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7. APPENDICE

7.1 La diagnosi prenatale

Per diagnosi prenatale s’intende l’insieme delle indagini strumentali e di laboratorio finalizzate ad individuare determinate patologie su base genetica, infettiva o iatrogena. Le indicazioni alla diagnosi prenatale includono: età materna superiore ai 35 anni, genitori con precedente figlio affetto da aneuploidie, genitori portatori di traslocazione cromosomica bilanciata, anamnesi familiare positiva per patologie cromosomiche, anamnesi familiare positiva per malformazioni congenite, evidenza ecografica di malformazioni fetali, malattie mendeliane e test combinato (biochimico ed ecografico) positivo. Le tecniche di diagnosi prenatale possono essere invasie o non invasive e ad oggi il gold standard è costituito dall’analisi del cariotipo fetale da villi coriali (villocentesi) o amniociti (amniocentesi) [70-75].

62 7.1.1 Diagnosi prenatale invasiva

- Villocentesi: si esegue tra la 11° e la 12° settimana di gestazione e consiste nell’aspirazione di una piccola quantità di cellule del trofoblasto (cellule fetali) che costituiscono la parte fondamentale del corion, che una volta preso contatto con la

mucosa uterina forma la placenta [70,71,73,75];

- Amniocentesi si esegue tra la 16° e la18° settimana di gestazione, consiste nel prelievo transaddominale di liquido amniotico dalla cavità uterina, le cellule fetali di liquido amniotico sono cellule di desquamazione provenienti da sacco amniotico, epidermide, mucosa del tubo digerente, del tratto respiratorio e di quello urogenitale [70,71,73,75];

- Funicolocentesi si esegue dalla 16° settimana di gestazione in poi, è basata sul prelievo di circa 1-3 ml di sangue fetale tramite puntura del cordone ombelicale [70].

I diversi tipi cellulari fetali prelevati con le tecniche sopra descritte vengono messi in coltura per eseguire l’analisi del cariotipo o utilizzati per l’estrazione di DNA fetale per valutare la presenza di mutazioni responsabili di malattie monogeniche (es: fibrosi cistica).

La valutazione dell’assetto cromosomico del feto consente di evidenziare l’eventuale presenza di anomalie numeriche (es: trisomie 21, 13 e 18) o strutturali (traslocazioni, delezioni, inversioni), e di determinare il sesso fetale, importante in caso di patologie

ad ereditarietà

X-linked (Es.: distrofia muscolare di Duchenne, emofilia, etc.). Tutte le tecniche di diagnosi prenatale invasiva sono state introdotte nella pratica clinica di routine già da molti anni, tuttavia in alcuni casi si assiste ad un fallimento diagnostico e/o interpretativo, determinato da uno dei seguenti fattori [73,76]:

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• contaminazione batterica o inquinamento ematico massivo della coltura cellulare; • crescita in coltura di cellule di origine materna;

• mosaicismo cromosomico e/o pseudomosaicismo (presenza in uno stesso individuo di due o più linee cellulari a cariotipo diverso);

• rischio di aborto tra 0,4-1% dovuto all’esecuzione dell’esame; • perdite di liquido amniotico.

64 7.1.2 Diagnosi prenatale non invasiva

Ad oggi l’unico approccio non invasivo inserito nei protocolli clinici è il

test combinato [70,71] basato su:

- valutazione ecografica della traslucenza nucale (11°-13° settimana di gestazione), il cui aumento di spessore può esser indice di un maggior rischio di anomalie di tipo cromosomico (es. Sindrome di Down) o di malformazioni fetali (es. spina bifida); - bi/tri-test su sangue materno, uno screening biochimico su siero materno che sulla base della concentrazione di β-HCG, PAPP-A, estriolo non coniugato (il bi-test valuta solo i primi due analiti, il tri-test tutti e tre) e di altri parametri della gestante (età, peso, diabete, fumo, etc.), permette di valutare il rischio che il feto sia affetto da sindrome di Down o da altra anomalia comosomica e la presenza di difetti del tubo neurale. Infatti i livelli delle proteine analizzate in questo test dipendono dai parametri della gestante (es: età), dalle settimane di gestazione e sono solitamente presenti in quantità alterate nel sangue di donne gravide con feto affetto da alcune patologie cromosomiche [70,77]. Sebbene il test combinato fornisca informazioni in merito ad alcune delle più comuni aneuploidie cromosomiche, va ricordato che si tratta di un “test di screening” e non diagnostico. Qualora tale test mostri risultati positivi, necessita in ogni caso di esser poi confermato con metodiche di tipo invasivo.

Fondamentale è anche l’ecografia morfologica effettuata come controllo di routine tra la 19° e la 21° settimana di gravidanza, che consente di valutare con precisione la regolare formazione ed il corretto sviluppo di alcuni organi vitali, e di individuare la presenza di gestosi e scarso accrescimento intrauterino del feto (IUGR) [70,71,75].

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7.1.3 Test di screening non invasivi di nuova generazione

Nel 1997, la scoperta che il 3-10% di DNA libero circolante nel plasma materno (Circulating Free Fetal DNA - cffDNA) è di origine fetale, e la successiva dimostrazione che la placenta non costituisce una barriera insuperabile per gli elementi cellulari, ma che al contrario è al centro di un traffico bidirezionale [9], ha aperto la strada alla ricerca di nuovi metodi di diagnosi prenatale non invasiva. Il possibile utilizzo del DNA fetale in diagnosi prenatale è sostenuto da diversi studi tra cui quelli

condotti da Ren [10] e Lo e collaboratori.

Ulteriori gruppi di ricerca [79-86] hanno dimostrato come lo stesso venga eliminato rapidamente dal plasma materno poche ore dopo il parto, escludendo così la possibilità di analizzare materiale derivante da precedenti gravidanze. Inoltre l'introduzione e l'ottimizzazione di nuove tecniche di biologia molecolare, prime fra tutte la Next Generation Sequencing (NGS) hanno reso possibile la messa a punto di metodiche efficaci di diagnosi prenatale non invasiva [72,73,77].

Sebbene siano già parecchi i lavori in cui sono stati ottenuti valori soddisfacenti di specificità e sensibilità usando piattaforme NGS ci sono dei punti critici non ancora del tutto chiariti e che non si possono sottovalutare [73,77] :

1. si tratta di un test di screening e non di diagnosi, che richiede un’appropriata consulenza genetica pre e post esame;

2. la presenza di mosaicismi cromosomici costituzionali nella madre può inficiare le analisi del cffDNA; dato che il test è eseguito sul DNA plasmatico materno e fetale, nel caso in cui l’assetto cromosomico della madre non sia normale, ad esempio per la presenza di una linea cellulare anomala non necessariamente associata ad evidenze cliniche, il risultato del test può essere compromesso; 3. in caso di eveentuale presenza di frammenti di DNA materno mutati a causa di

agenti clastogeni (ad es. farmacologici, fisici, virali, in grado di danneggiare il DNA), il test può esser compromesso;

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4. ci si può trovare dinanzi a casi di placenta evanescente appartenente ad una gravidanza interrotta; l’eventuale presenza di frammenti di DNA originati dalla placenta di un feto abortito nelle prime settimane rappresenta una importante causa di discrepanza nei test genetici nel primo trimestre di gravidanza basati sul DNA di origine placentare;

5. in almeno il 2% dei casi, il campione acquisito non è idoneo ad essere refertato. Per essere affidabile il risultato deve essere ottenuto a partire da una percentuale di DNA fetale libero non inferiore al 4% del totale del DNA libero presente nel plasma materno.

6. il test non identifica feti con mosaicismi, triploidia e mostra delle criticità nell’individuazione di microdelezioni [72,73]; in merito a quest’ultime, i risultati preliminari ottenuti mediante NSGC (Sequenom Presentarions, 2014) indicano una bassa sensibilità (62-95%) .

7. la prevalenza di mosaicismo confinato alla placenta e la sua influenza sullo screening prenatale con NGS non è ancora del tutto stata chiarita.

8. ogni risultato positivo nella ricerca di anomalie cromosomiche, deve esser confermato con una tecnica invasiva tradizionale (amniocentesi/villocentesi).

I principali vantaggi dello screening non invasivo delle più comuni aneuploidie cromosomiche sono:

1. estendere il test di screening ad una popolazione più ampia di quella delle donne a rischio;

2. avere un test eseguibile dalla 7° settimana alla fine della gravidanza, il test combinato bi-test si esegue solo nel primo trimestre;

3. disporre di un test con una sensibilità del 99,9% per i cromosomi 21, 18 13 e aneuploidie dei cromosomi sessuali, con percentuali di falsi positivi inferiori a 0,1% [88];

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4. disporre di uno screening prenatale non invasivo, che ha una sensibilità più elevata rispetto agli attuali test di screening che combinano le analisi biochimiche e la translucenza nucale, che possono precedere o meno i test diagnostici invasivi [77];

5. ridurre drasticamente il ricorso alle indagini diagnostiche invasive, abbattendo il numero degli aborti collegati alle tecniche di prelievo de i tessuti fetali e le possibili, ancorché rare, complicanze per le gestanti [77];

6. un solo test potrebbe sostituirne due: valutazione ecografica della traslucenza nucale e test biochimico su siero, risparmiando parecchio tempo e risorse;

7. un risultato indicativo di una “bassa probabilità di trisomia” deve esser considerato, di massima, rassicurante per la gestante, in considerazione dell’elevata specificità del test e del suo elevato valore predittivo negativo. Sebbene ci siano parecchi vantaggi, va detto che il risultato dello screening fa comunque riferimento alle caratteristiche genetiche del citotrofoblasto (placenta) che, come specificato precedentemente, in rari casi, possono esser discordanti rispetto a quelle del feto (discrepanza feto-placentare) [77].

Ad oggi tutti test i test di diagnosi prenatale non invasiva danno buoni risultati, in termini di sensibilità e specificità per quel che riguarda la valutazione delle più comuni aneuploidie cromosomiche [72,73,77] o di malattie geniche quali la beta talassemia o la fibrosi cistica [87], ma necessitano di ulteriori validazioni per tutte le altre alterazioni cromosomiche e geniche diagnosticabili con le tecniche di diagnosi prenatale invasive [72,73,77].

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