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Sepsi e shock settico: valutazione ed efficacia dei trattamenti in terapia intensiva

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1. INTRODUZIONE………. ..3

2. DEFINIZIONI………... ..5

2.1. SOFA, SAPS II e APACHE II………... ..9

2.2. Nuove definizioni di sepsi e shock settico……….14

3. EPIDEMIOLOGIA E MORTALITÀ………...21

4. EZIOLOGIA……….24

5. FATTORI DI RISCHIO………27

6. FISIOPATOLOGIA DELLA SEPSI………....29

7. MANIFESTAZIONI CLINICHE DELLA SEPSI………...37

7.1. Disfunzioni d’organo………..38

8. DIAGNOSI DELLA SEPSI……….42

9. TRATTAMENTO DELLA SEPSI………..48

9.1. Rianimazione iniziale……….49

9.2. Terapia antimicrobica……….50

9.3. Controllo focus infettivo……….53

9.4. Fluidoterapia………54

9.5. Vasopressori……….55

9.6. Farmaci inotropi………57

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9.8. Altre terapie di supporto………...58

9.8.1. Ventilazione meccanica in pazienti con ARDS indotta dalla sepsi………58

9.8.2. Immunoglobuline……….60

9.8.3. Terapia renale sostitutiva………..61

9.8.4. Tecniche di emoperfusione extracorporea………61

10. STUDIO………64 10.1. Obiettivi………..64 10.2. Popolazione……….65 10.3. Campione………65 10.4. Materiali e metodi………...66 11. RISULTATI………...69 11.1. Caratteristiche pazienti………69 11.2. Trattamenti………..72

11.3. Fattori prognostici e mortalità……….79

12. DISCUSSIONE e CONCLUSIONI………...94

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1. INTRODUZIONE

La sepsi rappresenta una delle più frequenti cause di morbilità e mortalità delle Unità di Terapia Intensiva, specialmente quando evolve a shock settico e disfunzione multiorgano; inoltre determina elevati costi ospedalieri, sog-giorni prolungati in ospedale ed una diminuzione della qualità di vita dei sopravvissuti.1,2

Nonostante i progressi della medicina moderna, rimane la prima causa di morte per infezione ed è una condizione clinica frequente, in continuo au-mento, di difficile gestione clinica ed associata ad una prognosi grave. La rilevanza clinica e socio-sanitaria della sepsi ha portato quindi ad un’at-tenta rivalutazione del problema. La maggioranza delle Società scientifiche internazionali di cure intensive (International Sepsis Forum, European So-ciety of Intensive Care Medicine, SoSo-ciety of Critical Care Medicine) hanno dato il via, nel 2004, ad un progetto internazionale denominato “Surviving Sepsis Campaign” (SSC) con l’obiettivo di ridurre la mortalità dei pazienti settici.

Grazie all’applicazione delle linee guida sviluppate dalla Surviving Sepsis Campaign, i tassi di mortalità nel trattamento di sepsi e shock settico si sono ridotti, come evidenziato dal confronto dei dati della letteratura antecedente alle linee guida con quelli provenienti da studi di più recente pubblicazione, ma purtroppo essa rimane ancora elevata a causa del continuo aumento dell’incidenza di tale patologia. 1

La reale incidenza della sepsi è difficile da determinare in quanto si tratta di una sindrome non sempre riconducibile ad una diagnosi primaria ma il più delle volte si manifesta come complicanza di altre patologie, per cui è ipo-tizzabile che il numero dei casi conosciuti sia minore rispetto ai casi reali.

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Risulta quindi evidente l’importanza di avere una diagnosi rapida che per-metta al clinico di somministrare un’adeguata terapia nel tempo più breve possibile.

Il presente è uno studio epidemiologico retrospettivo, condotto nell’U.O Anestesia e Rianimazione IV Universitaria di Cisanello, su un campione di 25 soggetti con diagnosi di sepsi e shock settico nel periodo compreso tra Gennaio e Novembre 2016.

Gli obiettivi che si pone questo studio sono quelli di analizzare la distribu-zione e le frequenze dei dati del campione e di confrontarli con quelli di al-tri studi della recente letteratura nazionale ed internazionale e quindi valu-tare, prendendo come riferimento principalmente la mortalità dei pazienti, l’efficacia dei trattamenti nel suddetto reparto.

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2. DEFINIZIONI

La sepsi è da sempre considerata una sindrome molto sfuggente: Ippocrate sosteneva che fosse un processo attraverso il quale le ferite si infettano e la carne si decompone; Galeno considerava la sepsi come un evento positivo, necessario per la guarigione delle ferite. Successivamente la sepsi fu definita da Pasteur come un’infezione sistemica, spesso descritta come “avvelena-mento del sangue”. Tuttavia, con l’avvento delle moderne terapie antibioti-che, si vide che diversi pazienti con sepsi morivano nonostante il buon esito dell’eradicazione del patogeno responsabile. Perciò, i ricercatori suggerirono che fosse l’ospite, e non il germe, a condurre la patogenesi della sepsi.3 Nonostante i passi avanti compiuti dalla Medicina, la diagnosi di sepsi ri-mane difficile. Ciò è dovuto principalmente all’ampia variabilità della pre-sentazione clinica, che dipende dalla sede del focolaio infettivo iniziale, dal microrganismo coinvolto, dal momento in cui viene valutato il paziente e dalle sue specifiche caratteristiche, quali comorbidità e terapie croniche. Per altro verso, gli stessi meccanismi fisiopatologici che ne sono alla base non sono stati ancora ben chiariti, escludendo la possibilità di fare riferimento a un gold standard diagnostico condiviso. E’ chiaro che la possibilità di usu-fruire di criteri diagnostici potrebbe rendere più semplice, e dunque più pre-coce, il suo corretto riconoscimento.

Mossi da queste considerazioni, nel 1991, l’American College of Chest Phy-sicians (ACCP) e la Society of Critical Care Medicine (SCCM) si riunirono nella Consensus Conference 2 con lo scopo di concordare una serie di defini-zioni che migliorassero la capacità di diagnosi e il trattamento della sepsi4. Con la messa a punto delle prime definizioni di sepsi e shock settico, pubbli-cate nel 1992, furono identifipubbli-cate 4 principali pubbli-categorie diagnostiche:

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SIRS

La Sindrome da Risposta Infiammatoria Sistemica è uno stato infiammatorio sistemico che può riconoscere cause infettive o non infettive. Infatti, dal punto di vista eziologico, può essere conseguente a infezioni localizzate e sistemiche, ma anche a patologie non infettive, quali ischemia, traumi, ustioni o processi infiammatori sterili, come le pancreatiti acute. Tuttavia è importante evidenziare che i criteri proposti nella definizione di SIRS risul-tano essere aspecifici per il riconoscimento della causa della sindrome o per identificare un pattern della risposta dell’ospite.5

Tabella 1. Definizione ACCP/SCCM

Il 93% dei pazienti ricoverati in UTI rientra nei criteri di SIRS ma solo nel 25-50% di questi viene riscontrata un’infezione.

Figura 1. Relazione tra Infezione, SIRS e Sepsi

La SIRS viene definita dalla presenza di almeno due delle seguenti condizioni: Temperatura corporea >38°C oppure < 36°C

Frequenza cardiaca > 90 bpm

Frequenza respiratoria > 20 atti respiratori al min o PaCO2 < 32 mmHg

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Sepsi

La sepsi è una condizione clinica caratterizzata da una risposta infiammatoria sistemica ad un’infezione in atto.

Quando è presente un forte sospetto clinico di infezione non è necessario constatare la positività colturale per fare diagnosi di sepsi.

Quando parliamo di sepsi dobbiamo tener conto di una serie di variabili quali: l’iniziale sito di infezione, il microrganismo responsabile, lo stato di salute del paziente, il pattern della disfunzione d’organo acuta sottostante ed il tempo trascorso prima dell’inizio del trattamento, poiché a seconda del caso si verificheranno le più svariate manifestazioni cliniche. Inoltre sia i segni di infezione che quelli di disfunzione d’organo possono essere attenuati rendendo difficile la diagnosi clinica della sepsi.

Si è avuta, pertanto, la necessità di redigere un elenco di reperti clinici e laboratoristici allo scopo di facilitare il riconoscimento della condizione set-tica.

Sepsi grave

Si definisce sepsi grave una condizione clinica caratterizzata dalla presenza di sepsi associata ad uno o più segni di disfunzione d’organo (ad esempio, creatinina >2mg/dl, bilirubina >2mg/dl, una PaO2/FiO2 <300), ipoperfu-sione o ipotenipoperfu-sione.

Le anomalie di perfusione possono includere, ma non sono limitate a, acidosi lattica, oliguria o alterazione dello stato mentale. (Definizione ACCP/SCCM) La gravità della disfunzione d’organo, quantificata con il SOFA score (Se-quential Organ Failure Assesment), è un fattore prognostico determinante nella prognosi dei pazienti settici.4

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Shock settico

Lo shock settico è una condizione clinica definita da uno stato di insuffi-cienza circolatoria acuta caratterizzata da ipoperfusione tissutale ed una per-sistente ipotensione arteriosa, non attribuibile ad altre cause e refrattaria ad un’adeguata terapia con fluidi.

Tabella 2. Definizione ipotensione in shock settico

L’ipoperfusione costituisce l’elemento centrale che definisce la condizione di shock e viene valutata mediante: diuresi, misurazione del lattato e della saturazione venosa centrale

Lo stadio finale dello shock è la Multiple Organ Dysfunction Syndrome (MODS) o sindrome da disfunzione d’organo multipla, caratterizzata da un’alterazione della funzione di più organi in pazienti critici, in cui l’omeo-stasi non può essere mantenuta senza interventi medici1,6.

Se ne riconoscono due tipi: una MODS primaria che rappresenta il risultato di un insulto ben definito in cui la disfunzione d’organo si verifica precoce-mente e può essere direttaprecoce-mente attribuita all’insulto stesso; ed una MODS secondaria quando invece la disfunzione d’organo si colloca nel contesto della SIRS e si sviluppa come conseguenza di una risposta dell’ospite.

Per ipotensione si intende:

 Pressione arteriosa media (PAM) <70 mmHg Oppure

 Pressione arteriosa sistolica (PAS) <90 mmHg Oppure

 Riduzione della PAS >40mmHg rispetto ai valori basali del paziente

In assenza di altre cause di ipotensione, nonostante un’adeguata ricosti-tuzione di liquidi.

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La disfunzione d’organo deve essere vista come un processo piuttosto che come un evento, di conseguenza la valutazione dovrebbe basarsi su una scala di valori e non sulla presenza/assenza del fenomeno. Quantizzare la disfun-zione d’organo risulta importante poiché la mortalità aumenta all’aumentare della gravità della disfunzione stessa e si raccomanda di fare riferimento al “Sequential Organ Failure Assesment” score (SOFA).

2.1. SOFA, SAPS II e APACHE II

Il SOFA score (Sequential Organ Failure Assesment) è un sistema a punteggi utilizzato nelle UTI per classificare lo stato dei pazienti con disfunzione d’or-gano.

Con tale score vengono valutati 6 parametri rappresentativi di disfunzione d’organo: la Glasgow Coma Scale (per valutare il Sistema Nervoso Cen-trale); il rapporto PaO2/FiO2 (per il sistema respiratorio); il grado di ipoten-sione (per il sistema cardiovascolare); il numero di piastrine (per la coagula-zione); i livelli di bilirubina (per valutare il funzionamento epatico) e la crea-tininemia (per la funzione renale).

In base a tali parametri il sistema attribuisce un punteggio ad ogni organo che va da 1 a 4, un elevato punteggio del SOFA è associato con un incre-mento della mortalità. 7

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1 2 3 4

SNC

Glasgow coma scale 13-14 10-12 6-9 <6

Sistema respiratorio PaO2/FiO2 <400 <300 <200 con supporto respiratorio <100 con supporto respiratorio Sistema cardiovascolare Ipotensione MAP < 70mmHg Dopamina <5 o Dobutamina Dopamina >5 o adrenalina < 0.1 o noradrenalina < 0.1 Dopamina >5 o adrenalina > 0.1 o noradrenalina > 0,1 Coagulazione Piastrine x 103 /mm3 <150 <100 <50 <20 Funzione epatica Bilirubina (mg/dl) 1.2 - 1.9 2.0-5.9 6.0-11.9 >12 Funzione renale Creatinina(mg/dl) o output urinario 1.2-1.9 2.0-3.4 3.5-4.9 < 500 ml/24h >5 < 200ml/24h

Tabella 3. SOFA Score

Punteggio SOFA score Mortalità

0-6 <10% 7-9 15-20% 10-12 40-50% 13-14 50-60% 15 >80% 16-24 >90%

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Figura 2. Mortalità ospedaliera e SOFA score 7

Per la determinazione della mortalità sono stati disegnati diversi score di gravità, i più utilizzati sono: il SAPS II (Simplified Acute Physiology Score) e l’APACHE II (Acute Physiology and Chronic Health Evaluation).

Il SAPS score è un sistema a punteggi utilizzato per classificare la gravità della malattia dei pazienti ammessi in UTI. Tale score si applica in tutti i pazienti di età superiore a 15 anni e viene calcolato attraverso la somma di punteggi parziali associati a 15 variabili: età, pressione arteriosa sistolica, frequenza cardiaca, temperatura corporea, rapporto tra PaO2 e FiO2, volume urinario, urea o BUN (Blood Urea Nitrogen), conta dei globuli bianchi, po-tassio sierico, sodio sierico, bicarbonati, bilirubina, Glasgow Coma Scale, comorbidità (in particolare è di interesse la presenza di tumore metastatico,

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100% 0 4 8 12 16

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leucemia, linfoma, mieloma multiplo, AIDS). Per ognuna di queste varia-bili deve essere scelto il peggior valore registrato durante le prime 24 ore di ricovero in UTI.

Il punteggio finale è un numero intero compreso tra 0 e 163 e dal punteggio ottenuto si può ricavare il valore di mortalità attesa con la seguente equa-zione 8: 𝑙𝑜𝑔𝑖𝑡 = −7.7631 + 0.0737 ∙ [𝑝𝑡 𝑆𝐴𝑃𝑆] + 0.9971 ∙ 𝑙𝑛([𝑝𝑡 𝑆𝐴𝑃𝑆] + 1) Mortalità = e logit 1 + elogit Mortalità SAPS II 10% 29 pts 25% 40 pts 50% 52 pts 75% 64 pts 90% 77 pts

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Figura 3. SAPS e mortalità 8

L’APACHE II score è un ulteriore sistema a punteggi utilizzato in terapia intensiva per classificare le condizioni dei pazienti dopo le prime 24 ore in UTI. Oggi questo score è stato sostituito dal SAPS II, tuttavia viene ancora utilizzato in molte UTI.

Tale score è applicato a tutti i pazienti di età superiore a 16 anni e prende in considerazione 12 variabili: temperatura corporea (misurata nel retto), pres-sione arteriosa media, frequenza cardiaca, frequenza respiratoria, rapporto tra PaO2 e FiO2, pH di sangue arterioso, sodio e potassio sierici, creatinine-mia, ematocrito, conta dei globuli bianchi e Glasgow coma scale.

Come per il SAPS II per ogni variabile viene scelto il peggior valore regi-strato nelle prime 24 ore in UTI. Il punteggio finale è compreso tra 0 e 71, come per il SAPS II più elevato è il punteggio più grave sarà la malattia e quindi più elevato sarà il rischio di morte ad essa associata.

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2.2. Nuove definizioni sepsi e shock settico

Le definizioni precedentemente descritte di sepsi, sepsi grave e shock settico furono utilizzate per un approccio più uniforme alla sperimentazione clinica, e servirono come base per i criteri di inclusione per numerosi studi.

Alla luce delle nuove conoscenze nella fisiopatologia della sepsi e delle sin-dromi correlate, acquisite con i vari studi, gli esperti del settore avvertirono la necessità di modificare le definizioni correnti per aumentare accuratezza, affidabilità e utilità clinica della diagnosi di sepsi.

Così nel 2001 fu indetta a Washington una conferenza internazionale dove si incontrarono la SCCM, l’ACCP, l’European Society of In-tensive Care Medicine (ESICM), l’American Thoracic Society (ATS) e la Surgical Infec-tion Society (SIS) 6.

I partecipanti alla conferenza giunsero alla conclusione che non vi erano an-cora dati sufficienti che giustificassero un cambiamento delle definizioni precedenti, ma grazie all’esperienza clinica acquisita venne ampliato l’elenco dei segni e dei sintomi della sepsi.

Nel 2001 quindi le definizioni di sepsi severa e shock settico sono state con-fermate mentre il principale cambiamento sta nella definizione di sepsi alla quale viene aggiunto un elenco più completo di segni e sintomi che possono accompagnare tale patologia. (Tabella 6) 6

SEPSI

Infezione documentata o sospetta

+ alcuni dei seguenti parametri

1. Segni e sintomi generali

 Febbre (TC >38,3°C)

 Ipotermia (TC< 36°C)

 Frequenza cardiaca > 90 bpm

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 Stato mentale alterato

 Edema significativo o bilancio di fluidi positivo (> 20 ml/Kg per più di 24h)

 Iperglicemia (glucosio plasmatico > 120mg/dl o >7.7 mM/l) in assenza di diabete

2. Segni e sintomi infiammatori

 Leucocitosi (conta leucocitaria >12.000/μl)

 Leucopenia (conta leucocitaria < 4.000/μl)

 Conta leucocitaria normale con >10% di forme imma-ture

 Proteina C reattiva (PCR) > 2 DS sopra il valore nor-male

 Procalcitonina (PCT) > 2 DS sopra il valore normale

3. Segni e sintomi emodinamici

 Ipotensione arteriosa (PAS <90mmHg, MAP <70mmHg o riduzione della PAS >40 mmHg)

 SvO2 >70%

 Indice cardiaco >3.5 l/min/m3

4. Segni e sintomi di disfunzione d’organo

 Ipossiemia arteriosa (PaO2/FiO2< 300)

 Oliguria acuta (output urinario <0.5 ml/kg/h o 25mmol/l per almeno 2h)

 Aumento creatinina >0.5 mg/dl

 Anomalie della coagulazione (INR >1.5 o aPTT >60s)

 Ileo paralitico (assenza borborigmi)

 Trombocitopenia (conta piastrinica <100.000/μl)

 Iperbilirubinemia (bilirubina plasmatica totale >4mg/dl o 70mmol/l)

5. Segni e sintomi di ipoperfusione tissutale

 Iperlattatemia (> 1momol/l)

 Tempo di riempimento capillare ridotto o presenza di marezzatura cutanea

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Inoltre nel 2001 venne proposto un sistema di stadiazione per la sepsi chia-mato PIRO (Predisposition, Insult Infection, Response, Organ Disfunction) che ha lo scopo di stratificare i pazienti in base alle loro condizioni predispo-nenti, la natura e l’estensione dell’insulto infettivo, la natura e l’entità della risposta dell’ospite e il grado di disfunzione d’organo concomitante. L’uti-lizzo di questo schema risulta utile per definire, diagnosticare e curare i pa-zienti con sepsi ma soprattutto per ottenere risultati migliori nelle situazioni di sepsi grave e shock settico.

Il modello PIRO non è ancora del tutto definito e attualmente sono in corso diversi studi per valutarne l’efficacia.9

Sebbene sia universalmente riconosciuto, a questo primo tentativo, il merito di avere creato una nuova consapevolezza riguardo a questa grave condi-zione clinica ed aver garantito anche una maggiore uniformità della lettera-tura scientifica, si sono progressivamente accumulate diverse critiche. Infatti i criteri diagnostici della SIRS vennero considerati troppo sensibili e aspecifici per essere utilizzati nell’identificazione della sepsi nella maggior parte della pratica clinica.9

Ritenendo i tempi ormai maturi per una revisione della definizione, la SCCM e la ESCIM, hanno avviato nel Gennaio del 2014 una Consensus Conference che riuniva una task force di 19 specialisti e che dopo 18 mesi di lavoro, ha pubblicato la terza edizione delle definizioni di sepsi e shock settico in ac-cordo con la miglior comprensione della fisiopatologia di tale sindrome.

Secondo il documento: “Sepsis is defined as life-threatening organ

dysfunc-tion caused by a dysregulated host response to infecdysfunc-tion”. 10

La sepsi viene quindi definita come una grave condizione clinica caratteriz-zata da disfunzione organica causata da un’abnorme risposta dell’ospite

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all’infezione; perciò si capisce che il termine “sepsi grave” diventa super-fluo.

L’attenzione passa quindi dal riconoscimento dell’infiammazione (come nelle definizione ACCP/SCCM [1992] e SCCM/ESICM/ACCP/ATS/SIS [2001]) alla disfunzione d’organo; questo perché l’infiammazione eviden-ziata dalla SIRS potrebbe rappresentare una risposta adeguata dell’organi-smo all’infezione, mentre la comparsa di un’insufficienza d’organo sarebbe l’esito di un processo abnorme dell’ospite che arriva a danneggiare i suoi stessi tessuti.

La disfunzione d’organo viene quindi definita come un incremento del SOFA score pari o maggiore a due punti. Tale score non è diagnostico di sepsi né identifica quali disfunzioni d’organo sono dovuti alla sepsi ma può aiutare nell’identificazione dei pazienti che potenzialmente presentano un elevato rischio di mortalità per l’infezione

La Consensus Conference propone inoltre la seguente definizione di shock settico:” Septic shock is a subset of sepsis in which underlying circulatory

and cellular/metabolic abnormalities are profound enough to substantially increase mortality”. 10

Questa definizione tiene conto dei due aspetti fisiopatologici più caratteri-stici dello shock, già segnalati dalla seconda Consensus Conference di Parigi sul tema: l’insufficienza circolatoria, che si manifesta con l’ipotensione, e l’alterazione del metabolismo cellulare, di cui l’incremento della concentra-zione sierica di lattati è un marcatore.

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In termini pratici, lo shock settico viene identificato nei pazienti in cui la sepsi si associa a:

 Necessità di impiego di vasopressori per mantenere MAP ≥ 70 mmHg

 Lattato sierico ≥ 2 mmol/l [18mg/dl] (aumento lineare della mortalità per valori superiori al valore soglia).

Laddove non sia possibile il dosaggio dell’acido lattico gli autori pro-pongono l’impiego del “capillary refill time”.

Consensus Definition 1991 Consensus Definition 2015

SIRS Due o più tra i seguenti criteri: 1) T corporea > 38°C o < 36°C 2) Frequenza cardiaca >90 bpm 3) Frequenza respiratoria > 20 atti/min oppure PaCO2

<32mmHg

4) Leucociti > 12.000/mm3

op-pure <4000/mm3 oppure

forme immature > 10%

---

Sepsi SIRS+ Infezione Infezione + delta SOFA > 2

Sepsi Grave Sepsi + insufficienza d’organo,

ipo-perfusione o ipotensione (Pressione sistolica <90 mmHg o una riduzione > 40 mmHg rispetto ai valori di par-tenza in assenza di altre potenziali cause di ipotensione). L’ipoperfu-sione può includere ma non è limitata ad acidosi lattica, alterazione stato di coscienza ed oliguria

---

Shock settico Shock indotto da sepsi nonostante adeguato riempimento volemico as-sociate alla presenza di alterazioni della perfusione che possono inclu-dere, ma non sono limitate ad acidosi lattica, alterazione dello stato di co-scienza e oliguria

Sepsi associata a:

1) Necessità impiego di vaso-pressori per mantenere MAP > 65 mmHg

2) Lattato sierico > 2 mmol/l

Tabella 7. Sintesi delle definizioni di sepsi e shock settico della Consensus Conference-3 e confronto con le originali

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Nel documento inoltre viene offerto un algoritmo per mettere in pratica le nuove definizioni; essendo consci della difficoltà di calcolare il SOFA score al di fuori delle UTI gli Autori propongono uno strumento per l’identificazione rapida dei pazienti con sospetta infezione a rischio di evoluzione negativa (morte o ricovero prolungato in rianimazione), il quick SOFA (qSOFA ).

Tabella 5. qSOFA

Tale score può essere rapidamente calcolato al letto del paziente senza bisogno di esami di laboratorio e dovrebbe facilitare, l’identificazione di infezioni che mettono a rischio la vita del paziente.

Tuttavia né il SOFA né il qSOFA score possono essere considerati come test di “screening” per la diagnosi di sepsi o infezione, ma sono utili nell’identificazione di pazienti a maggior rischio di evoluzione negativa; in altri termini, riprendendo le parole degli Autori “devono spingere il clinico a valutare la presenza di insufficienza d’organo, per avviare o potenziare la terapia come appropriato e per prendere in considerazione il trasferimento in Terapia Intensiva”.

Va chiarito che la mancata presenza di 2 o più criteri del SOFA e del qSOFA non dovrebbe spingere rimandare il trattamento adeguato.

qSOFA:

 Frequenza respiratoria > 22 atti/min  Alterazione stato di coscienza

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Nonostante ciò rimangono numerose difficoltà nello stabilire una definizione di sepsi e shock settico, soprattutto perché ancora oggi la fisiopatologia di tali sindromi non è ancora stata totalmente compresa e perché non esistono ancora chiari criteri clinici e laboratoristici per identificare i pazienti settici.

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3. EPIDEMIOLOGIA E MORTALITÀ

Nei paesi sviluppati la sepsi e gli stati settici rappresentano un problema molto importante della sanità pubblica e sono la più comune causa di morte tra i pazienti critici in terapia intensiva non coronarica.

È per questo che al giorno d’oggi si stanno investendo molte risorse per com-prendere la fisiopatologia della sepsi e per migliorarne diagnosi precoce e standardizzazione della gestione.

Questa crescente attenzione sulla sepsi è dovuta principalmente alla mag-giore incidenza di tale patologia.

La sepsi interessa approssimativamente tra il 2.1% ed il 4.3% di tutte le ospe-dalizzazioni e prendendo in considerazione soltanto le Unità di Terapia In-tensiva, riconosciamo una variabilità significativa nell’incidenza della sepsi, con tassi stimati tra il 20% e l’80% (ad esempio risulta molto più elevata nelle UTI traumatologiche che nelle UTI coronariche) e tassi di mortalità dal 20% al 50%.11 Per lo shock settico invece i tassi di incidenza generali risul-tano più bassi andando dal 10% al 30% dei pazienti trattati in UTI, ma la mortalità sale dal 45% al 63%.12

E’ stato stimato che negli Stati Uniti, l’incidenza della sepsi sia superiore a 700.000 casi annui (circa 437 casi per 100.000 abitanti ogni anno)13; e come dimostrato da uno studio effettuato dal 1979 al 2001 l’incidenza della sepsi ha subito un incremento pari al 13.7% annuo. 11 14

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Figura 3. Population-Adjusted Incidence of Sepsis according to sex, 1979-2000 11

Tale incremento è da attribuire non solo al miglioramento delle capacità diagnostiche, che ha portato ad un aumento delle segnalazioni da parte dei medici che hanno acquisito una maggiore consapevolezza delle modalità di presentazione della sepsi e della sua gravità, ma anche ad un aumento della popolazione dei pazienti a rischio (invecchiamento popolazione e aumentata sopravvivenza dei pazienti con patologie croniche; maggior utilizzo di procedure invasive; aumentato utilizzo di terapie immunosoppressive e chemioterapia; maggior incidenza dei trapianti; aumento delle infezioni da HIV ed incremento delle resistenze batteriche).

La sepsi rappresenta una delle maggiori spese economiche per il sistema sa-nitario americano con costi che si stimano intorno ai 17 miliardi di dollari ogni anno.11

In Unione Europea si stimano 1,4 milioni di casi di sepsi all’anno.

In Italia, i rilievi epidemiologici sono sporadici, tuttavia recenti studi effet-tuati nel 2008 su scala nazionale, comprendenti 71 UTI, riportano un’inci-denza degli stati settici intorno al 24%.

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Mancano invece dati sulla reale incidenza della sepsi nei paesi in cui le cure intensive sono scarse; si stima tuttavia un’incidenza superiore a 19 milioni di casi in tutto il mondo ogni anno.

La sepsi, essendo responsabile di circa 200.000 morti ogni anno, rappresenta l’11° causa di morte negli USA.15

La mortalità appare fortemente correlata all’aumento dell’età, alle comorbi-lità preesistenti ma anche alla gravità del quadro settico del paziente e au-menta progressivamente al progredire della sepsi verso lo shock settico e parallelamente all’aggravarsi dell’insufficienza multiorgano

Tuttavia, nelle ultime due decadi grazie alla migliore comprensione della fi-siopatologia della sepsi, alla definizione dei criteri per una diagnosi precoce ed ai progressi ottenuti con le terapie di supporto raccomandate dalle linee guida “Surviving Sepsis Campaign: International Guidelines for Manage-ment of Severe Sepsis and Septic Shock” la mortalità si è ridotta.16

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4. EZIOLOGIA

La sepsi può rappresentare la risposta dell’ospite a qualsiasi tipo di micror-ganismo.

L’invasione microbica del sangue periferico non è essenziale per lo sviluppo di una sepsi, poiché anche l’infiammazione locale può provocare la disfun-zione di un organo distante o uno stato di ipotensione. Infatti le emocolture risultano positive per batteri o funghi solo nel 20-40% dei casi di sepsi e nel 40-70% dei casi di shock settico. Nei pazienti con emocolture negative l’agente eziologico viene spesso individuato in base all’esame microscopico e/o colturale del materiale infetto proveniente da un sito specifico.13

L’eziologia della sepsi ha subito diversi cambiamenti nel corso degli anni; fino agli anni ’50 a causare la sepsi erano principalmente batteri Gram-posi-tivi, come Staphylococcus Aureus e Streptococcus Pneumoniae; nella se-conda metà del secolo invece in relazione al maggior numero di pazienti HIV positivi, pazienti cirrotici, leucemici, diabetici e trapiantati sono aumentati i casi di sepsi dovuta a batteri Gram-negativi. A partire dalla metà degli anni ’90 si è osservato un notevole incremento nel numero di casi di sepsi ad eziologia fungina. Le forme fungine, al contrario di quelle batteriche, che sono aumentate in maniera lineare rispetto all’aumento generale dell’inci-denza della sepsi, sono aumentate con un ritmo molto più rapido.

Più recentemente si è visto un forte ritorno dei batteri Gram-positivi, dovuto all’uso frequente nella medicina moderna di tecniche terapeutiche invasive (che hanno portato ad un incremento proporzionale delle infezioni nosoco-miali) e all’impiego massiccio di antibiotici a largo spettro che hanno forte-mente contribuito alla selezione di ceppi sempre più resistenti ai farmaci a nostra disposizione.17

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Figura 4. Numero di casi di sepsi negli USA

Nonostante il continuo aumento dei casi da Gram-positivi, l’ultimo studio EPIC II (European Prevalance of Infection in Intensive Care) riporta una maggiore prevalenza dei batteri Gram-negativi (62.2% vs 46.8%).18

Infatti è risultato che, nei pazienti in cui è stato possibile isolare un micror-ganismo, si trattava nel 47% dei casi di batteri Gram-positivi, nel 62% di Gram-negativi e nel 19% di funghi.

Figura 5. Tipi di microrganismi in pazienti infetti con colture positive18

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 46,80% 62,20% 19,00%

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In particolare i microrganismi patogeni più frequentemente riscontrati sono:

Staphylococcus Aureus (20,5%), le specie Pseudomonas (19.9%), le

Enterobacteriacae, principalmente E.coli (16%), le specie di Klebsiella (13%) e tra i funghi Candida Albicans (17%) e Aspergillus (1.4%).18

La mortalità della sepsi dipende principalmente da due fattori: il tipo di mi-crorganismo coinvolto e la sede dell’infezione.

Una metanalisi di 510 studi riporta che le infezioni da Gram-negativi presen-tano una mortalità più elevata in confronto ai Gram-positivi, in particolare sono le infezioni sostenute da Pseudomonas Aeruginosa quelle correlate con la mortalità più elevata in assoluto (77%).19

I siti d’infezione più comuni sono rappresentati dalle infezioni del tratto re-spiratorio, in particolare dalle polmoniti (64%), seguite dalle infezioni del tratto genito-urinario (14%), infezioni addominali (20%), infezioni di origine sconosciuta (15%), infezioni cutanee, endocarditi ed infezioni del SNC. Le infezioni respiratorie sono correlate con una mortalità più elevata e con una maggiore insorgenza di disfunzioni d’organo. 20

Importante è anche la valutazione del contesto in cui si è sviluppata l’infe-zione; infatti le infezioni nosocomiali presentano una mortalità più elevata.

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5. FATTORI DI RISCHIO

I fattori di rischio correlati a sepsi e shock settico si riferiscono sia alla pre-disposizione del paziente a sviluppare un’infezione, sia alla probabilità che lo stesso paziente, una volta acquisita l’infezione, sviluppi una disfunzione d’organo acuta.

Negli ultimi anni sono stati meglio compresi i fattori di rischio clinici che influenzano la suscettibilità e l’outcome della sepsi; in particolare si è visto che l’incidenza della sepsi aumenta in maniera direttamente proporzionale all’aumentare dell’età, presentandosi in più della metà dei casi in soggetti sopra i 65 anni; inoltre più della metà dei pazienti che sviluppa sepsi pre-senta almeno una patologia cronica come: BPCO, cancro, malattie renali ed epatiche croniche e diabete. Altri fattori di rischio includono: degenza pro-lungata in strutture di assistenza, malnutrizione, dispositivi protesici, uso di farmaci immunosoppressivi e anomalie della risposta immunitaria seconda-rie a malattie croniche ed età (immunosenescenza).21

Tuttavia rimane ancora poco chiara la variabilità nella predisposizione e nell’outcome delle infezioni che porta alcuni soggetti a sviluppare disfun-zione d’organo acuta mentre altri no. Perciò sono stati esaminati i fattori ge-netici.

Come mostra uno studio condotto da Sørensen e colleghi, i fattori genetici risultano avere grande importanza negli esiti delle malattie infettive. In que-sto studio, i bambini adottati, i cui genitori biologici erano morti per cause infettive, avevano un rischio di morire a causa di infezioni 5,8 volte mag-giore; in confronto, se i loro genitori biologici erano morti per cause cardio-vascolari, l'aumento del rischio di morte era di 4,5 volte maggiore. 22

Le differenze fenotipiche sono attribuite a più geni che possono interagire con i fattori ambientali influenzando suscettibilità, risposta ed outcome della

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sepsi. Tra i geni candidati, che hanno mostrato risultati promettenti in studi preliminari, riconosciamo il fattore di necrosi tumorale (TNF), l’inibitore dell’attivatore del plasminogeno (PAI-1) ed i recettori Toll-Like (in partico-lare TRL-1 e TRL-4).23

Il contributo relativo dei fattori di rischio clinici e genetici nella suscettibi-lità e nell’outcome della sepsi rimane ancora non del tutto chiaro; sembra però che i fattori genetici svolgano un ruolo importante nello sviluppo della sepsi negli individui più giovani, mentre negli anziani ad avere un ruolo maggiore sono le malattie croniche.

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6. FISIOPATOLOGIA DELLA SEPSI

La sepsi e lo shock settico sono il risultato di complesse interazioni tra mi-crorganismo infettante e risposta immunitaria dell’ospite che ad oggi non sono state ancora completamente chiarite.24

La comprensione delle interazioni tra l’agente patogeno e i diversi sistemi di risposta dell’organismo ospite sono parte integrante nella ricerca della dia-gnosi e nell’individuazione di un adeguato piano terapeutico.

È probabile che nella complessa patogenesi della sepsi siano coinvolti nu-merosi processi fisiopatologici tra cui riconosciamo l’attivazione della rispo-sta immunitaria, con conseguente attivazione generalizzata della risporispo-sta in-fiammatoria e dei processi coagulativi (procoagulanti e fibrino-litici); ed al-terazioni del metabolismo cellulare. 25

Il tipo di risposta che si sviluppa risulta essere inappropriato se confrontato con l’intensità dello stimolo patogenetico dell’insulto microbico ed è in-fluenzato dalla virulenza dell’agente patogeno, dalla carica infettante, dal sito di inoculo, dalle condizioni del paziente e dalla differente modulazione della risposta immune, dovuta alla presenza di polimorfismi nei geni e nei recettori delle citochine e di altri mediatori.26

L’evento iniziale è la colonizzazione e la proliferazione di un microrganismo in un determinato sito tissutale. Quando l’ospite non riesce a contenere l’in-fezione primaria, i batteri entrano nel circolo sanguigno, dove il riconosci-mento dei loro antigeni da parte del sistema immunitario innato innesca pro-duzione e/o rilascio di numerosi mediatori endogeni (citochine) che amplifi-cano la risposta infiammatoria dando vita ad un processo caotico in cui vari nodi (sistemi molecolari, cellulari e d’organo) e diversi sistemi (infiamma-zione, coagula(infiamma-zione, fibrinolisi) si influenzano reciprocamente. 27

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La prima risposta dell’organismo ospite verso i microrganismi patogeni è diretta dall’immunità innata composta da meccanismi di difesa cellulare e biochimici, aspecifici ma rapidi, preesistenti all’infezione, capaci di stimo-lare la risposta immunitaria adattativa.

I meccanismi dell’immunità innata vengono attivati in modo specifico da alcuni componenti strutturali comuni a gruppi di microbi simili tra loro; que-ste strutture vengono definite come profili molecolari associati ai patogeni (PAMPS, Pathogen-Associated Molecular Patterns). Tra questi la molecola più frequentemente coinvolta e la più studiata è l’endotossina o il

lipopoli-saccaride batterico (LPS), componente della membrana esterna dei batteri

Gram-negativi. Altre molecole coinvolte nell’attivazione del sistema immu-nitario sono: l’acido lipoteicoico (LTA), presente sulla membrana cellulare dei batteri Gram-positivi, gli ergosteroli, caratteristici delle cellule fungine, e le esotossine come TSST-1 (Tossina 1 della sindrome da shock tossico) da Staphulococcus Aureus.

Queste molecole sono in grado di legare diversi tipi di TLR (Toll-like Re-ceptor), recettori esposti sulla superficie di neutrofili e macrofagi, oppure, nel caso delle esotossine, fungere da superantigeni in grado di legarsi diret-tamente a proteine del complesso maggiore di istocompatibilità di classe 2 e cellule T.

In ogni caso si arriverà all’attivazione del fattore di trascrizione NF-kB che dal citosol trasloca nel nucleo per legarsi a siti specifici, con conseguente aumento della trascrizione di citochine pro-infiammatorie.28

Contemporaneamente avviene una massiccia sintesi di proteine della fase acuta come la proteina C-reattiva e l’attivazione di meccanismi di difesa umorali come il sistema del complemento che stimola la produzione di altri mediatori pro-infiammatori.

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Ad esempio l’LPS, una volta entrato in circolo, è in grado di provocare una vigorosa risposta infiammatoria sistemica. Nella fase acuta dell’infiamma-zione l’endotossina LPS viene legata da una proteina prodotta dal fegato chiamata LBP (LPS Binding Protein) la quale ne facilita il trasporto e l’inte-razione con il recettore di membrana CD14 dei macrofagi. Quando LPS lega tale recettore LBP si stacca e LPS interagisce con la proteina MD2 che per-mette il legame di LPS con TRL4 (Toll-like receptor 4), il quale, una volta attivato, stimola il fattore di trascrizione NF-kB con conseguente trascrizione dei geni codificanti citochine infiammatorie che generano un processo di am-plificazione della risposta infiammatoria con sviluppo di un’infezione gene-ralizzata.

Le citochine infiammatorie (TNF-a, IL-1B, IL-6, IL-12) vengono pro-dotte soprattutto nella fase iniziale della sepsi e attivano la riposta immuni-taria adattativa inducendo l’espressione di molecole di adesione sulle cellule dell’endotelio vascolare con lo scopo di reclutare al sito dell’infiammazione neutrofili, monociti, macrofagi e piastrine.

Questo reclutamento di cellule attivate e traslocate al sito di infezione per eliminare il patogeno provoca anche danni diretti ed indiretti all’organismo ospite come il danneggiamento dell’endotelio mediante il rilascio di media-tori (proteasi, fosfolipasi A2, prostaglandine e leucotrieni) che aumentano sia la permeabilità vascolare con sviluppo di edemi nei tessuti, che la vaso-dilatazione con alterazioni dell’equilibrio procoagulante-anticoagulante; in particolare si ha attivazione della via intrinseca della coagulazione con for-mazione di microtrombi che occludono i capillari causando ipossia e necrosi tessutale. Inoltre la deplezione dei fattori di coagulazione e l’attivazione di plasmina, anti-trombina 3 e proteina C possono portare ad una delle più gravi complicanze dello shock, ovvero alla CID (coagulazione intravascolare

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disse-minata) caratterizzata dalla coesistenza di numerosi microtrombi con fenomeni emorragici.

Il rilascio di mediatori proinfiammatori durante la fase precoce della sepsi non danneggia solamente l’endotelio, ma può portare allo sviluppo di altera-zioni cardiocircolatorie con sviluppo di vasodilatazione, ipotensione e danni a livello miocardico. In particolare TNF-a e IL-1 stimolano l’attività dell’en-zima iNOS (ossido nitrico sintasi inducibile) che induce la sintesi ed il rila-scio da parte elle cellule endoteliali di NO (ossido nitrico). L’NO ha da una parte un’importante attività battericida ma dall’altra interferisce con il meta-bolismo del calcio e, oltre all’effetto di rilassamento della muscolatura liscia dei vasi indebolisce la contrazione miocardica. Inoltre l’NO ha un’impor-tante funzione ossidante a cui fa seguito la liberazione di radicali liberi dell’ossigeno che vanno a danneggiare i tessuti e quindi anche il miocar-dio.26,29

Alle alterazioni di tipo cardiocircolatorio, vanno ad aggiungersi alterazioni metaboliche, dovute soprattutto allo squilibrio tra insulina ed ormoni contro-regolatori. L’insulino-resistenza a livello periferico ed epatico, associata alla riduzione della secrezione di insulina da parte del pancreas danneggiato, por-tano ad una condizione simile a quella del diabete mellito di tipo 2, caratte-rizzata da iperglicemia e acidosi.30

Mentre la fase precoce della sepsi è caratterizzata da una risposta infiamma-toria iperattiva, caratterizzata dalla presenza di un ampio rilascio di citochine pro-infiammatorie, con il progredire della patologia, si ha il rilascio di effet-tori antiinfiammaeffet-tori (IL-4, IL- 10, IL-13, cortisolo etc.) che possono indurre una reazione compensatoria a seguito della quale possono manifestarsi aner-gia o immunosoppressione.

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La fase tardiva della sepsi è contraddistinta anche dall’evoluzione delle cel-lule T che dal fenotipo Th1, sintetizzante citochine pro-infiammatorie, pas-sano al fenotipo Th2 che produce invece citochine antinfiammatorie.

Tali citochine antiinfiammatorie inibiscono la sintesi di mediatori pro-in-fiammatori da parte dei macrofagi ed impediscono l’espressione di molecole costimolatorie nei macrofagi e nei linfociti T e sembra che favoriscano anche una progressiva immunosoppressione dell’organismo ospite tramite apop-tosi.

L’apoptosi di cellule immunitarie della linea linfoide viene stimolata anche dalle citochine pro-infiammatorie e dall’aumento dei livelli circolanti di glu-cocorticoidi.

La progressiva scomparsa dei linfociti, causata dagli eventi di apoptosi, com-promette la capacità del sistema immunitario di controllare l’infezione, con-correndo ad un aumento della morbidità nella sepsi.

L’apoptosi di linfociti tissutali e circolanti come i linfociti B e T CD4, è stata osservata in modelli animali e confermata dall’analisi autoptica di alcuni tes-suti in pazienti morti per sepsi in cui si osservava una riduzione di tali cellule. Quindi dopo una fase precoce della sepsi caratterizzata dalla risposta preva-lentemente pro-infiammatoria si presenta una fase tardiva con una risposta di tipo antinfiammatorio. In questa fase, con una compromissione del sistema immunitario, l’organismo ospite diventa suscettibile a fenomeni di infezioni secondarie e di riattivazione virale.

In conclusione i decessi che avvengono durante la fase iniziale di risposta pro-infiammatoria sono causati dal massiccio rilascio di citochine pro-in-fiammatorie che favoriscono fenomeni di disfunzione multiorgano, mentre

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quelli che accadono nella fase tardiva della sepsi sono determinati dall’inca-pacità dell’ospite a rimuovere l’infezione primaria o dallo sviluppo di infe-zioni secondarie nosocomiali a seguito dell’immunosoppressione.

Figura 6. Risposta immunologica nella sepsi

I meccanismi patogenetici alla base della disfunzione d’organo che si svi-luppa nella sepsi sono stati solo parzialmente chiariti. In breve tempo si in-nesca un circolo vizioso che evolve verso condizioni di progressiva gravità fino allo sviluppo di una disfunzione multiorgano tipica della fase avanzata di shock.31

La MODS, sindrome clinica caratterizzata da un’alterazione potenzialmente reversibile della funzione di due o più organi in pazienti critici, sembra deri-vare da una complessa interazione tra effetto citotossico dei mediatori dell’infiammazione, tossine batteriche, danno endoteliale, ipossia tissutale, alterazione dell’emostasi (che può evolvere fino ad una vera e propria coa-gulazione intravascolare disseminata) e disfunzione del microcircolo.32

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Numerosi studi indicano che il danno endoteliale diffuso che si sviluppa in presenza di sepsi rappresenta il principale fattore patogenetico della disfun-zione multiorgano.

A causa del danno endoteliale che provoca un aumento della permeabilità vascolare ed una disfunzione del microcircolo con fenomeni ostruttivi dei lumi vasali per la formazione di microaggregati composti da neutrofili, pia-strine, globuli rossi e fibrina; si riduce il numero dei capillari funzionalmente attivi e di conseguenza si riduce l’ossigenazione tissutale.

Dal punto di vista istologico le caratteristiche principali della disfunzione d’organo includono edema, infiammazione, ischemia e necrosi tissutale. La disfunzione d’organo in corso di sepsi sembra però avere un fondamento sostanzialmente biochimico e non strutturale, come dimostrato dall’esame autoptico dei pazienti settici in cui gli organi risultano generalmente integri o presentanti aree necrotiche o trombotiche di estensione modesta; inoltre la funzione degli organi solitamente ritorna normale se il paziente guarisce.13 Le disfunzioni d’organo possono variare da un grado lieve fino all’insuffi-cienza d’organo completa.

Lo stato di insufficienza di numerosi organi risulta essere la causa di morte in pazienti con sepsi. La mortalità nella sepsi è strettamente correlata sia al grado di disfunzione d’organo che al numero di organi coinvolti, infatti se quattro o cinque organi sono danneggiati la mortalità è superiore al 90%; inoltre il rischio di mortalità può anche essere influenzato dalla durata della disfunzione d’organo

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La sepsi rappresenta un grave carica per la salute pubblica sia in termini di vite umane che di costi. Risulta difficoltoso avere accurati dati epidemiolo-gici sulla sepsi sia relativamente alla distribuzione demografica che rispetto alle variazioni temporali di incidenza ed esito a causa dell’eterogeneità dei pazienti e perché spesso la sepsi viene indicata co-me complicanza di altre malattie e non come sindrome a sé stante.

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7. MANIFESTAZIONI CLINICHE

Il quadro clinico della sepsi è molto variabile ed i segni e sintomi che si svi-luppano dipendono: dal sito iniziale di infezione, dal tipo di microrganismo responsabile, dallo stato di salute di base del paziente, dal pattern di disfun-zione d’organo che questo sviluppa, e dall’intervallo trascorso prima dell’inizio del trattamento.

Le più recenti linee guida internazionali forniscono un lungo elenco di segni premonitori si sepsi incipiente poiché i segni ed i sintomi di infezione e di disfunzione d’organo possono essere molto subdoli e possono instaurarsi con velocità differente a seconda del paziente.

Solitamente il paziente settico si presenta con segni e sintomi di infezione sistemica quali: tachicardia (>90bpm); tachipnea (>20 atti/min); ipertermia o ipotermia (quest’ultima più comune nei neonati, negli anziani, negli ure-mici e negli etilisti). In assenza di provvedimenti terapeutici adeguati il qua-dro clinico della sepsi evolve verso quello dello shock settico con sviluppo di ipotensione e segni e sintomi da ipoperfusione (ad esempio oliguria, ridu-zione del riempimento capillare, ileo paralitico per centralizzaridu-zione del cir-colo ed acidosi lattica).

E’ possibile che pazienti anziani, debilitati o immunodepressi, in cui i mec-canismi infiammatori sono diminuiti, non esprimano le caratteristiche evi-denti dell’infezione localizzata e ciò rende più difficile dimostrate l’origine della sepsi. È inoltre probabile che i pazienti con scarsa funzionalità cardiaca o ipovolemia sperimentino un’ipotensione indotta da sepsi più grave.

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Durante le prime fasi il paziente presenterà una cute calda ed arrossata se-condaria alla precoce vasodilatazione, al contrario con lo sviluppo dell’ipo-perfusione il paziente apparirà marezzato e cianotico con cute fredda alle estremità.

A tali manifestazioni possono associarsi altri segni e sintomi caratteristici, ed in alcuni casi patognomonici, di talune forme eziologiche ad esempio ma-nifestazioni cutanee generalizzate come petecchie e porpora (più tipiche di

Neisseria Meningitidis), ectima gangrenoso (quasi esclusivo dei soggetti

neutropenici, solitamente causato da Pseudomonas Aeruginosa), eritroderma generalizzato (suggerisce una sindrome da shock tossico causata da S.

Au-reus o S. Pyogenes) etc. oppure manifestazioni gastrointestinali che possono

suggerire una gastroenterite acuta.13

Nelle fasi iniziali, i cambiamenti dei segni vitali come la tachicardia e la ta-chipnea, il disorientamento e la confusione mentale possono essere gli unici indicatori precoci di sepsi.

Nella fase finale dello shock settico possono svilupparsi delle disfunzioni d’organo acute, il cui numero, durata e gravità influenzano notevolmente la prognosi del paziente.

7.1. Manifestazioni cliniche delle disfunzioni d’organo

I principali tipi di complicanze che si manifestano in corso di sepsi s svi-luppano a livello di:

Polmoni

A livello polmonare la presenza di un danno endoteliale, responsabile dell’aumentata permeabilità capillare, si traduce nello sviluppo di edema

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interstiziale ed alveolare che riduce la compliance parenchimale ed interfe-risce con lo scambio di O2. La presenza di infiltrati polmonari diffusi e pro-gressivi associati ad ipossiemia arteriosa, in assenza di polmonite o insuffi-cienza cardiaca, indica l’insorgenza di una lesione polmonare acuta. 13 La sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) è la principale compli-canza respiratoria della sepsi che si sviluppa nel 6-7% dei pazienti.

Tale sindrome è una grave condizione clinica caratterizzata da rapida insor-genza di ipossiemia refrattaria alla terapia ed evidenza radiologica di infil-trati polmonari diffusi e bilaterali, causati dall’aumento della permeabilità delle membrane alveolo-capillari, la cui causa non è riconducibile ad insuf-ficienza del ventricolo sinistro o sovraccarico di fluidi.

La fase acuta dell’ARDS è caratterizzata da perdita dell’integrità della bar-riera alveolo-capillare, la cui distruzione comporta lo sviluppo di edema in-terstiziale ed alveolare, perdita di surfactante, invasione di leucociti negli spazi aerei e formazione di un essudato di fibrina a livello alveolare. Tutto ciò conduce ad una riduzione della compliance polmonare e atelettasia con sviluppo di un’insufficienza respiratoria acuta che necessita di un supporto meccanico della ventilazione.

L’ARDS è correlata ad un incremento della mortalità intraospedaliera, per-tanto il riconoscimento dei pazienti a rischio di sviluppo di tale patologia è essenziale per migliorare la prognosi.33

Sistema cardiovascolare

La disfunzione cardiovascolare è caratterizzata dalla presenza di ipoten-sione dovuta generalmente alla redistribuzione del flusso ematico (con con-seguente diminuzione delle resistenze), all’ipovolemia (secondaria alla dif-fusa perdita capillare di liquidi per l’aumentata permeabilità vascolare), e alla diminuzione della contrattilità miocardica associata a livelli elevati di

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NO, TNF-α, IL-6 ed altri mediatori (nonostante la disfunzione miocardica nei pazienti settici generalmente la portata cardiaca viene mantenuta). Tale ipotensione generalmente persiste nonostante un’adeguata espansione di volume e per essere trattata richiede l’utilizzo di vasopressori.

Sistema nervoso centrale e periferico

La principale manifestazione della disfunzione neurologica è uno stato di coscienza alterato, evidenziato da ridotti valori della Glasgow Coma Scale (GCS), che si presenta come delirio o ottundimento. Le cause sono multiple ed includono la ridotta perfusione cerebrale, l’edema cerebrale subclinico, le alterazioni metaboliche e l’utilizzo di sedativi.

Se la malattia settica presenta una durata prolungata possono comparire po-lineuropatia e miopatia definite “da malattia critica” che possono ostacolare lo svezzamento dal supporto ventilatorio e produrre debolezza alla musco-latura distale.

Reni

Il rene è uno degli organi che risente maggiormente dello stato settico, infatti la prevalenza di insufficienza renale acuta in corso di sepsi può arrivare ad oltre il 60% ed è indicativa di prognosi severa. Le cause che portano a questa disfunzione sono riconducibili sia alla vasodilatazione provocata dai media-tori del sistema immunitario che causa ipotensione sistemica e ipoperfusione del tessuto renale, che alla necrosi tubulare acuta indotta dalle citochine (in particolare TNF-a) sia direttamente che secondariamente all’attivazione dei neutrofili polimorfo nucleati.

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La disfunzione renale generalmente si manifesta con oliguria, iperazotemia e proteinuria e richiede spesso un trattamento con terapia renale sostitutiva.

Sistema coagulativo

Nel 10-30% dei pazienti settici è riscontrabile una trombocitopenia. La forma più grave è rappresentata dalla coagulazione intravascolare disse-minata (CID) caratterizzata dalla coesistenza di numerosi microtrombi e fe-nomeni emorragici.

Sistema Gastrointestinale

La redistribuzione del flusso sanguigno, che si manifesta in corso di sepsi, porta a sacrificare la mucosa intestinale a favore di organi più importanti. La disfunzione del sistema gastrointestinale si manifesta principalmente con ileo paralitico, diarrea e alterazioni della normale flora microbica.

A livello epatico si verifica iperbilirubinemia, ipertransaminasemia e cole-stasi.

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8. DIAGNOSI DELLA SEPSI

La diagnosi di sepsi viene stabilita sulla base dei segni e sintomi clinici del paziente abbinati ad esami di laboratorio, come la ricerca e l’identificazione del microrganismo responsabile dell’infezione, ed esami radiologici. Non disponendo di test specifici per la diagnosi di sepsi questa deve essere so-spettata in tutti i pazienti con infezione sospetta o accertata che presentino: febbre o ipotermia, tachipnea, tachicardia, comparsa di leucocitosi o leuco-penia, alterazioni acute dello stato mentale, trombocitoleuco-penia, ipotensione, ed elevati livelli ematici di lattati.

Tuttavia la risposta settica può configurarsi in modo piuttosto variabile, inoltre la risposta sistemica relativa a condizioni morbose diverse dalla sepsi (pancreatiti, ustioni, traumi, insufficienza surrenale, embolia polmo-nare, dissezione o rottura aneurismi aortici, infarto miocardico, tampona-mento cardiaco etc.), si manifesta con caratteristiche simili a quelle tipiche della risposta settica.13

Nonostante le numerose difficoltà diagnostiche le linee guida raccoman-dano una diagnosi precoce di sepsi, al fine di permettere un’attuazione tem-pestiva della terapia per ridurre la mortalità e migliorare l’outcome del pa-ziente.

Nelle fasi iniziali della sepsi, il sito di infezione ed il microrganismo pato-geno sono quasi sempre misconosciuti, è quindi importante, prima dell’as-sunzione dell’antibiotico, ottenere adeguati campioni per l’emocoltura. Tut-tavia è assolutamente necessario intervenire tempestivamente con una tera-pia antibiotica empirica ad ampio spettro scegliendo l’antibiotico con la co-scienza della possibile resistenza dell’agente infettivo al trattamento.

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Emocoltura

L’emocoltura è l’esame gold standard per diagnosticare la sepsi in quanto permette di determinare l’agente eziologico e fornisce al clinico utili infor-mazioni per una terapia mirata.1

Le linee guida SSC raccomandano di ottenere le colture appropriate prima dell’inizio della terapia antibiotica a meno che questo non causi un signifi-cativo ritardo (>45 minuti) nell’inizio della stessa. Per l’ottimizzazione dell’identificazione degli agenti microbici causativi, si raccomanda l’otteni-mento di almeno 2 set di emocolture (con flaconi sia aerobici che anaero-bici) prima dell’inizio della terapia antimicrobica, con almeno un set prele-vato per via percutanea ed un set preleprele-vato da ogni accesso vascolare, a meno che quest’ultimo non sia stato inserito recentemente (<48 ore). È im-portante che il prelievo venga effettuato al sorgere dei primi sospetti di in-fezione e soprattutto, prima della somministrazione di qualsiasi antibiotico, in caso contrario si dovrebbe sospendere la terapia per qualche ora oppure effettuare il prelievo prima della successiva somministrazione dell’antibio-tico, in modo tale che la concentrazione ematica del farmaco risulti la più bassa possibile. Nella maggior parte degli episodi di batteriemia è necessa-rio raccogliere almeno 2 set di emocoltura nell’arco della 24 ore per identi-ficare il patogeno, poiché nel caso si prelevasse un unico set di campioni la probabilità di non identificare un paziente con sepsi è di circa il 35-40%; inoltre nei pazienti con endocarditi o altre infezioni endovascolari, oppure con un decorso della malattia non acuto viene raccomandata l’esecuzione di 4 prelievi, uno ogni 6 ore, in modo da avere una maggiore probabilità di individuare il patogeno. Il prelievo di un maggior numero di emocolture permette di differenziare con maggior accuratezza i veri positivi dai falsi positivi.

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Un atro problema che riguarda le emocolture è la possibile contaminazione esogena del campione, causata da errori nella fase di prelievo che rende in certe circostanze difficile capire se il microrganismo è effettivamente re-sponsabile dell’infezione o rappresenta una contaminazione; l’accidentale presenza di eventuali batteri commensali della cute come stafilococchi coa-gulasi-negativi, corinebatteri e propionibatteri, può ostacolare o addirittura mascherare la crescita dei veri patogeni con la conseguenza di fornire infor-mazioni fuorvianti al clinico.

Un limite dell’emocoltura è la scarsa sensibilità nella ricerca di particolari batteri che spesso sono responsabili di polmoniti acquisite in comunità, come Mycoplasma pneumoniae, Legionella pneumophila e Chlamydia pneumoniae e di altri germi difficilmente coltivabili o addirittura non colti-vabili come Coxiella burnetii, Francisella tularensis, Bartonella spp., Ric-kettsia spp., Nocardia spp.34

Il valore dell’emocoltura come test diagnostico per batteriemia e sepsi è li-mitato, infatti, emerge che nel 50% dei casi l’emocoltura risulta negativa anche se la diagnosi di sepsi è certa ed inoltre i primi risultati vengono for-niti dopo 48 ore per concludere l’analisi con l’identificazione e la sensibi-lità agli antibiotici del patogeno dopo 5 giorni o più

Le colture provenienti da altri siti ad esempio: urine, liquor, ferite, secreti respiratori o altri fluidi corporei che possono essere fonte di infezione do-vrebbero essere ottenute prima della terapia antimicrobica se ciò non causa significativi ritardi nell’inizio della terapia antimicrobica. Per confermare una potenziale fonte di infezione si raccomanda inoltre studi di imaging.

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Biomarkers

La difficoltà nel differenziare la sepsi da SIRS non infettive, spinge il me-dico a stabilire una terapia con antibiotici ad ampio spettro che purtroppo aumentano l’antibiotico-resistenza da parte dei patogeni, pertanto l’indivi-duazione di un biomarker della sepsi altamente preciso risulta decisivo in situazioni critiche con la capacità di escludere o confermare un’infezione batterica acuta, di valutare la risposta infiammatoria sistemica all’infezione e la risposta dell’ospite alla terapia instaurata.

I marcatori disponibili per la diagnosi di sepsi sono numerosi: conta leuco-citaria, proteina C reattiva (PCR), procalcitonina (PCT), endotossina, cito-chine, fattori del complemento, peptide natriuretico atriale (ANP) etc. 35 Purtroppo attualmente nella sepsi non è ancora stato individuato un marker ideale e quelli utilizzati normalmente spesso sono dotati di scarsa sensibi-lità e specificità e di conseguenza hanno un’utisensibi-lità limitata nella gestione dei pazienti. Il loro dosaggio dovrà essere utilizzato e valutato nel contesto del quadro clinico in cui si trova il paziente.

• Proteina C reattiva (PCR)

La proteina C reattiva (PCR) è una proteina di fase acuta prodotta dal fe-gato durante uno stato infiammatorio. Viene prodotta da 4 a 6 ore dopo lo stimolo flogistico e la sua concentrazione in circolo raddoppia dopo circa 8 ore, raggiungendo il picco in 36-50 ore; ha un emivita di circa 19 ore ma i suoi livelli nel torrente circolatorio permangono elevati per qualche giorno anche dopo la scomparsa dell’infezione. 36

Elevati livelli plasmatici di PCR indicano la presenza di un’infezione e/o danno d’organo; normalmente la sua concentrazione plasmatica è <10 mg/l

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ma in caso di un’infezione acuta grave può raggiungere concentrazioni di 500 mg/ml. L’aumento della PCR però non sembra essere correlato alla gravità della flogosi ed inoltre accresce anche in caso di patologie non in-fettive come malattia autoimmuni, sindromi coronariche acute, tumori ma-ligni e dopo traumi o interventi chirurgici. In conclusione i valori della PCR non permettono di distinguere tra sepsi e SIRS di natura non infettiva Questo marker però risulta più sensibile di parametri come la conta leucoci-taria ma meno specifico di altri come la PCT. Nonostante ciò la PCR è un marker comunemente usato, di basso costo ed ampiamente disponibile. 37

• Procalcitonina (PCT)

La procalcitonina è un precursore della calcitonina, ormone coinvolto nell’omeostasi del calcio, secreto dalle cellule C della tiroide e dalle cellule neuroendocrine dei polmoni e dell’intestino.

La secrezione sistemica della PCT è una caratteristica della risposta infiam-matoria che segue all’infezione microbica sistemica e per questo motivo il suo dosaggio viene utilizzato come biomarker di infezione batterica e sepsi. In condizioni normali la sua concentrazione plasmatica è < 0,1 ng/ml ma in seguito all’insorgenza di gravi infezioni batteriche e dei relativi quadri di risposta infiammatoria sistemica viene sintetizzata in vari tessuti neuroen-docrini extratiroidei raggiungendo concentrazioni >100 ng/ml.

Livelli plasmatici di PCT uguale o inferiori a 0,5 ng/mL indicano pazienti con scarsa probabilità ad essere affetti da sepsi grave o shock settico, men-tre livelli al di sopra di 2 ng/mL individuano i pazienti ad alto rischio38;

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mentre concentrazioni superiori a 10 ng/mL si riscontrano spesso in pa-zienti con disfunzione d’organo lontana dal sito primario di infezione.

La procalcitonina precede la PCR ed altri marcatori tradizionali di sepsi nel circolo ematico, ma non è abbastanza precisa per evitare un giudizio clinico del medico. Comunque appare significativo il suo utilizzo nel ridurre la te-rapia antibiotica nei pazienti ricoverati in tete-rapia intensiva.35

Per la diagnosi di sepsi e shock settico devono essere presenti diverse condizioni:

Segni e sintomi risposta

infiammato-ria sistemica  Tachipnea > 20 atti respiratori/min

op-pure PCO2 < 32mmHg

 Tachicardia >90 bpm

 Leucopenia <4000 cellule/mm3 o

leuco-citosi > 12000 cellule/mm3

 Temperatura corporea >38.5°C oppure <35°C

Stato di infezione

(Documentata o sospetta)  Emocolture positive

 Segni radiologici o di laboratorio di in-fezione

Insufficienza d’organo

 Alterazione stato mentale

 Insufficienza renale <0,5 ml/kg/h in 2h o creatinina >50% del valore basale  Insufficienza cardiaca

 Acute lung injury e ipossiemia con PaO2/FiO2 <300

 Trombocitopenia (PTL<100’000/μl)  Coagulopatia (INR>1.5 o aPTT>60s)  Disfunzione epatica (bilirubina tot

>4mg/dl)

 Aumento del lattato sierico > 4 mmol/l o 18 mg/dl

Shock settico

 Ipotensione refrattaria al riempimento volemico

Oppure

 PAS < 90mmHg o PAM <60 mmHg o PA sistolica > 40mmHg rispetto al ba-sale

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9. TRATTAMENTO DELLA SEPSI

La gestione del paziente settico viene fatta seguendo precise linee guida, pubblicate nel 2004 e successivamente revisionate nel 2008 e nel 2012, che sono definite nell’articolo “Surviving Sepsis Campaign: International

gui-delines for management of severe sepsis and septic shock”

Il tempo è una variabile fondamentale per lo sviluppo della cascata infiam-matoria sistemica che porta alla disfunzione d’organo e allo shock, pertanto la tempestività della diagnosi e degli interventi terapeutici è molo importante per migliorare l’outcome e ridurre la mortalità dei pazienti.

La diagnosi o anche il solo sospetto di sepsi o shock settico richiedono un trattamento immediato che deve essere iniziato entro un’ora dalla presa in carico del paziente settico e non deve essere rimandato al trasferimento in un’unita di terapia intensiva.

Il trattamento ha lo scopo di fornire un supporto emodinamico e respiratorio al paziente, prevenire complicanze e disfunzioni d’organo ed ovviamente eli-minare l’agente patogeno ed impedire lo sviluppo di infezioni secondarie.

Per garantire una gestione rapida ed efficace della sepsi è stato proposto, dalle linee guida SSC, un approccio standardizzato dei pazienti.

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9.1. Rianimazione iniziale

Viene raccomandata la rianimazione quantitativa dei pazienti con ipoperfu-sione tissutale indotta dalla sepsi, che nelle linee guida SSC è definita come un’ipotensione persistente nonostante un iniziale fluid-challange oppure come una concentrazione di lattati nel sangue > 4 mmol/l.

La rianimazione dovrebbe iniziare immediatamente dopo l’identificazione della sindrome e non dovrebbe essere rimandata al ricovero del paziente in terapia intensiva.

In particolare, tutte le misure rianimatorie devono essere intraprese entro un’ora dalla presa in carico del paziente settico e gli obiettivi della rianima-zione durante le prime 6 ore dovrebbero includere i seguenti punti:

1) Pressione venosa centrale (PVC) di 8-12mmHg

In pazienti ventilati meccanicamente, pazienti con preesistente riduzione della compliance ventricolare, pazienti con elevata pressione endoaddominale e pa-zienti con ipertensione polmonare arteriosa significativa preesistente, il target di PVC da raggiungere è di 12-15mmHg.

2) Pressione arteriosa media (MAP) >65 mmHg

3) Output urinario >0.5ml/kg/h

4) Saturazione del sangue in vena cava superiore o saturazione venosa centrale (ScVO2) del 70% oppure saturazione venosa mista (SvO2) del 65%.

Se durante le prime sei ore, nonostante adeguato rimpiazzo di fluidi persiste una condizione di ipoperfusione e quindi valori di ScVO2 e SvO2 rispettivamente <70% e <65%, è raccomandato somministrare dobutamina, fino ad un massimo

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di 20 μg/kg/min, oppure trasfondere con emazie concentrate per ottenere un ema-tocrito >30%.

Per il raggiungimento dei suddetti obiettivi, la “Early Goal Directed The-rapy” (EGDT), si è dimostrata in grado di migliorare la sopravvivenza dei pazienti settici. Infatti nelle prime sei ore, il raggiungimento degli obiettivi rianimatori, risulta associato sia ad una diminuzione del 15,9%, della morta-lità a 28 giorni dal ricovero del paziente, sia ad una diminuzione delle spese ospedaliere per paziente.1

9.2. Terapia antimicrobica

Insieme alle misure rianimatorie intraprese nella prima ora dalla presa in ca-rico del paziente, deve essere considerata una priorità la tempestiva sommi-nistrazione di antibiotici per via endovenosa, che non deve essere rimandata oltre la prima ora dal riconoscimento della sepsi o shock settico. Diversi studi hanno dimostrato che ogni ora di ritardo nella somministra-zione di antibiotici è associata ad un aumento significativo della mortalità dei pazienti settici.

Le colture necessarie dovrebbero essere raccolte sempre prima dell’inizio della terapia antibiotica, a meno che questo non causi un ritardo significativo (>45 min) nell’inizio della stessa.

Essendo la diagnosi eziologica spesso complessa e l’esito degli esami coltu-rali tardivo la terapia antibiotica iniziale è empirica.

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