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Science of credibility detection: spazio realistico per un uso forense

SOMMARIO: 1. La regina probationum nei sistemi adversary: la testimonianza. – 2. The

right to disclosure of exculpatory evidence: un argomento condiviso. – 3. (segue) La

valorizzazione dell’“evento testimonianza”. – 4. (segue) L’inclusione del consulente quale espressione del diritto di difesa. – 5. La decisione giudiziale tra rigore metodologico ed emozionalità. – 6. La delicata funzione affidata alla magistratura di sorveglianza. – 7. La “quadratura del cerchio”.

1. La regina probationum nei sistemi adversary: la testimonianza

Uno degli obiettivi dei sistemi processuali di stampo accusatorio è quello di ottenere un’accurata ricostruzione dei fatti attraverso l’equo bilanciamento di tutti gli interessi giuridici in gioco.

All’interno di queste dinamiche, non può negarsi che la testimonianza abbia sempre rivestito una posizione di rilievo nel ventaglio dei mezzi di prova a disposizione1. Non a caso, la valutazione della prova dichiarativa è sempre stata una componente cruciale anche nel percorso decisorio del trier of fact2. Il giudice Scott Brownell, del dodicesimo circuito giudiziario dello Stato della Florida, ha messo in evidenza, peraltro, come nella maggior parte dei casi «[they] rely on testimony and

oral argument presented from the faces [they] see»3.

Ebbene, nonostante la prova testimoniale sia stata surclassata4, in tempi recenti, dagli apporti della scienza e della tecnologia, è anche vero che taluni procedimenti la vedono tutt’oggi regina probationum indiscussa5.

1 Secondo A. SCALFATI, Interessi in conflitto: testimonianza e segreti, in AA.VV., Verso uno statuto del

testimone nel processo penale, Milano, 2005, 149, la testimonianza «costituisce da sempre uno

strumento privilegiato dell’accertamento penale».

2 Confermerebbe questo assunto anche lo studio condotto daV.HANS,N.VIDMAR, Judging the Jury, New York, 1986, 205 (v. supra Cap. II § 1). In argomento, R.C. PARK, Adversarial Influences on the

Interrogation of Trial Witnesses, in Adversarial Versus Inquisitorial Justice: Psychological Perspectives On Criminal Justice Systems, vol. 17, Series Perspectives in Law & Psychology, New York, 2003, 131 ss.

3 S. BROWNELL, Nonverbal Behavior in the Courtroom, in Nonverbal Communication: Science and

Applications, a cura di D. Matsumoto – M.G. Frank – H. Hwang, Los Angeles, 2013, 183. Per un’ampia e

dettagliata discussione sull’istituto della testimonianza, cfr. D.WALTON, Witness Testimony Evidence.

Argumentation. Artificial Intelligence and Law, New York, 2008.

4 C.CARINI, La testimonianza, in La prova penale, diretto da A. Gaito, II, Le dinamiche probatorie e gli

strumenti per l’accertamento giudiziale, Torino, 2008, 423 s., sottolinea come la valenza della

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Questo mezzo di prova, che pur risente della limitatezza derivante «dalla griglia selettiva delle percezioni umane, per cui non tutti gli avvenimenti vengono trattenuti con uguale intensità nella memoria – la quale, peraltro, con il tempo si altera e decade»6, talvolta è l’unico appiglio ricostruttivo del fatto-reato. Trattasi – in ogni caso – di un ambito limitato di casi, posto che sovente l’esito dei procedimenti penali dipende da una complessa serie di prove e accertamenti che esulano da ciò che la persona riporta dei fatti7.

In quest’ottica, quindi, vengono a delinearsi alcuni argomenti che potrebbero favorire l’ingresso nel processo penale di strumenti diagnostici dell’attendibilità dichiarativa. Ai fini del ragionamento, è necessario trascurare i rilievi critici affrontati nel corso della trattazione8.

Ciò premesso, il ricorso a “prove esperte di attendibilità” in sede processuale pare plausibile per valutare l’apporto dichiarativo dell’offeso dal reato e, più generalmente, del testimone9.

Basti pensare che, con riferimento al supporto probatorio nei procedimenti per reati di violenza sessuale, il contributo dichiarativo della persona offesa può essere utilizzato come prova unica della responsabilità dell’imputato, purché sottoposto a

della c.d. prova tecnico-scientifica», giungendo addirittura a sostenere che la testimonianza da prova “regina” si sta trasformando in prova “ancillare”, in quanto «giudice e parti sono ormai adusi a rivolgere in prima battuta, tutta la loro attenzione all’apporto del c.d. sapere tecnico-scientifico». Anche S.LORUSSO, Il contributo degli esperti alla formazione del convincimento giudiziale, in Arch. pen., 2011, 3, 809, segnala lo spostamento del baricentro del processo penale dalla prova dichiarativa alla c.d. “prova scientifica”.

5 Per una riaffermazione della portata di tale mezzo di prova, v.L.SCOMPARIN, Testimonianza, in AA.VV.,

Le prove, vol. II, I singoli mezzi di prova e di ricerca della prova, a cura di E. Marzaduri, in Giurisprudenza sistematica di diritto processuale penale, diretta da M. Chiavario – E. Marzaduri, Torino, 1999, 5. Isolata

l’impostazione di F. D’ALESSANDRO, L’oltre ogni ragionevole dubbio nella valutazione della prova

indiziaria, in Cass. pen., 2005, 773, secondo cui la prova testimoniale rappresenterebbe tuttora la prova

«più affidabile di cui si può disporre nel processo penale».

6 P.P.PAULESU, Giudice e parti nella “dialettica” della prova testimoniale, Torino, 2002, 3. Per ulteriori considerazioni, v. P.FERRUA, Contraddittorio e verità nel processo penale, in Id., Studi sul processo penale, II. Anamorfosi del processo accusatorio, Torino, 1992, 78 s.

7 S.MAFFEI, Ipnosi, poligrafo, narcoanalisi, risonanza magnetica: sincerità e verità nel processo penale, in

Ind. pen., 2006, 726, fa notare che l’esito dei processi non sempre dipende dalla valutazione della

sincerità di questo o quel dichiarante.

8 V. supra Cap. III. È bene chiarire che per “strumenti diagnostici dell’attendibilità dichiarativa” intendiamo la Statement Validity Assessment (SVA/CBCA) e i sistemi di analisi comportamentale tra cui il Facial Action Coding System (FACS). L’autobiographical Implicit Association Test (a-IAT) è una metodologia neuroscientifica di memory detection. La risonanza magnetica funzionale (fMRI) e il Brain

Fingerprinting (BF) vengono utilizzati con finalità propriamente intese di lie detection (v. supra Cap. II).

Rispetto a questi ultimi tre presidi abbiamo riscontrato la presenza di un discreto numero di ostacoli metodologici e processuali che precludono, allo stato attuale, un loro ingresso nel nostro ordinamento (v. supra Cap. III).

9 Sull’attendibilità del teste e della persona offesa, cfr. V.TARDINO, Giudizio penale tra fatto e valore

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vaglio positivo circa la sua attendibilità e senza la necessità di una corroboration10. Proprio in ragione della tipologia delle condotte integranti reato, capita spesso che la deposizione della vittima sia la principale, se non unica, fonte di prova della responsabilità dell’imputato. Pertanto, ai fini dell’accertamento del fatto, è difficile prescindere dalle dichiarazioni di chi è vittima diretta di simili condotte che, nella maggior parte dei casi, sono scientemente compiute in contesti e con modalità incompatibili con una percezione diretta dei fatti da parte di terze persone. In questi casi, «l’accertamento dipende necessariamente dalla valutazione del contrasto delle opposte versioni di imputato e [persona] offesa, soli protagonisti dei fatti, in assenza, non di rado, anche di riscontri oggettivi o di altri elementi atti ad attribuire maggiore credibilità, dall’esterno, all’una o all’altra tesi»11.

È chiaro, dunque, che la vicenda narrata dall’offeso dal reato, per assurgere al rango di prova della responsabilità capace di superare la soglia dell’oltre ogni ragionevole dubbio, deve necessariamente essere sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità. Proprio in considerazione dell’interesse di cui la persona offesa è portatrice – a maggior ragione quando essa si sia costituita parte civile – la valutazione deve essere più accurata e la motivazione, ai fini del controllo dell’attendibilità rispetto al generico vaglio cui vanno sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, più rigorosa12.

Per quel che riguarda poi la valutazione delle dichiarazioni testimoniali del minore persona offesa, si rende necessario un «esame della sua credibilità in senso onnicomprensivo»13: in altri termini, dovrà tenersi conto dell’attitudine, in termini intellettivi e affettivi, a testimoniare, della capacità a recepire le informazioni, ricordarle e raccontarle, delle condizioni emozionali che modulano i rapporti col mondo esterno e dei processi di rielaborazione delle vicende vissute14.

10 Cfr. ex multis, Cass., Sez. III, 30 gennaio 2014, n. 4343, in Fam. dir., 2014, 394. In dottrina, per una più ampia panoramica, cfr. R.ANGELETTI, La prova nella violenza sessuale, Torino, 2009.

11 Cass., Sez. IV, 1 dicembre 2011, n. 44644, in CED Cass., 251661.

12 Recentemente, v. Cass., Sez. Un., 24 ottobre 2012, n. 41461, in CED Cass., 253214. Conf. Cass., Sez. I, 27 luglio 2010, n. 29372, in CED Cass., 248016, secondo la quale «qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di pretese economiche, il controllo di attendibilità deve essere più rigoroso rispetto a quello generico cui si sottopongono le dichiarazioni di qualsiasi testimone e può rendere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi».

13 Cass., Sez. III, 5 marzo 2014, n. 10487, inedita.

14 In dottrina, v. ex multis L.DE CATALDO NEUBURGER, L’ascolto del minore. Norma, giurisprudenza e prassi, in Mente, società e diritto, a cura di G. Gulotta – A. Curci, Milano, 2010, 156 ss.; G. GULOTTA,G.CAMERINI,

Linee Guida Nazionali. L’ascolto del minore testimone, Milano,2014; A.PRESUTTI, La tutela dei testimoni

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Anche nella letteratura straniera non si omette di considerare che, quando la prova consiste nella testimonianza di un bambino «complex psycho-legal issues are

raised: issues of children’s comprehension, competence, accuracy, and emotional resilience, and issues of the legal system’s ability to adapt itself to the needs of children so that truth can be ascertained»15.

Da notare che la “testimonianza”, allo stesso modo, «soggiace a un controllo di veridicità, rispetto al quale l’intervento di metodi scientifici è largamente auspicato dalla cultura giuridica contemporanea»16. E in effetti, avevamo sostenuto che dalla scelta di un “modello di giustizia cognitiva” consegue una non indifferenza rispetto a una puntuale e attenta verifica della sincerità delle dichiarazioni rese in procedimento17.

Prima che fosse approvato il nuovo – oggi vecchio – codice di procedura penale, il giuramento esisteva ancora: «“Consapevole della responsabilità che con il giuramento assumo davanti a Dio se credente o comunque davanti agli uomini, giuro di dire la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità”. C’era un perfetto equilibrio tra dramma e farsa nel discendo di quella frase, nella metrica di quel monito ascendente che si prestava a essere storpiato nei modi più surreali». La storpiatura più frequente era quella «di chi, preso dall’ansia della situazione, si faceva ripetere la formula e poi giurava che avrebbe detto tutt’altro che la verità. Cioè quello che accade nella gran parte delle deposizioni, indipendentemente dalla buona fede del testimone»18.

A conferma della delicatezza delle implicazioni processuali che possono derivare da una valutazione superficiale del dato storiografico, si pensi, a titolo esemplificativo, alla c.d. sindrome di Münchhausen per procura (by proxy): si tratta di un’espressione coniata da Meadow nel 1977 per descrivere il comportamento di genitori (in genere le madri) che inventano segni e sintomi a carico dei figli, esponendoli ad accertamenti, esami, analisi e interventi che quasi sempre finiscono

ss.; S. RECCHIONE, La prova dichiarativa del minore nei processi per abuso sessuale: l’intreccio (non

districabile) con la prova scientifica e l’utilizzo come prova decisiva delle dichiarazioni “de relato”, in Dir. pen. cont., 8 novembre 2013. Sull’idoneità del minore a rendere testimonianza, v. A. STRACCIARI, A. BIANCHI,G.SARTORI, Neuropsicologia forense, Bologna, 2010, 151 ss.

15 I.M. CORDON,G.S. GOODMAN,S.J. ANDERSON, Children in Court, in Adversarial Versus Inquisitorial Justice, cit., 167 ss.

16 V.DENTI, Scientificità della prova e libera valutazione del giudice, in Riv. dir. proc., 1972, 421.

17 V. supra Cap. I § 7.

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per danneggiarli se non, in certi casi, addirittura per ucciderli19. Di recente è stata segnalata all’attenzione scientifica un’altra e forse più subdola forma di Münchhausen

per procura: la falsa denuncia formulata dalla madre relativa a un abuso fisico e/o

sessuale subito dal figlio/a20. False accuse di abuso, soprattutto sessuale, avanzate nel corso di cause di separazione coniugale, sono state segnalate fin dagli anni Ottanta, ma un sondaggio condotto nel 1990 ha attestato la falsità di circa un terzo delle denunce fatte negli Stati Uniti in questo specifico contesto21. Anche in Italia l’abuso sessuale su minori sembra essere in costante aumento, così come preoccupa la percentuale di false denunce. L’esperienza giudiziaria, non sempre convincente per quanto attiene alla ricerca della verità, ha richiamato l’attenzione di esperti e studiosi sulla necessità di individuare criteri di accertamento più idonei di quelli attualmente seguiti per discriminare tra vere e false denunce22.

In altre parole, secondo qualche autore «the use of evidence of witness veracity is

likely better, and is at least no worse, than the evidence of witness veracity that now dominates the litigation process»23.

Non trascurabile, peraltro, la stretta connessione tra testimonianza e ricognizione: mezzo di prova in cui si chiede alla persona di descrivere, identificare o riconoscere persone, oggetti, voci, suoni o quanto altro possa essere oggetto di percezione sensoriale (v. artt. 213-217 c.p.p.). Anche in questo caso vengono in gioco

19 Cfr. R.MEADOW,Münchhausen Syndrome by Proxy, The Hinderland of Child Abuse, in The Lancet, vol. 2,

1977, 343 ss.

20 D.C.RAND, Münchhausen Syndrome by Proxy: Integration of Classic and Contemporary Types, in 2

Issues in Child Abuse Accusations, 1990, 83 ss.; R.MEADOW, False Allegation of Abuse and Münchhausen

Syndrome by Proxy, in 68 Archives of Desease in Childhood, 1993, 444 ss.; I. MERZAGORA, Complesso di

Medea e Sindrome di Münchhausen, in La criminalità femminile tra stereotipi e malintese realtà, a cura di

L. De Cataldo Neuburger, Padova, 1996, 205 ss.

21 J.E.MYERS, Allegations of Child Sexual Abuse in Custody and Visitation Litigation: Recommendations for

Improved Fact Finding and Child Protection, in 28 J. Family Law, 1990, 1 ss. Per una più recente ricerca

sul punto, J. BOW,F.A.QUINNELL,M.ZAROFF,A.ASSEMANY, Assessment of Sexual Abuse Allegations in Child

Custody Cases, in 33 Professional Psychology: Research and Practice, 2002, 566 ss. In argomento ancora,

S.ROMER, Child Sexual Abuse in Custody and Visitation Disputes: Problems, Progress, and Prospect, in 20

Golden Gate University Law Rev., 1990, 647 ss.

22 G.GULOTTA,L.DE CATALDO NEUBURGER,S.PINO,P.MAGRI, Il bambino come prova negli abusi sessuali, in

Psicologia della prova, a cura di C. Cabras, Milano, 1996, 157 ss. In tema, si vedano anche le

considerazioni di E.AMODIO, Libertà e legalità della prova nella disciplina della testimonianza, in Riv. it.

dir. proc. pen., 1973, 333 ss., il quale, senza giungere a sancire un obbligo del giudice penale di attenersi

alle conclusioni del perito che abbia esaminato il minore-testimone, propendeva per l’obbligatorietà dell’indagine psicologica «in modo da privare le dichiarazioni del bambino di un autonomo valore probatorio ove non sia intervenuto l’accertamento peritale sulla sua personalità al fine di determinarne la credibilità».

23 F.SCHAUER, Can Bad Science Be Good Evidence? Neuroscience, Lie detection, and Beyond, in 95 Cornell

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capacità percettive, cognitive, riproduttive e motivazionali del testimone, rispetto alle quali l’“attendibilità” mantiene la sua centralità24. La prova ricognitiva si caratterizzerebbe anche per una «inconsueta ambivalenza»25: connotata da scarsa consistenza probatoria in ragione dell’alto quoziente di fallibilità26, è dotata tuttavia di grande persuasività sul piano del convincimento giudiziale27. Quindi, rimane cruciale, in chiave processuale, prevedere cadenze acquisitive del patrimonio ricognitivo funzionali a garantire l’attendibilità del risultato probatorio e a minimizzare il rischio di “falsi positivi”28.

Ebbene, da un’attenta osservazione delle disposizioni codicistiche sembra emergere un ulteriore possibile ostacolo all’ammissibilità di “prove di attendibilità” per esperto: si allude al comma 2 dell’art. 196 c.p.p.

Come noto, questa disposizione consegna al giudice il potere, esercitabile anche d’ufficio, di «ordinare gli accertamenti opportuni con i mezzi consentiti dalla legge»,

24 Si veda, per tutti, G. SARTORI,S.FALCHERO,S.PECCI, La testimonianza: una prova critica. I processi di

percezione e memoria degli eventi. I più comuni errori di attribuzione, in AA.VV., Il processo invisibile. Le

dinamiche psicologiche del processo penale, a cura di A. Forza, Venezia, 1997, 165 s. La psicologia

insegna che l’“impressione” non “riposa” staticamente nella memoria, ma è sottoposta a un processo di ricostruzione e rimaneggiamento, un lavorio continuo suscettibile di determinare sostanziali modifiche della percezione originaria (S. MORETTI, Processi mnemonici, aspetti relazionali e suggestivi nella

costruzione del “falso ricordo”, in Manuale di psicologia investigativa, a cura di A.L. Fargnoli, Milano,

2005, 84). In questa fase, le disfunzioni sono legate al trascorrere del tempo, responsabile di alterare, fondere insieme e sbiadire le informazioni acquisite. L. DE CATALDO NEUBURGER, Psicologia della

testimonianza e prova testimoniale, Milano, 1988, 157, riporta i risultati di una ricerca, risalente

(compiuta nel 1913) ma significativa, sull’influenza che il tempo esercita sulla capacità di riconoscere le persone. Nell’ambito dell’esperimento, i riconoscimenti avvenuti nell’immediato hanno fatto registrare una percentuale di errore del 10,5%; a distanza di 45 giorni dalla percezione originaria il tasso di fallibilità risultava raddoppiato (22,5%).

25 A.M.CAPITTA, Ricognizioni e individuazioni di persone nel diritto delle prove penali, Milano, 2001, 109 s.

26 V., fra gli altri, A.BERNASCONI, La ricognizione di persone nel processo penale, Torino, 2004, 9 ss.; A.M. CAPITTA, Ricognizioni e individuazioni di persone nel diritto delle prove penali, cit., 89 ss.

27 Sul punto, cfr. N.TRIGGIANI, La ricognizione personale: struttura ed efficacia, in Riv. it. dir. proc. pen., 1996, 728: si tratta di un’attività spesso decisiva ai fini dell’accertamento del fatto e, in generale, connotata da una forte carica suggestiva, soprattutto per certi reati (ad esempio, la rapina) o davanti a certi giudici (Corte d’assise).

28 Le pubblicazioni in questo settore hanno fornito interessanti elementi di conoscenza. Si veda l’approfondimento di G.GENNARI, La scienza in Corte, in AA.VV., L’uso della prova scientifica nel processo

penale, a cura di M. Cucci – G. Gennari – A. Gentilomo, Rimini, 2012, 10 s. Sulle procedure di costruzione

della line-up, G. SARTORI,S. FALCHERO, S. PECCI, La testimonianza: una prova critica, cit., 174 ss. Per ulteriori spunti al riguardo, v. AA.VV., Linee guida psicoforensi per un processo sempre più giusto, Milano, 2013, 5; L. CASO,A.VRIJ, L’interrogatorio giudiziario e l’intervista investigativa, Bologna, 2009, 94 ss. Concorde nel ricollegare all’inosservanza delle procedure prescritte dall’art. 213 c.p.p. l’effetto invalidante della nullità, D.CURTOTTI NAPPI, La ricognizione, in La prova penale, diretto da A. Gaito, II, Le

dinamiche probatorie e gli strumenti per l’accertamento giudiziale, Torino, 2008, 623, cui si rinvia per

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qualora, «al fine di valutare le dichiarazioni del testimone, sia necessario verificare l’idoneità fisica e mentale a rendere testimonianza»29.

Merita osservare che il richiamo alla necessità degli accertamenti a fini valutativi assegna alla previsione una portata assai restrittiva, e, in tal senso, si sono orientate giurisprudenza30 e dottrina31.

Rispetto alla tipologia degli accertamenti “opportuni”, qualche dubbio è stato sollevato in ordine alla perizia psichiatrica o psicologica finalizzata ad appurare l’idoneità mentale a rendere testimonianza. Proprio il riferimento ai «mezzi consentiti» potrebbe far ritenere che il legislatore abbia inteso trasferire nella previsione di cui al comma 2 dell’art. 196 c.p.p. anche i limiti contemplati per tali mezzi e, nella specie, il divieto di perizie per stabilire «le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche» (art. 220, comma 2, c.p.p.)32. La dottrina prevalente33 e la (sia pur esigua) giurisprudenza34 hanno riconosciuto l’ammissibilità di tale perizia, considerando l’art. 220, comma 2, c.p.p. una previsione riferita al solo imputato che non può assurgere al rango di principio generale.

29 Per le discussioni in proposito già nella vigenza dell’abrogato codice di procedura penale, v. E. AMODIO, Libertà e legalità della prova nella disciplina della testimonianza, cit., 333 s.; M.BARGIS, Profili

sistematici della testimonianza penale, Milano, 1984, 10 ss.

30 La giurisprudenza ritiene insussistente un obbligo di disporre accertamenti (Cass., Sez. I, 31 marzo 1994, Bonaccorsi, in Cass. pen., 1995, 3044), a meno che ci si trovi di fronte a una situazione di «abnorme mancanza nel testimone di ogni elemento sintomatico della sua assunzione di responsabilità comportamentale in relazione all’ufficio ricoperto» (Cass., Sez. I, 28 marzo 1997, n. 2993, ivi, 1998, 2423).

31 V., in particolare, A. PERDUCA, sub art. 196 c.p.p., in Commento al nuovo codice di procedura penale, coordinato da M. Chiavario, vol. II, Torino, 1990, 443, che ritiene esperibili gli accertamenti «soltanto quando si rivela insufficiente il risultato dell’esame» del teste, «da solo e/o al confronto con prove raccolte aliunde». Escludono che gli accertamenti possano essere esperiti solo una volta assunta la deposizione,T.PROCACCIANTI, voce Testimonianza, in Dig. disc. pen., Aggiornamento, III, t. 2, Torino, 2005, 1652; L. SCOMPARIN, Testimonianza, cit., 7. P.FERRUA, La testimonianza nell’evoluzione del processo

penale italiano, in Id., Studi sul processo penale, cit., 99 ss., pone l’accento sull’aspetto di stampo

intimidatorio, che potrebbe disincentivare il testimone.

32 Così, L. SCOMPARIN, Testimonianza, cit., 8.

33 In tal senso, v., fra gli altri, T. PROCACCIANTI, voce Testimonianza, cit., 1652; M.T. STURLA, Prova

testimoniale, in Dig. disc. pen., X, Torino, 1995, 413; N. TRIGGIANI, sub art. 196 c.p.p., in Codice di

procedura penale commentato, a cura di A. Giarda – G. Spangher, 4ª ed., Milano, 2010, 1969.

34 V. Cass., Sez. III, 27 gennaio 1996, Russo e altri, in Cass. pen., 1997, 2174, la quale sostiene che «il divieto di perizie sul carattere, sulla personalità e sulle qualità psichiche (indipendenti da cause patologiche) dell’imputato non si estende anche alla persona offesa, la cui deposizione – proprio perché essa può essere assunta come fonte di prova – deve essere sottoposta ad una rigorosa indagine positiva sulla credibilità, accompagnata da un controllo sulla credibilità soggettiva, e deve essere verificata anche ai sensi del comma 2 dell’art. 196 c.p.p.; la verifica della “idoneità mentale” è rivolta ad