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La diagnosi di sepsi viene stabilita sulla base dei segni e sintomi clinici del paziente abbinati ad esami di laboratorio, come la ricerca e l’identificazione del microrganismo responsabile dell’infezione, ed esami radiologici. Non disponendo di test specifici per la diagnosi di sepsi questa deve essere so- spettata in tutti i pazienti con infezione sospetta o accertata che presentino: febbre o ipotermia, tachipnea, tachicardia, comparsa di leucocitosi o leuco- penia, alterazioni acute dello stato mentale, trombocitopenia, ipotensione, ed elevati livelli ematici di lattati.

Tuttavia la risposta settica può configurarsi in modo piuttosto variabile, inoltre la risposta sistemica relativa a condizioni morbose diverse dalla sepsi (pancreatiti, ustioni, traumi, insufficienza surrenale, embolia polmo- nare, dissezione o rottura aneurismi aortici, infarto miocardico, tampona- mento cardiaco etc.), si manifesta con caratteristiche simili a quelle tipiche della risposta settica.13

Nonostante le numerose difficoltà diagnostiche le linee guida raccoman- dano una diagnosi precoce di sepsi, al fine di permettere un’attuazione tem- pestiva della terapia per ridurre la mortalità e migliorare l’outcome del pa- ziente.

Nelle fasi iniziali della sepsi, il sito di infezione ed il microrganismo pato- geno sono quasi sempre misconosciuti, è quindi importante, prima dell’as- sunzione dell’antibiotico, ottenere adeguati campioni per l’emocoltura. Tut- tavia è assolutamente necessario intervenire tempestivamente con una tera- pia antibiotica empirica ad ampio spettro scegliendo l’antibiotico con la co- scienza della possibile resistenza dell’agente infettivo al trattamento.

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Emocoltura

L’emocoltura è l’esame gold standard per diagnosticare la sepsi in quanto permette di determinare l’agente eziologico e fornisce al clinico utili infor- mazioni per una terapia mirata.1

Le linee guida SSC raccomandano di ottenere le colture appropriate prima dell’inizio della terapia antibiotica a meno che questo non causi un signifi- cativo ritardo (>45 minuti) nell’inizio della stessa. Per l’ottimizzazione dell’identificazione degli agenti microbici causativi, si raccomanda l’otteni- mento di almeno 2 set di emocolture (con flaconi sia aerobici che anaero- bici) prima dell’inizio della terapia antimicrobica, con almeno un set prele- vato per via percutanea ed un set prelevato da ogni accesso vascolare, a meno che quest’ultimo non sia stato inserito recentemente (<48 ore). È im- portante che il prelievo venga effettuato al sorgere dei primi sospetti di in- fezione e soprattutto, prima della somministrazione di qualsiasi antibiotico, in caso contrario si dovrebbe sospendere la terapia per qualche ora oppure effettuare il prelievo prima della successiva somministrazione dell’antibio- tico, in modo tale che la concentrazione ematica del farmaco risulti la più bassa possibile. Nella maggior parte degli episodi di batteriemia è necessa- rio raccogliere almeno 2 set di emocoltura nell’arco della 24 ore per identi- ficare il patogeno, poiché nel caso si prelevasse un unico set di campioni la probabilità di non identificare un paziente con sepsi è di circa il 35-40%; inoltre nei pazienti con endocarditi o altre infezioni endovascolari, oppure con un decorso della malattia non acuto viene raccomandata l’esecuzione di 4 prelievi, uno ogni 6 ore, in modo da avere una maggiore probabilità di individuare il patogeno. Il prelievo di un maggior numero di emocolture permette di differenziare con maggior accuratezza i veri positivi dai falsi positivi.

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Un atro problema che riguarda le emocolture è la possibile contaminazione esogena del campione, causata da errori nella fase di prelievo che rende in certe circostanze difficile capire se il microrganismo è effettivamente re- sponsabile dell’infezione o rappresenta una contaminazione; l’accidentale presenza di eventuali batteri commensali della cute come stafilococchi coa- gulasi-negativi, corinebatteri e propionibatteri, può ostacolare o addirittura mascherare la crescita dei veri patogeni con la conseguenza di fornire infor- mazioni fuorvianti al clinico.

Un limite dell’emocoltura è la scarsa sensibilità nella ricerca di particolari batteri che spesso sono responsabili di polmoniti acquisite in comunità, come Mycoplasma pneumoniae, Legionella pneumophila e Chlamydia pneumoniae e di altri germi difficilmente coltivabili o addirittura non colti- vabili come Coxiella burnetii, Francisella tularensis, Bartonella spp., Ric- kettsia spp., Nocardia spp.34

Il valore dell’emocoltura come test diagnostico per batteriemia e sepsi è li- mitato, infatti, emerge che nel 50% dei casi l’emocoltura risulta negativa anche se la diagnosi di sepsi è certa ed inoltre i primi risultati vengono for- niti dopo 48 ore per concludere l’analisi con l’identificazione e la sensibi- lità agli antibiotici del patogeno dopo 5 giorni o più

Le colture provenienti da altri siti ad esempio: urine, liquor, ferite, secreti respiratori o altri fluidi corporei che possono essere fonte di infezione do- vrebbero essere ottenute prima della terapia antimicrobica se ciò non causa significativi ritardi nell’inizio della terapia antimicrobica. Per confermare una potenziale fonte di infezione si raccomanda inoltre studi di imaging.

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Biomarkers

La difficoltà nel differenziare la sepsi da SIRS non infettive, spinge il me- dico a stabilire una terapia con antibiotici ad ampio spettro che purtroppo aumentano l’antibiotico-resistenza da parte dei patogeni, pertanto l’indivi- duazione di un biomarker della sepsi altamente preciso risulta decisivo in situazioni critiche con la capacità di escludere o confermare un’infezione batterica acuta, di valutare la risposta infiammatoria sistemica all’infezione e la risposta dell’ospite alla terapia instaurata.

I marcatori disponibili per la diagnosi di sepsi sono numerosi: conta leuco- citaria, proteina C reattiva (PCR), procalcitonina (PCT), endotossina, cito- chine, fattori del complemento, peptide natriuretico atriale (ANP) etc. 35 Purtroppo attualmente nella sepsi non è ancora stato individuato un marker ideale e quelli utilizzati normalmente spesso sono dotati di scarsa sensibi- lità e specificità e di conseguenza hanno un’utilità limitata nella gestione dei pazienti. Il loro dosaggio dovrà essere utilizzato e valutato nel contesto del quadro clinico in cui si trova il paziente.

• Proteina C reattiva (PCR)

La proteina C reattiva (PCR) è una proteina di fase acuta prodotta dal fe- gato durante uno stato infiammatorio. Viene prodotta da 4 a 6 ore dopo lo stimolo flogistico e la sua concentrazione in circolo raddoppia dopo circa 8 ore, raggiungendo il picco in 36-50 ore; ha un emivita di circa 19 ore ma i suoi livelli nel torrente circolatorio permangono elevati per qualche giorno anche dopo la scomparsa dell’infezione. 36

Elevati livelli plasmatici di PCR indicano la presenza di un’infezione e/o danno d’organo; normalmente la sua concentrazione plasmatica è <10 mg/l

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ma in caso di un’infezione acuta grave può raggiungere concentrazioni di 500 mg/ml. L’aumento della PCR però non sembra essere correlato alla gravità della flogosi ed inoltre accresce anche in caso di patologie non in- fettive come malattia autoimmuni, sindromi coronariche acute, tumori ma- ligni e dopo traumi o interventi chirurgici. In conclusione i valori della PCR non permettono di distinguere tra sepsi e SIRS di natura non infettiva Questo marker però risulta più sensibile di parametri come la conta leucoci- taria ma meno specifico di altri come la PCT. Nonostante ciò la PCR è un marker comunemente usato, di basso costo ed ampiamente disponibile. 37

• Procalcitonina (PCT)

La procalcitonina è un precursore della calcitonina, ormone coinvolto nell’omeostasi del calcio, secreto dalle cellule C della tiroide e dalle cellule neuroendocrine dei polmoni e dell’intestino.

La secrezione sistemica della PCT è una caratteristica della risposta infiam- matoria che segue all’infezione microbica sistemica e per questo motivo il suo dosaggio viene utilizzato come biomarker di infezione batterica e sepsi. In condizioni normali la sua concentrazione plasmatica è < 0,1 ng/ml ma in seguito all’insorgenza di gravi infezioni batteriche e dei relativi quadri di risposta infiammatoria sistemica viene sintetizzata in vari tessuti neuroen- docrini extratiroidei raggiungendo concentrazioni >100 ng/ml.

Livelli plasmatici di PCT uguale o inferiori a 0,5 ng/mL indicano pazienti con scarsa probabilità ad essere affetti da sepsi grave o shock settico, men- tre livelli al di sopra di 2 ng/mL individuano i pazienti ad alto rischio38;

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mentre concentrazioni superiori a 10 ng/mL si riscontrano spesso in pa- zienti con disfunzione d’organo lontana dal sito primario di infezione.

La procalcitonina precede la PCR ed altri marcatori tradizionali di sepsi nel circolo ematico, ma non è abbastanza precisa per evitare un giudizio clinico del medico. Comunque appare significativo il suo utilizzo nel ridurre la te- rapia antibiotica nei pazienti ricoverati in terapia intensiva.35

Per la diagnosi di sepsi e shock settico devono essere presenti diverse condizioni:

Segni e sintomi risposta infiammato-

ria sistemica  Tachipnea > 20 atti respiratori/min op-

pure PCO2 < 32mmHg

 Tachicardia >90 bpm

 Leucopenia <4000 cellule/mm3 o leuco-

citosi > 12000 cellule/mm3

 Temperatura corporea >38.5°C oppure <35°C

Stato di infezione

(Documentata o sospetta)  Emocolture positive

 Segni radiologici o di laboratorio di in- fezione

Insufficienza d’organo

 Alterazione stato mentale

 Insufficienza renale <0,5 ml/kg/h in 2h o creatinina >50% del valore basale  Insufficienza cardiaca

 Acute lung injury e ipossiemia con PaO2/FiO2 <300

 Trombocitopenia (PTL<100’000/μl)  Coagulopatia (INR>1.5 o aPTT>60s)  Disfunzione epatica (bilirubina tot

>4mg/dl)

 Aumento del lattato sierico > 4 mmol/l o 18 mg/dl

Shock settico

 Ipotensione refrattaria al riempimento volemico

Oppure

 PAS < 90mmHg o PAM <60 mmHg o PA sistolica > 40mmHg rispetto al ba- sale

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