulla di falso. Nella falsificazione ci si spinge oltre: non solo l’informazione vera è taciuta, ma viene presentata un’informazione falsa come se fosse vera (P.EKMAN, I volti della menzogna.
Gli indizi dell’inganno nei rapporti interpersonali, trad. it., Firenze, 2015, 16).
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Il nostro interesse verso questi temi nasce dalla riconosciuta interdipendenza dei diversi sistemi comunicativi dell’essere umano: i processi di interazione si fondano infatti sul funzionamento integrato e simultaneo di elementi verbali, paralinguistici e cinesici4. Ebbene, ciascuno di questi sistemi è stato studiato al fine di individuare una qualche relazione significativa con l’attività cognitiva del mentire.
Questo campo della ricerca è particolarmente esteso e coinvolge molte aree di interesse tecnico-scientifico, come la neuropsicologia, la biologia, l’ingegneria, la psichiatria o la criminologia, solo per citarne alcune5. È indiscutibile che tali studi, oltre a suscitare una certa attrattiva, rivestano per la giustizia penale una grande importanza. Abbiamo avuto modo di constatare, infatti, che le scienze dell’uomo – e la psicologia in particolare –, se aperte al lavoro interdisciplinare, possono dare al giurista informazioni molto utili6.
Negli anni Ottanta, alcuni studiosi americani avevano stimato che in circa l’85% dei casi giudiziari la prova dotata di “maggior peso” era appunto la testimonianza. Nonostante siano trascorsi ormai trent’anni e il dato riguardi un altro sistema giuridico, ciò dimostra nondimeno che la valutazione della prova dichiarativa è sempre stata una componente cruciale nel percorso decisorio del trier of fact7.
Nel nostro ordinamento, dopo l’entrata in vigore del “Nuovo codice di procedura penale”, l’esaltazione del contraddittorio e la conseguente nascita di una concezione dialettica della prova paiono individuare argomenti conferenti all’assunto che precede8. Ancora oggi, l’apporto lato sensu testimoniale riveste un ruolo enorme nel processo penale, talvolta è l’unica strada per la ricerca della “verità”9. Tuttavia, la
4 Cfr. G. ZACCURI, La comunicazione verbale e non, in AA.VV., Il processo invisibile. Le dinamiche
psicologiche del processo penale, a cura di A. Forza, Venezia, 1997, 131 ss.
5 Come riportano N.J. GORDON, W. FLEISCHER, Effective Interviewing and Interrogation Techniques, London, 2002, 5, Cesare Lombroso – padre fondatore della criminologia – fu il primo a utilizzare con successo strumentazioni scientifiche nella ricerca dell’inganno.
6 In tal senso, v. L.DE CATALDO NEUBURGER, Gli sviluppi della psicologia giuridica: la valutazione della
qualità del contributo dell’esperto, in AA.VV., La prova scientifica nel processo penale, a cura di L. De Cataldo Neuburger, Padova, 2007, 522 ss.
7 V.HANS,N.VIDMAR, Judging the Jury, New York, 1986, 205. L’espressione “trier of fact” nei sistemi anglosassoni è solita indicare la persona o il gruppo di persone (the jury) deputate a pronunciarsi sulle questioni di fatto (per un approfondimento, cfr. R.GLOVER, Murphy on Evidence, 14th ed., Oxford, 2015, 33 ss.).
8 Sul punto cfr. G.UBERTIS, Sistema di procedura penale, I, Principi generali, 2ª ed., Torino, 2007, 50 ss.
9 Cfr. R.MILNE,R.BULL, Investigative Interviewing: Psychology and Practice, Chichester, 2001, i quali hanno somministrato un questionario a 159 operatori di polizia inglesi: il 57% degli intervistati ritiene il testimone sempre determinante per la soluzione del caso, mentre il 33% lo ritiene quasi sempre utile. È senz’altro presumibile che quanto detto valga anche per la realtà italiana e che quindi le informazioni testimoniali si rivelino fondamentali tessere di un intero mosaico, progressivamente
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difficoltà di ottenere informazioni obiettive, sincere, complete e precise è all’origine delle perplessità che circondano la sua efficacia probante. Si pensi che già nel IV sec. a.C. Tucidide, uno dei principali esponenti della letteratura greca, riconosceva la difficoltà di scoprire la verità «perché nei loro resoconti i testimoni oculari non raccontano allo stesso modo gli identici fatti»10.
In questo scenario, è chiaro che l’impiego di metodi o tecniche in grado di valutare efficacemente il grado di affidabilità delle dichiarazioni rese, a diverso titolo, in atti del procedimento, potrebbe assumere un valore decisivo nelle dinamiche dell’accertamento giudiziale. Basti considerare, anzitutto, i casi – peraltro frequenti – in cui si alternano ricostruzioni del fatto contraddittorie e mancano evidenze esterne a titolo di corroboration.
Come sostenuto da autorevole dottrina «l’intera vita sociale si svolge sul filo della fiducia nelle esperienze altrui e nella veridicità delle descrizioni con cui sono comunicate; il processo non fa eccezione». Si tratta di una questione di fiducia: «[l]a parola coglie il nucleo emotivo e perciò logicamente indefinibile di ogni scelta con la quale il giudice risolve di credere o meno al testimonio»11.
In letteratura si registra una varietà di strumenti finalizzati al rilevamento dell’“inganno”. Il presupposto teorico, alla base dei diversi approcci, si fonda sull’idea che l’elaborazione cognitiva di una dichiarazione ingannevole, ovvero inattendibile sotto il profilo processuale, differisce dall’elaborazione di una dichiarazione veritiera, ovvero attendibile.
Di conseguenza, questa differenza dovrebbe essere tracciabile:
- in particolari caratteristiche formali e sostanziali del contenuto della dichiarazione stessa;
- o in certi “segni rivelatori” del comportamento non verbale: dove per comportamento non verbale può alludersi tanto al comportamento
messe sul tappeto fino a realizzare il disegno della verità (v. A.MANGANELLI,F.GABRIELLI, Investigare –
Manuale pratico delle tecniche di indagine, Padova, 2007, 98).
10 La testimonianza, dunque, costituisce e ha costituito il tema centrale della ricerca, posto che nel comportamento del testimone intervengono, direttamente o indirettamente, l’attività percettiva, quella conoscitiva e rappresentativa, i processi di memoria, la dinamica affettiva e quella relazionale (v.
amplius AA.VV., Il processo invisibile, cit., 157 ss.).
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gestuale e mimico-facciale12, quanto alle variazioni dell’attività elettrica cerebrale misurabili attraverso tecniche di neuroimaging;
- o, ancora, nella velocità di reazione del soggetto in risposta a frasi che descrivono eventi autobiografici, con l’idea che la sensazione inconscia di colpevolezza sia in grado di incidere sulla velocità di risposta.
Posto che la ricerca in questi settori è decisamente vasta e diversificata quanto a strumenti di analisi, si avverte la necessità di circoscrivere l’area di nostro interesse. In tal senso, avremo modo di approfondire più nello specifico le metodiche che vantano una qualche presa di posizione da parte della giurisprudenza italiana: si allude alla Statement Validity Assessment (SVA), al metodo c.d. Facial Action Coding
System (FACS) e all’autobiographical Implicit Association Test (a-IAT)13.
Per quanto riguarda le tecniche di neuroimaging con finalità di lie detection, è bene chiarire fin da subito che nel nostro ordinamento non si registrano tentativi di ingresso. Cionondimeno, merita dar conto dell’ampio dibattito internazionale riguardante la possibilità di servirsene in sede processuale per “validare” i contributi dichiarativi.
Prima di passare alla descrizione delle tecniche diagnostiche dell’attendibilità processuale, siano consentite alcune rapide premesse.
Dal momento che si può essere non veritieri senza per questo mentire, perché vero o falso è ciò che si crede essere tale, ai nostri fini pare opportuno intendere le nozioni di menzogna o inganno in senso lato, e non strettamente definitorio come atti comunicativi consapevoli e deliberati volti a trasmettere ad altri informazioni false14.
12 Il comportamento non verbale comprende vari canali comunicativi: espressione facciale, sguardo e dilatazione delle pupille, gesti e movimenti del corpo, postura, comportamento spaziale, vocalizzazioni non verbali e così via (M.ARGYLE, Il corpo e il suo linguaggio. Studio sulla comunicazione non verbale, 2ª ed., trad. it., Bologna, 1992).
13 Vi sono anche test che si basano su risposte fisiologiche come la Voice Stress Analysis o l’immagine termica. Tra gli strumenti di valutazione basati sugli aspetti verbali può segnalarsi anche il Reality
Monitoring e la Scientific Content Analysis (v. L.CASO,A.VRIJ, L’interrogatorio giudiziario e l’intervista
investigativa, Bologna, 2009, 130 ss.). Esistono anche software appositamente progettati per analizzare
quantitativamente e qualitativamente testi scritti o verbali, e funzionali, ad esempio, all’individuazione della paternità del documento (per un approfondimento, G. GULOTTA, Breviario di psicologia
investigativa, Milano, 2008, 76 ss.).
14 Nella letteratura scientifica inglese si allude, più generalmente a lying o deception. Nonostante i termini siano considerati sostanzialmente interscambiabili, qualche autore ritiene invece che tra i due termini vi siano delle importanti differenze. Deception viene definita come ogni azione o fenomeno che induce in errore qualcuno; lying come un atto con il quale qualcuno svia deliberatamente (deliberately) un altro, senza informarlo (without notifying) che sta per essere indotto in errore. In sostanza, «deception may or may not be a deliberate act, whereas a lie is always deliberate» (sul punto, v. M.G. FRANK, E. SVETIEVA, Deception, in Nonverbal Communication: Science and Applications, a cura di D.
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Ciò non toglie che anche ove si optasse per la definizione letterale, andrebbero prese in considerazione le molte sfaccettature dell’“atto di mentire” e, al tempo stesso, la varietà delle sue ragioni scatenanti: la reticenza, la dissimulazione e l’errore intrattengono, infatti, con la verità e la falsità un’infinita gamma di relazioni15.
Insomma, a prescindere dalle etichette, “mentire” rimane un atto dell’agire umano da contestualizzare e argomentare nel complesso situazionale di riferimento, per noi, il procedimento penale16. È per questo motivo che le espressioni associate alla categoria sovraordinata della “menzogna” risulteranno, il più delle volte, tra virgolette: in ambito processual-penalistico, infatti, vogliamo servircene per tradurre quelle qualità del contributo dichiarativo che sono l’inattendibilità o l’incongruenza,
Matsumoto – M.G. Frank – H. Hwang, Los Angeles, 2013, 123). Da un punto di vista terminologico anche nella lingua italiana menzogna e inganno paiono non completamente sovrapponibili. Una qualche differenza si esplicherebbe sul piano degli effetti che l’informazione mendace determina nel ricevente: l’inganno è un «comportamento teso a incidere non solo sulle conoscenze ma anche sui comportamenti, sulle aspettative, le motivazioni dell’altro» (così, L.DE CATALDO NEUBURGER,G.GULOTTA,
Trattato della menzogna e dell’inganno, cit., 68).
15 Amplius sui diversi tipi di bugie e sui moventi che le determinano, soprattutto nelle relazioni sociali quotidiane, A.VRIJ, Detecting Lies and Deceit: Pitfalls and Opportunities, cit., 11 ss. In tema, v. altresì L. DE CATALDO NEUBURGER,G.GULOTTA, Trattato della menzogna e dell’inganno, cit., 72 ss.
16 I. MERZAGORA BETSOS,A.VERDE,C.BARBIERI,A.BOIARDI, Come mente la mente. Un nuovo strumento per
valutare la memoria, in Cass. pen., 2014, 1898, segnalano infatti come la menzogna non sia il contrario
della verità, ma piuttosto “una” delle verità. In L.DE CATALDO NEUBURGER,G.GULOTTA, Trattato della
menzogna e dell’inganno, cit., 210, si legge: «la menzogna non è semplicemente l’aspetto contrario della
verità, ˈl’inverso della veritàˈ come dice Montaigne ˈha centomila forme e un campo illimitatoˈ. L’esperienza giudiziaria lo conferma: il giudicante più che a situazioni dicotomiche sincerità/menzogna, si trova di fronte a un materiale narrativo eterogeneo in cui sono contemporaneamente presenti elementi di sincerità, di dissimilazione, di reticenza, di simulazione e di menzogna che contaminano la vicenda». Ancora, S.MAFFEI, Ipnosi, poligrafo, narcoanalisi, risonanza
magnetica: sincerità e verità nel processo penale, in Ind. pen., 2006, 726, fa notare che l’esito dei
processi non sempre dipende dalla valutazione della sincerità di questo o quel dichiarante. Il tema è addirittura irrilevante quando la falsità della dichiarazione è incosciente perché il teste è incorso in un errore di percezione o in un vuoto di memoria.
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le quali non sottendono necessariamente il requisito dell’intenzionalità17, unico presupposto, invece, dell’interazione mendace18.
In secondo luogo, bisogna considerare che i metodi e le tecnologie in questione fondano le proprie radici applicative in diversi Paesi e nei più vari contesti. Estenderne l’uso al sistema giuridico italiano è, dunque, un’operazione che non può darsi per scontata: sono necessarie, al contrario, valutazioni approfondite e calibrate sull’assetto processuale e normativo del nostro Paese.
Infine – pare ovvio – da un punto di vista strutturale e funzionale, la ricerca tecnico-scientifica, di per sé, non è affine a quella del giurista: non deve stupirci allora se ad attenderci ci sarà un fitta rete di linguaggi. Del resto, la stessa dottrina giuridica ha riconosciuto che il fenomeno probatorio «postula necessariamente anche il ricorso a metodi tratti da altri campi del pensiero, in quanto rinvia necessariamente a problemi di ordine generale che per l’appunto non possono essere racchiusi entro un insieme di regole giuridiche, né compresi con il solo ricorso alle nozioni e alle tecniche della interpretazione giuridica»19.
Ebbene, proprio perché sono infinite le vie e le giustificazioni dell’“inganno”, non bastano le parole ci vogliono i fatti, soprattutto i fatti della scienza. E più ci rendiamo conto di quanto sia difficile ricostruire in modo veritiero i fatti del passato, tanto più saremo inclini a interrogarci sull’opportunità di utilizzare tecniche scientifiche di indagine.
17 Si è detto che l’attendibilità di una testimonianza è influenzata dall’accuratezza cioè dal rapporto tra realtà soggettiva e realtà oggettiva, e dalla credibilità cioè dal rapporto tra realtà soggettiva e realtà riferita. Nel primo caso vanno tenute in considerazione quelle che sono le capacità del soggetto di percepire, memorizzare e descrivere l’evento, mentre nel secondo caso si valutano eventuali ragioni o fonti di condizionamento che possono aver orientato la deposizione. La relazione tra accuratezza e credibilità però non è lineare: mentire non significa per forza dire il falso così come essere sinceri non significa per forza dire il vero (per un approfondimento, G. GULOTTA, Verità e realtà processuale, in AA.VV., Il processo invisibile, cit., 282 ss.). Anche un altro maestro della psicologia italiana sottolinea che la difficoltà di tracciare una distinzione netta tra testimonianza sincera e testimonianza menzognera è dovuta dal fatto che esiste una vasta gamma di comportamenti intermedi che vanno dalla reticenza soggettivamente giustificata fino alla narrazione fantastica, ma leale, cioè ritenuta effettivamente veritiera da chi la racconta, che mente non sapendo di mentire (v. C.L.MUSATTI, Elementi di psicologia
della testimonianza, 2ª ed., Milano, 1991, 31 ss.).
18 Alcune delle tecniche di cui ci occuperemo non mirano a ricostruire lo stato psicologico soggettivo del mentitore, bensì offrono all’esperto la possibilità di riscontrare segnali soltanto potenzialmente legati alla menzogna, più generalmente fonte di incongruenza comunicativa. Questo aspetto verrà chiarito al § 4.
19 Così, M. TARUFFO, La prova dei fatti giuridici. Nozioni generali, in Trattato di diritto civile e
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Il nostro, in definitiva, non è altro che l’eco di un desiderio mai sopito del genere umano: quello di individuare una fonte di conoscenza risolutiva per sciogliere i dilemmi dell’arte di giudicare20.
2. Strumenti di valutazione basati sulla comunicazione verbale: Statement Validity
Assessment & Criteria-Based Content Analysis
La prima delle tecniche diagnostiche di cui ci occupiamo è il risultato evolutivo di una serie di studi, messi a punto in Germania negli anni Cinquanta, sulle caratteristiche più generali delle risposte verbali21.
La Statement Validity Assessment (SVA), in particolare, rientra nei sistemi categorici di analisi dei contenuti22. La tecnica è stata sviluppata per rispondere alla particolare esigenza di giudicare la validità delle accuse di abuso sessuale rilasciate da vittime minorenni23 e vanta diverse applicazioni nelle aule dei tribunali24.
Un recente studio riporta, peraltro, che questa procedura valutativa può essere utilizzata – in linea di principio – anche per misurare la credibilità degli adulti e, oltretutto, in relazione a contesti processuali estranei all’ambito dei reati sessuali25.
20 S.LORUSSO, Il contributo degli esperti alla formazione del convincimento giudiziale, in Arch. pen., 2011, 3, 811.
21 Cfr. M.STELLER,T.BOYCHUK, Children as Witness in Sexual Abuse Cases: Investigative Interview and
Assessment Techniques, in Children as Witnesses, a cura di H. Dent, R. Flin, New York, 1992, 47 ss. A.VRIJ,
Detecting Lies and Deceit: Pitfalls and Opportunities, cit., 202 ss.
22 A.VRIJ, Detecting Lies and Deceit: The Psychology of Lying and its Implications for Professional Practice, Chichester, 2000; D. RASKIN,P.ESPLIN, Statement Validity Assessment: Interview Procedures and Content
Analysis of Children’s Statement of Sexual Abuse, in 13 Behav. Assess., 1991, 265 ss.; U. UNDEUTSCH, The
Development of Statement Reality Analysis, in Credibility Assessment, a cura di J.C. Yuille, Dordrecht,
1989, 101 ss.; ID., Courtroom Evaluation of Eyewitness Testimony, in 33 Intern. Rev. Appl. Psychol., 1984, 51 ss.
23 G.GULOTTA, Elementi di psicologia giuridica e di diritto psicologico, Milano, 2002, 505.
24 A.VRIJ, Detecting Lies and Deceit: Pitfalls and Opportunities, cit., 201 ss. Secondo l’autore «it is not
surprising that a technique has been developed to verify whether or not a child has been sexually abused. It is often difficult to determine the facts in an allegation of sexual abuse, since often there is no medical or physical evidence».
25 B.G.AMADO,R.ARCEA,F.FARIÑA, Undeutsch Hypothesis and Criteria Based Content Analysis: A
Meta-analytic Review, in 7 The European Journal of Psychology Applied to Legal Context, 2015, 3 ss. Sul punto
cfr. anche A.VRIJ,L.AKEHURST,S.SOUKARA,R.BULL, Will the Truth Come Out? The Effect of Deception, Age,
Status, Coaching, and Social Skills on CBCA Scores, in 26 Law & Hum. Behav., 2002, 262-3; S.L.SPORER,
The Less Travelled Road to Truth: Verbal Cues in Deception in Accounts of Fabricated and Self-experienced Events, in 11 Appl. Cognit. Psychol., 1997, 376; S.PORTER,J.C.YUILLE, The Language of Deceit:
An Investigation of the Verbal Clues to Deception in the Interrogation Context, in 20 Law & Hum. Behav.,
1996, 445; C.L.RUBY,J.C.BRIGHAM, The Usefulness of the Criteria-Based Content Analysis Technique in
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La SVA si compone di tre fasi principali. Si procede, anzitutto, con un’intervista strutturata finalizzata a raccogliere le dichiarazioni dell’intervistato (Statement
Analysis Interview)26. Questa fase presuppone che l’esperto abbia preso visione dei documenti relativi ai fatti contestati: la conoscenza di quante più informazioni possibili sul caso, infatti, potrebbe essere di grande aiuto per ottimizzare i risultati dell’intervista27.
Si osservi, inoltre, che la formulazione di open-ended questions (domande a risposta aperta) all’inizio del colloquio è di particolare importanza. In questo modo, la risposta fornita è aperta, libera e non influenzata28. In altri termini, questo tipo di domande è in grado di produrre risposte molto più ricche di dettagli rilevanti. L’intervistato controlla il flusso delle informazioni e, generalmente, tenderà a non includere nel racconto quelle che sa essere false29.
La seconda fase consta di un’analisi sistematica del contenuto e della qualità delle dichiarazioni fornite. La maggiore componente della SVA è l’analisi del
LANDRY,J.C.BRIGHAM, The Effect of Training in Criteria-Based Content Analysis on the Ability of Detecting
Deception in Adults, in 16 Law & Hum. Behav., 1992, 663 ss.