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L’insidia delle tonalità

Nel documento Io, Don Giovanni. Mozart in maschera (pagine 69-71)

La ricerca di segrete rispondenze strutturali all’interno di qualunque capola- voro è sempre un tentativo, sovente inconscio, di scoprire dove risieda mai quella vita che tiene in piedi quel capolavoro. Si seziona quel corpo alla ricerca della vita, dimenticando così che, per fare ciò, si deve togliere la vita a quel corpo. Il Don Gio-

vanni è uno di quei tanti capolavori che ce lo dimostrano. Cerchiamo di spiegarci

perché esso è grande magari con calcoli e formule, come se quel capolavoro fosse un’automobile sulla quale si viaggia così bene solo grazie alla sua cilindrata e ai suoi ritrovati tecnici. Dimenticando in tal modo che in quell’automobile c’è anche chi guida quell’automobile, c’è una persona senza la quale quel veicolo non si muoverebbe neanche di un metro (così come capita a molti lavori che capolavori non sono). In altre parole la presenza di pur indubitabili pregi strutturali non è tanto la causa che fa di quel capolavoro un capolavoro, ma è una conseguenza. La sua vita risiede altrove, risiede in una dimensione irrazionale, e quindi inspiega- bile, che sta a monte dei suoi pregi costruttivi.

capolavoro non ci deve illudere di aver completamente scoperto perché quel ca- polavoro è tale. Ne è un esempio, fra i tanti, la «scoperta» delle correlazioni fra le tonalità che vari studiosi del Don Giovanni si impegnano a delucidare. È certamen- te indubbio anche in tale opera il ruolo giocato dal contrasto fra i due modi di Re maggiore e di Re minore, visto che il Re minore in Mozart, alla pari del Sol minore, non è una tonalità qualunque, trovandosi alla base anche di altri importanti lavori di intensa espressività come l’eccezionale Concerto per pianoforte K. 466 (dirom- pente per la sua novità tanto quanto il Don Giovanni), il Kyrie K. 341 e poi il Re-

quiem. Lo si comprende fin dall’Ouverture, tutta fondata su questa contrapposizio-

ne. L’antitesi fra l’iniziale «Andante» in Re minore e il successivo «Allegro molto» all’omologo maggiore (certo un’antitesi di modi assai frequente) dà vita ad un più che esplicito conflitto chiaroscurale. Ma tale conflitto si fa ancora più manifesto nel corso dell’opera. Il Re minore sembra in effetti il mondo dei «nemici» del protago- nista: in Re minore sono le poche battute del duello iniziale, il duetto fra Donna e Don Ottavio «Deh, crudele, fuggi!» e l’entrata delle maschere alla festa («Bisogna aver coraggio») e, soprattutto, la scena decisiva al banchetto con la statua del Commendatore. Al punto che si potrebbe postulare, come starebbe a confermare il Requiem, l’associazione fra tale tonalità e la morte.

Più difficile sembra invece attribuire il Re maggiore a Don Giovanni; Mozart infatti anche in questo aspetto dell’opera si comporta in modo quanto mai indefi- nibile e ci convince a non tracciare automatiche e troppo facili corrispondenze fra tonalità e personaggi. Pur volendo aderire all’idea di Knepler, secondo cui questa tonalità esprime «la gioia vitale dell’eroe del titolo»172, bisogna tuttavia tenere pre- sente che Don Giovanni canta in Re maggiore solo la sua «Canzonetta» alla came- riera; vero è che sempre in un giocoso Re maggiore si apre il suo banchetto finale, ma sempre in Re maggiore sono pure le arie di Donna Elvira «Ah, fuggi il traditor» e di Donna Anna «Or sai chi l’onore», due «inviti all’azione» di personaggi diame- tralmente opposti proprio a Don Giovanni. Non solo: pure in Re maggiore è l’aria del catalogo, dunque l’aria di un sempliciotto per il quale l’azione non ha invece significato alcuno; e nella stessa tonalità sono tanto l’entrata di Donna Anna e Don Ottavio nel corso del Sestetto quanto il successivo invito consolatorio dell’uno nei confronti dell’altra («Tergi il ciglio»). Invero la scena della morte di Don Giovanni non potrebbe non essere in Re minore, ma essa si conclude con l’urlo del protago- nista su una liberatoria cadenza piccarda in Re maggiore; e pure in Re maggiore sarà la scipita morale conclusiva «Questo è il fin di chi fa mal», a proposito della quale non ci può convincere l’idea del Knepler per il quale in tale momento questa tonalità «rappresenta la gioia futura di tutti gli altri». Già abbiamo visto infatti che, malgrado la morte del protagonista, solo per Zerlina e Masetto il futuro sarà pre- sumibilmente felice. Pertanto l’intreccio delle tonalità è anch’esso labirintico e ci obbliga a diffidare di quelle corrispondenze cui sembra attenersi ad esempio an- che Ratner173.

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172 Georg Knepler, Wolfgang Amadé Mozart. Nuovi percorsi, Ricordi-LIM, Milano-Lucca 1995, p. 347

In base alla soluzione interpretativa prospettata174, i profili dei vari personaggi che ruotano attorno a Don Giovanni ci appaiono interpretabili come entità co- scientemente o inconsapevolmente contrapposte alla vera musica di Mozart. Cor- rispondono esattamente a quei tre tipi di ascoltatori cui Mozart ebbe un giorno a riferirsi quando a Parigi si trovò a suonare in casa della Contessa Chabot: «Datemi il migliore pianoforte d’Europa, ma come ascoltatori persone che non capiscono nulla, o che non vogliono capire nulla, e che non provano assieme a me ciò che suono, e allora perderò ogni gioia»175.

Le tre donne possono venire intese come tre manifestazioni di forze vanamen- te investite dall’azione del protagonista; in altre parole esse sono tre modi d’ap- proccio illusori o insufficienti, tali da non permettere una reale sintonia con la pro- duzione mozartiana. Sono dunque tutte e tre sullo stesso piano (anche Carapezza le ritiene «elevate tutte senza differenza d’importanza a personaggi principali»176), in quanto si trovano tutte sullo stesso livello antagonistico. Don Giovanni-Mozart offre la sua musica a tutte, ma nessuna delle presenti è in grado di recepirla.

I tre uomini dal canto loro esemplificano invece aspetti compositivi solo appa- rentemente simili a quelli mozartiani, ma in realtà così diversi da risultare anch’es- si negativi. Sono gli stadi creativi dei tanti e pur dignitosi Salieri e Sarti, Beecke e Boccherini coevi, a cui la musica di Mozart veniva contrapposta, sì vicini a lui e talvolta più stimati di lui, ma in realtà privi di quella pienezza di vita e di forza che egli invece sapeva dominare fin dall’infanzia.

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Nel documento Io, Don Giovanni. Mozart in maschera (pagine 69-71)