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La dialettica dei contrar

Nel documento Io, Don Giovanni. Mozart in maschera (pagine 47-49)

Intendere la musica di Mozart-Don Giovanni come azione positiva in quanto vitale porta pertanto a ribaltare completamente tutto quanto nella trama e nei per- sonaggi sembra ovvio e immediato. Perché con il Don Giovanni Mozart per la pri- ma e unica volta parla indirettamente di sé e della sua musica: e lo fa servendosi delle qualità più basse dell’uomo per farne un simbolo delle qualità più alte. Usa il negativo per rappresentare il positivo: si serve di un uomo sostanzialmente fri- volo e superficiale per rappresentare la serietà e la profondità della sua musica; chiama in causa un emblema di cieca vita carnale, per rappresentare l’opposto, la sua disincarnata chiarezza interiore; usa la forza ottusa dell’istinto per evocare l’a- cutezza della sua coscienza. Per cui, indugiare a emettere censure su Don Giovan- ni vuol dire fermarsi alla crosta della musica mozartiana.

Da un mero punto di vista esteriore il nostro libertino è in effetti l’emblema dell’amore inteso come soddisfacimento passeggero tipico del Settecento più epi- dermico, ancora estraneo ai tormenti di un Werther. Un secolo che nell’opera buffa si divertiva a deridere l’amore inteso come passione travolgente («Amor cos’è? / Piacer, comodo, gusto, / gioia, divertimento, / passatempo, allegria; non è più amore, se incomodo diventa, / se invece di piacer nuoce e tormenta» dice Despi- na). In realtà Mozart assume la convinta volubilità di Don Giovanni per affermare la convinta stabilità della sua musica, sempre animata da un pensiero indefettibile e saldo. L’incostanza di Don Giovanni diventa simbolo di coerente costanza. Egli usa l’amore terreno, che per sua natura è selettivo e univoco, per rappresentare l’opposto, lo slancio universale che non può fermarsi al particolare. Per rappresen- tare la forza della sua musica, Mozart pertanto chiama in causa l’amore più mo- ralmente riprovevole, non quello umano, quotidiano e domestico delle Nozze, e neanche quello nobile e d’etichetta del Flauto magico. La musica del Don Giovanni, proprio per la facilità a fraintendere Mozart come semplice apportatore di piacere, obbliga pertanto a capovolgere gli aspetti negativi del nostro libertino; perché la sua musica non ci dice esattamente quello che la vicenda invece ci esprime, non ci disegna il male né l’errore invece così lampanti nella trama. Don Giovanni ad un tempo repelle e affascina, ma non tanto per quella carica intrigante che gli si attri- buisce. Affascina perché con il suo ardore sfrontato opposto ai suoi compagni sa dar vita ad un caleidoscopio di apparenze tali da indurci a sospettare che non bi- sogna giudicare la sua creatura in base alle convenzioni morali di tradizione, così come non bisogna fondarsi sulle convenzioni di routine per giudicare la musica di Mozart. Don Giovanni è sempre al di fuori delle righe perché è la musica di Mo- zart ad essere sempre al di fuori delle righe. Dinanzi a quest’opera crollano tutte le nostre certezze; di fronte alla sicurezza di Mozart comprendiamo tutta la mode- stia della nostra sicurezza, dei nostri giudizi, delle nostre convinzioni.

Mozart pertanto nasconde la forza e la bellezza della sua musica nella squal- lida figura di un libertino per dire che l’incomprensione a cui la sua musica (e la sua persona) potevano andare sovente incontro era da lui accettata proprio con la sicura fierezza di Don Giovanni. L’importante infatti non è tanto quello che tale

personaggio compie o pensa, ma solo l’inarrivabile azione musicale che anima questo personaggio e, di riflesso, anche i suoi compagni di strada. Mozart si iden- tifica con Don Giovanni non perché si compiace di essere un trasgressore in musi- ca così come la sua creatura lo è in ambito etico, ma perché sa di essere un artista sempre attivo, spiritualmente impetuoso, non certo capace di sottostare a tutti quegli impegni, anche materiali e prosaici (cura di un archivio, rapporti con gli or- chestrali, savoir faire diplomatico, ecc.), che una carica a corte, a cui tanto aspirava, comunque imponeva. Proprio per questo ai datori di lavori cui egli invano offrì i suoi servigi egli doveva apparire – lo si può facilmente sospettare – un artista inaf- fidabile, tale da instillare una certa qual diffidenza in persone che volevano invece al loro servizio artisti corretti, ma soprattutto tranquilli e servizievoli, ordinati e puntuali, come gli Haydn e i Salieri.

Pertanto le leggi del normale vivere civile che rendono equa e auspicabile la condanna del nostro eroe devono essere anch’esse stravolte e superate allo stesso modo delle leggi che governano la normale fruizione della musica, soprattutto della musica d’allora. Don Giovanni, seguendo il suo «buon natural», è un perso- naggio che - nel libretto - ci appare del tutto negativo perché - nella musica - ci fa capire che il positivo è altrove, ma non certo nelle mani del Commendatore.

In base a questa interpretazione Mozart usa l’ultraterreno incarnato dal Con- vitato di pietra e musicalmente disceso dall’Alcesti di Gluck per esprimere in realtà il mondo più avverso alla vita di Don Giovanni. Mette in scena la «giusta» fine che tocca al libertino per mostrare l’«ingiusto» destino a cui può andare incontro la sua musica. Nessuna ovvia condanna estetica, ma un viluppo più sottile di miraggi e di incomprensioni. Per affermare la sua musica Mozart pertanto non usa un sog- getto in grado di celebrare il trionfo del bene su un dissoluto, ma si serve esatta- mente del contrario, cioè di un personaggio più che discutibile, ma animato pur sempre da un’energia suprema.

Mozart pertanto si identifica con Don Giovanni perché sa comunque di essere il più grande, ma per dirlo e per farlo capire si serve volutamente di una figura tutt’altro che «grande». Don Giovanni è sicuro della sua forza seduttrice così come Mozart è sicuro della forza della sua musica; per cui l’ascoltatore deve « amare » la sua musica senza per questo pretendere, come Donna Elvira, di averne il mono- polio né emozionale né razionale. Con la figura sfuggente, ma imperativa di que- sto suo personaggio e con la suprema musica attribuita a tutti i personaggi Mozart insomma risponde ai vari arcivescovi Colloredo che non lo sapevano apprezzare; dice a tutti «Io sono il più grande», ma lo fa dire, genialmente, a Don Giovanni, ce- landosi cioè sotto i panni di un eroe negativo, col rischio dunque di essere ancora più incompreso. Perché chi non lo comprende è schiavo della superficialità, di quella stessa superficialità che induce a intendere Don Giovanni non in base alla musica che anima tutta la sua opera, ma solo per quello che è nel libretto, un in- degno donnaiolo. A chi non lo comprende, qualunque spiegazione rimane comun- que inutile.

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Nel documento Io, Don Giovanni. Mozart in maschera (pagine 47-49)